Fanfic su artisti musicali > Beatles
Segui la storia  |       
Autore: Moonage Daydreamer    11/11/2012    3 recensioni
Ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in uno scatto di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.
(PRECEDENTE VERSIONE DELLA STORIA ERA Lucy in the Sky with Diamonds, ALLA QUALE SONO STATE APPORTATE ALCUNE MODIFICHE.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Help!
 



Sistemai alcuni boccali appena lavati e asciugati sul bancone; era già da un paio di settimane che lavoravo allo Ye Cracke come cameriera e pian piano stavo imparando ad abituarmi al fumo delle sigarette e alla presenza di tutta quella gente nella stessa stanza, e la musica che usciva quasi senza mai fermarsi dal juke-box mi aiutava molto a mantenere la calma necessaria per svolgere le mie mansioni.
Se poi mi sentivo male, potevo sparire per qualche minuto sul retro, aprire una delle piccole finestre e respirare un po' d'aria pulita.
I turni non erano molto pesanti e in genere i clienti erano gentili e beneducati, quindi quell'impiego non mi dispiaceva affatto e, come aveva detto James, "mi aiutava a migliorare la mia capacità di rapportarmi con le persone".
E in effetti mio padre non aveva tutti i torti, dal momento che ero riuscita in poco tempo a instaurare una relazione quasi amichevole con i miei due colleghi.
Quando ero tornata a casa dopo quell'assurda mattinata trascorsa insieme a Lennon, avevo scoperto che non solo James era tornato dal lavoro, ma anche che era già andato a scuola a parlare con i miei, ormai ex, professori.
L'avevo trovato seduto in salotto che discuteva ad alta voce con Elisabeth rigirandosi la pipa d'osso tra le mani.
Nonostante le mie insistenti domande non  mi aveva voluto dare spiegazioni riguardo al suo colloquio a scuola e alla fine avevo desistito dal proposito di sapere i particolari: quello che mi importava era che avevo ricevuto il permesso di smettere di studiare.
Avevo quindi assicurato ai miei che non sarei rimasta a casa a far niente e già quel pomeriggio avevo fatto il giro di tutti i negozi di Liverpool alla ricerca di un posto di lavoro, che il proprietario dello Ye Cracke mi aveva offerto quasi subito.
Servii un boccale di birra ad un cliente, poi andai nel retro per sbrigare alcune faccende che avevo lasciato in sospeso. Sentii vagamente che la porta del locale si apriva, ma non me ne preoccupai perché ero sicura che i colleghi fossero più in grado di occuparsi dei nuovi clienti.
Tuttavia, quando il juke-box cominciò a suonare una canzone di Elvis, istintivamente immaginai che Lennon fosse entrato, magari insieme a Stu.
I miei sospetti furono confermati quando sentii la voce di Cyn cinguettare un'ordinazione.
Mi recai di nuovo nel locale principale e preparai alla mia amica il tè che aveva chiesto, poi salutai lei e Stuart con un bacio sulla guancia e Lennon con un cenno del capo.                                                       Ancora non ero sicura di quanto in là potessi spingermi con il ragazzo.
- Voi volete qualcosa?- chiesi a John e Stu, ma tutti e due declinarono l'offerta.
- Fa ancora impressione vederti dall'altra parte del bancone di un locale come questo, considerando che la prima volta che ci sei entrata hai rischiato il collasso. - osservò Stuart sorridendo.
- Dimmi un posto in cui non lo abbia fatto. - replicò Lennon con il suo solito tono sarcastico ma privo della tagliente cattiveria con la quale di solito si rivolgeva a me.
Per questo motivo, mi ritrovai a ridacchiare alla sua battuta:- In realtà ho scoperto che non è poi così male. -
- E poi il fumo non dovrebbe più darti fastidio, no?- continuò il ragazzo.
- Be', vedi, qualcuno mi ha fatto notare che tutti gli esemplari di essere umano che possono dirsi  purosangue liverpooliani debbono per forza fumare un minimo di un pacchetto di sigarette al giorno, quindi mi sono adeguata allo standard. - replicai sulla stessa falsariga.
Mentre servivo il tè a Cyn, la quale stava ridendo come una matta, incontrai lo sguardo interdetto di Stuart, che evidentemente non riusciva a capacitarsi dello strano scambio di battute fra me e il suo migliore amico.
- Stu, tutto bene?- lo chiamai sfiorandogli la spalla per risvegliarlo da quello stato di stupore.
- Sì. - mi rispose lui sorridendo. - Solo che quando Cyn mi ha detto che tu e John avevate fatto pace non sono riuscito a crederci. -
- Più che aver fatto pace, abbiamo firmato un trattato di non belligeranza. - commentai, ma poi dovetti andare a servire un altro cliente e mi allontanai dal gruppetto dei miei amici.
Con la coda dell'occhio vidi che Cynthia e John andavano a sedersi ad un tavolo abbastanza appartato, mentre Stu rimaneva appoggiato al bancone e appena ebbi svolto il mio lavoro mi riaccostai a lui.
- Non vai a sederti insieme agli altri?- gli chiesi.
- Non tengo molto a fare il terzo incomodo per tutto il pomeriggio. - rispose scrollando le spalle. - E poi John mi ha chiesto di invitarti alla sua festa di compleanno di questo sabato. -
Aggrottai le sopracciglia:- Perché non è venuto a chiedermelo di persona?-
- Non lo so, dovresti chiederlo a lui. -
- Ricordami di farlo, la prossima volta che ci vediamo, allora. -
- Vuol dire che verrai?- domandò il ragazzo guardandomi negli occhi con una delle sue espressioni indecifrabili che mi mettevano tanto a disagio.
- Non lo so...- risposi arrossendo violentemente, nonostante non ce ne fosse motivo. - Non è tanto tempo che io e Lennon siamo... in rapporti amichevoli. Non vorrei finire per tornare indietro. -
- Non credo che tu corra questo rischio. Penso che anche John, in fondo, fosse stufo della situazione. -
Quel commento non produsse alcun effetto su di me, che continuai ad esitare riguardo all'idea di andare al compleanno di Lennon.
Non era esattamente la cosa più prudente da fare.
- Avanti, - insistette Stuart - ci saremo tutti: io, Cyn, tutti i Quarrymen, McCartney... Mancheresti davvero soltanto tu. -

Com'è ovvio, alla fine cedetti agli sforzi combinati di Cynthia, Stuart e Paul e mi lasciai convincere ad andare alla festa.
Come al solito, non impiegai ore e ore per prepararmi, limitandomi semplicemente ad indossare l'abito verde che avevo indossato la prima e l'ultima volta che ero andata al Cavern (1) , ma questa volta decisi di lasciare i capelli sciolti, invece che legarli come facevo quando uscivo di casa.
Mentre aspettavo che Paul passasse a prendermi, per poi andare insieme a casa della mamma di Lennon, mi sedetti sul divano.
Frency ci mise pochissimo tempo per captare la mia presenza e a saltellare allegramente fino alla sala. In un primo momento fui tentata dal cercare di allontanarlo per salvare la gonna del vestito, ma poi, vedendo gli occhioni del cucciolo, ci rinunciai e lo lasciai salire sulle mie ginocchia.
- Tesoro, puoi venire un secondo? - mi chiamò Elisabeth poco dopo.
La raggiunsi in cucina.
- Sì?- le chiesi. Mi squadrò per qualche secondo.
- Sei bellissima. - disse, ma capii subito che quello non era ciò di cui mi voleva parlare. Infatti, mi si avvicinò e mi prese una mano.
- Anna - mormorò a bassa voce. - L'ultima volta che ti ho lasciata uscire da quella porta per andare a una festa mi sono ritrovata in ospedale in piena notte senza sapere se la mia bambina si sarebbe salvata o no... -
Mi abbracciò, forse per non farmi vedere che stava ricacciando indietro le lacrime.
- Questa volta ritorna a casa, per favore. -
Il suono del campanello mi fece quasi sussultare e sciolsi di colpo l'abbraccio; sorrisi ad Elisabeth.
- Ci vediamo presto, ok?- le dissi stringendole la mano.
Le baciai la guancia, poi mi decisi ad andare ad aprire a Paul, che nel frattempo mi stava aspettando fuori.
- Finalmente, stavo cominciando a darti per dispersa!- esclamò il ragazzo appena aprii la porta, ma io ero ancora emotivamente provata dallo sprazzo di conversazione appena avuto con mia madre per ridere della sua battuta.
Dallo sguardo che mi rivolse, Paul capì il mio stato d'animo, ma non mi fece domande e cercò di risollevare il mio morale prendendomi per mano e facendomi fare una piroetta.
- Ti sei messa in tiro questa sera!- esclamò mentre mi fermavo, poi si chinò, come al suo solito, per baciarmi la mano. - Non avrei potuto desiderare accompagnatrice più bella. -
Appena lasciò la mia mano gli tirai una gomitata: - Smettila di fare il cretino. -
L'allegra risata del mio amico mi rassicurò sul fatto che fosse stato tutto uno scherzo.
Mi prese sottobraccio e insieme ci dirigemmo verso la festa di John, la quale era, come c'era d'aspettarsi, molto... rock 'n' roll.
Quando arrivammo a casa Dickins la festa doveva essere già iniziata da un po', perché le stanze erano già affollate all'inverosimile e, se si escludevano i pochi amici che avevo, erano ben pochi i volti a me noti.
Si sarebbe prospettata una lunga serata, ma almeno ero sicura che la musica sarebbe stata ottima.
- Vieni, cerchiamo gli altri. - mi disse Paul e mi prese per mano, per poi buttarsi in mezzo alla folla. Mi aggrappai alla sua mano con tutte le mie forze, come se fosse l'unica cosa che evitasse di farmi trascinare via dal mare di gente.
Per fortuna non fu difficile trovare John, Cyn e Stu, che stavano chiacchierando fra loro accanto al giradischi.
Feci gli auguri a John, poi lui, Paul e Pete Shotton, che nel frattempo si era unito a noi, cominciarono a discutere qualcosa riguardante il gruppo.
- Allora, che ne pensi della festa?- mi chiese Cynthia avvicinandosi per farsi sentire sopra la musica senza dover urlare.
- Direi che è molto affollata. - risposi guardandomi intorno e cercando di individuare eventuali porte che dessero sull'esterno.
- Credi di poter sopravvivere fino alla fine?- domandò Lennon con tono di sfida, distogliendo l'attenzione dalla sua conversazione.
Alzai il mento e ricambiai il suo sguardo con un'espressione orgogliosa:- Senza alcun dubbio. - 
Il giradischi cominciò a suonare Maybellene  di Chuck Berry.
Lennon distolse lo sguardo, prese Cyn per mano e si spostò in mezzo alla stanza per ballare, mentre Paul riprendeva a parlare con Shotton.
Stu, invece, si avvicinò, mi sorrise e si chinò appena.
- Balli?- mi chiese sottovoce all'orecchio, come se quella domanda fosse un segreto che solo io e lui avremmo mai dovuto conoscere.
Era così vicino che sentivo suo respiro sulla pelle del collo.
 Sentii il volto avvampare e annuii appena.
Mi prese delicatamente la mano e mi portò vicino a dove c'erano anche Lennon e Cyn.
Trascorsi gran parte della serata a ballare sia con Stu che con Paul, ma ogni volta che ero con quest'ultimo e alzavo gli occhi da lui incontravo lo sguardo di Stuart, che mi faceva arrossire e accelerava il mio battito cardiaco.
Nonostante questa sensazione di disagio, dovetti riconoscere che fu una delle serate più divertenti della mia vita, e ogni volta che si affacciava il problema della claustrofobia c'era sempre qualcuno pronto a farmene dimenticare.
Dopo parecchie canzoni ci ritrovammo di nuovo tutti e cinque insieme in un angolo un po' più appartato, vicino ad un tavolo su cui svettavano parecchie bottiglie di birra, alcune piene, altre vuote per metà o completamente svuotate.
John, Stu e Paul si gettarono su di esse come se stessero per morire di disidratazione e anche la mia migliore amica prese una bottiglia.
Dopo aver stappato la propria, Lennon si accorse che io non accennavo ad allungare il braccio verso il tavolo, così fu lui a pormene una.
- No, grazie. - cercai di rifiutare, ma il ragazzo non mi diede retta.
- Dopo avermela fatta fumare, adesso vuoi anche che beva! - esclamò Cyn ridendo. - Stai cercando di traviare la mia migliore amica, per caso?-
Ancora una volta mi lasciai convincere dalle insistenze dei miei amici e afferrai la bottiglia di birra.
Bevvi a piccoli sorsi, ma trovai subito molto gradevole il gusto amaro della bevanda.
Lennon sorrise soddisfatto e svuotò la bottiglia, poi lui e Paul si allontanarono di nuovo.
Io, Stu e Cyn rientrammo nei ritmi frenetici della festa e ben presto cominciai a non capire più niente.
Non sapevo esattamente quanta birra avessi bevuto, ma forse bastò solo quella prima bottiglia per farmi girare la testa.
Mi sentivo risucchiata da un vortice, ma all'improvviso mi ritrovai da sola in mezzo alla marea di sconosciuti.
Andai nel panico.
Chiamai più e più volte Paul e Stu e Cyn, ma nessuno mi rispondeva.
Arrancai fino ai lati della stanza e mi appoggiai al muro per percorrere il breve tratto che mi separava dalla porta esterna.
Uscii in cortile e mi sedetti in mezzo al prato; fu un sollievo respirare l'aria pungente della notte, che da sola riuscì a calmare parecchio il capogiro.
- Tu sei Anna Mitchell, vero?- chiese una voce femminile alle mie spalle.
- Sì. - risposi mentre mi alzavo di scatto e mi giravo.
Davanti a me c'era la mamma di Lennon, che il ragazzo mi aveva presentata durante la festa, uscita per fumare la sigaretta che si stava accendendo in quel momento.
- Ho sentito di tua madre. Mi dispiace per quello che le è successo. - continuò la donna.
Strinsi i pugni e respirai profondamente per placare la reazione che quelle parole avevano scatenato.
- Non vorrei offenderla, signora - sibilai - ma stento a crederlo. -
Julia sembrò mortificata:- Sono io quella che non avrebbe voluto offendere, ma credo che la tua reazione sia più che comprensibile. -
Le sue scuse mi permisero di allentare un po' la tensione, ma rimasi comunque sul chi vive.
- Ho conosciuto tua mamma. - spiegò la donna. - Tanto tempo fa, prima che tu nascessi; eravamo molto legate. -
Sgranai gli occhi, letteralmente sconvolta da quelle parole.
Per lungo tempo avevo sopportato il disprezzo della gente che le era più vicina e ora scoprivo che una perfetta sconosciuta era una sua amica.
Potevo davvero credere a una cosa del genere?
Qualcosa dentro di me mi faceva continuare a dire di no.
Julia si sedette sul bordo del patio e fece un profondo tiro.
- Lo sai, mentre era incinta continuava a ripetermi che saresti stata il dono più grande della sua vita, nonostante la sua famiglia credesse che il tuo concepimento fosse stato... un errore. - disse la donna - E giurava in continuazione che sarebbe stata disposta a scendere a piedi nudi nell'Inferno... -
-... pur di trascinarmici fuori .- conclusi io al posto suo.
Chiusi gli occhi cercando disperatamente la forza per rimanere impassibile.
Julia si alzò di nuovo.
- Io torno dentro. - mi informò , ma io la sentii a malapena.
Strinsi le braccia sul ventre, mentre sentivo la nausea aumentare.
Sarei mai stata capace di voltare pagina e andare avanti? Superare quello che era successo?
Sì, certo, superare quello che era successo... Ma se non avevo nemmeno il coraggio di chiamarlo con il suo nome!
Qualcuno uscì dalla casa.
- Anna, dov'eri finita? e' da un po' che ti stiamo cercando. - disse Stuart.
Non mossi un muscolo.
Stu si avvicinò e disse qualcosa che non udii. Sentii però che mi abbracciava e mi stringeva al suo petto.
- Stai bene?- chiese con un tono quasi tremolante.
Mi voltai verso di lui e nascosi il viso tra le mani, ma poi mi resi conto di quanto fosse ingiusto ed egoista comportarmi in quel modo durante una serata che avrebbe dovuto essere divertente per tutti.
- Sì. - risposi scostandomi il minimo indispensabile per cercare di sistemarmi.
Sperai solo che gli occhi non fossero troppo gonfi.
Stu, però, mi prese entrambe le mani e mi fece avvicinare di nuovo.
- Senti, Anna...- incominciò; sembrava timido, quasi impacciato, ed era una cosa cui non ero abituata e che contribuì a farmi battere il cuore alla velocità della luce.
- E' da un po' che ci penso, che vorrei parlarti... - continuò, ma fu subito interrotto da Cyn che chiamava gridando il mio nome.
E poiché nell'ultimo periodo la mia politica era stata quella di evitare ogni situazione che creasse qualche emozione strana, colsi la palla al balzo per rientrare in casa.
Appena al di là dell'uscio trovai la mia amica ad aspettarmi.
- Anna, stai bene?- mi chiese Cyn immediatamente.
Nella lista delle cose che le persone mi dicevano più spesso, quelle due o tre parole troneggiavano al primo posto, ma oramai ci stavo facendo l'abitudine e la cosa non mi seccava nemmeno più di tanto.
- Non molto, in effetti.- risposi.
Vedendo lo sguardo preoccupato della ragazza mi ero resa conto che sarebbe stato inutile mentirle, perché avrebbe comunque capito la verità.
La breve conversazione con la madre di Lennon mi aveva distrutta emotivamente, e dopo ch'ero entrata in casa la testa aveva ripreso a girare.
Era la prima volta che bevevo e non sapevo dire se fossi ubriaca, tuttavia ero cosciente del fatto che avevo bevuto un po' troppo.
- Adesso cerchiamo un posto tranquillo, okay?- disse la mia amica prendendomi per mano e accompagnandomi su e giù per le stanze, faticando ad aprirci la strada fra i ragazzi.
Cynthia mi condusse verso la porta di un piccolo salotto lontano dal rumore della festa.
Mi fece accomodare sul divano e io appoggiai la testa sul bracciolo.
- Torno subito, Anna, tu non ti muovere.- mi ordinò, poi uscì e richiuse la porta.
Mi accoccolai sul divano meglio che potevo, mentre le palpebre si chiudevano da sole e scivolavo nel sonno.                                                                     

Mi trovavo in una stanza senza finestre. Le pareti erano spoglie e l'intonaco scrostato.
L'ambiente era pieno di scatole di cartone e oggetti inutili.
Una luce tremolante illuminava appena il centro della stanza, ma non era abbastanza forte per raggiungere l'angolo in cui ero sdraiata.
Avevo paura e sentivo che stavo sanguinando. Decine di piccoli tagli mi coprivano la pelle.
Il silenzio che regnava nella stanza era surreale.
Strinsi le gambe al petto, mentre i capelli biondi coprivano in parte il mio corpo nudo e seviziato.
Da quanto tempo mi trovavo lì sotto?
Avevo freddo.
Provai a strisciare fino a sotto la luce, ma appena mossi un muscolo, tutto il mio corpo cominciò a contorcersi in preda ad un dolore atroce.
Gridai.
-Cattiva.- disse la Voce.
Una porta si aprì dalla parete in fondo alla stanza.
Alzai lo sguardo, ma non vidi alcuna figura comparire dalla porta.
-Non avresti dovuto provare a scappare.- continuò la Voce.
Dopo qualche attimo di agonia, la luce si spense definitivamente e la stanza piombò nell'oscurità.
Davanti a me comparvero due occhi del colore del ghiaccio, freddi, maligni, spietati.
- Ti avevo detto quello che sarebbe successo se avessi provato a fuggire.- continuò la voce.
Il dolore si fece più acuto, al di là di ogni capacità di sopportazione.
Guardai le mie braccia e mi accorsi che stavano comparendo nuovi tagli, più profondi di quelli precedenti e così in tutto il mio corpo: sulle gambe, sulle cosce, sul ventre, sui seni, sulla schiena, sul collo, sul viso...
Il sangue colava sul pavimento e si mescolava in parte alle mie lacrime.
- Basta! Non farmi del male, ti prego!- urlai disperata, ma la voce rise.
Il dolore aumentò ancora.

- Basta! Fermati! - gridai con tutto il fiato che avevo nei polmoni.
Il mio corpo era sconvolto da tremiti, mentre lacrime di terrore scivolavano sulle guancie.
Mi accorsi che delle braccia mi cingevano e mi tenevano intrappolata.
Cercai di liberarmi, terrorizzata.
-Ti prego, non  farmi del male!- implorai.
Quel qualcuno che mi teneva premuta contro il suo petto mi prese il volto fra le mani, costringendomi a guardarlo negli occhi.
Ma invece di un paio di occhi color del ghiaccio, ve ne trovai uno nocciola, sconvolto dalla mia crisi.
- Anna, guardami!- gridò - Sono io, John! Non ti voglio fare del male! Sei al sicuro qui.-
Gemetti, guardando gli occhi di Lennon, senza riuscire a vederlo veramente.
Riuscivo ancora a percepire il dolore dilaniarmi il corpo.
Posai la mia mano tremolante sulla sua guancia, per accertarmi che fosse reale e non un'altra tortura che l'uomo dagli occhi di ghiaccio voleva infliggermi.
- John...- ripetei il suo nome con la voce tremante.
Il mio sguardo cadde sulle braccia: non c'era nessun piccolo ma profondo taglio su di esse.
Mi passai una mano tra i capelli sudati e respirai a fondo.
- Stai bene?- chiese John.
Ingoiai le mie lacrime e cercai di impormi di non mostrarmi a Lennon in quello stato.
Nonostante i tremiti che mi sconvolgevano e il terrore che si leggeva chiaramente nei miei occhi, mi sforzai di rivolgergli un debole sorriso :- Sì, non ti preoccupare. Era soltanto un brutto sogno. Adesso mi passa. -
Lui sembrò poco convinto.
-Ne sei sicura?-
-Sì, mi dispiace averti spaventato. Mi capita sempre e ormai io ci sono abituata. -
- Non fa niente. Vuoi qualcosa da bere?- mi chiese.
Io annuii in silenzio, temendo che se avessi aperto ancora le labbra sarei scoppiata piangere.
John mi aiutò ad alzarmi perché tremavo ancora e mi girava la testa.
Forse l'effetto dell'alcol non era ancora svanito.
Il ragazzo mi accompagnò in cucina e mi passò un bicchiere d'acqua, ma io gli rivolsi uno sguardo che non ebbe difficoltà a decifrare.
Sorrise e tirò fuori dal frigo due birre.
Mi sedetti sul tavolo e cominciai a bere a piccoli sorsi.
- Non pensavo che avresti davvero cominciato a bere birra.- osservò John, poi ammutolì di nuovo.
Improvvisamente realizzai il fatto che mi trovavo in piena notte con accanto John Lennon.
- Ma che ore sono? E che cosa ci faccio io con te?- domandai scattando in piedi.
-Sono le quattro del mattino. -rispose John - Ieri ti sei ubriacata e ti sei sentita male, così Cyn ti ha portata qui. Poi ti sei addormentata e Cyn mi ha chiesto di lasciarti dormire, dal momento che le sembrava che stessi dormendo tranquillamente. Ma si sbagliava, evidentemente.-
Io annuii :- Ti ringrazio. E scusa se ti ho svegliato. -
Dopo che ebbi pronunciato quella frase mi risedetti sul tavolo, poi entrambi sprofondammo di nuovo nel silenzio.
Nessuno dei due parlava e la cosa si stava facendo imbarazzante e cominciavo a sentirmi oppressa.
Ero ancora sconvolta e la mia tensione era palpabile nell'aria, insieme alle domande che John non aveva il coraggio di pormi.
Mi alzai e appoggiai al bottiglia ormai quasi vuota sul tavolo; non riuscivo a convincere i miei muscoli a stare fermi.
- Sono ricordi.- affermai ad un tratto. John mi guardò sorpreso. - I miei incubi sono ricordi, più o meno.-
-Non sei costretta a parlarne se non vuoi.- disse lui.
- No, non ce la faccio più. - risposi - Deve saperlo anche qualcun'altro, oltre a me. -
Diedi le spalle a Lennon; non ce l'avrei fatta a raccontargli quelle cose guardandolo negli occhi.
- Ti sei mai chiesto perché mia madre ha ucciso mio padre?- dissi infine.
Non aspettai che parlasse, perché sapevo già la risposta.
- Lui... - esitai.
Non potevo parlargliene, non potevo davvero dirlo ad alta voce …
Dopo aver pronunciato quelle parole ad alta voce non avrei più potuto far finta che non fosse mai successo a me.
Sapevo che dovevo farlo, ma faceva maledettamente male.
- Lui … mi violentava.- strinsi una mano nei capelli, cercando di rimanere calma.
Era più difficile di quanto avessi mai osato immaginare, ma ne sentivo l'impellente bisogno: non potevo più andare avanti così.
-Ti violentava...- ripeté John, sconvolto - In... in che senso?-
Mi voltai e lo fulminai con lo sguardo.
- Nell'unico senso che c'è, cazzo!- esclamai in un momento di isteria, tirando un pugno al tavolo, ma immediatamente riuscii a riprendere il controllo sul mio tono di voce.
Mi tremavano le labbra.
- Mi stuprava.-
Mi interruppi per cercare di reprimere le lacrime.
- Quando mamma andava a lavorare, lui mi chiudeva in cantina e mi lasciava lì delle ore, al buio e al freddo, prima di scendere e - cominciai a piangere - dedicarmi la sua attenzione. -
Strinsi i pugni finché sentii male alle dita.
- Non si curava nemmeno di nascondere i lividi che mi lasciava … -
Lennon rimaneva in silenzio, sconvolto quasi quanto me.
- Mamma aveva cominciato a insospettirsi per quel motivo. Poi, il giorno del mio compleanno, per farmi sorpresa era uscita dal lavoro prima ed era andata a comprarmi una torta. Quando era tornata a casa... lo aveva colto mentre mi... - non riuscii a pronunciare quella parola una seconda volta - Così prese la prima cosa che aveva trovato sottomano e lo colpì. Non mi ricordo cosa fosse, ma non ha molta importanza, no? L’ha fatto per proteggermi e le sono sempre stata grata per aver fatto fuori quel bastardo.-
Mi appoggiai al bordo del tavolo, incapace di sostenere ancora il mio peso.
Pronunciare quelle parole mi aveva privata di ogni energia e se prima ero riuscita a mantenere quel minimo di calma necessaria per parlare e contemporaneamente rimanere in piedi , in quel momento ricominciai a piangere, mentre sentivo che le gambe mi tremavano.
John si avvicinò e mi sostenne quando le mie ginocchia cedettero.
Mi aggrappai alle sue spalle per cercare di non rovinare a terra.
Lui si chinò su di me e mi abbracciò, accarezzandomi i capelli.
Nascosi il viso contro il suo petto e scoppiai in singhiozzi.
Era mio padre l'uomo dagli occhi color del ghiaccio che mi tormentava di notte.
Era lui quello che avrebbe dovuto amarmi e proteggermi e che era diventato il mio peggiore incubo.
-Ti prego, John, aiutami... Non ce la faccio più. Lui sta tornando. Sta tornando per vendicarsi. -
-No, Anna. Lui non tornerà più e non ti farà più del male. Andrà tutto bene, vedrai. Ci sono io qui.-
Lasciò che mi sfogassi, poi mi sollevò il volto e mi asciugò le lacrime con la punta delle dita.
Chiusi la mano posata sul suo petto, stringendo la maglietta di lui, e mi protesi fino a sfiorare la sua bocca con le mie labbra.
Lui si scostò.
- Anna, sei sconvolta.- sussurrò, a mo'  di spiegazione - E sei pure un po' brilla. Non proveresti mai a baciarmi con la mente lucida, lo sai benissimo anche tu. -
Mi guardò per un secondo, attendendo una reazione da parte mia, che però non giunse.
Aveva ragione lui: quella sera non ero capace di intendere né di volere.
- Torna a dormire, Mitchell - mormorò dolcemente - Domani spiegheremo la situazione ai tuoi genitori adottivi, va bene?-
Mi prese per mano e mi riaccompagnò sul divano sul quale mi ero addormentata quella sera.
Attese che mi fossi sdraiata, poi mi coprì.
- John. - lo fermai prendendogli il polso prima che si allontanasse - Perché mi hai respinta prima?-
Nello stato confusionale in cui ero, non ero neanche più capace di capire quali fossero davvero le cose importanti, e una cosa stupida come quella era il mio pensiero principale.
John si sedette al mio fianco, accarezzandomi i capelli, poi si chinò appena.
- Tu mi piaci, Anna. Ti desidero più di qualsiasi altra cosa, ma voglio che anche tu desideri me e sono disposto ad aspettarti.-
Mi baciò la fronte, poi si alzò.
- Buonanotte, Mitchell.-
- Buonanotte, Lennon.-
Alzai la coperta sino al viso, come se potesse fare da scudo contro il male che mi assaliva ogni notte.
Mi addormentai subito, spossata dall'incubo e dalla conversazione che avevo sostenuto con John, e riuscii a dormire tranquillamente, almeno per ciò che restava della notte.

Mi svegliai quando il sole cominciò a filtrare dalle persiane e mi alzai massaggiandomi il collo dolorante a causa della scomoda posizione che avevo assunto per dormire.
Piegai accuratamente la coperta e risistemai i cuscini del divano.
Non volevo essere un ulteriore peso per Julia e la sua famiglia, che avevano avuto la gentilezza di lasciarmi dormire lì.
Qualcuno bussò alla porta. Julia aprì lentamente la porta, sorridendo quando mi vide sveglia.
- Buongiorno, cara!- mi salutò.
- Salve, signora Dykins. - dissi cercando di condividere un po' del suo entusiasmo.
- Oh, ti prego, chiamami Julia!- cinguettò lei.
Io sorrisi, ma abbassai lo sguardo.
Mi sentivo terribilmente di peso e mi sentivo un mostro al pensiero di come avevo trattato la donna la sera prima, ma quando cercai di porle le mie scuse, lei mi disse di lasciar perdere.
- Vieni, è pronta la colazione!- mi invitò invece.
Istintivamente mi chiesi come faceva ad essere così allegra ed energica di mattina presto.
- Julia, l'ho già disturbata a sufficienza. Io...-
-Non ci provare! - esclamò lei sorridendo - Non ho intenzione di accettare un no come risposta. Sei nostra ospite, no?-
Scrollai le spalle e le sorrisi, poi la seguii sino in sala da pranzo, dove la tavola era apparecchiata e le due figlie di Julia avevano già iniziato a mangiare.
Accanto a Jacqueline c'era un posto vuoto. Julia me lo indicò facendo cenno di sedermi, poi andò verso la cucina. Mi morsi il labbro inferiore, esitando.
- Io la ringrazio, Julia, ma non vorrei disturbavi ancora...- mormorai.
- Non ti preoccupare, cara! - cinguettò la madre di John tornando con un vassoio di biscotti.
- Io e le bambine siamo molto contente di avere un po' di compagnia femminile, finalmente! Non è vero, ragazze?-
Le due bambine annuirono e incoraggiata dalle parole gentili di Julia mi sedetti, mentre la donna si accomodò al mio fianco.
- Però mi deve promettere che mi lascerà lavare i piatti. - dissi cominciando a consumare la colazione.
Julia, pur continuando a sorridere, mi guardò di sottecchi:- Non farai tardi a scuola?-
Sostenni senza difficoltà il suo sguardo:- Non vado più a scuola, lavoro allo Ye Cracke. Oggi è il mio giorno libero.-
Julia rise:- Allora non potrei mai permettere che sprechi il tuo tempo a lavare i miei piatti.-
- Non è un problema per me - replicai - E devo in qualche modo ripagare la vostra gentilezza.-
La donna sbuffò.
- Certo che non ti dai mai per vinta! Non come John, che si lascia persuadere così facilmente! E va bene, cara: mi arrendo!-
Mentre ridevamo il mio sguardo si posò sull'orologio: erano già le sette e mezza.
- John non viene a fare colazione?- chiesi, anche se non riuscii a capire il motivo per cui posi quella domanda.
- No, John ci mette troppo tempo a prepararsi.- rispose Jacqueline.
Julia mi rivolse uno sguardo eloquente che interpretai con: si sta riprendendo dal dopo-sbronza.
Ridacchiai e presi un biscotto dal vassoio.
Passai il resto della colazione chiacchierando e ridendo con Julia e le sue figlie.
C'era davvero tanta gioia nella mamma di John.
Alle otto passate Julia si alzò da tavola e disse alle bambine di fare altrettanto.
- E' ora di andare a scuola!- disse loro, poi si rivolse a me - Sicura di voler lavare i piatti? Non sentirti obbligata.-
Io annuii, sorridendole:- Sicuro, Julia, non si preoccupi!-
Lei scrollò le spalle:- Ti ringrazio, allora! Forza, bambine, a scuola!-
Attesi che uscissero di casa e salutai con la mano sia Julia che Jacqueline, mentre rivolsi un cenno del capo alla loro mamma.
Raccolsi i piatti e li portai in cucina, dove cominciai a lavarli. Non ci misi molto tempo, poiché le stoviglie non erano molte e poi mi voltai per cercare uno strofinaccio con cui asciugarle.
Mi accorsi che John era appoggiato contro lo stipite della porta e sussultai, poiché non mi aspettavo di vederlo così all'improvviso.
- Ti do una mano. - disse il ragazzo prima che potessi aprire la bocca.
Non sapendo cosa rispondergli, mi limitai ad annuire e afferrai lo strofinaccio appoggiato su uno dei banconi della cucina.
Iniziai ad asciugare i piatti, mentre Lennon li riponeva una volta asciutti.
- Senti, John...- mormorai dopo che anche l'ultimo piatto fu messo al suo posto. Evitai accuratamente di girarmi verso di lui e guardarlo negli occhi. - Le cose che ti ho detto questa mattina, riguardo a mio padre... non le sanno nemmeno i miei genitori adottivi, quindi ti sarei grata se non ne parlassi con nessuno.-
Il ragazzo mi guardò, stupito, quindi fece cenno di sì con la testa.
-Cosa ti ricordi della nostra conversazione?- mi chiese, anche se quella domanda mi sembrò in un primo momento priva di senso. Poi compresi ciò cui si riferiva.
-Tutto. Avevo bevuto, ma non al punto tale di non ricordarmi qualcosa.- risposi - Mi rendo conto che avevi ragione a dire che non ero in me e ti ringrazio per... non aver approfittato della situazione.-
Sentii le dita di John stringere la mia mano.
Il ragazzo mi fece voltare, così da potermi guardare negli occhi. Il suo volto era a qualche centimetro dal mio, talmente vicino che i nostri nasi arrivavano quasi a sfiorarsi. Il mio cuore cominciò a battere tre,quattro volte più veloce del normale. Che mi stava succedendo? Per quale motivo mi sentivo in quel modo semplicemente guardando gli occhi nocciola di John?
Il ragazzo mi accarezzò la guancia con la punta delle dita, poi mi prese la mano e se la portò alle labbra, senza dire una parola.
Mi baciò la mano, ma le sue labbra indugiarono a lungo sul dorso della mia mano, rendendo quel gesto molto più romantico e dolce rispetto a quello galante che caratterizzava il comportamento di Paul. Abbassai lo sguardo cercando di mascherare l'imbarazzo.
- Devo tornare a casa. - dissi, sfilando la mano da quella di Lennon.
- Ti accompagno. - rispose lui con un tono che non ammetteva repliche.

Camminavamo in silenzio, ma per una volta non percepii il bisogno di spezzarlo.
- Com'è possibile che nemmeno i tuoi genitori adottivi sappiano quello che faceva tuo padre? - chiese John tirando un calcio ad un sassolino.
Mi aspettavo che prima o poi mi avrebbe posto quella domanda e mi ero mentalmente già preparata la risposta.
- Mia mamma non ha mai voluto parlarne con nessuno, nemmeno al processo; non che abbia mentito, ma semplicemente non le hanno posto le domande giuste. Ho sempre fatto in modo di rispettare la sua scelta - mi interruppi per respirare a fondo; quell'argomento era meno spinoso di quello della sera precedente, ma mi faceva comunque male - anche se a volte ho creduto che non ce l'avrei fatta a portare tutto quanto da sola. -
Mi dava una strana sensazione parlare di quelle cose proprio con Lennon, ma ora che avevo iniziato non sarei riuscita a fermarmi, almeno fino a quando non mi fossi riuscita a liberare di tutti quei demoni. - Non credevo fossi così forte. - disse John a bassa voce.
- Non lo sono. - replicai con semplicità. - Faccio finta di esserlo, ma non lo sono. E questo si è visto chiaramente.-
Chinai il capo e lasciai che le ciocche di capelli ricadessero sul viso, come una barriera contro il mondo esterno.
Per dieci anni ero rimasta in silenzio e ora avevo detto tutto nel giro di poche ore. Mi sentivo completamente vuota, e non riuscivo a capire se ciò fosse un bene o meno.
Sentii le dita di John sfiorarmi appena la mano, ma quando cercai quel contatto, esso era già svanito.
John si fermò: non mi occorse guardarmi intorno per capire che eravamo davanti al cancelletto della mia casa.
- John... - iniziai, titubante. - mi dispiace averti detto quelle cose, io... -
- Te ne stai pentendo? - mi interruppe, scrutandomi attentamente.
Riflettei qualche secondo, ma sapevo già come avrei risposto.
- No; l'unica cosa che non vorrei aver fatto è scaricare addosso a te tutta quanta questa merda..-
Probabilmente sarei andata avanti all'infinito a snocciolare scuse se un altro, lieve contatto fra le mie dita e quelle di John non mi avesse fermato.
In quel momento, però, Elisabeth corse fuori di casa, dopo averci probabilmente visti dalla finestra.
- Dove diavolo eri finita, Anna Mitchell? - gridò - Stavamo per chiamare la polizia! Hai idea della paura che ci hai fatto prendere?! -
Feci per aprire la bocca, ma Lennon mi precedette e le raccontò, omettendo come gli avevo chiesto alcuni insignificanti particolari, ciò che era successo.
Elisabeth sembrò molto sorpresa nell'apprendere che avevo messo al corrente un mio quasi coetaneo di alcuni avvenimenti del mio passato, e finse di accettare la spiegazione, ma prima di sparire dietro la porta mi rivolse uno sguardo gelido e un "ti aspetto dentro" che mi fecero capire che questa volta non  mi avrebbe perdonata molto facilmente.
- Allora ci si vede in giro. - mormorai a John - Non appena avrò scontato la punizione. -
Lennon sorrise per un secondo, poi tornò serio e mi guardò negli occhi.
- Dimmi che ci penserai, a quello che ti ho detto. -
Sperai invano che il ragazzo non notasse che il mio viso era diventato più o meno del colore della sua chitarra.
- Te lo prometto. - risposi a bassa voce, quasi bisbigliando.
John mi guardò per un altro istante, sorrise di nuovo e si voltò, mentre io rimanevo ancora per qualche minuto a guardarlo mentre se ne andava.


(1) Vedi capitolo 4. - I don't want to spoil the party.
 
_________________________________

Ciao!!!
Innanzitutto, scusatemi per il ritardo, ma queste due settimane sono state infernali e ho avuto pochissimo tempo per scrivere.
Detto questo (e spero che mi perdonerete) veniamo al capitolo.
Era da molto tempo che non vedevo l'ora di arrivare a questo punto della storia, che costituisce una svolta! Non solo perché finalmente Anna riesce a liberarsi almeno in parte dallecatene che la tenevano legata al suo passato, ma anche perché finalmente sembra (dico sembra perché non si sa mai) prendere una scelta.
La seconda parte è stata la prima che ho terminato, proprio perché era da settimane che mi facevo viaggi mentali al riguardo,mentre completare la prima è stato decisamente più arduo.
Comunque credo che il risultato nel suo complesso sia abbastanza soddisfacente.
    

weasleywalrus93: ah, ah, ah! Ti ringrazio per le tue recensioni, perché riescono a mettermi sempre di buon umore. Comunque, credo di aver preso una decisione riguardo alla vita sentimentale di Anna, perché anche io, effettivamente, la vedo benissimo con John!! Alla prossima, allora!

Peace n love.      
                                        
 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Beatles / Vai alla pagina dell'autore: Moonage Daydreamer