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Autore: Maricuz_M    09/11/2012    6 recensioni
Dopo una delusione amorosa, c’è chi dice “Si chiude una porta, si apre un portone” oppure chi afferma “Meglio soli che male accompagnati”.
Ebbene, Eleonora fa parte di quest’ultimo gruppo di persone.
Le sue giornate, però, la porteranno in situazioni che la convinceranno a cambiare idea e, cosa non meno importante, a non fidarsi delle docce, dei marciapiedi e degli ascensori. O anche di alcuni suoi amici che si divertono a mixare il suo nome con quello dei suoi conoscenti, giusto per suddividersi in team e supportare coppie diverse in cui lei, ovviamente, rappresenta la parte femminile.
Dal secondo capitolo:
“Elle, guardati le spalle.”
“Ci manca pure che la sfiga mi attacchi da dietro.”
“La sfiga attacca dove vuole lei, mica dove vuoi tu.”
“Sennò come ti coglie impreparata? Vuoi una telefonata a casa, la prossima volta?”
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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XIV Capitolo


Inertia

Sono state le ore più brutte della mia vita.
Appresa la notizia, sono tornata a casa. L’unica cosa che mi ha permesso di addormentarmi nel silenzio maledetto della mia stanza è stata l’enorme stanchezza, che però ha avuto effetto dopo un paio d’ore, passate a rigirarmi nel letto cercando di smettere di piangere attanagliata da una costante paura.
Mi sono comunque svegliata verso le due, dopo aver dormito poco e male.
Quando ho raccontato tutto a mia madre e ad Azzurra, sono stata costretta a sopportare anche i loro volti sconvolti, soprattutto quello di mia sorella. Ha iniziato a piangere anche lei, cominciando a farmi domande che giravano e girano tuttora anche per la mia mente e a cui continuo a non saper dare una risposta.
Lo stesso pomeriggio ci siamo organizzati per andare a trovare Jonathan in ospedale. A parte due costole rotte, un braccio lussato e i graffi sparsi praticamente ovunque, sta bene. Non abbiamo parlato troppo dell’incidente, giusto quel che ci bastava sapere, tipo il motivo per cui entrambi erano in macchina. Stando alle sue parole, non si sentiva troppo bene e ha chiesto a Simon, che si era separato dalla ragazza coi capelli rossi da poco, di portarlo a casa, visto che anche il biondo cominciava ad essere stanco. Inutile dire che non era ai livelli massimi di allegria e spensieratezza.
Non ho parlato molto col resto del gruppo, anche perché non abbiamo avuto molto su cui discutere. E’ ovvio finire sull’argomento, e per l’appunto è proprio l’unico che vogliamo evitare il più possibile. Sappiamo che nessuno è abbastanza lucido da affrontarlo senza avvertire qualcosa nel petto.
Ma stamattina mi sono svegliata con un insolito coraggio. Senza neanche fare colazione sono uscita di casa, mi sono messa il casco e mi sono diretta verso quell’edificio che negli ultimi giorni ho visto fin troppe volte. Adesso sono di fronte alla stanza, che prendo un respiro profondo e che sporgo una mano per aprire la porta.
Vengo assalita dall’impulso di correre via dall’ospedale appena vedo Simon steso sul letto, immobile.
 
“Jonathan si riprenderà presto, ma Simon.. Lui ha avuto un trauma cranico, oltre ad essersi rotto una gamba. E’.. E’ in coma, Elle.”
 
Già con gli occhi pieni di lacrime, mi siedo vicino al ragazzo. Non riesco a trattenere qualche singhiozzo, mentre lo guardo.
 
“Non sappiamo se si sveglierà.”
 
Marco ha cercato di dirmelo nel modo meno scioccante possibile, ma come si può comunicare una cosa del genere cercando di non far soffrire l’interlocutore? Dove si può trovare il lato positivo anche in questo? Simon è in coma. No, non è morto, ma non sappiamo se si sveglierà. E’ come se il dolore di tutti noi si prolungasse per tutto il periodo in cui sarà incosciente, senza sapere se terminerà mai.
E lui? Lui è costretto a sospendere la sua vita così, di punto in bianco, dopo un incidente avvenuto per il freddo dopo la festa dell’ultimo dell’anno.
E io dov’ero? A lamentarmi con Sonia per una cazzata.
Scuoto il capo sfiorandogli le dita con le mie, sentendo anche un lieve senso di colpa opprimermi, come se il terrore non fosse abbastanza. Non ricordo neanche quali sono state le ultime parole che gli ho detto. Deve svegliarsi per forza, cazzo. Se proprio deve lasciarci, prima deve permetterci di dirgli qualcosa di intelligente e saggio.
Sorrido pensando a quando un paio di anni fa, dopo avermi salutata, mi aveva fermato e aveva affermato, serissimo e fiero “Nel caso dovessi morire e questa fosse l’ultima cosa detta: viva la figa. Ricordami così.
Come un ninfomane?” avevo chiesto.
Come una persona sincera. Ma sì, anche ninfomane va bene.
Che cretino. Così cretino che non puoi farne a meno. Ha sempre fatto tanto, per noi, anche inconsapevolmente o senza voler niente in cambio. E’ il primo a porgere una mano per rialzare gli altri e l’ultimo ad accettarla. Dannato lui e le sue scommesse..
Anche l’incontro tra Ginevra e Roberto era causa sua. Ve l’ho raccontato brevemente tempo fa, no? In un locale, per San Valentino, Simon sfidò Ginevra dicendole “Se hai il coraggio di parlare con quel tipo al bancone, offro io per un mese.
Offrì per un mese.
Cristo, la sua faccia era memorabile. Fu la prima e l’ultima volta che fece una scommessa con la testardaggine della bionda.
Sorrido malinconica mentre le lacrime continuano a scendere indisturbate e la mia mente scava nel passato per tirar fuori i ricordi più belli. Tutti, sostanzialmente. Lo conosco da sette anni e mi ricordo solo di aneddoti che mi fanno ridere o divertire, tanto che se qualcuno aprisse la porta in questo istante mi prenderebbe per una psicopatica. Da rinchiudere, pure.
No, non penso resisterei a lungo. Non penso lo farei nel migliore dei modi. Abbiamo bisogno di lui. Ho bisogno di lui, del suo diventare intrattabile quando sente parlar male di qualcosa che gli interessa, dei suoi battibecchi con Ginevra, le sue battute inascoltabili, le sue risate incontrollate nel sentire quelle di Manuela, il suo amore per la musica e per la sua adorata chitarra, dei suoi sorrisetti sghembi quando sente il profumo della vittoria..
Mi alzo e gli sfioro con una mano i corti capelli biondi, scossa dai singhiozzi.
“Io scommetto che non ti svegli.” Sfidami, ti prego. Apri gli occhi e dimmi che ho perso. Dammi della perdente. Ridimi in faccia e chiedi cosa hai vinto, dopo avermi mandato a farmi fottere perché ho scommesso sulla tua morte. Inizia a cantare “We are the champions” dei Queen usando il porta flebo come microfono.
Esco dalla stanza, asciugandomi il viso con le mani.
 
Spinta dalla fame e dalla voglia di parlare –sì, oggi mi gira proprio bene-, parcheggio vicino alla pasticceria col bellissimo nome e col bellissimo commesso. Mi è parso di capire che in questa giornata agirò per forza d’inerzia. Fino a ieri sera non avevo intenzione di fare conversazione, né tantomeno di andare all’ospedale per vedere Simon steso ed incosciente.
Entro nel locale, percependo subito il caldo e un buon odore di dolci nell’aria, contrastante con il vento freddo con cui mi sono scontrata fino a pochi secondi fa. Già questo è rassicurante e mi sento più tranquilla, in qualche modo. Vedo subito che non ci sono molte persone, anche dietro al bancone non c’è nessuno. Mi sembra di rivivere la prima volta in cui sono entrata qui dentro, quando la donna anziana era spuntata dal niente al suono del campanellino che suona ogni volta che la porta si apre.
Ma è proprio Filippo ad uscire, sospirando stanco a testa bassa. Quando alza lo sguardo e mi vede, spalanca lievemente gli occhi e si dirige subito verso di me. Anche io, rimasta ferma all’entrata per non so quale ragione, metto un piede dietro l’altro e mi appoggio alla superficie, davanti a lui.
“Eleonora..” mormora lui, scrutandomi.
“Filippo..” lo imito, lasciandomi sfuggire un sospiro.
“Sei andata..” comincia incerto, ma lo fermo con un cenno affermativo della testa “Hai gli occhi rossi.”
“L’hai capito da questo?”
“E’ stato un indizio.” Replica “Vuoi qualcosa?”
“Sì, una cioccolata, grazie.”
“Qualcosa da mangiare?” domanda ancora, cominciando a prendere una tazza.
“No, grazie.” Mi sento stupida a ripetere il ringraziamento, ma un nuovo fattore della giornata di oggi è l’educazione.
“Ok. Siediti, se ti va. Facciamo due chiacchiere. Il tempo di prepararti la cioccolata e arrivo.” Dice, con tono calmo, usato quasi con lo scopo di rassicurarmi. Cristo, sono così visibilmente distrutta? In ogni caso, sentendomi quasi importante per il fatto che mette in pausa il suo lavoro per farmi un po’ di compagnia, faccio quello che mi dice e mi sistemo ad un tavolino, stravolta. Mi sento stanca dentro, eppure faccio quello che devo fare. Inerzia.
Dopo un minuto scarso si siede davanti a me, spingendo la tazza verso di me con due dita. Abbozzo un sorriso, giusto per evitare di ripetere per la terza volta la parola “grazie”. Lui non dice niente, si limita a fissarmi e studiarmi come al solito. Io non smuovo il mio sguardo dalla bevanda, giro il cucchiaino osservando il percorso tracciato con esso e cerco di non concentrarmi sulla sua analisi. Sono troppo stanca per provare disagio.
“Vorrei chiederti come stai, ma siccome varie statistiche che hanno studiato le nostre conversazioni mi dicono che mi risponderesti male, eviterò di farlo.” Dice, giusto per spezzare il silenzio. Sorrido lievemente e scuoto la testa.
“E’ sempre bene esser prudenti.” Dico, sempre a testa bassa.
“In particolar modo con te. Sembri tanto buona e cara, ma non perdoni le domande stupide. Ne so qualcosa.” Continua a scherzare. Anche la voce prende un’intonazione divertita, ed è strano. E’ un fatto ancora più inusuale del suo sorriso. Infatti vengo spinta a guardarlo, finalmente, mentre faccio una risatina strana, quasi malefica, che lo fa ridere, visto il ghigno che gli compare sulla faccia.
“Non puoi farmene una colpa..” dico, facendo spallucce.
“Fino a prova contraria sono io a fare domande stupide.”
“Ed io ho l’autocontrollo di un dinosauro carnivoro ubriaco.”
“Questo è interessante. Non sapevo che i dinosauri disponessero di alcolici.” Commenta, appoggiando il viso su una mano.
“Hai mai visto un t-rex con una bottiglia di birra in mano che beve?” chiedo, stupidamente, per poi portarmi la cioccolata alle labbra. Lui scuote la testa.
“No. Forse perché ha le braccia troppo corte. Avrebbe bisogno di una cannuccia, poverino.”
“Forse.”
Dopo qualche secondo di silenzio, ridiamo entrambi. Non quella risata incontrollata, ma quella che ti alleggerisce il peso nel petto, ciò che mi sta affaticando da tre giorni. Quando mi rendo conto che potrei passare dalla risata al pianto, prendo respiri profondi e chiudo gli occhi.
Lui si accorge del mio gesto “Ok, scusa la domanda.. Tutto bene?”
Con un sorriso tremante, scuoto la testa “No, per niente..”
Sto cedendo. E pure davanti a Filippo! Meraviglioso. Ecco che mi ricordo magicamente perché non avevo voglia di parlare con nessuno, in questi giorni. Mi concentro sulla tazza e bevo, con lo scopo di avere un pretesto per andarmene. Lui mi guarda, con la fronte aggrottata e il labbro inferiore tra i denti, pensieroso.
“Elle, senti.. So che probabilmente sono tra le ultime persone nella tua lista a cui chiederesti conforto, ma sappi che se volessi fare anche solo due chiacchiere sono disponibile.” Non so cosa replicare, per fortuna riprende a parlare “Ti piace la cioccolata?”
“..Sì.” mormoro, dubbiosa.
“Dico, quella che stai bevendo.”
“Sì.” Ripeto, guardandolo con un sopracciglio alzato.
“Allora hai un motivo per venire qui.” Dice, con una faccia che dice “Semplice, no?
“Mi sto chiedendo..” dico, sovrappensiero “Perché cerchi sempre di prendermi per la gola? E’ già la seconda volta.”
“Mi capita di esser competitivo e di voler vincere. Con te ho vittoria sicura, in questo modo.” Mi porge la mano “Dammi il cellulare, ti salvo il mio numero. Per sicurezza.”
Senza dire niente, tiro fuori dalla tasca il cellulare e glielo consegno. Con la solita tranquillità scrive delle cifre e, dopo, delle lettere. Intanto io finisco la mia cioccolata. Quando mi viene ridato l’apparecchio, ho di nuovo gli occhi azzurrissimi di Filippo addosso. Ho sentito la vostra mancanza in questi sedici secondi, davvero.
“Che fai dopo?” domanda.
“..Dopo quando?”
“Dopo, quando esci di qui. Non ti sto cacciando, eh.” si affretta a dire.
“Sì, sì, lo so. Cioè, immaginavo. Comunque non lo so, pensavo di fare un salto da Samuele visto che sono qui.. Però.. Ehm..” non mi sento più tanto sicura. Volevo davvero andare da lui a fargli compagnia, sempre presa da quella botta di coraggio mattutina, ma visto il quasi crollo di prima non ne sono molto convinta.
“Non ce la fai?”
“Non penso, no..”
“Penso non ti farebbe male..” dice piano, passandosi una mano tra i capelli –inutile che dica dove stia guardando lui- “Poi Samuele è il contrario di me, è piuttosto allegro. Insomma, una persona come lui fa sempre piacere averla accanto, anche in questi momenti..”
“Pensi di essere una spiacevole compagnia?” chiedo, perplessa. Forse lo colgo alla sprovvista, visto che ci mette qualche secondo di troppo a rispondere.
“No.” Afferma, ma allungando di molto il suono della consonante “Non.. No, non lo penso. Non credo però di tranquillizzare molto una persona con un sorriso, come fa lui.”
“Hai altri metodi. La tua calma calma la gente.” Dico sicura.
“Quel pomeriggio, prima di Natale, eri a disagio.”
“Per i tuoi occhi, mica per la tua presenza.” Mi fissa, ed io fisso lui. A quel punto, sorrido vittoriosa “Lo stai facendo ancora. Cerchi di leggermi. Questo mi mette a disagio.”
“Adesso non mi sembra.”
“Perché sono soddisfatta del fatto che ho ragione, quindi ho altro a cui pensare.”
“La mia presenza ti tranquillizza?” chiede, a bruciapelo.
“Ispiri fiducia. La tua calma si riflette anche in chi ti sta intorno. Come in ascensore.” Continua a squadrarmi, poi parla anche lui.
“Non ti facevo proprio il tipo che dice queste cose così, senza paura di esser fraintesa o di qualsiasi tipo di reazione.”
“Non sono io, sei tu.. Ispiri fiducia.” ripeto sussurrando e alzando le spalle, semplicemente.
 
Sì, ok, Eleonora. Filippo ispira fiducia, per questo tu devi andargli a raccontare ogni tua riflessione su di lui nei minimi particolari?Niente, non ce la faccio. Non riesco a dire o fare cose che possono esser dette o fatte. Non riesco a controllarmi. Non ce la faccio, con lui. Se fosse successo solamente oggi mi sarei potuta giustificare con un “Sono psicologicamente stanca, pardon”, ma no! E’ da quando lo conosco che non sono me, quando parlo con lui. Anzi, che sono fin troppo me sarebbe più adeguato da dire. Non balbetto, questo lo hanno notato tutti sin dalla sera in cui abbiamo festeggiato il trasferimento di Simon e Samuele. Sembra una cazzata, ma davvero: è un fattore alquanto ambiguo.
E poi? Poi gli vado a chiedere di prendere qualcosa insieme. Poi andiamo a comprare insieme i regali di Natale. Poi lo vado a trovare in pasticceria. Poi gli confesso che con lui, malgrado la soggezione che mi mette il suo sguardo, sto bene.
E se un giorno cominciasse a piacermi davvero? Quanto resisterei dal non dirglielo? Come minimo lo aggiornerei in tempo reale “Cos.. No, aspetta? Fermo. Mi sa che.. No. Forse no. Sì, sì! Affermativo. Mi sono accorta che mi piaci circa due secondi fa, sì. Comunque sì, vorrei una cioccolata, al solito, grazie.
Però è anche vero che non è tutta colpa mia. Insomma, è lui che mette tranquillità addosso. Non c’entro niente io se è bello come un divo di Hollywood, se è intelligente, se capisce tutto alla prima, se quando sorride fa prendere un infarto, se nel momento in cui comincia a parlare dei sui sogni ti fa sbavare come Winnie the Pooh davanti al miele. No, io non c’entro niente. E’ colpa sua.
Però è un merito il fatto che riesca a distrarmi, e gliene do atto.
 
 


Ho cercato di nuovo di non deprimere troppo.
Il Filinora addolcisce sempre la pillola.. Basta un po’ di Filippo e la pillola va giù! La pillola va giù! La pillola va giù! (?)
Riassunto: Simon in coma, Jonathan mezzo rotto ma cosciente.
Spero vi sia piaciuto (relativamente) il capitolo e che non mi vogliate uccidere. Credetemi, se state male: vi capisco pienamente. E’ stato mooolto complicato scrivere tutto questo..
 
E vi ringrazio, perché nonostante questa cosa brutta siete qui, che mi offendete. :’) Allora tenete davvero a questa storia! (LOL) Offendetemi, davvero. Lo faccio tutti i giorni!
 
Come detto lo scorso capitolo, ci ritroviamo il 16.
Menomale, perché sono piena di impegni e rischierei di perdere il ritmo e quindi pubblicare dopo mesi. Ogni tanto queste pause più lunghe mi ci vogliono, chiedo scusa. Lo faccio anche per voi, davvero. :’)
 
Vi saluto dicendovi che potete trovarmi qui su EFP, o su Twitter, o sul mio carissimo ed inabitato Blog!
 
A Venerdì prossimo!
 
Maricuz
   
 
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