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Autore: AlexBrightStar    09/11/2012    1 recensioni
Lei sarebbe tornata da lui, credeva.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ciao
Lei partì, andò in città quando l’estate finì. I primi anni le mancò tantissimo la fattoria, le serate con Tim, i cavalli, le stelle che ogni volta guardava con i nonni, con Tim. Le mancavano le storie del nonno di Tim. Le mancava la spiga di grano in bocca, l’odore che proveniva dalle stalle dei cavalli, le mancava ogni mattina mungere il latte e poi prendere le uova.

Le mancavano i nonni, che sempre meno andavano a farle visita. Le mancava parlare delle capanne e dei cavalli senza sella con Tim. Le mancava essere chiamata Beth. Le mancava quando la mattina si svegliava alle 5, quando il gallo cantava. Aveva sempre odiato quel dannato gallo, tuttavia avrebbe dato qualsiasi cosa pur di essere svegliata da lui ancora infinite volte.

Le mancava sentire suo nonno che suonava la chitarra, poi suonare e cantare una canzone per sua nonna ballando in modo strano. La nonna arrossiva sempre, e lei sperava tanto di passare la sua vita così, in quella monotona armonia meravigliosa.

All’inizio chiamava spesso Tim, poi dovette fare i conti con la scuola, si era fissata che doveva imparare a suonare la chitarra, all’inizio suonava quella classica. Poi i suoi amici le fecero scoprire quella elettrica e abbandonò la chitarra che si era portata dalla fattoria.

Testi infiniti sulle campagne del Tennessee erano stati scritti e poi abbandonati. Adesso c’era solo la chitarra elettrica e l’odio verso il mondo. Aveva deciso di smettere con la scuola, una perdita di tempo. Era convinta che le infilassero nel cervello stronzate inutili, le volessero “fondere il cervello”. Iniziò a fumare, così, tanto per fare un dispetto ai suoi genitori. Poi i genitori cambiarono con l’età, litigavano sempre più spesso, quando si separarono lei aveva 14 anni, venne affidata alla madre. Il padre tornò in campagna.
A dir la verità era la madre che aveva voluto portare tutti in città. Lei non era nata in campagna. Lei amava la vita di città, e anche quando Elizabeth era piccola non si era mai adattata tanto bene all’aria aperta e ai cavalli.

Quando i genitori si separarono, lei seppe che il padre era tornato in campagna. Si ricordò dei cavalli senza sella e decise di imparare ad andare a cavallo. Voleva sentire quella sensazione che aveva provato quando il nonno l’aveva messa sul suo cavallo. Ma fare equitazione non era la stessa cosa.

I nonni ormai li vedeva solo a Natale, la campagna era un ricordo annebbiato e lontano. Tim lo sentiva sempre meno. Poi lui iniziò a lavorare.
Lei si dimenticò anche di lui.

Aveva perso il suo accento e le sue movenze da “ragazza di campagna” ormai. Stava tutto il giorno fuori dalla mattina alla sera, rischiava di essere bocciata quell’anno, non gliene importava molto comunque. Lei voleva solo suonare la chitarra. Non era mai soddisfatta di quello che suonava, forse perchè la chitarra elettrica non era quella più adatta a lei.

A volte spolverava la  sua chitarra “di prima” ma faceva riaffiorare tanti ricordi, che le ricordavano quanto ormai fosse effimera e monotona la sua vita. Poi il suo odio verso il mondo riusciva a esprimerlo molto meglio la chitarra elettrica.

A volte sognava di trovarsi ancora in Tennessee, con il nonno, Tim. La madre c’era sempre meno. Sembrava che per ogni ora che non stesse con lei guadagnasse soldi in più. Ma a lei non importava nulla dei soldi. Voleva solo una famiglia normale. Tuttavia la madre era così impegnata con il lavoro che non era riuscita a trovare un compagno.

Un giorno il telefono squillò, era la polizia. Pensò che l’avessero chiamata perché l’avevano sgamata mentre scriveva su qualche muro, o mentre faceva saltare in aria qualche motorino. Ma no, la madre era morta.
Cercò di non piangere, il cuore le faceva così male che non respirava, ma cercava di non piangere. Dopo un po’ le lacrime però le uscirono da sole.

Tutto quello che poteva fare era prendere una sigaretta e fumare, per consumarne una dopo l’altra. Fissava quella stupida chitarra classica come se potesse spiegarle perché diamine quella demente della madre avesse deciso di trasferirsi in città!

Potevamo vivere tutti felici, non si sarebbe mai separata da papà, io non avrei iniziato a fumare e lei non sarebbe morta in un incidente stradale.

Si ricordò di quando il nonno le diceva che era pericoloso andare a cavallo troppo piccoli. Che era pericoloso cadere. Le dicevano che non doveva mai andare da sola a cavallo finchè non avesse imparato ad andarci senza l’aiuto di nessuno.

Mia madre non era brava ad andare a cavallo, ma è morta in un incidente stradale.

Pensava sempre. E piangeva, piangeva così tanto che la mattina gli amici credevano che in preda alla depressione si fosse fatta di canne per quanto aveva gli occhi rossi.

I nonni stettero con lei finchè non fu deciso con chi dovesse stare.

-Con il padre.- disse il giudice sbattendo sulla superficie di legno un martellino anche questo di legno.
Ormai Elizabeth si era dimenticata di quell’uomo, tuttavia si aspettava questa decisione da parte del giudice.

-Preso tutto?- urlò il nonno, dalle scale mentre lei scendeva con le valige cariche di vestiti e con la chitarra in spalla. Gli amplificatori avrebbe voluto spaccarli, ma poi decise di portarli. Sarebbe stato più bello dargli fuoco.

-Si!- Per essere sicura tornò ancora in camera. Era completamente vuota, ma non le faceva effetto vederla così, lei non era legata a quel posto, non le venne nessun nodo in gola. L’unica cosa che le dispiacque veder ancora in mezzo alla stanza sola e “fuori luogo” era la chitarra classica che si era portata dalla campagna.

Gliel’aveva fatta un amico del padre quando era piccola. A quel punto mollò la chitarra elettrica e gli amplificatori li lasciò in mezzo alla stanza vuota. Sul pavimento scuro.

Afferrò la chitarra classica e corse giù, portando con se anche le valige che rimanevano e che il nonno non aveva ancora sistemato nel bagagliaio.   

Il nonno sembrò guardare per un attimo quasi commosso la chitarra che si era portata, come se avesse sperato fino all’ultimo che lei si portasse dietro quella e non la solita che suonava quando andavano a farle visita.

Nei cassetti lasciò solo le sue infinite scorte di sigarette. Non se n’era dimenticata, voleva solo non puzzare di fumo quando avrebbe rivisto i suoi vecchi concittadini.
Infilò i bagagli nel pick-up del nonno, aveva lo stesso da quando Elizabeth era piccola, se lo ricordava mentre girava per le strade polverose con le balle di fieno e con Tim che le portava fino alle case, sforzando al massimo i suoi muscoli.

Si ricordava che già a 11 anni Tim aveva la gli addominali. Chissà com’era diventato. Chissà se il nonno raccontava ancora le stesse meravigliose storie di un tempo.

Guardava fuori dal finestrino i palazzi scomparire, le strade diminuire sempre di più, il sole sempre più alto e luminoso.
Erano partiti la mattina presto, era stupendo vedere l’alba da fuori-città. In città non si vedevano nemmeno tanto bene le stelle.
Una volta da piccola aveva provato a creare la stessa atmosfera che era capace di creare Tim, ma il terrazzo –anche se più grande- non le trasmetteva le stesse emozioni. Un po’ per le stelle che non si vedevano, un po’ per la spiga di grano che le mancava, un po’ perché non c’era Tim.

-Come te la ricordi la città?- le domandò il nonno, mentre guidava.

-Bene, credo. Mi ricordo dov’era la piazza dove c’era il mercato la mattina, mi ricordo dove mi portavi sempre dal nonno di Tim. Mi ricordo il farmacista strano, la fattoria e i cavalli. Mi ricordo Tim dove abitava, dove abitava anche suo nonno e i nostri vicini. Mi ricordo che le stelle erano bellissime e mi ricordo l’odore delle stalle. Mi ricordo i falò, mi ricordo il signor Wolf quando mi regalò la chitarra…-

-Ricordi tante cose vedo.- il nonno sorrise, capendo che un po’ le era sempre mancata la “vita di campagna”.

-…Tim c’è ancora?- chiese subito. All’inizio pensò di andare da lui e stringerlo, non appena fosse arrivata. Ma non si vedevano da circa sette anni. Forse lui era partito per cercare un lavoro decente, comunque sicuramente si era scordato di lei.

-Certo! Ci sono tutti, o quasi tutti.- Il suo sguardo divenne all’improvviso triste e malinconico. Era ovvio che qualcuno dovesse essere morto. Qualche vecchietto di quelli che la mattina offrivano sempre un po’ di caramelle a Tim ed Elizabeth magari.

-Mio padre abita nella stessa casa di sempre?- sperava tanto di sì. L’unica cosa che sentiva davvero sua, l’unico posto che sentiva davvero di poter chiamare casa era quella fattoria vecchissima in cui vivevano con i nonni e migliaia di animali.

Quando fece quella domanda al nonno per un momento pensò anche al terrazzo e ai salti che faceva per andare da Tim. Le scappò un sorriso malinconico, di quelli che gli anziani mostravano quando riguardavano le foto di quando erano giovani.

-Certo, e i vicini sono quelli di sempre. Ci sono stati anche nuovi arrivi, sai? Anche dalla città.- Non le piaceva tanto che ci fossero stati dei “nuovi arrivi”. Quel posto era di chi lo abitava da quando v’era nato, come lei. Quel posto era di chi era nato, come lei, in una stalla, tra i cavalli. Quel posto era di chi masticava un ramoscello da quando aveva dieci anni. Quel posto era di chi aveva sudato per farlo crescere.

Chi era nato in città doveva rimanerci. Tuttavia la cosa più importante era che non le avessero “fregato” i posti in cui riusciva a trovare la serenità. Li conosceva solo Tim, probabilmente lui se li era dimenticati. Lei invece, ogni notte prima di addormentarsi immaginava di trovarsi poggiata alle radici di una grandissima quercia, il suo posto preferito.

Prese a tamburellare con le dita sulla propria gamba. Era impossibile che non fosse cambiato nulla, tuttavia sperava che almeno la maggior parte delle persone, e lei conosceva tutti, fossero rimaste le stesse.

L’estate era appena iniziata, ma lei sapeva che in campagna faceva già caldo, così si era messa dei pantaloncini che in città non avrebbe mai osato mettere.
Lì non c’era mai sempre la stessa gente, non si sentiva a proprio agio indossandoli.

-Pensi che qualcuno si ricordi ancora di me?- incrociò le gambe.

-CERTO! Come scordarsi la bambina pestifera che girava sempre con un ramoscello in bocca e voleva fare la grande con Tim?- gli scappò una risatina, ricordandosi dei guai che avevano combinato loro due insieme. Elizabeth tuttavia era sicura che Tim fosse cambiato, che fosse diventato come tutti i ragazzi a cui era abituata lei.  Era sicura che l’avesse dimenticata, o che comunque la considerasse solo un ricordo d’infanzia, un po’ come aveva fatto lei.

-Forse non mi riconosceranno, nonno.- ammise, iniziando a torturarsi le maniche della felpa grigia. Era una di quelle felpe che andavano tanto di moda in città. Sopra c’era scritto “ma anche no”. Ovviamente questa espressione non l’avrebbero mai usata dove stava andando. E non avrebbero capito cosa significasse, almeno i vecchi.

Si era sempre preoccupata di essere alla moda, non perché fosse una fissata ovviamente, ma perché in città venivi isolato se non ti vestivi in un certo modo. In campagna si poteva vestire come voleva, la moda non esisteva. Sempre che quelli venuti dalla città non avessero contagiato gli altri del posto.

-Ti riconosceranno, ti riconosceranno.- sorrise, come se nascondesse qualcosa. Tuttavia lui non era tipo da fare sorprese. Forse non era cambiata così tanto.

-Accendi la radio, nonna.- sapeva che tipo di musica avrebbero ascoltato, country, country e ancora country. Lei non ascoltava mai country, al massimo pop-country. Le piaceva quel genere di musica, più che altro le piaceva suonarlo.
Nell’auto calò il silenzio, Elizabeth iniziò a cantare giusto per fare un po’ di casino. Era una delle cose che aveva imparato in città, a scuola. Chi faceva casino era ganzo, chi faceva casino era una specie di mito. Ancora meglio se veniva sospeso.
Comunque si divertiva con i suoi amici a far incavolare i professori che esasperati chiamavano i loro genitori. La madre di Elizabeth ovviamente non si presentava mai. Non c’era mai per lei, ma forse era meglio così. Almeno Elizabeth non avrebbe sentito tanto la sua mancanza.

I nonni la seguirono, mentre cantavano ridendo. A volte si scambiavano sguardi sorpresi, forse non si aspettavano tanta allegria, forse si aspettavano che Elizabeth passasse il viaggio zitta, piangendo. Non era nel suo stile però piangere davanti agli altri. Non aveva MAI pianto per la madre nemmeno con i suoi amici, si lacerava il cuore da sola. Non voleva mettere a disagio le altre persone con i suoi lamenti e i suoi pianti, non voleva essere compatita. Poi non conosceva nessuno così bene da abbandonarsi in lacrime sulla sua spalla.

Dopo qualche ora di viaggio passata a cantare, il nonno si fermò. Elizabeth si accorse in quel momento di non aver guardato fuori dal finestrino la strada nemmeno un secondo, mentre cantava. Si era persa uno spettacolo meraviglioso, tuttavia lei conosceva luoghi meravigliosi, e non vedeva l’ora di rivederli. Ma prima voleva rivedere le vecchie persone, chi c’era ancora.

Prese le sue tre valige. Solo quando le aveva fatte si era accorta che aveva un mucchio di vestiti e di scarpe, eppure indossava sempre gli stessi!
Il sole delle due rendeva impossibile tenere i capelli sciolti, come era solita portarli Elizabeth. Goccioline di sudore già le scendevano sul petto. Posò un attimo i bagagli sul terreno polveroso e arido, si tolse la felpa.

Sotto la felpa aveva la sua maglietta preferita, una delle tante con la scritta “Hard Rock”. Era la più semplice, l’aveva comprata dove era andata ad abitare, a New York. Aveva vissuto tanto, troppo, tempo in città, ma comunque si ricordava com’era vivere in campagna. Tuttavia non aveva la minima intenzione di riprendere a fare le cose che faceva con il sorriso stampato sul volto quando a 12 anni ingenua correva per i campi.

Si legò la felpa in vita, riprese le valige e si diresse verso la casa dove sapeva avrebbe abitato per sempre.

-Nonno mi sono dimenticata di prendere la chitarra!- urlò, prima che il nonno chiudesse il bagagliaio non completamente vuoto.
Lo osservò mentre afferrava lo strumento, chiuse il bagagliaio continuando a fissare l’oggetto che aveva in mano. Iniziò a toccare le corde, stava suonando? Non era decisamente il luogo e il momento adatto, ma Elizabeth decise di stare zitta e assecondarlo.

-Non è nemmeno accordata, Ellie!- nella sua voce era evidente il tono di rimprovero, non troppo freddo e severo comunque.
Quell’esclamazione la lasciò un po’ confusa. Cosa importava al nonno se Elizabeth avesse accordato la chitarra? Poi lui sapeva che non la suonava da un bel po’ di anni.

-E’ normale, non la usavo mai in quella..- si bloccò immediatamente. Stava per dire merda di città ma fortunatamente si era ricordata che stava parlando con un adulto, un vecchio, con suo nonno. –In città.- Non era abituata a parlare con gli adulti, o a portare rispetto a qualcuno. Non conosceva regole, ma sapeva che tipo di linguaggio doveva usare con suo nonno per evitare ramanzine interminabili.
  
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