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Autore: Light Rain    11/11/2012    4 recensioni
"Cercavo con tutta me stessa si rimanere aggrappata a quelle realtà che mi sembrava ancora di possedere. Ma non mi ero ancora resa conto che erano già diventate irraggiungibili". Questa è la storia di Annie Cresta, prima, durante e dopo i suoi Hunger Games
_SOSPESA_
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tenere la testa occupata.
Non pensarci.
Fare nodi.
Tenere la testa occupata.
Lo spalancarsi della porta del negozio mi fa sobbalzare.
—Buongiorno Margareth, di cosa ha bisogno?— chiedo allegramente alla signora Tingley nascondendo velocemente il pezzo di corda dietro il bancone. Oggi aiuto mia zia Leslie al negozio di stoffe.
—Annie ti ricordi la seta che comprai qualche mese fa?— domanda lei preoccupata.
—Sottile color magenta— propongo io dubbiosa.
Lei annuisce —non è che te ne è rimasta un po’?— chiede guardando negli scaffali alle mie spalle.
—Controllo subito— dico voltandomi.
—Sai me ne basta giusto uno scampolo— aggiunge lei.
Scruto attentamente tutte le stoffe in vendita, ma di quella nemmeno l’ombra.
—Zia?— urlo io.
Lei si affaccia quasi dal retro del negozio.
—Non è che in magazzino è rimasta della seta?— domando.
—No, l’ho ordinata la scorsa settimana e dovrebbe arrivare a giorni— risponde subito lei —sempre che quelli di Capitol City non se la vogliano tenere tutta per se— prosegue mia zia.
—Ci mancherebbe anche— sbuffa Margareth.
Rimango un attimo spiazzata dalla reazione della signora Tingley, per me non sarebbe di certo la fine del mondo, sono ben altre le cose che mi preoccupano. Un brivido mi risale lungo la schiena.
—Annie mi puoi avvertire quando rientra in negozio?— chiede lei.
—Non si preoccupi, ci penso io— le sorrido cortesemente.
Ci saluta e esce in strada, diretta verso il mercato.
Mi lascio cadere sullo sgabello e torno ad afferrare il pezzo di corda che avevo nascosto poco prima, lo osservo per qualche secondo: è consumato alle estremità e nella parte centrale, ma è sempre abbastanza resistente per utilizzarlo ancora un po’.
Me lo passo leggero tra le dita e senza neanche guardarlo mi ritrovo ad intrecciare nodi complicatissimi con una semplicità disarmante, un trucchetto semplice che serve per distrarsi, un trucchetto che ho insegnato anche a Finnick.
Mi blocco di colpo, poi le mie mani tornano a lavorare più frenetiche di prima.
Finnick non c’è oggi, non so neanche quando tornerà.
Ieri è stato chiamato con “urgenza” da una donna della capitale.
è per questo che me ne sto immobile continuado ad ustionarmi le dita con la corda, per cercare di non pensarci, anche se è praticamente impossibile, come ogni volta, ogni stramaledettissima volta.
Dopo tre anni dovrei essere abituata a vedere Finnick, il mio Finnick, uscire di casa per andare da altre donne, donne che pagano per poterlo avere, donne che lo comprano come fosse un semplice scampolo di seta, niente di più.
Poi lo vedo tornare a casa distrutto per quello che ha fatto, distrutto per come io mi possa sentire e tutte le mie sicurezze crollano come un castello di carte, portandosi dietro anche quel briciolo di speranza che mi è rimasta.
Ed io mi ritrovo a pezzi, proprio come in questo momento, pensando solo a come si possa sentire lui, costretto a...
Ma la cosa più devastante è pensare a tutto il raccapricciante meccanismo che c’è dietro: un popolo di ricchi ingenui che si diverte grazie al lusso sfrenato, al macello annuale di ragazzi innocenti e alla bellezza dei pochi sopravvissuti di loro. Un vecchio avido di potere disposto a tutto pur di arricchirsi e pur di portare avanti i suoi macabri giochi per mantenere i consensi; disposto a vendere e a minacciare gli stessi ragazzi che fa vivere da sottomessi e sacrifici umani per mantenere l’autorità dittatoriale, portando loro e le famiglie ad avere come unica ambizione quella di scappare il più lontano possibile dal mondo in cui vivono e di morire nel modo meno straziante possibile.
Un mondo fatto per i privilegiati, un mondo dove io e Finnick non potremo mai essere felici.
Fare nodi.
Scorticarsi fino alle ossa.
Tenere la testa occupata.
Pensare al verde, perchè mi rilassa.
Sono le dieci del mattino quando mi rendo conto che stare lì piantata nel negozio di mia zia non migliorerà la situazione, così decido di andare dall’unica persona che mi sa dare conforto in questi momenti, sperando che non sia in mare.
Busso alla porta con tre colpi leggeri.
—Ciao Annie— mi dice Judianna sorridendo.
—C’è tuo fratello?— chiedo timorosa.
—L’hai beccato appena in tempo— dice lei —Lian c’è Annie!— urla dentro casa.
Sento dei passi veloci e poi il mio migliore amico compare davanti a me.
Mi guarda per qualche istante, il suo sguardo ricade sulla corda che stringo saldamente nel pugno tremolante per poi tornare a me.
—Andiamo— mi dice calmo prendendomi per mano.
—Dove vai?— sento urlare alle nostre spalle. Mi volto e vedo sua madre sulla soglia di casa.
—Faccio in fretta mamma— risponde lui sbuffando.
—Elian mi raccomando, mezz’ora al massimo che poi devi partire— dice lei.
—Non ti preoccupare— conclude lui tornando a camminare lento difianco a me.
Stiamo andando in spiaggia, credo, è lui che mi guida.
—Scusa ma ho poco tempo, mi dispiace— dice in tono preoccupato.
Io mi fermo di colpo, turbata da una parola sentita poco prima.
—Perchè tua madre ti ha chiamato Elian?— domando curiosa.
Lui sorride leggermente.
—Speravo non te ne fossi accorta— prende un bel respiro —perchè è il mio nome— si limita a rispondere alzando le spalle.
—No— obbietto —tu ti chiami Lian— continuo sicura.
—Diminutivo di Elian— prosegue lui.
Possibile? A quanto pare sembra essere così.
Mi ci vuole qualche secondo per assimilare l’informazione, per far capire al mio cervello che il mio migliore amico si chiama in un altro modo.
—Ci conosciamo da dieci anni e non mi hai mai detto il tuo vero nome?— chiedo indignata.
—Non me l’hai mai chiesto— ride.
—Certo che no! Ti sei presentato dicendomi che ti chiamavi Lian, perchè diavolo avrei dovuto pensare che non era così!— urlo isterica.
—Non mi piace il mio nome, è per questo che non l’ho detto a nessuno — mi dice lui.
—Perchè?— chiedo curiosa.
—È strano, nessuno in tutto il Distretto 4 si è mai chiamato così e poi a me non piace— borbotta.
—E come hanno fatto i tuoi ha trovare questo nome?— domando. In effetti non avevo mai sentito un nome del genere nel Distreto, solitamente si tende a dare ai figli i nomi di parenti o di amici conosciuti, io per esempio mi chiamo come la mia bisnonna, ma Elian non mi dice proprio niente.
—Mia madre l’ha sentito in tv quando era piccola— mi dice —da quanto si ricorda era un ricco della capitale, è anche per questo che lo detesto— sbuffa lui —ma a lei piaceva così tanto che ha deciso di chiamare suo figlio così— conclude.
Mi paralizzo un istante ripensando a Capitol City e disgrazie varie ma la voce di Lian mi riporta alla realtà.
—Comunque mi faccio chiamare Lian perchè Elian è un nome ridicolo e strambo, mi vergogno molto a farmi chiamare così— ridacchia lui leggermente imbarazzato.
—Elian Havelock— dico —Elian Havelock— ripeto in tono più alto e mi lascio sfuggire una piccola risata perchè nel complesso, almeno per me, suona molto strano.
—Vedi è per difendermi da persone meschine come te che mi faccio chiamare in un’altro modo— sbraita lui divertito.
Sto per rispondere ma poi mi sorge un dubbio.
—Il mio cervello è andato in pappa perchè non so più come chiamarti!— rido io.
—Possiamo fare finta che tu non abbia mai sentito il mio vero nome?— chiede implorante.
—Ok— acconsento —ma prima di rimuovare dalla mia testa questa conversazione ci tengo a dirti che Elian sarà anche un nome strambo, ma nel Distretto lo hai solo tu e questo ti rende una persona unica e speciale, più di quanto tu non sia già— concludo rilassata.
—Grazie— sorride lui.
Camminiamo silenziosi fino a quando non arriviamo in spiaggia.
Vedo una barca attraccata al porticciolo, non mi ci vuole molto per capire che è quella della famiglia di Lian.
—Devi andare?— domando.
—Mi dispiace— risponde in un sussurro.
—Non ti preoccupare— farfuglio.
Non serve che anche lui stia in pensiero, non serve che sappia.
—Quando è partito?— chiede lui esitante.
Come al solito il mio amico ha già capito tutto.
—Ieri nel tardo pomeriggio— rispondo con la voce spezzata.
—Allora vedrai che per pranzo sarà già tornato a casa— mi dice prendendomi il viso tra le mani —andrà tutto bene— sussurra abbracciandomi.
Restiamo fermi lì per qualche secondo, poi accompagno Lian in porto e lo guardo partire per il mare insieme a suo padre e un’altra manciata di pescatori.
Rassegnata me ne torno in spiaggia e mi accovaccio vicino agli scogli: Riza mi ha sostituita al negozio, mio padre è in barca e Lian pure, casa mia è deserta quindi è di gran lunga meglio stare qui con il mare a farmi compagnia.
Per qualche minuto me ne sto totalmente imbambolata a fissare il volo regolare di un gabbiano poi una voce mi fa sobbalzare.
—Il bellone ti ha lasciata di nuovo sola?— chiede alle mie spalle.
—Mi chiedevo perchè ancora non fosse arrivato l’uccello del malaugurio— sputo acida.
—Lieto di vederti Annie— sorride sedendosi al mio fianco.
—Non posso dire lo stesso io, Thom— sbuffo indignata.
—Il tuo comportamento mi ferisce— ride lui.
Sto per mandarlo a quel paese, ma per quanto mi stia antipatico non si merita un trattamento del genere, anche perchè non lo voglio tra i piedi e litigare mi porterebbe solo a stare peggio di come sto ora.
—Scusami— sussurro.
—Non ti preoccupare— dice lui —quindi c’ho dato sull’abbandono da parte del bellone— prosegue lui.
—Non sono affari tuoi— scatto io.
—Sì— risponde.
—No— urlo secca.
—Se si tratta di te sono sempre affari miei— conclude sorridendo.
La sua risposta mi blocca per qualche istante.
—Non credo proprio— sbuffo io.
—Andiamo Annie non ho forse ragione su Finnick?— chiede.
Ha ragione. Ma nel modo sbagliato, non sono di certo conciata così perchè mi ha abbandonata, ma per quello che è costretto a fare. Ma questo lo sanno in pochi e la gente del Distretto, compreso Thom, navigano con la fantasia descrivendo me come una povera ragazza illusa e sfruttata dal bel vincitore che ama avere molte compagne.
—Thom tu non sai come stanno le cose— dico.
—So che stai male e questo mi basta per essere incavolato e per volere sapere il perchè—conclude deciso.
—Ti prego se vuoi essere arrabbiato con qualcuno non te la prendere con Finnick,  lui non è altro che la vittima in questa situazione— farfuglio.
—Quel tipo può fare quello che vuole, non me ne frega niente di lui— dice Thom —a me interessi tu, di come stai— prosegue.
—Allora puoi anche andartene, perchè io me la cavo benissimo— rispondo irritata.
—Hai ragione— mi dice calmo —te la cavi, tiri avanti, ti accontenti di una vita che non ti darà mai soddisfazioni. Credi davvero che stando con lui potrai essere falice? Che potrai sposarti, avere figli, alzarti la mattina con tuo marito accanto con la sola preoccupazione di preparare un’ottima crostata?— mi chiede preoccupato —andrai avanti con gli anni senza che cambi niente, con lui che farà avanti e indietro da Capitol City e tu che soffrirai in solitudine sperando con tutta te stessa che il giorno dopo vada meglio, cosa che non accadrà. è questo quello che vuoi Annie? Questo ti basta?— urla Thom.
—Certo che no! Come fa a bastarmi!— grido disperata cogliendo la verità nelle sue parole.
—Allora lascialo!— interviele lui.
Questa è la goccia che fa straboccare il vaso.
—Io amo Finnick con tutta me stessa e starò con lui ogni giorno della mia vita finché mi sarà permesso, perché è così che noi affrontiamo le cose, insieme. E non ho la nessunissima intenzione di lasciarlo perché io sono felice quando sto con lui, molto più che con qualsiasi altra persona e non sarà di certo uno stupido come te a mettere in dubbio questo!— urlo isterica — e sappi Thom, che se io mi immagino sposata con figli, al mio fianco c’è Finnick, sempre! Non immagino nessun’altro con me— grido alzandomi.
La rabbia mi ribolle nelle vene e se non fosse per il minimo di contegno che mi è rimasto avrei già gettato quell’imbecille in mare.
—Tu meriti di meglio!— urla lui alle mie spalle.
—Finnick è la cosa migliore che mi potesse capitare— grido camminando svelta.
Poi mi fermo sicura di aver dimenticato qualcosa.
—E Thom non ti azzardare mai più ad intrometterti nella mia vita, perché questi sono affari miei e di Finnick, sicuramente non tuoi!— concludo acida.
In meno di cinque minuti sono già a casa.
Apro la porta lentamente e rimango immobile sulla soglia quando vedo Finnick seduto in cucina: i gomiti posati sul tavolo e le mani premute sugli occhi.
Il cigolio della porta lo fa sobbalzare, alza lo sguardo e mi vede, in qualche modo cerca di ricomporsi.
Mi siedo vicina a lui, calma. Ormai so esattamente cosa fare.
—Lo sapevi che Lian in realtà si chiama Elian?— domando.
Devo distrarlo, devo riportarlo nel nostro mondo e farlo fuggire dal loro. Devo fargli dimenticare, per quanto mi è possibile.
—Io l’ho scoperto oggi, non è un nome buffo?— poseguo. Lui annuisce leggermente.
Mi comporto come faccio sempre dopo che torna a casa, mi comporto come avevamo deciso il giorno che ci siamo messi insieme. Questo lo aiuta a tornare in se, a tornare da me.
—Vuoi una tisana?— chiedo calma.
Viviamo nel modo che ci rende più felici. Facciamo finta che non ci siano né ricatti né minacce, facciamo finta che Capitol City non esista. Ci siamo solo io e lui.
—Sì— sussurra.
Scappiamo dalla realtà fino a quando ci è possibile. Ma non c’è niente di male in questo se la vita che vivi non è degna di essere chiamata tale.
Mi alzo piano per mettere il pentolino sul fuoco e poso sul tavolo il piccolo pezzo di corda che avevo in tasca, Finnick lo afferra lentamente.
Facciamo quelle poche cose che ci sono ancora permesse.
Frugo tra gli scaffali.
Scappare e fare nodi.
Insieme.
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi scuso per il ritardo, ma pubblicare oggi è stato il massimo che sono riuscita a fare.
Spero che questo sediciesimo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere che ne pensate...
Alla prossima :)
Baci
Light Rain
  
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