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Autore: JulietAndRomeo    11/11/2012    1 recensioni
Io rimasi un attimo interdetta: Nick? Quel Nick? Il figlio di Jeremy? Il tipo che avevo odiato a prescindere?
Come se ci fossimo letti nel pensieroci girammo l'uno verso l'altra: «Cosa?»
«Sta zitto!», «Sta zitta!» urlammo all'unisono e continuammo: «Io?»
«Tu!»
«No!»
«No?»
«Si!»
«Smettila!» concludemmo.
questa è la prima storia che scrivo e l'ho fatto per un concorso letterario a scuola quindi non so neanche come è venuta: la pubblico perché mi piacerebbe avere un vostro parere, non so ancora quanto sarà lunga perché il concorso sarà a settembre quindi devo ancora finirla. E' un giallo/commedia perché non piacciono neanche a me le cose troppo pesanti da leggere quindi l'ho 'alleggerita'. Non vi chiederò un commento, quello deve essere a vostro buon cuore. Adesso vi lascio, buona lettura
Genere: Commedia, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 20: Love never dies.


Caldo.

 

Poi freddo.

 

Voci.

 

Poi silenzio.

 

Buio.

 

Poi luce.

 

Vita.

 

Poi morte.

 

«Dobbiamo... Di là... Operazione... Sedativo...».

Udivo squarci di conversazione. Erano uomini, parlavano in fretta, ma io non capivo.

Aprii gli occhi: una mascherina, un uomo e un camice. Un dottore. Luce.

«Signorina, mi guar...».

Poi buio.

 

 

Dieci minuti prima.

 

Non potevo crederci, l’aveva fatto. Aveva premuto il grilletto.

Ma non era stato fatale, a quanto pareva.

«Adesso tocca a te, le farai compagnia» disse con fare minaccioso.

Mi puntò la pistola in fronte, ma tutto quello che riuscivo a vedere era lei, riversa per terra in una pozza di sangue. Lei che aveva smesso di agitarsi, lei che fino a due minuti prima sorrideva perché era riuscita a disinnescare quell’affare.

Lei il cui futuro era incerto, adesso.

Lei che mi aveva rubato, accoltellato, mutilato il cuore e che non se ne era neanche accorta.

Chiusi gli occhi, nel tentativo di distogliere lo sguardo da Macy e appena ci riuscii, sentii uno sparo.

Eppure non sentivo altro dolore se non quello alla gamba; mi ritrovai seriamente a pensare che se la morte era cosi, poteva anche essere accettabile.

Poi sentii un tonfo e riaprii automaticamente gli occhi: Wollaby era riverso per terra, ai miei piedi e senza vita, con un buco nel cranio.

Guardai verso la porta del locale caldaia e vidi Anderson con una pistola fumante ancora in mano.

Poi vidi tutti gli altri: Lewis, Miller, gli agenti del distretto.

Mi lasciai cadere a terra, del tutto esausto e sospirai con tutta la forza che mi era rimasta.

«Hey, Black, sta bene?» chiese Lewis.

«Si, più o meno, Macy no, occupatevi di lei, fatelo subito, io me la cavo».

«Miller la sta già portando di sopra, c’è un’ambulanza qui fuori, l’abbiamo fatta venire prima, mentre pian piano recuperavamo i membri della Mano Rossa, sparsi per il distretto. Che diavolo è successo qui sotto?» chiese Lewis mentre mi aiutava a mettermi in piedi.

«Abbiamo trovato l’ultima bomba, era... particolare, ecco, Macy l’ha disinnescata e poi è arrivato lui» dissi indicando il corpo senza vita di Wollaby: «Ha sparato prima a me, alla gamba e poi a Macy, al petto. Adesso voglio andare in ospedale, voglio sapere come sta Babù».

«Adesso è nelle mani dei medici, non puoi fare niente, ragazzo; si riprenderà, tranquillo, ha la pellaccia dura quella ragazza».

«Non ho alcun dubbio, ma voglio andare lo stesso da lei» insistetti io, mentre venivo trascinato di peso fuori dal seminterrato.

«L’unico posto dove andrai è la sala operatoria, devono estrarti questo proiettile, poi dopo l’operazione non sta a me dirti quello che devi fare, ma ai medici. Vedi di star attento, sei stato fortunato, oggi» disse l’ispettore mentre mi aiutava a salire i gradini per tornare in superficie.

Io sbuffai, ammettendo tra me e me che Lewis aveva ragione.

«Forza ragazzo, l’ultimo gradino... eccoci» disse Lewis quando tornammo alla luce del sole.

Dei paramedici mi aiutarono a sistemarmi sulla barella e mi portarono fuori, verso l’ambulanza che stava certamente aspettando fuori.

Quando uscimmo, vidi l’ambulanza che aspettava, come avevo già previsto e, sullo sfondo, che adesso appariva sfocato, una piccola folla di curiosi, che cercavano di allungare il collo per vedere cosa stesse succedendo.

Mi caricarono di peso, con tutta la barella, sull’ambulanza e, una volta chiuse le porte posteriori del veicolo, il medico seduto accanto a me, dopo le solite domande di rito e qualche controllo superficiale, mi mise una mascherina sul viso e in pochi secondi mi addormentai.

 

 

Bip... bip... bip...

‘Che suono sgradevole!’ pensai.

Allungai il braccio destro alla ricerca del comodino e della sveglia che aveva disturbato il mio sonno.

Capii che c’era qualcosa che non andava quando toccai quello che doveva essere il mio comodino: ‘È di plastica?!’.

Quello non era decisamente il mio comodino: di plastica, troppo piccolo e soprattutto troppo alto!

L’altra cosa che mi mise in allarme, fu il senso di calore che mi attorniava il naso e la bocca, mentre nel resto del corpo, quella predominante, era la sensazione di freddo.

Aprii gli occhi, lentamente e ammettiamolo, anche con un po’ di fatica. Sentivo le palpebre pesanti, come se il mio stesso corpo mi stesse suggerendo di non aprire gli occhi, di non muovermi, di lasciarmi avvolgere di nuovo da quel torpore in cui ero cinque minuti prima.

Lo avrei fatto, ma quello sgradevole rumore, unito all’ancora più sgradevole sensazione che qualcosa non andava mi costrinse a fare il contrario di quello che mi suggeriva l’istinto.

E così quello che mi si parò davanti quando sollevai le palpebre, fu il soffitto spoglio, asettico e completamente bianco di una camera che indubbiamente non era la mia.

Tentai di girare la testa, ma l’intorpidimento in cui si trovava il mio collo era di gran lunga superiore alla mia volontà o alla mia effettiva forza, che dir si voglia.

Comunque, alla fine, combattendo con i miei stessi muscoli, riuscii a girare la testa, quel tanto che bastava per farmi capire che ad emettere quel bip, non era la mia sveglia, ma un elettrocardiografo, che segnalava la frequenza dei miei battiti cardiaci.

‘Sono in ospedale’.

Due tubicini, collegavano il mio braccio sinistro a due sacche appese sopra il mio letto, una piena di liquido trasparente, l’altra di sangue.

Realizzai di essere nel bel mezzo di una trasfusione e tentai di non muovere il braccio, per velocizzare il processo.

Mi chiesi il motivo della mia presenza in ospedale e la fitta di dolore al petto, in corrispondenza di una macchia rossa sulla superficie candida delle garze, mi fece ricordare ogni evento.

Il mio ultimo ricordo era un sofferente ‘no’ ed uno sparo.

La prima emozione che mi colse fu l’angoscia che arrivò insieme a mille pensieri, uno più odioso e spiacevole dell’altro.

‘Magari Wollaby mi credeva morta e ha sparato a Nick... io sono viva e lui no. È tutta colpa mia, se non avessi ficcato il naso in questa storia non sarebbe successo niente’ il mio cervello elaborò questo pensiero prima che io stessa potessi rendermi conto della situazione, prima che io stessa potessi scendere a patti con la mia coscienza.

‘Ho ucciso Nick. È morto per colpa mia’.

I miei pensieri negativi furono interrotti da due voci concitate provenienti dal corridoio. Tesi dunque le orecchie, togliendo dalla bocca la mascherina per l’ossigeno, e tentai di captare qualche informazione sull’identità dei due interlocutori.

«Sono due giorni che questa storia va avanti. Deve smetterla di disubbidire alle regole, sono fatte apposta per tutelare la sua salute» sussurrava irritato un uomo.

«Non mi importa, accidenti! Sono due giorni che glielo ripeto: voglio vederla. E non tornerò indietro, nella mia camera mi ci dovrà portare di peso se vuole che muova le chiappe da qui, dottore» diceva una voce, che credevo di aver già sentito.

«Io ho trent’anni, ma ieri mia moglie mi ha trovato un capello bianco in testa che due giorni fa non avevo! Lei sta davvero mettendo a dura prova la mia pazienza!» disse a voce più alta il dottore.

«Non m’importa, di qui non mi schiodo!» rispose a tono l’altro.

Il dottore emise quello che definii uno sbuffo, particolarmente forte e parecchio esasperato: «E va bene, ma ha solo cinque minuti, dopo di che mando due degli infermieri più grossi che ho e la faccio legare al letto. Mi ha capito bene?».

«Si, dottore» disse l’altro aprendo la porta della mia stanza.

«Non credevo sapessi tenere testa ad un dottore, sei sempre stato così... ‘rispettoso’, di solito sono io quella che litiga con chiunque comandi» dissi sorridendo appena Nick mise piede nella mia stanza.

Lui mi guardò per come si guarda un fantasma, anzi, per come si guarda una che è tornata dal regno dei morti con la testa di Frankestein come trofeo e poi, dopo un secondo di riassestamento, come un fulmine, un fulmine zoppicante per l’esattezza, si fiondò su di me e mi abbracciò.

«Sei viva» disse con sollievo.

«Ti sbagli, sono stecchita, non mi vedi?» dissi buttando piegando la testa, con la lingua in fuori e gli occhi in su.

«Ho creduto ti avesse uccisa, smettila di scherzare» disse lui serio, girandosi per andare a raccogliere le stampelle che aveva lasciato cadere quando era entrato nella mia stanza.

«Sei un uomo di poca fede, neanche io sono riuscita ad uccidermi, credi ci possa riuscire uno con le scarpe come quelle di Wollaby?».

«Che c’entrano le sue scarpe?» chiese lui accomodandosi sulla sedia accanto al mio letto.

«Le hai viste? Erano più brutte di quelle che ti danno al bowling, solo un idiota le porterebbe, e non posso farmi uccidere da un idiota... il mio orgoglio ne risentirebbe sin troppo».

Lui scosse la testa, senza nascondere un sorrisino e non rispose, così ripresi: «Credevo fossi morto».

Alzò gli occhi, spaesato dal brusco cambio di tono che aveva assunto la mia voce: «No, Anderson gli ha sparato prima. Un attimo prima. Credevo che sarei morto, anzi, stavo per farlo e il mio unico pensiero eri tu. Non vedevo nient’altro che il tuo corpo riverso per terra in mezzo al sangue» disse guardandomi negli occhi: «Non hai risposto alla mia domanda, mentre eravamo lì sotto» concluse.

«Non sono brava con questo genere di cose» risposi afflosciandomi sul cuscino, senza forze a causa della trasfusione e del dolore al petto: «Di solito preferisco non parlarne ed evitare l’argomento. Se non fossi appena sopravvissuta ad un colpo al petto, farei lo stesso; forse sono gli antidolorifici, forse questa maledetta trasfusione che mi toglie ogni energia a farmelo dire, ma quando eravamo lì sotto e Wollaby è entrato, con la pistola e la pazzia che si portava appresso, volevo soltanto che tu non fossi lì. Chiamalo come ti pare, amicizia, amore, senso materno, paura, follia, ma volevo essere da sola, aver messo un’altra persona e soprattutto te in pericolo, mi ha fatto sentire male, più spaventata del normale. So che questo è qualcosa che avrebbero provato tutti, ma quello che non mi spiego è stato l’odio incondizionato e irrazionale nei confronti di quella stronza psicopatica di Tiffany quando era con te, il sapere che ti eri divertito quella volta a passare tutto il tuo tempo con lei e, soprattutto, riesco a spiegarmi solo ora il peso che mi ha schiacciata quando te ne sei andato con lei, quando l’hai difesa a spada tratta, accusandomi di essere una bugiarda e di volerle semplicemente buttare fango, ma... sta zitto e lasciami finire» dissi quando vidi che stava per ribattere: «Dicevo, me lo sono spiegata solo ora e se da un lato sono contenta di dirti finalmente tutto, dall’altro me ne vergogno profondamente... e non guardarmi con quella faccia da deficiente, prova a farne parola con qualcuno e ti strappo gli attributi, Nick, non sto scherzando. Quello che voglio dire è che... sono contenta di dirti tutto e... non lo so. Non sono il tipo con cui una relazione può funzionare bene. Se mi vorrai sarà a tuo rischio e pericolo, ti avverto» dissi concludendo il mio monologo.

Lui sorrise, mentre si alzava dalla sedia aiutato dalle stampelle e lentamente, con un po’ di fatica, si sdraiò sul mio letto, accanto a me: «Due giorni fa ho rischiato di morire, credo di aver corso un rischio molto più grande di questo, Babù» mi rispose sorridendo.

Le mie mani cominciarono a sudare, ero agitata, tremavo, guardando il suo sorriso così luminoso ed intenso.

Era come il letto sotto di me non esistesse più, era come se nulla intorno a me esistesse, c’era solo il suo sorriso e la sua anima accanto alla mia.

Era quello l’amore? Non lo sapevo, non avevo mai provato tanta eccitazione, terrore, felicità, sgomento e paura tutte insieme, neanche di fronte ad un’arma carica che minacciava morte.

Quando il suo sorriso si spense e lentamente le sue labbra sfiorarono le mie, mi sentii come non ero mai stata prima, pensavo e mi chiedevo se lo volevo veramente, ero assalita dai dubbi, ma poi sentii il suo cuore battere velocemente. Ora sentivo anche il mio cuore a mille, li sentivo battere insieme mentre lo nostre labbra giocavano armoniosamente l’una con l’altra.

Mossi la mia mano, anche se la mia mente non aveva mai ordinato di farlo, accadeva tutto senza un perché. Gli sfiorai il fianco e sentì le cuciture della mia maglietta sotto le dita. Gli accarezzai la schiena e sentii il calore del suo corpo contro la mia mano.

Era bello sentire le nostre labbra giocare, era fantastico sentire le nostre lingue sfiorarsi gentilmente, era come se tutto in quegli istanti fosse dannatamente perfetto.

Quando lasciò le mie labbra, il sorriso tornò ad illuminare il suo volto e dopo una fugace occhiata alle sue labbra, nascosi la testa nell’incavo della sua spalla, tra il collo e la clavicola.

«Dormi, Babù, credo tu ne abbia bisogno» mormorò al mio orecchio.

Non ci volle poi molto: la sua voce soffice e il suo profumo inebriante, mi spinsero nel mondo dei sogni, in meno di qualche minuto.










So che il capitolo è corto e so anche che vi ho fatti aspettare una vita, se non di più, ma ci ho messo un secolo per descrivere il bacio, dato che con le scene romantiche e il resto non ci so fare per niente.
Spero quindi che comprenderete lo sforzo e come sempre spero di aggiornare al più presto con l'ultimo capitolo...
-Alleluja!- urla qualcuno.
-Sta zitto, se non ti piace non seguirla la storia!- risponde arrabbiata l'autrice.
Dicevo... spero di pubblicare al più presto l'ultimo capitolo.
Il capitolo è dedicato a LeaRachelBlackbird_et_Ann che mi hanno sostenuta e sempre seguita e recensita.

Detto questo un bacio enorme :D

   
 
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