Day
Twenty six/Twenty seven – Weren't you supposed to follow your
dreams?
Mi
misi seduta sul materasso e guardai Johnny per qualche attimo.
Avete
presente quando volete vedere solo una scena del vostro film
preferito, quindi inserite il dvd e premete quella piccola freccetta
che vi permette di avanzare a velocità accelerata fino a
raggiungere
il pezzo che avete in mente? Tra me e l'attore era stato
così.
Era
già iniziato il conto alla rovescia, ormai mancavano pochi
giorni.
Martedì avremmo potuto festeggiare 30 giorni dalla prima
volta che
ci eravamo conosciuti. In 30 giorni avevamo fatto tutto ciò
che
normalmente si farebbe in un paio di mesi, visto il mondo in cui ci
eravamo scontrati all'inizio. Eppure, nonostante ci fossimo odiati
dal primo momento, era come se entrambi avessimo saputo da qualche
forza sovrannaturale ciò che ci aspettava. E quindi ci
eravamo
spinti a vicenda, a volte inciampando, solo per raggiungere
quell'obiettivo, quella promessa di felicità. Che fossimo
stati dei
pazzi a credere a quella sorta di sesto senso era innegabile, ma di
certo io non me ne pentivo. Avevamo litigato decine di volte, e il
giorno dopo mi ero sempre ritrovata tra le sue braccia.
Un paio di
giorni prima a però ero stata davvero convinta che non
l'avrei mai
più rivisto. Mi ero pentita di ciò che avevo
detto nell'attimo
esatto in cui avevo pronunciato quelle parole quella sera al The
Mint. Vi è mai capitato? Capire quanto una frase sia
sbagliata solo
mentre la si sente uscire dalla propria bocca è davvero
terribile,
credetemi. Ero stata male per un giorno intero – la faccenda
di
Johnny in quei giorni stava riducendo i miei nervi in pessime
condizioni – e quando ero tornata in redazione avevo trovato
una
chiamata non risposta. Mi ero sentita ancora peggio quando avevo
sentito ciò che l'agente aveva da offrirmi: un contratto e
un libro,
senza che dovessi girare per mesi (o per anni) alla ricerca di una
casa editrice così pazza da pubblicare il libro di una
giornalista
con un passato come il mio. Johnny però mi aveva
praticamente
impedito di farlo, con le sue parole. Ero stata così vicina
da
salire sul tavolo per prenderlo a schiaffi durante l'incontro con Tim
ed Helena...
Helena. Lei era venuta da me subito dopo la chiamata
ed era entusiasta sebbene ci fosse qualcosa nella sua espressione che
mi aveva fatto capire che non pensava fosse una buona idea.
Fortunatamente non ne avevo ancora parlato con Jack. Mi aveva detto
che il momento di cui avevamo parlato la sera nel suo salotto era
arrivato. Io le avevo raccontato ciò che era successo, e lei
mi
aveva pregato di non abbandonarlo ora. Tim aveva paura che Johnny si
abbandonasse ai “piaceri” dell'alcool, ma Helena lo
aveva sempre
difeso dicendo che, fin quando ci sarei stata io al suo fianco, lui
si sarebbe trattenuto. Lo avrebbe fatto per non allontanarmi. Io ne
dubitavo. Comunque non era per questo che avevo ceduto all'attore.
Avevo capito che stava onestamente cercando di avvertirmi sul mondo
reale mentre mi diceva di lasciar stare l'agente. Si stava
preoccupando per me e lo avrebbe fatto per sempre. Ciò che
era
successo con Vanessa per lui non aveva senso. Io lo amavo e non avrei
mai stesso di amarlo. Per questo l'avevo seguito.
Mi aveva fatto
incontrare i bambini ed era stata forse la cosa più bella
che
potesse fare. Nonostante tutto ciò che era successo tra di
noi,
voleva ancora che facessi parte della sua famiglia. Non avrei mai
potuto sostituire Vanessa, non volevo farlo, ma sapere che Lily Rose
e Jack non mi disprezzavano come pensavo aveva funzionato da
tranquillante con me. Jack adorava i capelli biondi e a un certo
punto della serata aveva persino preso la chitarra del padre per
dimostrarmi di saper suonare. Era un pirata chitarrista, o almeno
tale si proclamava.
Johnny aprì lentamente gli occhi e mi
osservò.
« Non guardarmi così, sembri una
stalker.»
«
Quanto amore di prima mattina...» Mi chinai per sfiorargli le
labbra, e lui ne approfittò per afferrarmi per i fianchi e
guidarmi
su di lui.
Feci scorrere lentamente le dita delle mani dal suo
ventre alle spalle e poi lungo le braccia, osservando i tatuaggi e
percorrendoli con cura come se fossero quadri. Come se lui, Johnny,
fosse una scultura pregiata creata unicamente per essere
osservata.
Lui mi osservava curioso. Forse cercava di capire cosa
mi passasse per la mente, ma in realtà pensavo solo che
avrei
desiderato osservare i suoi tatuaggi per tutta la vita, che fosse
finita il giorno seguente o dopo cent'anni.
« Scendiamo a fare
colazione?» Chiese. Arricciando le labbra annuii e, dopo un
altro
bacio, mi alzai e recuperai la sua camicia da terra. Johnny si
allungo verso di me e mi afferrò il polso.
« Dai, che è
tardi...»
« Dovresti pensarci due volte prima di uscire
così.»
Sollevò le sopracciglia, come a intendere qualcosa che mi
sfuggiva.
I bambini.
Preferii scendere e iniziare a preparare la
colazione mentre lui svegliava i bambini, invece del contrario.
Dopotutto li conoscevo solo da un giorno.
Johnny mi aveva chiesto
di preparare tè e caffè, dei toast e dei pancake,
per poi mettere
tutto sul tavolo. Stavo apparecchiando quando sentii una voce alle
mie spalle.
« Ho letto tutto su di te, lo sai?» Spalancai gli
occhi e, voltandomi, trovai una Lily Rose in un vestitino viola
già
pronta per partire. Mi prese dalle mani il contenitore dello
zucchero. Per un attimo credetti che volesse tirarmelo addosso.
«
O...kay...»
« So che potresti essere la figlia di mio padre.»
Ridusse gli occhi a una fessura.
« E tu potresti essere mia
figlia.»
« Ma non lo sono!»
« Esatto.»
Sorridendo,
recuperai lo zucchero e portai tutto sul tavolo. Di cosa stesse
cercando di accusarmi era un mistero, ma non ne avrei parlato con
Johnny. In fondo era solo una ragazzina spaventata che potessi
prendere il posto di sua madre, cosa che non sarebbe mai successa. A
dire il vero, vista l'età di Johnny, ciò che
diceva non era
sbagliato. Tuttavia non ero sua figlia ed eravamo entrambi adulti,
quindi il problema non sussisteva affatto. In un mondo in cui bambine
diventano madri a 8-9 anni, l'età diventa sopravvalutata.
Johnny
e Jack ci raggiunsero poco dopo e facemmo tutti colazione insieme,
per poi uscire. Johnny accompagnò prima i ragazzi, poi me.
« Ci
rivediamo domani mattina...» La sua non era una domanda.
«
Domani?»
« Sì. Non ti sto nascondendo nulla, ma devo
sistemare
un paio di cose.» Era diventato di colpo serio, il che mi
spaventava. Ogni volta che succedeva, si allontanava
irrimediabilmente.
« Sicuro che non sia successo nulla?»
Accennò
un sorriso. « Sicurissimo.»
Gli lasciai un casto bacio sulla
guancia prima di scendere ed entrare nell'edificio che ospitava la
redazione del Rolling Stone. Ero una stupida. Non potevo impazzire
solo perché mi aveva detto che non ci saremmo potuti vedere
quel
giorno. Cavolo, stavo diventato più paranoica di quella
Bella
Swan.
Appena arrivata in ufficio, Jack mi guardò e, nonostante
fosse ancora al telefono, con un gesto della mano mi fece intendere
che dovevo raggiungerlo. Ignorai le occhiate dei miei colleghi e
camminai per il corridoio tra le varie postazioni prima di
raggiungere quella che, in quell'istante, mi sembrava una gabbia di
vetro.
« Sì, è appena arrivata...
sì, glielo dico.... no,
grazie a te per l'opportunità... lo so, lo so, è
brava... ciao...
sì, ciao.» Mise giù il ricevitore e
mantenne lo sguardo basso per
un po'.
« Volevi vedermi?»
« Ho appena parlato con Johnny.
Mi ha detto dell'accordo che ti hanno proposto.»
Indugiò un po',
come al suo solito, mentre io lo guardavo sconvolta. Johnny, brutto
pezzo di... « Nonostante ciò che abbiano potuto
dirti, ti voglio
qui.»
« Mi vuoi qui solo perché faccio
vendere.»
Alzò un
dito in segno di protesta, invece si limitò a precisare.
« Se
vendi, guadagna la redazione, guadagno io, ma, più di
tutti...
guadagni tu. Aumento dello stipendio, e potrai lavorare a casa anche
sei giorni alla settimana. Continuano ad arrivare email di persone
che leggono la rubrica su Johnny e che vogliono che tu faccia lo
stesso con altri attori.»
Rimasi in silenzio per un po', scostai
una sedia dalla scrivania e mi sedetti lasciando cadere a terra la
borsa. « Se ti dicessi che voglio iniziare a scrivere
davvero, e non
solo come giornalista... cosa diresti?»
« Direi:”Non dovresti
seguire i tuoi sogni?". So che è sempre stato questo il tuo
obiettivo, quindi il tempo a casa puoi sfruttarlo come vuoi.»
«
Sei proprio un furbo figlio-»
« Uh-uh. Fa' la brava giornalista,
accetta, firma e torna a lavorare!» Mi riprese scuotendo la
testa.
Arricciai il naso in segno di protesta, ma in ogni caso
presi la penna e misi un paio di firme sui fogli che mi stava
porgendo
Rincontrai davvero Johnny la mattina seguente. Avevo
passato la serata a chiacchierare con Claire che aveva fatto
l'immenso sacrificio di separarsi da Clive. Mi aveva raccontato di
come le cose tra loro due si erano evolute. Aveva cercato di
nasconderlo fino al giorno prima, quando li avevo trovati l'uno
sull'altra sul divano. A parte lo shock iniziale, ero piuttosto
curiosa di conoscere la storia dietro quella coppia così
strana.
Quindi mi spiegò tutto, e io le raccontai degli ultimi
sviluppi
dell'idillio Chester-Depp.
Ma Johnny, quella mattina, con un
maglioncino, dei jeans e senza le collane e gli anelli che lo
caratterizzavano, non sembrava neanche lui. Sorrideva come se non
esistesse alcuna pena al mondo. Indossava il nostro
cappello. Passando di fianco alla mia scrivania, ammiccò
prima di
voltarsi, per poi scomparire lungo il corridoio e riapparire
nell'ufficio di Jack. Si salutarono amichevolmente con un abbraccio
mentre un terzo uomo seduto sul divanetto all'angolo tirava fuori da
un borsone una macchina fotografica professionale e iniziava a
scattare qualche foto alla coppia. Erano passati pochi minuti quando
vidi il fotografo uscire dall'ufficio e avviarsi nella mia direzione.
Mi fece un cenno, si voltò e riprese a camminare
aspettandosi che lo
seguissi. Ma perché avrei dovuto? Quando non
sentì passi dietro di
sé, si girò a guardarmi e spalancò gli
occhi.
« Allora, ti
muovi o no? Ho un altro servizio alle 11.»
Questa volta più
obbedente, mi alzai e lo raggiunsi a passetti veloci. Prendemmo
l'ascensore e salimmo di un paio di piani, fino ad arrivare
all'attico. Non ero mai stata lì specialmente
perché era su quel
piano che si svolgevano i maggiori servizi fotografici. C'era una
stanza con tre muri di vetro da cui si poteva osservare tutta Los
Angeles, un'altra invece sommersa nel buio. A volte, in casi
speciali, Rolling Stone affittava location esterne per un giorno.
Quello non era un caso speciale, era molto di più. Tre
grandi pareti
di cartone erano state montate all'interno della stanza e su di
queste erano spillate frasi stampate, citazioni dai 3 articoli che
avevo scritto fino a quel momento.
Vidi Johnny solo quando mi
portarono nella zona trucco. Era seduto e mi lanciò uno
sguardo
veloce e un sorriso prima che una truccatrice gli spostaste il viso
dalla parte opposta. Mi squadrò come se volesse giudicare e
capire
se fossi adatta a Johnny, se fossi abbastanza. Abbastanza brava,
abbastanza bella, abbastanza fotogenica da riuscire a stare sotto le
telecamere senza impazzire. Dalla sua espressione sembrò
pensare che
avrebbe preferito vedere se stessa affianco all'attore. E chi poteva
biasimarla?
Riuscii a salvarmi da quella tortura, tra trucco e
fotografie backstage del ragazzo di prima, solo dopo un'oretta e
mezza, quando poi m'infilarono in un vestito bianco da cui avrei
giurato di poter schizzare fuori da un secondo all'altro. Mi
allungarono di una decina di centimetri con due trampoli neri e ci
portarono direttamente in una saletta arredata solo lungo due pareti,
dove venivano effettuate le riprese. Sugli scaffali, lì dove
solitamente c'erano montagne di vinili, ora erano presenti solo
vecchie cassette, film ormai dimenticati, mentre un angolo speciale
era dedicato alla carriera di Johnny. In un angolo, dentro scatoloni
di plastica, erano raggruppati tutti i dischi che, ne ero sicura,
sarebbero tornati al proprio posto una volta che fosse finita quella
giornata.
Ci fecero sedere su due divanetti beige su cui erano
poggiati cuscini di diverse tonalità di rosso. Un vero colpo
all'occhio.
Ancora non capivo cosa ci stessi facendo lì. Provai
a chiederlo al cameraman che scosse la testa. Una volta seduti
lì,
Johnny si sporse verso di me e mi accarezzò una guancia.
«
Sembri una bambola di porcellana.» Sussurrò
sorridente. Mi sfiorò
le labbra mentre io arrossivo.
Mi aveva baciata. Lì, davanti a
tutti. Davanti al fotografo che continuava a scattare foto a raffica,
come un tornado. Un tornado che stava rubando tutti i miei momenti
d'intimità con Johnny per pubblicarli su carta. I nostri
momenti.
«
Vuoi spiegarmi che diavolo succede?»
« Non succede nulla. Jack
voleva un articolo, e io ho intenzione di dargli un articolo. Non
voglio più nascondermi...» Mormorò. Mi
guardava negli occhi e
quando lo faceva in quel modo, sfiorandomi, non riuscivo a ragionare.
Ma sospirai, e mi allontanai.
« Siamo in due su questa barca,
Johnny. Non puoi decidere tutto d'un tratto di voler portare questa
relazione ufficialmente allo scoperto senza chiedermi nulla.»
Parve
colpito, tutto d'un tratto dubbioso. « Pensavo ne fossi
felice.»
«
E lo sono...» Mi affrettai a dire. « Ma avrei
preferito parlarne
prima. Forse questo non è il modo migliore per farlo vedere
al mondo
intero.»
« Questa è un'intervista che uscirà
insieme
all'ultimo numero di martedì, nulla di più. Hanno
organizzato tutto
questo per te, perché credono che questo sia il futuro del
giornalismo al Rolling Stone. Scoprire mondi standoci davvero a
contatto. Questo non è per me, io faccio solo parte di un
grande
ingranaggio. Sei tu che fai girare tutto.»
Mi voltai dalla parte
opposta, imbarazzata. « Non mi addolcirai con queste
parole...»
Sentii una risata provenire dall'attore. « Posso
comunque provare.»
C'interruppe il cameraman, che con uno
schiocco di dita c'indicò che stava per accendere la
telecamera.
Nessun intervistatore. E poi capii.
« Due domande a testa, in
dieci minuti dovremmo aver finito. Bionda, inizia tu.»
Lo
fulminai con un'occhiata proprio mentre la spia verde indicava che
aveva iniziato a riprendere.
Mi voltai verso Johnny, colta
all'improvviso da una risatina imbarazzata. Abbassai lo sguardo, poi
lo fissai. Ero diventata giornalista dell'intervista che mi aveva
promesso quando mi aveva fatto indossare quel vestito, e di cui non
avevamo più riparlato.
« Mi detestavi quando questa avventura è
iniziata, ma con il tempo non mi hai più ritenuto una
minaccia. Cosa
ti ha fatto cambiare idea e com'è stato aprire la tua vita
al resto
del mondo?»
Lui indugiò solo qualche attimo prima di iniziare a
rispondere. « Credo che noi attori... noi persone del mondo
dello
spettacolo... siamo sempre un passo avanti verso le persone che ci
seguono. Siamo come tante piccole lune, capisci cosa intendo?
Insomma... mostriamo solo un lato della nostra vita privata, poi un
altro, e infine un altro ancora, come delle anteprime. Ci dividiamo.
Quest'articolo mi ha fatto diventare una luna circondata da soli,
solo che tu eri quei soli. E lo dico senza voler sembrare teatrale.
Era il momento di portare un po' di verità in un mondo
costruito su
bugie.» Sorrise, e già immaginavo centinaia di
ragazzine con la
tachicardia davanti a quell'immagine. Potevo immaginarlo
perché era
ciò che mi sentivo io in quel momento. Una ragazzina.
« Tocca a me!
Allora...» Si abbandonò allo schienale della sedia
intrecciando le
mani sulle proprie gambe. « Perché hai accettato
l'incarico?»
«
Mi hanno fatto un'offerta che non ho potuto rifiutare.»
«
Avanti, fatti illuminare anche tu!»
« Okay... ho pensato che
anche se fossi stato uno stronzo egocentrico, tanto valeva provarlo
sulla pelle. Purtroppo mi sono sbagliata, o per fortuna. Non so se mi
sarebbe piaciuto deludere migliaia di tue fan.» Accennai un
sorriso
a cui lui rispose senza esitazione.
« Bene, tocca a te.»
«
Mmh... Dev'essere una buona domanda... Credi che lascerai mai il
mondo dello spettacolo?»
« Difficile saperlo...» Si morse il
labbro inferiore, pensieroso. « Credo che inizierò
a svanire pian
piano...» Sollevò la mano destra e
iniziò a muovere le dita come
se dovessero formare una piccola onda mentre spostava lentamente la
mano di lato. « ... fino a scomparire completamente. Non
voglio che
ci siano progetti noti a tutti e poi mai completati. Non dico che,
compiuti i settant'anni, mi ritirerò completamente, ma
inizierò a
lavorare dietro le quinte, o almeno questo è ciò
che penso ora.
Potrei morire domani o oggi stesso, quindi non voglio fare piani.
Okay... mh... Qual è stata la prima cosa che hai
scritto?»
Ci
dovetti pensare un po' prima di trovare una risposta. « In
realtà...
era un racconto, ciò a cui avevo assistito il giorno prima.
A casa
ci era arrivato un gattino, e tu hai visto dove abitavo, intorno
c'è
la desolazione, è tutta campagna... quindi abbiamo dovuto
tenerlo
per una giornata. Appena arrivato, il gatto aveva iniziato ad
agitarsi contro il cane che avevamo ormai da un paio d'anni, un cane
da caccia con cui mio padre usciva una volta alla settimana. La sera
ci fu un temporale. Il gattino salì le scale fino alla mia
stanza e
cercò di trovare rifugio sul tappeto, dove c'era
già il cane. Ma
quello si fece da parte e con la coda tenne al caldo il gatto per
tutta la notte.»
« E quale sarà l'ultimo tuo racconto?»
Avrei
potuto obiettare dicendo che le domande erano finite, che non poteva
barare così, tuttavia scrollai le spalle. «
Parlerà di un attore
scontroso e di una giornalista in cerca di rifugio.»
La spia
verde diventò rossa, annunciando che la registrazione era
finita.
Colpii Johnny sulla spalla ridendo, riprendendolo per quella sua
ultima uscita, ma lui mi cinse la vita con un braccio, mi spinse
contro di sé e mi baciò con passione, muovendo
lentamente le labbra
sulle mie. Mi lasciai andare a quel bacio portando una mano intorno
al colletto della camicia.
« Andiamo...» Sussurrò dopo un po'.
« Abbiamo delle foto che ci aspettano.»
Finsi di non notare le
persone che ci guardavano come se fossimo fuori di testa
perché non
m'interessava davvero nulla di ciò che pensavano. Ci
ritoccarono il
trucco e poi ci fecero stare in piedi in pose diverse di fronte ai
tre cartelloni ricoperti di scritte. Ridevamo entrambi,
perché,
nonostante Johnny avesse fatto centinaia di servizi fotografici,
quello ci sembrava un gioco, e al fotografo sembrava non
importare.
Il ragazzo fu libero per le 10:50, giusto in tempo per
impacchettare tutto e raggiungere in macchina – traffico
permettendo – il suo prossimo set.
La giornata con Johnny passò
velocemente. Scappammo dalla redazione indossando ancora i vestiti
dell'intervista, prendemmo una bottiglia di champagne e brindammo a
qualcosa che non ricordo esattamente. Doveva
essere stato un pretesto davvero stupido, però.
Quella
sera dormii da lui, come la sera seguente, e quella dopo...