[Orlando]
Chi lo dice che se la storia era finita non si sente
ugualmente di aver subito un tradimento?! Beh, signori miei, se qualcuno lo dice,
è un emerito coglione! Le relazioni sono fatte dai cuori, dai sentimenti, non
dalle parole, quando ho detto a Lucia che tra noi era finita, lei non aveva
certo perso il posto speciale che occupava nel mio cuore. Volevo solo darle una
smossa, farle capire che il modo in cui stava affrontando tutta la situazione
Lupo era sbagliato, troppo solitario, troppo egoistico. Della donna di cui mi
ero innamorato, rimaneva davvero poco.
Quando ho scoperto la sua relazione con Greco, non mi sono
stupito più di tanto, che lui provasse per lei una certa attrazione era
chiaro, che lei fosse affascinata da lui pure.
Ho ingogliato quello schifo, ignorando la donna e cercando
di vedere solo il mio capo, cosa difficile, per questo appena ho potuto mi sono
messo in macchina, avevo bisogno di stare da solo. O meglio lontano da quegli
sguardi di commiserazione dei miei colleghi.
Pochi giorni solo per me.
Il fatto che la storia tra Eleonora e Bart sia finita, non significa
certo che i rapporti tra me e lei si siano congelati, mi ha gentilmente offerto
la casa che i suoi hanno fuori Roma, a Tarquinia, dove posso vivermi due giorni per me,
solo per me.
Voglio smettere di essere Orlando Serra, tenente dei
carabinieri per essere uno qualsiasi, uno diverso, uno che non è nessuno.
Dopo essermi rinfrescato e cambiato, mi dirigo in città, è
la notte di Hallowen, e ci sono un sacco di locali aperti e pieni di gente;
mi sembra perfetto, perché ho voglia di sparire e di confondermi tra la gente.
Non voglio però ubriacarmi solamente, quindi entro in un
discopub, ho voglia di musica talmente alta da permettirmi di zittire il flusso
dei miei pensieri.
Quando mi squilla il telefono, so già chi è, è Lucia, e
sinceramente non so cosa diavolo voglia da me, perché Abrami in persona mi ha
concesso questi giorni di permesso; quindi le rispondo con l’idea di mandarla a
cagare in tempi brevi.
- Pronto.
- Ciao Orlando, sono Lucia, ti disturbo?
- Sì, c’è qualche novità sulla banda del lupo?
- No, volevo sapere come stavi.
- Benissimo, devo tornare in ufficio? Sai che sono in licenza
per due giorni?
- Sì, sì. So che sei in licenza, e non devi tornare…
- Allora ciao.
Le dico attaccando il telefono senza darle il tempo di dirmi
qualche altra stronzata, perché io stanotte non voglio sentire la sua voce, non
voglio vedere ancora lei incollata alle labbra di un altro, io questa notte
voglio smettere di essere io.
Con queste convinzioni nella mente entro in un locale e mi
siedo al bancone, ho una discreta visuale del palco, dove diverse ragazze si
stanno scatenando.
Ordino un Negroni, perché un po’ di alcol mi serve per
togliermi quel diavolo biondo dalla mia mente, continuo a fissare il palco
guardando quelle ragazze senza vederne realmente nessuna.
Sono tutte molto carine, e la maggior parte poco vestite,
tutte si muovono per conquistare le attenzioni di uomini che non aspettano
altro che donne così.
Quando il mio telefono squilla ancora, e lo sento solo
perché mi vibra la tasca dei pantoloni, so di nuovo di chi si tratta.
- Ehi Ghiro…
Dico cercando di superare il rumore della musica.
- Dove sei?
Mi urla lui di rimando.
- Sono fuori Roma, torno dopodomani. Sto bene, fidati.
- Vuoi che venga?
Mi chiede lui, so che è preoccupato per me e non vuole
lasciarmi da solo, ma adesso stare solo è l’unica cosa di cui ho davvero
bisogno.
- Meglio di no.
- Vabbè, ho capito. Vedi di divertirti un po’.
Mi dice per poi riattaccare, la musica alta non ci permette
di dire altro ed io mi volto di nuovo verso il palco con il mio bicchiere in
mano.
C’è qualcosa di nuovo però, una ragazza che vuole e ottiene il suo spazio, si muove come se fosse sola, incurante degli sguardi che sta attirando. Il suo corpo sembra musica, non c’è ragionamento in quello che fa, non sembra che stia seguendo una coreografia, è lei la coreografia, rimango incantato a vederla muoversi e la mia mente si svuota, non ci sono più voci, non ci sono visi, non ci sono baci.
Solo fianchi che si muovono sinuosi e
musica, tanta musica.
Non sono l’unico a essere stato catturato da lei e quando
alcuni ragazzi cercano di avvicinarla lei con un’abile piroetta, si allontana
da loro e viene verso il bancone, dove io sono ancora perso a guardarla. Ordina
da bere e si appoggia distratta al banco, voltandosi verso il palco, come se quello
fosse il suo posto, e quel momento di pausa un fastidioso passaggio.
I ragazzi che si erano avvicinati sul palco stanno di nuovo
venendo verso lei, la cosa non sembra proprio piacerle, istintivamente
allungo la mano sul bancone verso di lei, non so nemmeno io perché l’ho fatto,
so che lei quando la vede la prende e si avvicina a me.
- Sei qui!
Dice sorridendomi con occhi, labbra e corpo. Mettendosi tra
le mie gambe aperte.
-Ti stavo cercando.
Le dico portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio,
per poi pasarle le mani sui fianchi.
Sento la sua pelle calda vicino alla mia, il suo profumo mi
sta mandando ai pazzi, sa di mandorle e vaniglia.
Lei nasconde il suo viso sotto il mio collo, e quel gesto
sembra far desistere definitivamente i suoi inseguitori. Lei non si allontana
da me ed io non sciolgo la presa sui suoi fianchi.
- Sei libera, Tersicore.
Le sussurrò all’orecchio, vedendo la pelle d’oca nascere sul
suo collo e arrivare fino alle sue spalle.
- Posso offrire da bere al mio salvatore?
Mi chiede lei guardandomi negli occhi per la prima volta.
- No, però puoi ballare per me, mia musa.
Le dico spostandole i capelli che le cadono sulle spalle.
Lei non se lo lascia ripetere due volte e torna in pista,
solo che adesso è consapevole di avere un pubblico e si muove per me. Non
saprei come spiegare questa cosa, ma lei sta ballando per me, il suo corpo si
muove nella mia direzione il suo sguardo non molla mai il mio, e la sua
attenzione è tutta per me. Anche altri uomini se ne accorgono e la lasciano
stare, non si avvicinano più.
Poi con
gli occhi lei mi viene a cercare, poi si toglie anche l'ultimo velo, anche
l'ultimo cielo*
Quando il ritmo cambia nuovamente, lei si avvicina a me, mi
prende la mano e mi trascina in pista.
- Non sono capace.
Dico cercando di fermarmi, ma la mia musa non sembra interessata alle mie obiezioni. Prende le mie mani e le posa sui suoi fianchi, incatena i nostri sguardi e comincia a muoversi lentamente. I nostri corpi sono troppo vicini, ed io non mi sono mai sentito tanto attratto da qualcuno in vita mia.
Non c’è testa, non c’è cuore, lei si è presa i miei sensi, a giudicare
dalle sue reazioni, io mi sono preso i suoi. Quando la stringo di più a me,
voglio farle sentire quanto la Voglio.
Potrebbe sparire, schiaffeggiarmi e andarsene e farebbe
bene, ma lei invece intreccia le mani dietro al mio collo.
Cerca e trova le mie labbra.
L’acqua nel deserto è meno dolce a un assetato di quanto questa donna non lo sia per me adesso.
Lasciamo il locale poco dopo, non ho mai parlato così poco
con una donna, ma non ho mai incontrato una donna che sapesse comunicare senza
mai parlare, come lei.
Dopo poco siamo a casa mia, lei decide che la mia giacca e
il mio maglione sono di troppo, ed io decido che i suoi vestiti sono assolutamente esagerati.
Io ci metto troppo a trovare la stanza da letto, e lei ride
divertita, la sua risata sembra il suono di tanti campanellini.
- Questa non è casa tua.
- E’ casa di amici, sono loro ospite.
- Sei solo?
- Direi di no.
Dico accarezzandole la schiena, non ho capito se si sta
pentendo di quello che sta succedendo, so chi sono, so che non ho mai avuto una
reazione del genere, non vado in giro per locali a portarmi a letto sconosciute,
lei ha acceso la mia passione, lei con la sua danza, lei con il suo sguardo,
lei così piena di malizia che non sa nemmeno di avere.
- Quando parti?
Mi chiede poi cercando di nuovo le mie labbra e trovandole
pronte per lei.
- Dopodomani.
Le soffio sulle labbra poco prima che lei, per farmi impazzire,
comincia a mordicchiarmi il collo.
Troviamo, finalmente la mia stanza da letto, dove il mio borsone fa ancora bella mostra di sè.
La invito a sdraiarsi e amo ogni
centimetro del suo corpo, con riverenza e passione, lei è creta tra le mie mani,
e miele per le mie labbra. Quando capovolge la situazione e si mette cavalcioni
sopra di me, mi sembra di vederla ancora su quel palco, e lei cerca me, per
iniziare quella danza antica ma eterna e sempre uguale, ogni giorno nuova,
sempre diversa. I nostri corpi si conoscono in fretta, il suo ritmo si sposa
velocemente al mio, è fatta per fare l’amore con me.
Su una musica fatta di gemiti e sospiri, ci perdiamo l’uno
tra le braccia dell’altro.
Si accascia sul mio corpo, posando la testa sul mio petto,
il mio respiro è ancora affannato.
- Non… sono una...
Dice cercando di vincere il fiatone.
-Lo so, lo sento. Sei la mia musa, resta con me stanotte.
Le chiedo in quella che sembra una preghiera.
- Sarò la tua musa per i prossimi due giorni, se vorrai.
Mi dice lei fissandomi seria.
-Perché?
-Mi sento viva. - dice con un sorriso bellissimo ad incurvargli le labbra. -Tu?
-Mi sento libero.
Dico prendendo tra le mani il suo viso e ricominciando a baciarla perché sto impazzendo dall'idea di averla ancora, e se non posso immediatamente unirmi a lei, posso amarla in altri modi.
- Come posso chiamarti io?
Mi chiede dopo che abbiamo fatto di nuovo l’amore ed io l’ho
trascinata con me sotto le coperte, perché è novembre e fa freddo, se mai
avessi voglia di lasciare questo talamo andrò a cercare il riscaldamento.
- Per te sono Simone.
- Per me ti sei donato?**
Mi chiede mostrandomi oltra a un corpo che sembra nato per
amare un cervello tutt’altro che ignorante.
- E tu?
Le chiedo dopo aver annuito.
So di essermi donato a lei, come lei a me, chiederlo è solo egoismo, la verità la conosco, la sento.
Annuisce anche lei e poi comincia a baciarmi il collo.
- Sono Tersicore, solo per te.
Sussurra sulla scia umida dei suoi baci sulla mia pelle.
- La mia musa.
Dico cercando e trovando ancora le sue labbra.
Ho passato due giorni a fare l’amore con la donna migliore
del mondo, ho parlato con lei di musica e di danza, la danza le appartiene lo
capisco, anche se lei non me lo dice mai espressamente. Conosco il suo corpo
come conosco il mio, ho visto i suoi muscoli tendersi, sopra sotto accanto al
mio corpo e so che questa donna è una ballerina. In questi giorni ha di nuovo
ballato per me, con una mia maglietta e un paio di slip si è messa volteggiare
davanti al camino, e Dio mio se sono stato stregato da lei. Ho spento il
telefono, non potevo né volevo sentire nessuno, la mia musa mi stava donando
tutta se stessa per rimettermi in piedi, ed io non volevo negarle nemmeno un
minuto. Ho vissuto un sogno.
- Non so niente di te…
Aveva la testa appoggiata sul mio petto e le accarezzavo i
capelli, drogato da quei fili che si perdevano tra le mie dita.
- Sono Tersicore la musa della danza.
Si arrampicò sul mio petto fino ad arrivare alle mie labbra
e mi persi nuovamente in lei.
Quando lasciai la casa, lasciai lei, non volle farsi
accompagnare da nessuna parte e mi salutò sulla porta di casa. Fu un bacio
lungo, lento, dolce e passionale, come lo era stato il tempo passato con lei.
Ero pronto per tornare alla mia vita, di nuovo in me per combattere ancora, per
affrontare Lucia e tutto quello che questo avrebbe comportato.
- Dimmi solo il tuo nome, ti prego.
Ero già di fronte alla mia macchina, lo sportello aperto e
il borsone in mano.
- Virginia
Soffiò sulle mie labbra, prima di posarmi un bacio a stampo,
il più bello e il più dolce che mai ci scambiammo.
Quando sono arrivato a Roma, erano le cinque del pomeriggio,
decisi di passare dal Ris, per valutare eventuali novità, stranamente di Greco
non c’era traccia, ma non me ne curai più di tanto, sentivo sulla pelle ancora
l’odore della mia musa.
- Wow… Dove diavolo sei stato? In un centro termale? Mi
sembri tu, di nuovo…
Mi accoglie il Ghiro con una pacca sulla spalla.
- Niente terme.
Gli ho detto scuotendo la testa.
- Sesso?
Mi ha chiesto lui con fare molto più ammiccante.
- Definirlo sesso è certamente riduttivo, la mia musa non me
lo perdonerebbe.
- Ha un nome la tua musa?
- Tersicore.
L’unica risposta che potevo realmente dargli, Simone era
l’uomo che Virginia aveva incantato, Orlando è l’innamorato tradito di Lucia
Brancato, l’uomo tornato alla vita tra le note della lira di Tersicore.
[Virginia]
Quando tornai alla villa che mi aveva visto perdere la testa
tra le braccia di un uomo come mai prima, trovai i proprietari di casa che mi
dissero di non conoscere nessun Simone, avevo sempre saputo che quello non era
il suo vero nome. Mi dissero anche che pochi mesi prima la figlia aveva
prestato la casa a un suo amico di cui loro non sapevano molto, se avevo pazienza,
avrebbero potuto sentire la figlia che si trovava fuori dall’Italia, gli dissi
di non preoccuparsi, che non era importante.
Presi la valigia pronta per andare a prendermi il mio
futuro.
Simone, mi aveva fatto più di un dono, la voglia di mettermi
in gioco e di rischiare per i miei sogni e il mio talento, e questo sapeva di
avermelo donato, quello che non sapeva di avermi dato era il dono più grande e
più bello.
[Orlando]
- Orlando pare ci sia stata un’effrazione in un teatro,
andiamo te ed io. Pare che ci fosse una donna e che sia stata aggredita.
- E’ in ospedale?
- Non si è voluta muovere, dice che è solo un graffio. Pare
che la signora Del Gado sia abbastanza famosa nell’ambiente, modella,
ballerina. Vieni tu perché Bart fa il cascamorto come avesse ancora trent'anni.
- Io sono in pensione invece?!
- Mi fido di mio marito.
Dice posandomi un bacio, che più che casto definirei freddo, sulle labbra.
Ho preso la giacca e seguito mia moglie fuori dal laboratorio, siamo sposati da quindici anni, Greco tradì la sua fiducia e lei tornò tra le mie braccia, sarebbe stato troppo facile rifiutarla, non aveva la forza di resistere agli eventi e la accolsi di nuovo, sempre innamorato dell’idea di lei, mi sposai con quell’idea, e vissi molti anni felici.
Non
abbiamo avuto figli, Lucia non ne ha mai voluti, Rosanna era per lei come una
figlia e a lei bastava, fortunatamente Rosanna ha avuto un bambino pochi anni
fa, e ho cominciato a fare il nonno, cosa che a quarantacinque anni potrebbe
sembrare prematura, ma è stata la vera gioia della mia vita.
Arrivati al teatro, ci dirigemmo verso alcuni colleghi che
stavano parlando animatamente con qualcuno.
- Scusate…
Ha detto Lucia per farsi largo tra i colleghi. Una donna era
seduta su una sedia con il capo chino e la mano che teneva il ghiaccio sul
viso.
- Signora, sono il maggiore Lucia Brancato, e lui è il
capitano Orlando Serra.
Quando la donna alzò il suo sguardo a incrociare il mio,
smisi di respirare.
- Virginia Del Gado
Ha detto alzandosi in piedi per stringerci la mano, potei sentire quanto tremava quando strinsi la sua mano con la mia.
Dopo quel
contatto mi sentivo andare a fuoco, mi aveva riconosciuto, proprio come io
avevo riconosciuto lei, la mia musa, la mia Tersicore, il tempo l’aveva
venerata come si venera una divinità, la sua bellezza era intatta e il suo
corpo sempre tremendamente affascinante seppur più maturo.
- Signora le va di raccontarci cosa è successo?
Le chiese Lucia cordialmente, ignara del nostro turbamento.
Nei suoi occhi vedevo le immagini dei giorni passati ad amarci, il suo odore di
mandorle e vaniglia m’investì quando un carabiniere, allontanandosi da noi,
smosse l’aria.
- Sì, certo.
Ha detto la mia musa riacquistando lucidità molto prima di
me.
- Sono arrivata in teatro alle nove e trenta circa, dovevo
terminare la coreografia e i ballerini non sarebbero arrivati prima delle
undici, ed io sono solita arrivare in teatro per prima. Stavo provando da
almeno trenta minuti quando mi sono sentita afferrare e colpire sul viso.
- Non ha sentito dei rumori?
- No, la musica era alta ed io particolarmente concentrata.
- Possibile che non abbia proprio sentito niente?
Le ha chiesto ancora Lucia, e lei invece di rispondere si
avvicinò alla sedia prese un telecomando e una musica ad altissimo volume,
riecheggio per tutto il teatro.
- Ho capito – ha detto Lucia abbassando il capo. – Gli
aggressori l’hanno aggredita sessualmente?
Scossi il capo per la mancanza di tatto di mia moglie, ma
ero ansioso di conoscere la risposta, l’idea che qualcuno potesse aver violato
quel tempio che io avevo venerato con tanto ardore mi faceva salire il sangue
al cervello.
Virginia è leggermente arrossita abbassando lo sguardo, e poi
ha scosso la testa.
-Ti hanno fatto male? Che cosa ti hanno fatto?
Le chiesi avvicinandomi a lei, sorpassando Lucia, incurante
di averle appena dato del tu e di averla afferrata per un braccio.
- Non mi hanno toccato, non in quel senso, mi hanno solo…
spinto e strattonato, cercavano qualcosa che non hanno trovato, credo. Sono
andati via quando mi sono trascinata al telecomando deviando la musica alle
casse esterne, attirando così l’attenzione degli attrezzisti che sapevo essere
al bar.
Nel
dirlo ha incrociato il mio sguardo, e posato la mano sulla mia, mi
sono perso nel suo sguardo dimenticandomi di tutto quello che
c’era
intorno; ma mia moglie non era d’accordo con me, ovviamente.
- Voi due vi conoscete?
Ci chiese con il tono più stronzo che aveva in repertorio,
ma un qualcosa gettato a terra ci fece allontanare.
- MAMMA!! MAMMA!!
- Sono qui. – disse Virginia sorprendendomi, mentre un
ragazzo si faceva strada sul palco.
- Stai bene? Che cosa è successo?
- Simo sto bene.
Ha detto lei prendendosi altri cinque anni della mia vita.
- Bene?! – Disse il ragazzo quando arrivò di fronte a lei.
–Hai del ghiaccio sul viso e qui ci sono i carabinieri… - aggiunse mentre la mia musa
gli sistemava i capelli, resi indisciplinati dal casco. In quel momento, con
quel gesto ricordai la sua mano nei miei capelli.
- Dei malintenzionati sono entrati nel teatro per cercare
qualcosa, ma io sto benissimo e tu devi stare tranquillo.
Ha detto lei decisa guardando suo figlio negli occhi.
- Li aveti presi?
Chiese il ragazzo voltandosi verso me e Lucia, e lì smisi nuovamente di respirare.
Qualcosa la notò anche Lucia perché sembro interdetta per un
momento, per poi ritrovare tutto il suo applombe e rispondere al ragazzo.
- Siamo appena arrivati, e stavamo appunto interrogando sua
madre. Lei è?
- Simone Del Gado.
Rispose lui senza scomporsi.
- Glielo hai detto del corpetto?
Ha detto poi rivolto alla madre, che scuotendo leggermente la
testa negò, da quando era arrivato suo figlio, la mia musa teneva lo sguardo molto
distante dal mio.
Il motivo?!
Il motivo era alto circo
un metro e settacinque, pesava poco meno di ottanta chili, avevi i capelli
castono chiari e i miei occhi.
- Che storia è questa?
La incalza Lucia, mia moglie, in modalità integerrimo carabiniere.
- Mia madre andrà in scena tra due giorni con questo
spettacolo, nel suo assolo indosserà un corpetto di Swarovsky.
Rispose Simone fissando Lucia, avevo quasi l’impressione che
il ragazzo mi evitasse di proposito, o ero io a farlo?
- Finto?
Chiese Lucia che aveva appena intravisto un movente per
quella strana aggressione.
- Originale. Ho fatto alcune compagne pubblicitarie per
Swarovsky specialmente all’estero e hanno voluto rendere omaggio questa
produzione con il corpetto.
Rispose lei fissando Lucia, mentre il figlio le aveva preso
la mano e sembrava non avere intenzione di lasciargliela.
- Il corpetto è qui?
Continua Lucia, mentre io ero ufficialmente perso nel mio universo
parallelo.
- E’ nella mia cassetta di sicurezza, in banca.
Rispose Virginia sicura.
- Le hanno rubato la chiave?
- Non ha capito, solo mia madre ed io possiamo accedere a
quella cassetta di sicurezza. Nessun altro.
Simone sembrava leggermente infastidito, molto più
probabilmente era preoccupato per sua madre, e avrebbe voluto saperla al
riposo. Tutto quello che traspariva da quei due, era che erano soli, non
sembrava esistere un padre, un marito, un compagno.
- Signora, se l’interesse riguardava il corpetto, forse ci
proveranno di nuovo, lei dovrebbe restare a casa.
- Cosa?
Non so perché ma immaginavo che la mia musa avrebbe risposto
con tale indignazione, con lei avevo di certo condiviso più sospiri che parole;
ma una cosa che avevo capito condividendo con lei quei giorni, non si poteva
imporre nulla e tantomeno si poteva allontanarla da un palcoscenico.
- Illusi.
Ci ha detto suo figlio a conferma delle mie teorie.
- Lucia, potremmo assegnarle una scorta per i giorni dello
spettacolo e antecedenti.
Ho detto capendo che tenerla lontana dal palco sarebbe stato
difficile.
- Parlerò con i miei superiori, signora lei potrebbe andare a
casa?
Ha chiesto ancora Lucia cercando di essere il più
accomodante possibile.
- Oggi resterò in teatro, conto di lasciarlo per la serata,
sapete dove trovarmi, credo che mio figlio resterà con me e fra poco
arriveranno gli altri.
Ha detto la mia musa decisa, possibilità di contraddirla? Zero.
- Le comunicherò eventuali novità allora, noi andremo a fare
qualche rilevamento. Dove sono stati oltre che sul palco?
- Qui sul palco non hanno toccato nulla e sono arrivati da destra, io ero poco più avanti quando mi hanno fatto cadere.
La vidi
incrociare lo sguardo del figlio per tranquillizzarlo. – Poi sono certamente
stati nei camerini, e di certo hanno toccato il mio bastone. Crede che possa
riprendere a provare?
Lucia fa un segno di assenso e mi ha indicato il bastone per
imbustarlo, per poi farmi cenno di seguirla nel retroscena. La mia musa nel
frattempo stava tranquillizzando suo figlio invitandolo ad assistere alle sue
prove.
Lasciai il palco con la consapevolezza che quella sarebbe stata
una giornata lunghissima.
La musica ci raggiunse mentre stavamo fotografando lo
scempio che era stato fatto nei camerini, quando Lucia mi ha chiesto a
bruciapelo.
- Non sapevo che tu la conoscessi.
Quando usava quel tono falsamente neutro, ma profondamente
accusatore, poco la apprezzavo, ma di certo me lo aspettavo.
- Ci siamo conosciuti molti anni fa, e non ho mai saputo il
suo cognome.
- Come?
- Stiamo parlando di vent’anni fa.
Ho detto intenzionato a interrompere il discorso, perché non
sapevo davvero come continuarlo, dovevo parlare con la mia musa e avrei dovuto
farlo in privato.
- MAMMAAA!!!
Il grido di Simone mi fece mollare la macchina fotografica e
scattare verso il palcoscenico, dove la mia musa giaceva per terra tra le
braccia del figlio.
- Che cos’è successo?
Ho chiesto chinandomi di fronte a lui, istintivamente le
scostai i capelli dal viso.
- E’ svenuta.
Dice lui che adesso mi sta fissando in maniera tutt’altro
che benevola, probabilmente convinto che il mio essere così preoccupato non
poteva essere solo ricondotto allo zelo professionale.
- Lucia chiama un’ambulanza.
Ho detto dopo averla sentita fermarsi dietro la mia schiena,
mentre io cercavo di sentirle il polso.
Il figlio era
seriamente tentato dall’idea di staccarmi le mani.
- L’ambulanza sta arrivando. Possiamo chiamare tuo padre?
Chiese poi rivolgendosi a Simone.
-Mio padre non vive con noi.
Simone era ora serissimo.
- Tua madre ha un compagno? Un marito?
- Mia madre ha me, ed io sono qui.
Il tono non ammetteva replica.
- Non ti preoccupare, potrai andare con lei in ambulanza.
Gli ho detto con l’intezione di tranquillizzarlo, cosa che
in parte mi riuscì, visto che il suo riprese lentamente a calmarsi.
Quando i due furuno portati via dall’ambulanza stavo cercando di riportare un po’ di ordine nel caos che avevo in testa.
Perché secondo me Virginia non aveva niente fisicamente, credo che fosse solo un po’ stressata dall’aggressione e ancor di più dalla mia presenza.
L’idea di dover affrontare mia moglie mi toglieva il fiato. Sapevo
che era entrata in modalità mastino, io ero stato appena eletto suo osso
personale, e fino a quando non avessi confessato tutta la verità, non mi
avrebbe mollato.
- Abbiamo avuto una breve relazione moltissimo tempo fa, non
la vedo da allora.
L’ho detto perché era vero, e soprattutto era evidente anche a un cieco, che
lei non mi era indifferente.
- Quando?
- È davvero così importante?
Il suo silenzio fu una risposta piuttosto eloquente.
- Quando tu scegliesti Greco, ed io mi allontanai da Roma per
qualche giorno. Non ci scambiammo il numero di telefono, non le ho mai detto il
mio vero nome, ed ho scoperto il suo solo quando stavo per partire.
- Non capisco.
- Posso immaginare, ed io non so spiegartelo, è la mia musa e
come tale l’ho vissuta nei giorni che abbiamo condiviso.
- È?
- È stata.
Mi sono corretto più per dovere, non certo perché fosse quello che realmente sentivo
in quel momento.
- Devo andare in ospedale, adesso, voglio parlare con lei.
- Vengo con te.
- Devo parlare con lei da solo.
Come se qualcosa si fosse smosso anche in lei, mi fece
un’ultima domanda quando ormai ero già alle porte del teatro.
- Come le avevi detto di chiamarti?
La mia incapacità di mentire in questo momento la getterà nel dubbio che ormai da un’ora abbondante abita la mia mente e il mio cuore. Senza voltarmi indietro, perché adesso mia moglie avrà in testa tutto quello che ho avuto io, le do la risposta che lei non vuole sentire.
- Simone.* Romanza di Andrea Bocelli.
** Dall'origine aramaica del nome.
NDA
Tornata con questa piccola pazzia, che concluderò presto.
Spero vi piaccia...
Besos
A