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Autore: Ale666ia    09/11/2012    4 recensioni
Un mondo in putrefazione.
O sopravvivi o sei uno di loro.
Genere: Angst, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Angolo mio
Visto? Ho aggiornato! Come potevo lasciarvi così, col fiato sospeso? Sono stata di parola!
Buona lettura :)
 
 
 
«No.» sussurrò Jared, incurante delle gocce d'acqua sollevate dalle onde che gli schiaffeggiavano il viso.
«Eh?» Colin si era fermato proprio sulla porta. «Hai detto qualcosa?»
Senza degnarlo di uno sguardo, Jared mosse la mano alla cieca fino a quando non trovò il braccio del più piccolo. Lo strattonò accanto a sé e gli indicò qualcosa all'orizzonte.
«Jared, io non vedo nien-»
«Aspetta, aspetta i fulmini.» sussurrò lui.
Poi accadde di nuovo: un lampo di luce, pupille che si restringono. Respiri che si mozzano.
Colin si girò di scatto. «Dobbiamo avvertire gli altri» balbettò, «dobbiamo muoverci, oppure...»
Non volle finire la frase. Si precipitò all'interno della baracca fatiscente con Jared al seguito.
«Avete fatto?» chiese nervosamente.
«Veramente abbiamo appena cominciato.» rispose Alissa secca. «Se magari non fossi rimasto là fuori a quest'ora saremmo già stati a buon punto.»
Sapevano tutti che non era vero, ma decisero di sorvolare. Jared si affrettò a prendere uno scatolone, lo riempì di tutto ciò che gli capitava sotto gli occhi. Michael se ne accorse.
«Solo le cose importanti ragazzo, dobbiamo fare in fretta.»
Continuò a riempirlo. «Tutto è importante Michael» parlava velocemente «...tutto.»
«Che stai dicendo?»
«Stiamo per perdere tutto, di nuovo... Sto per perdere tutto.» gli rispose, gli occhi azzurri improvvisamente velati da uno spesso strato di lacrime acquose. Oh, che reazione stupida, si disse internamente. Come poteva perdere la vista in un momento come questo? Non era il momento adatto ai sentimentalismi, non poteva lasciare che lo sconforto di perdere la tanto agognata tranquillità che gli aveva regalato questa palafitta oscurasse le sue capacità intellettive. Questo era il momento del sangue freddo, dell'intelligenza calcolatrice. Era il momento di mantenere i nervi saldi, uscire velocemente da quella dolce catapecchia e lasciarsi nuovamente tutto alle spalle, ma le sue guance continuavano ad arrossarsi, così come il naso. Le mani gli tremavano. Sperò che il suo crollo psicologico non si notasse così tanto.
«Jared.» la voce profonda e ferma di Michael lo riportò alla realtà. «Dimmi che cosa sta succedendo. Perché fai così?»
Jared prese un paio di respiri profondi, poi decise di rivelare agli altri cosa avevano visto i suoi occhi.
«Nave.» Gli costò una fatica immane pronunciare quella parola. «C'è una nave.»
Maledetta nave, maledetta, gli avrebbe portato via l'unico piccolo pezzo di normalità della sua triste e sconclusionata vita.
Si poteva dire che era calato un silenzio tombale, se non fosse stato per Colin, intento a ripiegare affannosamente le coperte. Poi Dakota parlò.
«E allora?» chiese, esitante. Era ancora impaurita, ma non riusciva a capire la gravità della situazione.
«E allora...» rispose Jared. Nella sua voce si poteva cogliere chiaramente una punta di alterazione ed impazienza. «...tra poco ci finirà addosso.»
Di nuovo un silenzio infernale. Di nuovo una voce che spezzò il silenzio, questa volta di Michael.
«Sei sicuro? Quante probabilità ci sono che finisca proprio qui?»
Jared colse lo scetticismo nelle sue parole, e questa cosa lo mandò in bestia.
«Sentite,» era chiaramente irritato, ma non diede importanza a ciò che gli altri avrebbero pensato di lui. «se non mi credete basta affacciarsi alla porta. Dicevate di “far presto” e altre cose del genere, eppure state perdendo tempo a chiedermi cosa io abbia visto là fuori. Vogliamo uscire da questa casa o no?»
Probabilmente il concetto che aveva espresso era privo di logica. Probabilmente esprimeva solo la sua sanità mentale che in quel momento se ne era andata. Probabilmente esprimeva solo frustrazione e astio nei confronti di quella vita così ingiusta.
Vide Alissa annuire. «Dobbiamo uscire da qui. Nave o no, dobbiamo farlo il più presto possibile. Quindi non perdiamo altro tempo. Prendiamo un altro paio di cose e andiamocene.»
 
Uscirono tutti, cani e umani. Il vento era aumentato, tremavano. Nuvole nere come pece avevano coperto la luna. L'unica torcia che avevano era quasi scarica e funzionava ad intermittenza. Era una di quelle potenti ma sfortunatamente ingombranti.
«Non riusciremo mai ad arrivare a riva con la zattera.» constatò Michael. Le onde erano alte ed impedivano un viaggio tranquillo a bordo della pseudo-barca: sarebbero caduti in acqua ancora prima di posare i piedi sul legno, anzi, sulla scaletta di corda. In più, la moto era ormai condannata a rimanere per sempre in balia delle onde.
«Come facciamo?» chiese Dakota, stringendosi in un cappotto di svariate taglie più grande di lei.
«Dobbiamo bagnarci.» fu Colin a pronunciare quella incontrovertibile e scomoda verità.
«...Per forza.» confermò Alissa, guardando assorta le onde. «Ce l'abbiamo una corda?»
«Sì. L'ho presa io.» rispose Jared, anche se dentro di sé stava urlando “Muoviamoci, muoviamoci! Non c'è più tempo!” «Hai un'idea?» chiese, invece.
Alissa annuì, e lo guardò, determinata. «Uno di noi si butta in mare e lega la corda ad una delle colonne portanti della palafitta. Arrivato a riva, tiene la corda tesa in modo da creare una specie di ponte a cui gli altri si aggrapperanno per non essere portati via dalle onde. Mi dispiace, ma i bagagli si bagneranno un po'.» fece una pausa per far assimilare a tutti il suo piano, poi disse che sarebbe andata lei per prima.
Michael si oppose.
«No. Andrò io. Sono quello che ha meno probabilità di essere trascinato via da un'onda. Voialtri siete tutti gracilini, invece.» sorrise brevemente e, dopo aver preso un capo della corda dalle mani di Jared, si gettò in acqua senza pensarci due volte. Lo sentirono urlare qualcosa a proposito del freddo. Quando Jared sentì strattonare la corda, segno che Michael aveva ne legato un capo ad un palo di legno, gettò la restante in acqua. Nel frattempo, decisero di impacchettare in un telo di plastica le armi alla meno peggio. Una pistola piena d'acqua non sarebbe stata utile a nessuno. Certo, rimanevano bastoni e accette, ma sempre meglio avere a disposizione anche delle armi da fuoco. Poi legarono il pacco con un paio di corde elastiche: erano tutti scettici riguardo l'utilità di ciò che avevano fatto, ma tant'è.
«Ehi!» sentirono il nero urlare. «Potete venire!»
«Vado io con Dakota. Ok?» chiese Alissa alla ragazzina. «Intanto porto un paio di zaini. Voi occupatevi delle armi.»
«E Jack?» chiese lei allarmata.
«Lo prendo io. Tu aggrappati subito alla corda appena entriamo in acqua.»
Annuirono e dopo che Alissa si fu caricata in spalla più zaini possibili, tra le braccia il cane macchiato che non sembrava affatto entusiasta di fare una traversata a nuoto nel mare gelido, si gettarono.
«Come lo portiamo questo malloppo di roba?» chiese Colin a Jared aspettando che arrivasse il loro turno, riferendosi al pacco d'armi.
«Tu lo tieni davanti, io lo tengo dietro. Cerchiamo di non farlo cadere in acqua. Sì, lo so, sarà difficile, ma è l'unico modo che mi viene in mente.» Jared si strinse nelle spalle, fremente di abbandonare quel luogo. La lupa bianca era rimasta con loro e se ne stava in piedi, a scrutare immobile le onde che si erano fatte mano a mano più alte ed imponenti.
Aspettarono in silenzio la conferma di Alissa, aspettarono di sentire le due ragazze urlare che erano arrivate a terra, che potevano gettarsi. E invece sentirono tutt'altro.
«Che roba è quella?»
Colin e Jared si guardarono negli occhi per un istante che sembrò un'eternità prima di girarsi verso il mare aperto. E la videro, questa volta senza aver bisogno di un fulmine che illuminasse l'ambiente circostante, perché era lì, a qualche centinaio di metri da loro, che si avvicinava ad una velocità abbastanza sostenuta da far temere il peggio. Era la nave. Lunga, alta, enorme, sembrava una di quelle utilizzate per le crociere quando tutto andava bene, quando non c'erano morti bramosi di carne e sangue, ed ora era lì, vedevano chiaramente il muso bianco, le ciminiere sbuffanti nuvole nere di fumo, ed erano pietrificati: cane e umani erano impietriti alla vista di quel mostro che sarebbe dovuto rimanere chiuso in un porto abbandonato piuttosto che andarsene in giro per il mare.
«Tuffatevi! TUFFATEVI!»
Il ruggito di Michael li riportò alla realtà. Si gettarono tutti e tre. La lupa era veloce e sinuosa, raggiunse la riva in poco tempo. Loro invece erano impacciati, impossibilitati alla velocità da quel pacco di armi da fuoco che reggevano tra le braccia, le articolazioni bloccate dal gelo, improvvisamente le estremità del loro copro si erano ghiacciate e muoversi richiese uno sforzo immane.
«Più veloce» boccheggiava Jared «più veloce», ma lui non poteva pretendere cose che il suo corpo non sarebbe riuscito a sostenere: aumentare la velocità significava lasciar cadere le armi in acqua perché lui era debole, non ce la faceva.
Sentì Colin urlare qualcosa a proposito del loro carico, di lasciarlo andare, di procedere da soli senza impicci, ma Jared si rifiutò: senza armi erano persi, non potevano far niente senza di esse, non sarebbero sopravvissuti.
Perché la riva sembrava così lontana quando in realtà era così vicina? Credette di morirci dentro quella pozza gelata, fino a quando non sentì il peso sul suo braccio sinistro andarsene e il calore inondare il lato destro del suo corpo. Sollevò lo sguardo, un po' oscurato dalle ciocche dei lunghi capelli bagnati che gli ricadevano sul viso. Michael era entrato in acqua con loro, era rientrato appositamente per aiutarli, per prendere le armi che non riuscivano a trascinare, ed ora lo vedeva ritornare a riva. Ma quanto mancava? Non si accorse di averlo chiesto ad alta voce, e sentì Colin rispondergli che erano a metà strada. A proposito, dov'era Colin?
Volse lo sguardo verso la fonte di calore per scoprire che ciò che lo stava riscaldando era proprio il corpo del ragazzo. Un suo braccio ce l'aveva attorno alla vita e lo stava trascinando a riva.
«Scusa» sussurrò Jared, ma non credette che lui potesse sentirlo. E invece quello si limitò a scuotere la testa, continuando ad arrancare. Finalmente sentì la terra sotto i propri piedi: erano arrivati. Solo in quel momento si accorse di quanto profondo fosse il punto in cui la palafitta era stata costruita. Cercò di camminare con le proprie gambe ma i piedi erano due cubetti di ghiaccio, erano diventati insensibili e le ginocchia gli cedevano.
«Cazzo.» ringhiò, frustrato.
Sentì Colin sbuffare qualcosa, era una specie di mezza risata.
La risacca si era presa tutta la spiaggia fino alle radici dell'albero, le onde erano ancora più grandi.
Sentì un rumore, un rumore di oggetti che si piegano, ferro che striscia, metallo ferito, lamiere accartocciate, legno che esplode, frammenti che cadono sulla sabbia, tuffi di oggetti nell'acqua, mostri che urlano.
Non volle voltarsi, voleva solo entrare nella macchina che Michael stava guidando, voleva solo stringersi a tutti loro e riscaldarsi ed abbracciarli e condividere quella vita dannata che conducevano. Voleva staccarsi da Colin e smetterla di fare il peso morto, il fisico debole, l'organismo vulnerabile, il pazzo dai periodici crolli psicologici.
Eppure rimase lì, come se il cervello si fosse stancato di tutto, perfino di eseguire le più semplici azioni motorie. Anche quando raggiunsero la macchina, anche quando Colin lo spinse dentro senza tante cerimonie nei sedili posteriori tra lui, Dakota e Jack. Rimase a fissare il mondo circostante che esplodeva, non si curò della nave arenata, dei legni che galleggiavano sull'acqua dove fino a pochi minuti prima si trovava una casa che rappresentava un posto sicuro, delle persone morte che cadevano dalla nave tra le onde, della luna che era spuntata tra le nuvole illuminando tutto di bianco e blu, della macchina che non partiva, della lupa seduta tra le gambe di Alissa nel sedile anteriore.
Non si curò delle imprecazioni di Michael, del morto che si era appena spalmato contro uno dei loro finestrini battendo forte i pugni reclamando il pasto serale.
Rimase in uno stato di shock, a fissare il vuoto, rinchiuso in uno degli angoli più remoti della sua mente. Distrutto. Anche quando Colin coprì tutti e 4 con una coperta dai lembi bagnati.
Anche quando lui gli prese le mani e cominciò a strofinarle con le sue per far riprendere la circolazione del sangue.
  
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