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Autore: Sh_NT    09/11/2012    1 recensioni
Il mio nome è Helen Chester e sono una giornalista. Ho dovuto scrivere un articolo su Johnny Depp, e sottolineo "dovuto". No, inizialmente non ero felice. Credevo davvero che sarebbero stati i 30 giorni più orribili della mia vita.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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18. Day Twenty six_Twenty_seven - Weren't you supposed to be following your dreams

Day Twenty six/Twenty seven – Weren't you supposed to follow your dreams?

Mi misi seduta sul materasso e guardai Johnny per qualche attimo.
Avete presente quando volete vedere solo una scena del vostro film preferito, quindi inserite il dvd e premete quella piccola freccetta che vi permette di avanzare a velocità accelerata fino a raggiungere il pezzo che avete in mente? Tra me e l'attore era stato così.
Era già iniziato il conto alla rovescia, ormai mancavano pochi giorni. Martedì avremmo potuto festeggiare 30 giorni dalla prima volta che ci eravamo conosciuti. In 30 giorni avevamo fatto tutto ciò che normalmente si farebbe in un paio di mesi, visto il mondo in cui ci eravamo scontrati all'inizio. Eppure, nonostante ci fossimo odiati dal primo momento, era come se entrambi avessimo saputo da qualche forza sovrannaturale ciò che ci aspettava. E quindi ci eravamo spinti a vicenda, a volte inciampando, solo per raggiungere quell'obiettivo, quella promessa di felicità. Che fossimo stati dei pazzi a credere a quella sorta di sesto senso era innegabile, ma di certo io non me ne pentivo. Avevamo litigato decine di volte, e il giorno dopo mi ero sempre ritrovata tra le sue braccia.
Un paio di giorni prima a però ero stata davvero convinta che non l'avrei mai più rivisto. Mi ero pentita di ciò che avevo detto nell'attimo esatto in cui avevo pronunciato quelle parole quella sera al The Mint. Vi è mai capitato? Capire quanto una frase sia sbagliata solo mentre la si sente uscire dalla propria bocca è davvero terribile, credetemi. Ero stata male per un giorno intero – la faccenda di Johnny in quei giorni stava riducendo i miei nervi in pessime condizioni – e quando ero tornata in redazione avevo trovato una chiamata non risposta. Mi ero sentita ancora peggio quando avevo sentito ciò che l'agente aveva da offrirmi: un contratto e un libro, senza che dovessi girare per mesi (o per anni) alla ricerca di una casa editrice così pazza da pubblicare il libro di una giornalista con un passato come il mio. Johnny però mi aveva praticamente impedito di farlo, con le sue parole. Ero stata così vicina da salire sul tavolo per prenderlo a schiaffi durante l'incontro con Tim ed Helena...
Helena. Lei era venuta da me subito dopo la chiamata ed era entusiasta sebbene ci fosse qualcosa nella sua espressione che mi aveva fatto capire che non pensava fosse una buona idea. Fortunatamente non ne avevo ancora parlato con Jack. Mi aveva detto che il momento di cui avevamo parlato la sera nel suo salotto era arrivato. Io le avevo raccontato ciò che era successo, e lei mi aveva pregato di non abbandonarlo ora. Tim aveva paura che Johnny si abbandonasse ai “piaceri” dell'alcool, ma Helena lo aveva sempre difeso dicendo che, fin quando ci sarei stata io al suo fianco, lui si sarebbe trattenuto. Lo avrebbe fatto per non allontanarmi. Io ne dubitavo. Comunque non era per questo che avevo ceduto all'attore. Avevo capito che stava onestamente cercando di avvertirmi sul mondo reale mentre mi diceva di lasciar stare l'agente. Si stava preoccupando per me e lo avrebbe fatto per sempre. Ciò che era successo con Vanessa per lui non aveva senso. Io lo amavo e non avrei mai stesso di amarlo. Per questo l'avevo seguito.
Mi aveva fatto incontrare i bambini ed era stata forse la cosa più bella che potesse fare. Nonostante tutto ciò che era successo tra di noi, voleva ancora che facessi parte della sua famiglia. Non avrei mai potuto sostituire Vanessa, non volevo farlo, ma sapere che Lily Rose e Jack non mi disprezzavano come pensavo aveva funzionato da tranquillante con me. Jack adorava i capelli biondi e a un certo punto della serata aveva persino preso la chitarra del padre per dimostrarmi di saper suonare. Era un pirata chitarrista, o almeno tale si proclamava.
Johnny aprì lentamente gli occhi e mi osservò.
« Non guardarmi così, sembri una stalker.»
« Quanto amore di prima mattina...» Mi chinai per sfiorargli le labbra, e lui ne approfittò per afferrarmi per i fianchi e guidarmi su di lui.
Feci scorrere lentamente le dita delle mani dal suo ventre alle spalle e poi lungo le braccia, osservando i tatuaggi e percorrendoli con cura come se fossero quadri. Come se lui, Johnny, fosse una scultura pregiata creata unicamente per essere osservata.
Lui mi osservava curioso. Forse cercava di capire cosa mi passasse per la mente, ma in realtà pensavo solo che avrei desiderato osservare i suoi tatuaggi per tutta la vita, che fosse finita il giorno seguente o dopo cent'anni.
« Scendiamo a fare colazione?» Chiese. Arricciando le labbra annuii e, dopo un altro bacio, mi alzai e recuperai la sua camicia da terra. Johnny si allungo verso di me e mi afferrò il polso.
« Dai, che è tardi...»
« Dovresti pensarci due volte prima di uscire così.» Sollevò le sopracciglia, come a intendere qualcosa che mi sfuggiva.
I bambini.

Preferii scendere e iniziare a preparare la colazione mentre lui svegliava i bambini, invece del contrario. Dopotutto li conoscevo solo da un giorno.
Johnny mi aveva chiesto di preparare tè e caffè, dei toast e dei pancake, per poi mettere tutto sul tavolo. Stavo apparecchiando quando sentii una voce alle mie spalle.
« Ho letto tutto su di te, lo sai?» Spalancai gli occhi e, voltandomi, trovai una Lily Rose in un vestitino viola già pronta per partire. Mi prese dalle mani il contenitore dello zucchero. Per un attimo credetti che volesse tirarmelo addosso.
« O...kay...»
« So che potresti essere la figlia di mio padre.» Ridusse gli occhi a una fessura.
« E tu potresti essere mia figlia.»
« Ma non lo sono!»
« Esatto.»
Sorridendo, recuperai lo zucchero e portai tutto sul tavolo. Di cosa stesse cercando di accusarmi era un mistero, ma non ne avrei parlato con Johnny. In fondo era solo una ragazzina spaventata che potessi prendere il posto di sua madre, cosa che non sarebbe mai successa. A dire il vero, vista l'età di Johnny, ciò che diceva non era sbagliato. Tuttavia non ero sua figlia ed eravamo entrambi adulti, quindi il problema non sussisteva affatto. In un mondo in cui bambine diventano madri a 8-9 anni, l'età diventa sopravvalutata.
Johnny e Jack ci raggiunsero poco dopo e facemmo tutti colazione insieme, per poi uscire. Johnny accompagnò prima i ragazzi, poi me.
« Ci rivediamo domani mattina...» La sua non era una domanda.
« Domani?»
« Sì. Non ti sto nascondendo nulla, ma devo sistemare un paio di cose.» Era diventato di colpo serio, il che mi spaventava. Ogni volta che succedeva, si allontanava irrimediabilmente.
« Sicuro che non sia successo nulla?»
Accennò un sorriso. « Sicurissimo.»
Gli lasciai un casto bacio sulla guancia prima di scendere ed entrare nell'edificio che ospitava la redazione del Rolling Stone. Ero una stupida. Non potevo impazzire solo perché mi aveva detto che non ci saremmo potuti vedere quel giorno. Cavolo, stavo diventato più paranoica di quella Bella Swan.
Appena arrivata in ufficio, Jack mi guardò e, nonostante fosse ancora al telefono, con un gesto della mano mi fece intendere che dovevo raggiungerlo. Ignorai le occhiate dei miei colleghi e camminai per il corridoio tra le varie postazioni prima di raggiungere quella che, in quell'istante, mi sembrava una gabbia di vetro.
« Sì, è appena arrivata... sì, glielo dico.... no, grazie a te per l'opportunità... lo so, lo so, è brava... ciao... sì, ciao.» Mise giù il ricevitore e mantenne lo sguardo basso per un po'.
« Volevi vedermi?»
« Ho appena parlato con Johnny. Mi ha detto dell'accordo che ti hanno proposto.» Indugiò un po', come al suo solito, mentre io lo guardavo sconvolta. Johnny, brutto pezzo di... « Nonostante ciò che abbiano potuto dirti, ti voglio qui.»
« Mi vuoi qui solo perché faccio vendere.»
Alzò un dito in segno di protesta, invece si limitò a precisare. « Se vendi, guadagna la redazione, guadagno io, ma, più di tutti... guadagni tu. Aumento dello stipendio, e potrai lavorare a casa anche sei giorni alla settimana. Continuano ad arrivare email di persone che leggono la rubrica su Johnny e che vogliono che tu faccia lo stesso con altri attori.»
Rimasi in silenzio per un po', scostai una sedia dalla scrivania e mi sedetti lasciando cadere a terra la borsa. « Se ti dicessi che voglio iniziare a scrivere davvero, e non solo come giornalista... cosa diresti?»
« Direi:”Non dovresti seguire i tuoi sogni?". So che è sempre stato questo il tuo obiettivo, quindi il tempo a casa puoi sfruttarlo come vuoi.»
« Sei proprio un furbo figlio-»
« Uh-uh. Fa' la brava giornalista, accetta, firma e torna a lavorare!» Mi riprese scuotendo la testa.
Arricciai il naso in segno di protesta, ma in ogni caso presi la penna e misi un paio di firme sui fogli che mi stava porgendo

Rincontrai davvero Johnny la mattina seguente. Avevo passato la serata a chiacchierare con Claire che aveva fatto l'immenso sacrificio di separarsi da Clive. Mi aveva raccontato di come le cose tra loro due si erano evolute. Aveva cercato di nasconderlo fino al giorno prima, quando li avevo trovati l'uno sull'altra sul divano. A parte lo shock iniziale, ero piuttosto curiosa di conoscere la storia dietro quella coppia così strana. Quindi mi spiegò tutto, e io le raccontai degli ultimi sviluppi dell'idillio Chester-Depp.
Ma Johnny, quella mattina, con un maglioncino, dei jeans e senza le collane e gli anelli che lo caratterizzavano, non sembrava neanche lui. Sorrideva come se non esistesse alcuna pena al mondo. Indossava il
nostro cappello. Passando di fianco alla mia scrivania, ammiccò prima di voltarsi, per poi scomparire lungo il corridoio e riapparire nell'ufficio di Jack. Si salutarono amichevolmente con un abbraccio mentre un terzo uomo seduto sul divanetto all'angolo tirava fuori da un borsone una macchina fotografica professionale e iniziava a scattare qualche foto alla coppia. Erano passati pochi minuti quando vidi il fotografo uscire dall'ufficio e avviarsi nella mia direzione. Mi fece un cenno, si voltò e riprese a camminare aspettandosi che lo seguissi. Ma perché avrei dovuto? Quando non sentì passi dietro di sé, si girò a guardarmi e spalancò gli occhi.
« Allora, ti muovi o no? Ho un altro servizio alle 11.»
Questa volta più obbedente, mi alzai e lo raggiunsi a passetti veloci. Prendemmo l'ascensore e salimmo di un paio di piani, fino ad arrivare all'attico. Non ero mai stata lì specialmente perché era su quel piano che si svolgevano i maggiori servizi fotografici. C'era una stanza con tre muri di vetro da cui si poteva osservare tutta Los Angeles, un'altra invece sommersa nel buio. A volte, in casi speciali, Rolling Stone affittava location esterne per un giorno. Quello non era un caso speciale, era molto di più. Tre grandi pareti di cartone erano state montate all'interno della stanza e su di queste erano spillate frasi stampate, citazioni dai 3 articoli che avevo scritto fino a quel momento.
Vidi Johnny solo quando mi portarono nella zona trucco. Era seduto e mi lanciò uno sguardo veloce e un sorriso prima che una truccatrice gli spostaste il viso dalla parte opposta. Mi squadrò come se volesse giudicare e capire se fossi adatta a Johnny, se fossi abbastanza. Abbastanza brava, abbastanza bella, abbastanza fotogenica da riuscire a stare sotto le telecamere senza impazzire. Dalla sua espressione sembrò pensare che avrebbe preferito vedere se stessa affianco all'attore. E chi poteva biasimarla?
Riuscii a salvarmi da quella tortura, tra trucco e fotografie backstage del ragazzo di prima, solo dopo un'oretta e mezza, quando poi m'infilarono in un vestito bianco da cui avrei giurato di poter schizzare fuori da un secondo all'altro. Mi allungarono di una decina di centimetri con due trampoli neri e ci portarono direttamente in una saletta arredata solo lungo due pareti, dove venivano effettuate le riprese. Sugli scaffali, lì dove solitamente c'erano montagne di vinili, ora erano presenti solo vecchie cassette, film ormai dimenticati, mentre un angolo speciale era dedicato alla carriera di Johnny. In un angolo, dentro scatoloni di plastica, erano raggruppati tutti i dischi che, ne ero sicura, sarebbero tornati al proprio posto una volta che fosse finita quella giornata.
Ci fecero sedere su due divanetti beige su cui erano poggiati cuscini di diverse tonalità di rosso. Un vero colpo all'occhio.
Ancora non capivo cosa ci stessi facendo lì. Provai a chiederlo al cameraman che scosse la testa. Una volta seduti lì, Johnny si sporse verso di me e mi accarezzò una guancia.
« Sembri una bambola di porcellana.» Sussurrò sorridente. Mi sfiorò le labbra mentre io arrossivo.
Mi aveva baciata. Lì, davanti a tutti. Davanti al fotografo che continuava a scattare foto a raffica, come un tornado. Un tornado che stava rubando tutti i miei momenti d'intimità con Johnny per pubblicarli su carta. I nostri momenti.
« Vuoi spiegarmi che diavolo succede?»
« Non succede nulla. Jack voleva un articolo, e io ho intenzione di dargli un articolo. Non voglio più nascondermi...» Mormorò. Mi guardava negli occhi e quando lo faceva in quel modo, sfiorandomi, non riuscivo a ragionare. Ma sospirai, e mi allontanai.
« Siamo in due su questa barca, Johnny. Non puoi decidere tutto d'un tratto di voler portare questa relazione ufficialmente allo scoperto senza chiedermi nulla.»
Parve colpito, tutto d'un tratto dubbioso. « Pensavo ne fossi felice.»
« E lo sono...» Mi affrettai a dire. « Ma avrei preferito parlarne prima. Forse questo non è il modo migliore per farlo vedere al mondo intero.»
« Questa è un'intervista che uscirà insieme all'ultimo numero di martedì, nulla di più. Hanno organizzato tutto questo per te, perché credono che questo sia il futuro del giornalismo al Rolling Stone. Scoprire mondi standoci davvero a contatto. Questo non è per me, io faccio solo parte di un grande ingranaggio. Sei tu che fai girare tutto.»
Mi voltai dalla parte opposta, imbarazzata. « Non mi addolcirai con queste parole...»
Sentii una risata provenire dall'attore. « Posso comunque provare.»
C'interruppe il cameraman, che con uno schiocco di dita c'indicò che stava per accendere la telecamera. Nessun intervistatore. E poi capii.
« Due domande a testa, in dieci minuti dovremmo aver finito. Bionda, inizia tu.»
Lo fulminai con un'occhiata proprio mentre la spia verde indicava che aveva iniziato a riprendere.
Mi voltai verso Johnny, colta all'improvviso da una risatina imbarazzata. Abbassai lo sguardo, poi lo fissai. Ero diventata giornalista dell'intervista che mi aveva promesso quando mi aveva fatto indossare quel vestito, e di cui non avevamo più riparlato.
« Mi detestavi quando questa avventura è iniziata, ma con il tempo non mi hai più ritenuto una minaccia. Cosa ti ha fatto cambiare idea e com'è stato aprire la tua vita al resto del mondo?»
Lui indugiò solo qualche attimo prima di iniziare a rispondere. « Credo che noi attori... noi persone del mondo dello spettacolo... siamo sempre un passo avanti verso le persone che ci seguono. Siamo come tante piccole lune, capisci cosa intendo? Insomma... mostriamo solo un lato della nostra vita privata, poi un altro, e infine un altro ancora, come delle anteprime. Ci dividiamo. Quest'articolo mi ha fatto diventare una luna circondata da soli, solo che tu eri quei soli. E lo dico senza voler sembrare teatrale. Era il momento di portare un po' di verità in un mondo costruito su bugie.» Sorrise, e già immaginavo centinaia di ragazzine con la tachicardia davanti a quell'immagine. Potevo immaginarlo perché era ciò che mi sentivo io in quel momento. Una ragazzina. « Tocca a me! Allora...» Si abbandonò allo schienale della sedia intrecciando le mani sulle proprie gambe. « Perché hai accettato l'incarico?»
« Mi hanno fatto un'offerta che non ho potuto rifiutare.»
« Avanti, fatti illuminare anche tu!»
« Okay... ho pensato che anche se fossi stato uno stronzo egocentrico, tanto valeva provarlo sulla pelle. Purtroppo mi sono sbagliata, o per fortuna. Non so se mi sarebbe piaciuto deludere migliaia di tue fan.» Accennai un sorriso a cui lui rispose senza esitazione.
« Bene, tocca a te.»
« Mmh... Dev'essere una buona domanda... Credi che lascerai mai il mondo dello spettacolo?»
« Difficile saperlo...» Si morse il labbro inferiore, pensieroso. « Credo che inizierò a svanire pian piano...» Sollevò la mano destra e iniziò a muovere le dita come se dovessero formare una piccola onda mentre spostava lentamente la mano di lato. « ... fino a scomparire completamente. Non voglio che ci siano progetti noti a tutti e poi mai completati. Non dico che, compiuti i settant'anni, mi ritirerò completamente, ma inizierò a lavorare dietro le quinte, o almeno questo è ciò che penso ora. Potrei morire domani o oggi stesso, quindi non voglio fare piani. Okay... mh... Qual è stata la prima cosa che hai scritto?»
Ci dovetti pensare un po' prima di trovare una risposta. « In realtà... era un racconto, ciò a cui avevo assistito il giorno prima. A casa ci era arrivato un gattino, e tu hai visto dove abitavo, intorno c'è la desolazione, è tutta campagna... quindi abbiamo dovuto tenerlo per una giornata. Appena arrivato, il gatto aveva iniziato ad agitarsi contro il cane che avevamo ormai da un paio d'anni, un cane da caccia con cui mio padre usciva una volta alla settimana. La sera ci fu un temporale. Il gattino salì le scale fino alla mia stanza e cercò di trovare rifugio sul tappeto, dove c'era già il cane. Ma quello si fece da parte e con la coda tenne al caldo il gatto per tutta la notte.»
« E quale sarà l'ultimo tuo racconto?»
Avrei potuto obiettare dicendo che le domande erano finite, che non poteva barare così, tuttavia scrollai le spalle. « Parlerà di un attore scontroso e di una giornalista in cerca di rifugio.»
La spia verde diventò rossa, annunciando che la registrazione era finita. Colpii Johnny sulla spalla ridendo, riprendendolo per quella sua ultima uscita, ma lui mi cinse la vita con un braccio, mi spinse contro di sé e mi baciò con passione, muovendo lentamente le labbra sulle mie. Mi lasciai andare a quel bacio portando una mano intorno al colletto della camicia.
« Andiamo...» Sussurrò dopo un po'. « Abbiamo delle foto che ci aspettano.»
Finsi di non notare le persone che ci guardavano come se fossimo fuori di testa perché non m'interessava davvero nulla di ciò che pensavano. Ci ritoccarono il trucco e poi ci fecero stare in piedi in pose diverse di fronte ai tre cartelloni ricoperti di scritte. Ridevamo entrambi, perché, nonostante Johnny avesse fatto centinaia di servizi fotografici, quello ci sembrava un gioco, e al fotografo sembrava non importare.
Il ragazzo fu libero per le 10:50, giusto in tempo per impacchettare tutto e raggiungere in macchina – traffico permettendo – il suo prossimo set.
La giornata con Johnny passò velocemente. Scappammo dalla redazione indossando ancora i vestiti dell'intervista, prendemmo una bottiglia di champagne e brindammo a qualcosa che non ricordo esattamente.
Doveva essere stato un pretesto davvero stupido, però.
Quella sera dormii da lui, come la sera seguente, e quella dopo...


   
 
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