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Autore: OttoNoveTre    09/11/2012    15 recensioni
- Mi scusi, signor Stark, informazioni riservate.
- C’è il mio nome, in quelle informazioni riservate.
- Solo perché lei era stato candidato come agente. Poi la missione è stata affidata ad altri.
Tony si grattò il pizzetto. Il suo quinto senso e mezzo aveva fiutato una notizia succulenta. Seguì l’agente Carter fino al divisorio della cucina e si mise e mangiucchiare un biscotto alla cannella.
- La missione.
- Non sono autorizzato a dare ulteriori informazioni.
- Ma non serve che parli, agente: facciamo finta che io stia giocando a, diciamo così, Cluedo.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Beth, Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Diner Apollo'
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CLUEDOhtml

CLUEDO






TONY STARK

Scenario 1, aka Elephant Love Medley:
- va nel mio appartamento, prepara un interno tipo elefante di Moulin Rouge, mi spedisce con qualcuno o anche con se stesso a procacciare un completino intimo con un rapporto inversamente proporzionale tra centimetri quadrati di stoffa e prezzo. Indi, approfittando del fatto che è oramai a casa mia, installa telecamere collegate con Jarvis. Perché, oh, è lui che ha sganciato la grana, e un investimento deve fruttare.
Scenario 2, aka Rottura di Coglioni Permanente:
- il giorno dopo telefona alle cinque di mattina per sapere tuttomapropriotutto. Si fa trovare alla porta con gagliardetti, petardi e uno striscione con su “congratulazioni!” ( o simili: “benvenuto nel club pucciatori di biscotti!” “chi l’ha duro la vince”)
Scenario 3, aka Apocalisse:
- arrivano di nuovo gli alieni e i miei piani per domani sera vanno a puttane in ogni caso. Stark e Steve e gli altri salvano di nuovo il mondo, o io vengo ferita a morte e a quel punto come ultimo desiderio non credo avrò voglia di andare a let-

- Pur concordando su come Tony Stark sia un soggetto molto particolare, credo che il punto 3 e le sue conseguenze non possano essere del tutto imputabili a lui.
Il cuore di Jo fece un balzo talmente forte che le rimase incastrato in gola. Rovesciò il caffè sulla tovaglietta scribacchiata: i fili liquidi e scuri si intrecciarono e fusero con l’inchiostro. Quando l’ultima gocciolina deformò la scritta sulla cima della carta in “tomm…ark”, Jo deglutì il cuore e alzò gli occhi sul suo aiuto cuoco.
- Carter… Carter!
L’agente continuò a sbattere le uova in una ciotola, ma aveva gli occhi impegnati a decifrare le scritte ancora leggibili sotto le macchie di caffè. Jo afferrò la tovaglietta e la accartocciò: la breve vita della sua “lista complici” finì nel cestino dell’ingresso.
L’agente Carter, privato della sua lettura da decifrare, la guardava con la solita espressione pacata; il tic-tic-tic rimestante della frusta rimase l’unico suono nel locale. Jo strappò di mano all’agente la ciotola delle uova e ne rovesciò il contenuto nel cestino, tolse il sacco nero, corse in strada, gettò il sacco nel bidone più grande, lo spinse più a fondo e lo coprì con un altro sacco, tornò dentro il locale.
Carter, che aveva aperto un’altra confezione di uova e ripreso il suo lavoro, le gettò solamente un lieve sguardo di rimprovero quando il campanellino dell’ingresso annunciò il suo ritorno.
Jo recuperò il grembiule dalla poltroncina dove stava scrivendo, si infilò dietro il banco di lavoro e cominciò ad affettare una coscia del prosciutto preferito di Thor.
Dalla strada arrivò il rumore del camion della spazzatura che sollevava e triturava i sacchi del bidone. Jo accese il fornello, fece sciogliere il burro in una padella e ci adagiò le fette di prosciutto. Il camion si rimise in moto e portò lontano sacco, uova, caffè e tovaglietta scribacchiata. Le fette di prosciutto avevano una bella crosticina dorata.
La presenza di Carter era rivelata solamente dallo sfrigolio che a intervalli regolari facevano i suoi pancake sulla piastra.
- Mi mancano alcune premesse, credo. Per esempio, in cosa consisterebbe esattamente la missione del complice. L’obiettivo finale invece mi pare abbastanza chiaro.
- Di solito, dopo l’imbarazzante silenzio, l’amico empatico cambia discorso e ci si dimentica entrambi dell’incidente. Riproviamo, “che bella giornata agente Carter!” – cinguettò Jo, con la voce più acuta del solito. Ma Carter si era fermato e le puntava contro la paletta.
- Penso che la prima idea che ha preso in considerazione sia far fermare a casa sua il capitano Rogers senza che lui comprenda la premeditazione.
Jo schiacciò il prosciutto contro la padella e tentò di isolare lo sfrigolio come rumore totalizzante della stanza.
- Le condizioni atmosferiche potrebbero essere d’aiuto. Domani è previsto in arrivo l’uragano Sandy, e il consiglio è di tapparsi in casa con provviste di cibo per almeno tre giorni. Ma credo che sapesse anche questo.
Il bruciore che Jo sentiva sulle guance non era solo per il caldo della piastra. Almeno adesso stiamo parlando del tempo… Ridacchiò per non lanciare la padella bollente in faccia a Carter, che continuava a parlare in tono pratico: - In sostanza, posso ipotizzare che il suo complice si dovrà limitare a sabotare il mezzo di trasporto del capitano Rogers. Accetto la missione.
Jo si voltò mentre Carter cospargeva di sciroppo d’acero la sua pila di pancake: come al solito dalla sua espressione non trapelava nulla che non fosse professionalità e concentrazione.
- Cos… accetta… eh?
- La missione! – Carter si avvicinò con il piatto e una forchetta, che le porse. – Si goda la mia nuova miscela segreta per pancake supermorbidi, agente March, e lasci fare a un professionista.


Pois o non pois? Questo è il dilemma…
Se c’era un comandamento sempre valido, nel mondo della moda, era la totale indifferenza se non fastidio degli uomini verso le fantasie a pois. Ma negli anni ’40 andavano moltissimo. Di conseguenza, un uomo anni ’40 come avrebbe reagito davanti a un vestito a pois? Jo decise che l’esperimento poteva essere rimandato ad altra occasione, e si infilò un vestito azzurro-e-basta. La collana di perle già ce l’aveva, poi c’era il tocco di classe delle calze con riga dietro. Le scarpe col tacco anche dentro in casa, invece, le lasciò volentieri alle casalinghe d’epoca, che non avevano un parquet e una padrona di casa molto pignola.
Dal soggiorno arrivò un odore di spezie, zucchero e burro un po’ più bruciaticcio di quel che avrebbe dovuto essere. Jo recuperò il grembiule che aveva gettato sul letto, se lo allacciò in una millesimo di secondo e corse in cucina: la torta era più che “bella dorata”, ma ancora commestibile.
E non appena la superficie della torta toccò il piatto di portata, squillò il citofono.
Cose fatte: torta, cena, vestito.
Cose da fare: tavola, capelli, tirare via dal divano lo stupido completino di pizzo che le aveva passato Carter (“è un regalo di Barbie di in bocca al lupo”). Corse prima al citofono.
- Sì?
- Capitano Steve Rogers.
- Terzo piano porta a sinistra, capitano.
Appese la cornetta e schizzò al divano, prese il sacchetto e lo ficcò nel cassetto del comodino, in camera sua. Assieme al suono del cassetto che si chiudeva, sentì quello del campanello.
Ma cosa ha fatto, un balzo su per la tromba delle scale?
Prima di Steve, sulla porta si presentò un enorme scatolone scocciato con vari giri di nastro da pacchi. Sopra il pacco c’era anche un mazzone di rose.
- Quelle sopra sono per te. – disse lo scatolone con la voce di Steve. Jo prese le rose e le tenne in braccio. Rimaneva il pacco.
- E questo?
- Non hai visto la televisione? Consigliano di tenere in casa scorte alimentari sufficienti per tre giorni.
- Appunto. Tre giorni, non tre mesi. Cos’è, razioni sufficienti per sopravvivere alla guerra atomica?
Steve appoggiò lo scatolone per terra, nell’ingresso, e alzò gli occhi su di lei. Tirò fuori quell’espressione disarmante da bravo ragazzo. – Sei davvero bella stasera. Sai di casa.
Jo, imbarazzata, sollevò una mano d’istinto per sistemarsi una ciocca di capelli. Sentì la stoffa ruvida del guantone da cucina contro la fronte, e si rese conto che dalla torta in poi non lo aveva tolto. Così come aveva tenuto il grembiule e delle meravigliose ciabatte dei Giants.
Speriamo che Barbie sia quella gran maestra di seduzione che dice Carter, per recuperare le ciabatte dei Giants ci vuole un vero tocco di class...
Si poteva zittire il cervello? Steve ci era riuscito sporgendosi sopra lo scatolone e dandole un bacio.
- Considera questo come la scatola di cioccolatini.
- Questo…?
Jo sentì un tuffo al cuore, e maledisse la vaghezza del questo, che le aveva fatto pensare a troppe cose. Invece Steve indicava lo scatolone. Jo recuperò la calma, lo aprì e vide impilati barattoli di zuppe, carne in scatola, frutta sciroppata, alcuni pacchi di zucchero e caffè.
- Beh, capitano Rogers, – rise – credo che potremo sopravvivere ai nazi per un bel po’ di tempo.
Tentò di trascinare lo scatolone dentro casa, ma Steve sollevò sia quello che lei e li appoggiò entrambi sul tavolo della cucina.
- Dove tieni le cose? - le chiese con un piglio pratico da militare. Jo indicò lo scaffale accanto al frigorifero, e Steve ricavò dello spazio per fare posto al suo scatolame di sopravvivenza.
Lo stava ancora guardando disporre tutte le provviste in altre pile ordinate, quando sentì una vibrazione provenire dal tavolino in salotto. Andò a prendere il suo cellulare e lesse un sms proveniente da un numero anonimo.
“Tutto ok. Tocca a lei. Cancelli il messaggio dopo averlo letto.”
Seguì le istruzioni dell’agente Carter e pigiò immediatamente il tasto rosso. Intanto Steve aveva finito di sistemare le loro scorte belliche.
- Sono sicuro che Fury capirà, se non andrai al diner domani mattina.
- Oh, in fondo ci sono andata il giorno di un attacco alieno. Direi che la città potrà sopravvivere a un po’ di pioggia.
- Sarà, le notizie erano abbastanza preoccupanti.
- Disse colui che ha combattuto la Seconda Guerra Mondiale. Allora, per stasera io non ho preparato cose così sopraffine come – Jo prese in mano una scatola di carne e lesse l’etichetta – il “Pulled Pork Jelly”, ma spero che ti vadano bene lo stesso.
- Scherzi? È da quando sono entrato che c’è un profumo fantastico. Ricordi? Supersoldato, organismo che va tre volte più veloce, fame perenne.
Ok, quella sarebbe stata la serata Trasforma Anche Tu Una Frase Innocua In Qualcosa Di Molto Ambiguo. Jo scacciò dalla mente qualsiasi immagine che non fosse il polpettone da riscaldare e corse verso la cucina.
- Faccio in un secondo! Perché intanto non ti metti sul divano?
Mise la teglia in forno e prese al volo tutto il necessario per fare la tavola, mentre Steve accendeva la Tv su un notiziario. Fuori, la pioggia scrosciava fortissima e folate di vento facevano tremare le finestre. Nel notiziario, il mezzo busto della giornalista stava davanti a scene di evacuazione e di case inondate.
- Alcune stazioni della metropolitana sono inagibili per allagamento, e le forze dell’ordine stanno chiudendo i tunnel fra Manhattan e la terraferma.
Jo appoggiò il secondo piatto sulla tovaglia e andò a sedersi accanto a Steve. Le immagini della metro allagata erano impressionanti. Non era solo “un po’ di pioggia”.
- Il sindaco Bloomberg consiglia di stare in casa e di non usare l’auto. Se proprio doveste trovarvi nella necessità estrema di farlo, guidate con prudenza e a velocità ridotta.
Bene, aveva anche l’appoggio del sindaco adesso. Stare in casa e non usare l’auto. E allora perché guardando la faccia di Steve si sentiva terribilmente in colpa?
- Beh, almeno sono qui con te e non isolato a Manhattan. – Steve lo disse con una voce molto ma molto poco convinta.
- Steve, io…
- Le vittime accertate dell’uragano Sandy per ora sono state 49, le zone costiere sono le più flagellate da questo evento meter…..piuuuuuuuuuu.
L’intera casa piombò nel buio più totale. La Tv era solo uno schermo nero. L’unica luce proveniva dal gas nel forno, dove Jo stava riscaldando il polpettone. Lo scroscio della pioggia, fuori, rimbombava ancora di più sulle pareti dell’appartamento.
- Aspetta, devo avere qualche candela in cucina.
Jo percorse lo spazio che separava il divano dai cassetti guidata dalla luce del forno. A tastoni riconobbe la superficie liscia di una candela, la accese con la fiamma del gas e tornò in salotto: Steve era immobile a guardare lo schermo spento del televisore, con gli occhi semichiusi e le mani irrigidite.
- Ci saranno altre zone senza elettricità, come la nostra?
Jo annuì: fuori dalla finestra, il quartiere era totalmente al buio come casa sua.
- E ci saranno persone con la casa inagibile. Manhattan è isolata. - Steve guardava fuori dalla finestra come se potesse percepire le grida di soccorso degli sfollati. Si girò di nuovo verso di lei e le prese le mani.
- Almeno – lo ripeté ancora meno convinto di prima – sono qui con te e so che stai bene.

Già. Bloccati in casa da un uragano, senza luce, col sindaco che dice di non uscire a meno che non si tratti di un’emergenza gravissima. A volere una scusa perfetta, non si sarebbe potuto escogitare di meglio. Non lo scenario ideale, lo scenario ottimale per il suo piano.
Già.

Jo pensò al suo stupido vestito azzurro, alla cena, al sacchetto appallottolato nel suo comodino, all’agente Carter e alla moto di Steve manomessa.
Fece un sospirone, chiuse gli occhi.
- Senti, là fuori la gente ha bisogno di più aiuto possibile. Vai a vedere cosa sta succedendo. - Bene, la sua voce non suonava così tanto delusa. Steve, realizzato quello che gli aveva detto, aveva un’aria felice e preoccupata allo stesso tempo.
- E tu?
Jo fece spallucce.
- Non saprò sollevare una macchina o buttare giù i muri di una casa per salvare chi è intrappolato dentro, ma credo che al punto di raccolta sfollati un paio di braccia in più faranno comodo. Se non ti offendi, porto anche le provviste da bunker antiatomico e la nostra cena, tanto qui si fredderebbe e basta.
- Sei eccezionale. - Steve la baciò. - Domani mattina ripasserò da qui, per vedere che vada tutto bene.
Ok, non piagnucolare proprio adesso.
E sarebbe bastato quello, in realtà. Un pianto della fanciulla disperata avrebbe convinto l’eroe a stare al suo fianco per proteggerla da ogni pericolo. Sì, il Temibile Fusibile Saltato. L’eroe sarebbe rimasto, se ne sarebbe andata solo la sua dignità.
- Se domattina tu non dovessi tornare perché c’è ancora da fare, beh, immagino che ci vedremo al diner. Ah, aspetta! - Se l’agente Carter aveva fatto il lavoro a puntino, come aveva promesso nel messaggio, c’era un ultimo problema da affrontare. Jo frugò nella ciotola all’ingresso e tirò su un portachiavi. Lo guardo qualche istante, stringendolo forte nella mano, poi lo porse a Steve.
 – Prendi queste.
Steve afferrò al volo le chiavi della moto di Jo e le guardò, stupito.
- Ho la mia.
- Così devi per forza venirmela a restituire. E ho fatto il pieno stamattina. E se devi fare qualcosa di particolarmente stupido, è vecchia e scassona. Così ho la scusa di prendermene una nuova.
Credici credici credici. Non avrei le forze di spiegare. E nemmeno il coraggio.
Steve mise in tasca le chiavi e le sorrise. Benedetto ingenuo ragazzone.
- Allora a domani. Anche perché…
- Cosa?
- Niente, credo che avrò voglia di rivederti.
Jo si godette per qualche istante il calore che le saliva dallo stomaco e che aveva cancellato la Temibile Frase Interrotta: abbracciò Steve sulla soglia, prima di lasciarlo andare a fare le sue cose eroiche.
Quando il ragazzo scomparve giù per le scale, Jo tolse con stizza il vestito, la collana e le calze, e li lasciò sul pavimento della camera. Non aveva nemmeno voglia di piangere, si sentiva solo come una bambina a cui i genitori non avessero voluto comprare una bambola bellissima: capricciosa e idiota.
Si infilò il giaccone pesante e si calcò un berretto di lana in testa, raccolse le provviste in due sacchetti di stoffa, si mise in tasca una pila e prese il volantino che era stato distribuito in tutta la zona, dove c’erano mappa e indirizzo per arrivare al centro evacuati. Chiuse la porta a tripla mandata e si avviò per la strada. Con la pila stretta fra i denti, controllò la mappa sul foglietto e la strada vera, illuminata fiocamente solo dalla luci di emergenza.
La pioggia le batteva in faccia sferzante e le raffiche di vento la sballottavano per la strada, tanto che ringraziò le due borse che le facevano da contrappeso. Le luci del centro rifugiati arrivarono come una benedizione dal cielo. Entrò che avrebbe potuto strizzarsi i capelli, da quanto li aveva bagnati, e andò verso una donna in divisa.
- Salve, io…
- Da quella parte, la mia collega le fornirà una coperta e una tazza di tè caldo. – la signora, spiccia, le indicò un corridoio alla sua destra.
- No, io… vengo per aiutare. Ho anche del cibo, se qualcuno ne ha bisogno.
La donna capì che non era una rifugiata ma una volontaria, e la accolse come una visione mistica. La piazzò subito alla distribuzione coperte.
L’energia elettrica lì arrivava ancora, e le Tv dei corridoi trasmettevano le immagini della tormenta in varie parti della città. La giornalista leggeva i nomi delle prime vittime accertate, poi passò una carrellata di immagini delle stazioni della metropolitana allagate e dei tunnel di collegamento con Manhattan chiusi per via della pioggia intensa. Sia Manhattan che Brooklyn, stava dicendo la giornalista, erano state colpite da numerosi blackout, ma i tecnici erano già al lavoro per trovare una soluzione.
- Un aiuto inaspettato, poi, sta arrivando dal plurimiliardario Tony Stark, che sta mettendo a disposizione della città l’energia sprigionata dal reattore Ark, una tecnologia segreta che le industrie Stark stanno sperimentando negli ultimi anni.
Alle spalle della giornalista c’era un’immagine di repertorio di Tony. Jo rise, pensando alla sua lista complici e a come avrebbe reagito Tony se i suoi piani fossero andati in fumo in questo modo: probabilmente avrebbe liquidato Sandy con “una pioggerella”.
Un’altra voce molto familiare, proveniente dalla Tv, la fece sobbalzare.
- Voglio dire alla popolazione di New York che non si deve preoccupare, perché questa città ha molti eroi a difenderla. Eroi come le forze dell’ordine o il corpo dei vigili del fuoco, che non abbandoneranno mai la popolazione in momenti di prova come questi.
Oh Steve…
Gli inconvenienti di uscire con capitan America, insomma.


Scenario 4, aka uragano Sandy:
New York è stata spazzata da un uragano che non si vedeva da decenni e il tuo ragazzo ti ha coinvolta in una missione di assistenza ai poveri civili sfollati. Ti ritrovi dunque sul divano, alle ore 5 di mattina, con la luce saltata e…

- Miseria ladra il freezer!
Jo scattò in piedi come una molla e corse verso il frigorifero. Il ghiaccio nel comparto freezer, mezzo sciolto, si rovesciò sulle sue pantofole in un rivoletto di acqua ghiacciata. Jo fece un balzo indietro e scalciò via le pantofole zuppe.
- Straccio straccio straccio… - i riflessi delle 5 di mattina dopo una notte passata a distribuire coperte e tè caldo erano peggio di quelli post-sbronza. Aprì lo sportello sotto il lavabo, dove teneva gli attrezzi per pulire, e fissò a lungo il mucchio di roba prima di ricordarsi cosa cercava.
Stracci gialli.
Ne prese un mucchio e tornò verso il frigorifero: il laghetto aveva quasi raggiunto lo scaffale della dispensa, lo arginò prima che l’Inondazione Freezer si aggiungesse alle catastrofi della nottata. Ripassando sugli stracci gialli, che facevano ciaff ciaff ciaff sotto i piedi nudi, raggiunse l’ultima vittima di Sandy, un barattolo di gelato da mezzo chilo. Recuperò pure due cucchiai e tornò verso il divano. Una giacca buttata metà per terra e metà sul tavolino del salotto annunciò il ritorno di Steve.
Il prode capitan America era stravaccato sul divano, con schiena e testa affondati nei cuscini e gli occhi chiusi. Si era fatto scivolare via la giacca di dosso senza badare a dove sarebbe finita. Jo la prese da terra con la mano libera e la buttò sul tavolino, troppo stanca per arrivare fino all'attaccapanni.
Steve aveva addosso solo una maglietta bianca, che si alzava e si abbassava a ritmo col suo respiro tranquillo. Da qualche parte in fondo allo stomaco, arrivò a Jo un dolorino di rimpianto, ma forse era solo la fitta di freddo che arrivava dal barattolo alluvionato. Diede a Steve un bacio sulla fronte e gli si sedette accanto, incredula per quanto fossero morbidi i cuscini del suo povero divanetto sfondato.
Steve batté qualche volta le palpebre e la mise a fuoco.
- Buongiorno principessa! – Jo gli diede un secondo bacio sugli occhi semi chiusi. Steve si stiracchiò e si mise seduto più dritto.
- Ti ho mai detto che il tuo divano è la cosa più comoda che io abbia mai provato?
Il dolorino di rimpianto minacciò un picco: Jo lo stoppò togliendo il coperchio al barattolo di gelato. Raccolse le gambe sul cuscino del divano e porse uno dei due cucchiai a Steve.
- Capitano, questa povera vittima americana ha bisogno di una morte dignitosa per mano di un vero patriota.
Steve la guardò con gli occhi ancora velati di sonno; spostò al rallentatore le pupille dalla faccia di Jo al barattolo.
- “American flag”?
- Qualcuno alla Baskin’ deve aver pensato che, nei momenti di sconforto, tanto valeva che i loro consumatori si sentissero patriottici. – Jo rigirò in mano il barattolo contentente un gelato blu, rosso e bianco, su cui garriva una bandiera americana – e poi le stelline di cioccolato sono buone.
Steve gettò di nuovo la testa all’indietro, stavolta per ridere di gusto. Prese il cucchiaio che Jo gli porgeva e lo affondò nel barattolo.
Jo lo incastrò fra loro due e prese il telecomando.
- Se siamo fortunati, a quest’ora di solito danno film che potresti conoscere anche tu.
Pigiò qualche volta il bottone verde, ma lo schermo rimase nero. Ingoiò un cucchiaione di gelato e pigiò ancora sul pulsante, con più forza. Quando il gelato le si sciolse in bocca, si ricordò perché lo stavano mangiando e perché avrebbe potuto consumare la gomma del bottone prima che la Tv desse segni di vita. Lanciò il telecomando sul tavolino e si appoggiò alla spalla di Steve. Lui le passò un braccio sopra le spalle e se la strinse contro; la carezza delle sue dita tra i capelli era da fusa, Jo si stupì che dalla pancia non le uscisse un ronron soddisfatto.
- Non è un dramma, - Steve aveva appena ingollato un altro cucchiaio gigante del gusto blu – ai miei tempi la Tv non c’era e le serate passavano lo stesso.
Invece che il ronron, dallo stomaco Jo sentì di nuovo il dolorino (stavolta più un dolorone) che non le fece godere del tutto la cucchiaiata successiva.
“Perché il papà e gli zii sono in cinque e io sono da sola?”
“Tesoro della nonna, ai miei tempi non esisteva la Tv e si passavano le serate in altri modi…”
Jo rise nel ricordare la scena successiva: suo padre che le tappava le orecchie e zittiva la nonna con un’occhiataccia. Sussultò per la mano di Steve che le toglieva una ciocca di capelli dalla fronte.
- Un penny per i tuoi pensieri.
- Non ti farebbero piacere.
- Tenta. Tanto sono talmente stanco che mi sarò scordato tutto tra qualche ora.
Jo rise e fissò una stellina di cioccolato che spuntava dal suo boccone di gelato. Decise per una mezza verità:
- Pensavo che parli come mia nonna.
- Quella deliziosa signora che gioca a bridge con me e prepara una torta di mele stupenda? Mi sento lusingato dal paragone. – Steve le prese il polso e deviò il cucchiaio con il gelato verso la sua bocca.
Dopo altri abbondanti bocconi, arrivò il fondo del barattolo: Jo fece il saluto militare.
- Addio, sfortunato cittadino, non dimenticheremo i tuoi coloranti artificiali e il tuo ridotto contenuto di colesterolo. Steve, è morto, non puoi farci nulla.
Steve stava scavando nelle fessure del barattolo per raccogliere fino all’ultima goccia di gelato, ma ne racimolò giusto una punta.
- Non è che hai in freezer anche della pancetta, o della carne che sta andando a male?
- Ehi, Tre Volte Più Veloce! – Jo gli colpì la mano con il cucchiaio. – Aiutare la gente mette un certo appetito, a quanto pare…
Steve continuò a guardarla, implorante. Jo sospirò.
- Devo avere delle uova e del bacon. Non avrò la mano dell’agente Carter, ma vediamo cosa posso fare.
Steve le diede un bacio e la lasciò andare verso i fornelli (“Fortuna che la nonna ha insistito che li mettessi a gas!”). Jo dovette provare qualche volta prima di riuscire a rompere il guscio delle uova, e non tutti i tuorli rimasero interi. L’odore della pancetta sfrigolante la svegliò un pochino di più, quel tanto che bastò per preparare anche una brocca di caffè: il profumo tostato fece il resto.
- Sei una donna da sposare. – Steve era arrivato alle sue spalle e le aveva cinto la vita con le braccia. – Ed è proprio quello, che volevo chiederti.
La mano che reggeva la padella sembrò trasformarsi in burro nei secondi che Steve ci mise per inginocchiarsi a terra.
No, dai, sono stanca. No, non si è inginocchiato per terra nella mia cucina, non sta tirando fuori dalla tasca un, ohmiodio, un cofanetto. E quello non è un…
- Voglio poter uscire in missione, come stanotte, e sapere che non sarai distrutta a piangere per me, ma mi starai aiutando. Voglio tornare in un posto dove so che ci aspetteremo a vicenda per preparare bacon, pancetta e gelato alle cinque di mattina. Vorrei passare il resto della mia nuova vita con te. – le infilò qualcosa all’anulare, ma Jo non aveva il coraggio di togliere gli occhi dai suoi.
- Anche se parlo come tua nonna, vuoi sposarmi, Josephine Elisabeth March?
Muovi… muovi quella testa, annuisci! E non piangere, maledizione non…
Jo sentì il freddo del cerchietto di metallo sul dito e subito dopo le dita bagnate di lacrime.
- Ehi, non era proprio l’effetto che volevo ottenere. – Steve la abbracciò e lei poté soffocare i singhiozzi contro la maglietta bianca.
- Io… e io ieri notte volevo solo… oh mio dio, Steve.
- Credo che esista un solo Dio…
-…e non si veste certo in questo modo.
Steve rise, e anche a Jo scappò qualche risatina tra i singulti.
- Oh, bene, stiamo migliorando. E dopo il grande ritorno dell’ironia, che ne dici di smettere di tenermi sulle spine?
Jo staccò la guancia dalla maglietta di Steve e gli posò le mani sul petto. Sull’anulare sinistro brillava quella cosa là e sembrava avesse assorbito tutta la luce che se n’era andata da New York.
- Sono le cinque di mattina, Steve.
- Cinque e mezza, a essere precisi.
- Siamo nella mia cucina.
- Esatto.
Forse si era addormentata sul divano. Strusciò un piede sul pavimento della cucina e urtò una delle due ciabatte, ancora zuppa: il fastidio dell’acqua gelida sul piede nudo era troppo vero.
Steve.
In cucina.
Con un anello.
- Sì.
Steve la stritolò contro il suo petto e le riempì di baci i capelli e la fronte. Jo si allungò per gettargli le braccia al collo ma scivolò sulla ciabatta bagnata. Mancò le spalle e si aggrappò alla stoffa della maglietta. Le braccia di Steve la sorressero prima del capitombolo finale.
Lui, non contento, la sollevò in braccio e la portò fino al divano in salotto. Scalciò via il barattolo vuoto del gelato e la buttò fra i cuscini.
Jo seguì il barattolo che rotolava fino a sbattere contro la giacca abbandonata.
- Capitano Rogers, dovremo fare qualche discorso sulla pulizia e l’ordine in casa, per quan… - Steve la zittì con un bacio e salì sopra di lei, sul divano.
- Steve?
Jo lo guardò negli occhi e riconobbe quella espressione.
- Scusami, io… Non credere che abbia detto tutto per arrivare qui, non so nemmeno… non so nemmeno bene cosa devo… voglio fare.
Stavolta fu Jo a interrompere con un bacio il fiume di parole. Il dolorino di rimpianto si era trasformato in un ruggito di gioia che le aveva riempito lo stomaco, la testa e il cuore.


- Signora Rogers, non suona bene?
Jo inspirò una boccata di fumo dalla sigaretta mentre contemplava il brillante che rifrangeva la luce mattutina. Alla domanda di Steve, il fumo le andò di traverso e lo tossì fuori, con gli occhi che le lacrimavano.
- Ehi, – rise lui – mi pareva di aver capito “sì” qualche ora fa.
Jo lo guardò, truce, e si risistemò il lenzuolo sul seno.
Steve si era appoggiato su un fianco per godersi meglio la scena. Con la sua sigaretta in mano, i capelli spettinati e il lenzuolo poco più sopra dell’ombelico, era stupendo. Guardò la brace della sigaretta e inspirò anche lui una boccata di fumo.
- Ora capisco le scene dei film. È… soddisfacente.
- Soddisfacente? – Jo rise e appoggiò la testa sulla sua pancia. Con il pollice rigirò l’anello attorno al dito e sorrise, perché “signora Rogers” suonava assurdamente bene.
- Senti, futura signora Rogers…
- Steve, per piacere.
- Ok, senti Josephine – Steve spense la sigaretta nel posacenere – non è che riusciamo a dare una scaldata a quelle uova e quel bacon di prima?
Jo spense a sua volta la sigaretta e si stiracchiò. – Letto e cucina, non male come accoppiata.
- Gli unici due posti dove dovrebbe stare una donna.
Jo rimase pietrificata anche dopo che Steve rischiò di soffocare dalle troppe risate.
- Ma brutto…
Jo afferrò il cuscino e glielo sbatté in faccia: da dietro l’imbottitura, le risate continuarono, anche se più soffocate. Steve bloccò i suoi tentativi di pugni con la stessa facilità con cui avrebbe fermato una bambina, e la tirò sopra di lui.
- E voglio le camicie stirate. Che tempi, se continua così le donne vorranno anche votare!
- Idiota. – Jo si liberò e cercò a tastoni la maglietta caduta sul pavimento. Steve si tirò a sedere sul letto e si stiracchiò.
- Non è che hai un’altra sigaretta?
- Nel cassetto del comodino – rispose Jo d’istinto mentre andava verso il bagno. – NO, IL CASSETTO! – urlò ritornando indietro. Ma Steve aveva già scovato quell’altra cosa là.
- È nuovo.
Tra tutte le osservazioni, tutte! (è blu e rosso, è di pizzo, è nel tuo cassetto), perché proprio “è nuovo”? Perché quella che le avrebbe mandato a fuoco la faccia?
- Già.
- Quindi, se è nuovo… - Steve aveva un’espressione abbastanza diversa da quella solita da bravo ragazzo.
E Jo confessò tutto, da Carter alla moto, a Barbie e il suo completo Victoria’s Secret. A ogni particolare, avrebbe voluto che si aprisse una crepa nel pavimento, un buco nero nel soffitto, qualsiasi cosa.
Però Steve che rideva, e rideva ancora di più per il suo imbarazzo, e poi la abbracciava di nuovo, e poi proponeva una prova del babydoll di pizzo (“la povera Barbara ci rimarrebbe male”) valevano anche la confessione di aver tentato di sedurre capitan America.


- L’alimentazione del New York University Hospital sta procedendo senza problemi. Il flusso di energia è stabile e tutti i macchinari funzionano a pieno regime. Bene signor Stark, da stasera lei è un genio miliardario playboy molto ma molto filantropo. – Pepper guardò fuori dalla Stark Tower il punto di luce in mezzo al buio, corrispondente all’ospedale che l’energia del reattore Ark stava alimentando.
- E non trova estremamente sexy tutta questa filantropia, signorina Potts?
Pepper sfuggì all’abbraccio di Tony e gli batté una penna sul naso. – Settimana prossima i piccoli ricoverati dell’ospedale ti consegneranno un’onorificenza. Credo che si aspettino di vederti arrivare in tutto il tuo splendore da Jeeg Robot d’Acciaio.
- Lega metallica di oro e titanio.
- Dettagli. I bambini adorano i robottoni.
- Anche gli amministratori delegati, ho sentito. Soprattutto se sono giovani e attraenti. Sarò costretto a mandare una lettera all’ufficio contro le molestie sul lavoro, signorina Potts.
- Perfetto, finirà seppellita sotto tutte quelle contro di lei. – Pepper si appoggiò alla scrivania e lasciò che Tony la baciasse. – Invece sai di cosa avrei bisogno, in questo momento?
- Uno fa di tutto per non essere volgare e/o ammiccante e poi tu…
- Avrei bisogno - Pepper gli tirò il pizzetto in modo che abbassasse lo sguardo, - di cambiare aria e farmi una bella colazione. Dici che gli agenti SHIELD sono abbastanza affamati da tenere aperto il diner Apollo anche dopo l’uragano?
- Controproposta. Ce ne andiamo a letto e dopo ti preparo un bel caffè. Per essere precisi, il caffè lo preparerà Jarvis, ma dato che io ho costruito Jar… -
Pepper lo zittì poggiandogli l’indice sulla bocca.
- Tony, sono rimasta alzata 48 ore a guardare dieci schermi contemporaneamente, mentre tu e Bruce trovavate il modo di convogliare e deviare parte dell’energia della Stark Tower per riaccendere Manhattan. Ho le tempie che mi pulsano e tanta voglia di un french toast dorato a puntino.
- Ecco, Bruce Banner, ottimo punto. Lui adesso il mal di testa lo sta smaltendo assieme alla bella lavanderina.
- Tony.
- Ok, french toast. Ma più tardi, se proprio vuoi restare in tema di Francia…
Tony riprese fiato dopo la gomitata di Pepper che erano già entrati nel diner Apollo. Il locale era molto più affollato del solito, sia di personale SHILED che di comuni agenti di polizia.
Carter coordinava la distribuzione di una fila ordinata di packet-lunch, preparati apposta per chi doveva tornare in fretta ai punti di soccorso. Al trillo della campanella d’ingresso, non si girò neppure nella loro direzione, ma esclamò senza perdere un secondo: - Signor Stark, un attimo e sono subito da lei e dalla signorina Potts!
La folla nel locale si smaltì nei dieci minuti successivi, lasciando il diner sgombro e, come unica colonna sonora, l’agente Carter che sbatteva uno dei suoi impasti nella ciotola, vagando per il corridoio che separava la cucina dai tavoli. Quando arrivò dove erano seduti, tirò fuori il rilevatore.
- Scusi, signor Stark, protocollo.
La luce blu scannerizzò tutto il corpo di Pepper, che fu dichiarata pulita. Anche il corpo di Tony passò sotto la luce azzurra senza che trovasse nulla di anomalo. Tony aveva già attaccato la brocca di caffè, perché la fissità con cui si stava occupando della plastica del tavolino non gli garbava molto. Doveva aver guardato talmente tanto gli schermi delle Stark Industries che ora vedeva il suo cognome ovunque, in azzurrino.
- No, un attimo.
Strappò di mano a Carter il rilevatore e puntò di nuovo la luce sul tavolo: in stampatello apparve scritto TON…ARK e sotto, in corsivo, una specie di elenco in tre punti. Tony puntò la penna ancora più vicina alla superficie del tavolo e cominciò a decifrare parola dopo parola la scrittura. Fu dopo la difficile computazione di “inversamente proporzionale” che sentì il rilevatore strappato dalla sua mano.
- Agente Carter!
Big Jim stava passando una spugnetta sul tavolo e aveva già infilato il rilevatore nella tasca del grembiule.
- Mi scusi, signor Stark, informazioni riservate.
- C’è il mio nome, in quelle informazioni riservate.
- Solo perché lei era stato candidato come agente. Poi la missione è stata affidata ad altri.
Tony si grattò il pizzetto. Il suo quinto senso e mezzo aveva fiutato una notizia succulenta. Seguì l’agente Carter fino al divisorio della cucina e si mise e mangiucchiare un biscotto alla cannella.
- La missione.
- Non sono autorizzato a dare ulteriori informazioni.
- Ma non serve che parli, agente: facciamo finta che io stia giocando a, diciamo così, Cluedo. Allora, cominciamo dal colpevole… Intanto non è un agente addestrato. Una spia non scriverebbe mai un piano su un tavolino di un luogo pubblico. Però ha libero accesso a questo locale, e una confidenza tale con me che presuppone io spenda dei soldi per riarredarle la casa. – Tony sbirciò il volto dell’agente in cerca di un anche minimo cambiamento, ma nulla. – Oppure, il colpevole vuole ottenere una cosa per cui sa che io spenderei energie, o almeno dei soldi per un completo sexy. Quindi, colpevole che viene qui spesso, mi conosce bene, vuole una cosa che in un certo senso voglio anche io, per ottenere la quale serve un completino sexy. Escluderei Banner e pure Barton, e direi anche Fury e la Romanoff. La prego mi dica che non è l’agente McCallan! No, ma non ho così tanta confidenza con il buon Bree. Beh, è inutile girarci troppo intorno: dico che il colpevole è… la cameriera!
L’agente Carter si era chinato per togliere una teglia di muffin dal forno. Tony interpretò il suo sbattere il portello un po’ più forte come un indizio che era sulla strada giusta.
- Il luogo, beh, il luogo è facile. Qui si parla di un appartamento che non può che appartenere alla scrivente, cioè alla suddetta cameriera. L’arma del delitto è altrettanto facile. Se non sarà il completino già citato, sarà comunque la seduzione.
L’agente stava disponendo i muffin in una graticola. Nulla nei suoi gesti faceva trapelare del nervosismo.
- Però in Cluedo è più facile, la vittima è data per scontata all’inizio della partita, mentre qua… Oh avanti Carter! Io cerco di stare al gioco ma lei non mi dà corda per nulla!
Il dlindlin della campanella distolse lo sguardo di Tony dall’agente, che stava stappando una latta di pesche sciroppate sempre senza degnarlo di attenzione, e lo convogliò sulla porta di ingresso, spalancata dall’agente March sottobraccio a Rogers.
Facce stravolte ed esultanti, vestiti del giorno prima rimessi in fretta e furia, un insolito e sospetto punto luce sull’anulare sinistro di lei. Forse nelle sue ipotesi di Cluedo andavano invertiti vittima e colpevole.
O forse erano semplicemente interscambiabili.
- Caspita, le zone costiere sono state flagellate! Tony, leggi qua. – la voce di Pepper gli arrivò da dietro le spalle.
- Dopo, ho un’altra notizia mooolto interessante.
- Mh?
- Pepper, ti prego di assumere un’aria solenne.
- Ecco, sono solennissima.
- Forse abbiamo scongelato il ghiacciolo.











La tana di Otto

Capita che gli scrittori di fanfiction abbiano degli amici che si prendano a cuore le sorti di personaggi di cui scrivi, e ti lancino anche non proprio velate minacce se li trascuri per un po' di tempo. Di conseguenza, Tony Stark aveva cominciato da tempo ad avvertirmi, e nell'ultima settimana un minaccioso cartello sulla porta mi avvisava che sarebbe stato gradito un mio intervento riguardo lo svezzamento di capitan America con una certa cameriera di diner.
Anche, perché, e sono emozionata nel dirlo, la mia ship è STAN LEE APPROVED. Sapevatelo.
Ciao corvacce, dico a voi due, ovvero le mie sempre più sexy assistenti Dragana e Vannagio, che come sempre si sono sobbarcate anche le letture in progress della storia. In particolare, grazie a Vanna per avermi aiutato con l'idea di ambientare la storia durante l'uragano Sandy, e a Dra per aver suggerito a Tony la sua battuta finale.
Un altro ringraziamento al Consulente, che vuole rimanere anonimo, per come mi ha aiutato a delineare la psicologia di Steve in una situazione come questa.
Noticine sparse:
- l'uragano Sandy ha colpito New York il 29 ottobre verso le otto di sera. Come conseguenza, ci sono stati blackout diffusi, allagamenti di tunnel e metropolitane, molti danni sulle coste. I grandi quartieri residenziali di New York sono formati per la maggior parte da villette monofamiliari prefabbricate e con allacci della luce, diciamo così, creativi. Questo ha causato non pochi problemi e anche la necessità per molte famiglie di sfollare. Il centro di assistenza dove ho mandato Jo è uno dei numerosi che sono stati preparati in vista dell'uragano. Purtroppo il New York University Hospital non aveva a disposizione il reattore Ark, quindi è stato evacuato nei giorni precedenti il 29 ottobre.
- il gelato American Flag esiste davvero. E' una delle cose più chimiche che abbia mai mangiato, dopo i biscottini rossi e blu dell'uomo ragno (America, ti adoro quando inventi certe cose), ma le stelline di cioccolato sono buone. Il Pulled Pork Jelly, invece, spero rimanga una cosa che è giusto non esista.
- Elephant Love Medley è il nome di una canzone di Moulin Rouge. La stanze dell'elefante è quella dove Satine dovrebbe sedurre il duca, e invece si ritrova a innamorarsi di Christian.
- il difficile rapporto del genere maschile con i pois è cosa confermata dalla scienza. Anche il Consulente conferma.
- la battuta "Esiste un solo Dio, e di certo non si veste in quel modo" la pronuncia Cap nel film Avengers, e la trovo semplicemente perfetta sotto ogni aspetto.
- il quinto senso e mezzo di solito è prerogativa di Dylan Dog, qui l'ha preso in prestito Tony, che può perché è Iron Man.
- la bella lavanderina la potete trovare di qua, date un occhio che ne vale la pena. E se volete sapere cosa è successo davvero tra lei e Bruce, finita l'emergenza Sandy, date un'occhiata alla pagina delle recensioni che vi risponde Jade in persona!
- devo spiegare cosa sia e come funzioni Cluedo? Ditemi di no che sennò mi sento vecchia quasi come Steve.
E alla fine delle note che non finiscono mai, un grazie gigante a chiunque passerà di qui.






















   
 
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