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Autore: lady vampira    11/11/2012    1 recensioni
Cosa succede se una ragazza approdata a Berlino da un paesino di montagna si ritrova coinvolta nell'equivoco più emozionante della sua vita con l'uomo dei suoi sogni? Scegliere tra sincerità e amore non è semplice, e se di mezzo ci si mette anche un coinquilino moooolto particolare con i suoi saggi consigli ... fate voi!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6



Solo un po’ di tempo dopo, con l’ausilio di una camomilla doppia e una sessione di psicoterapia spicciola fatta in casa consistente nello stare appiccicata a Kosta continuando di tanto in tanto ad annegare il respiro nei singhiozzi, e stringersi al petto Boo mentre il suo migliore amico le passava una mano sulla testa, Vera si addormentò, e Kosta con lei. 
Quando si svegliò una fresca luce grigio rosata filtrava dalle finestre. Era quasi l’alba. S’alzò, si preparò un caffé, fece una lunga doccia rilassante, si vestì e si preparò per andare al lavoro, come ogni altro giorno. 
Kostantin la raggiunse, gli abiti stropicciati, il volto arrossato, sfregandosi gli occhi. << ‘Giorno, Vivvi >>.
<< Ciao Kosta >>, lo salutò lei incrociando i suoi occhi nella lastra dello specchio mentre spennellava il fard, abbassando poi lo sguardo e sorridendo piano come se celasse un dolce segreto a fior di labbra. Il suo amico chiaramente se ne accorse subito e inclinò la testa, con fare interrogativo. 
<< Ho deciso. Glielo dico. Oggi. Adesso, prima di andare a lavoro vado da lui e gli dico tutto >>.
<< Oh! Era ora, cavolo! >>, fece Kosta, completamente sveglio d’un tratto. E anche il sollievo di Vera esplose in un sorriso più evidente, che le fece brillare gli occhi. 
<< Nemmeno io voglio perderlo. Deve saperlo che è l’unico uomo che c’è mai stato nella mia vita, ch’è stato il primo e vorrei fosse l’ultimo … >>.
Il ragazzo sgranò gli occhi azzurri. << Che?! Signorina, questo non l’avevi detto neanche a me però! >>.
<< Era una cosa che tenevo per me. Ma è giusto lo sappia anche lui, adesso >>, disse lei rimettendo i piccoli diamanti alle orecchie. Poi si avvicinò al suo amico, le guance rosse, l’aria tesa come un’attrice esordiente al suo primo “ciak”; ma lei doveva fare giusto il contrario. Doveva smettere di recitare. Mettere fine a quello strano, meraviglioso film e renderlo … realtà.  << Augurami buona fortuna, Kos >>.
<< Non ne hai bisogno. Hai il tuo amore, e questo è più di tutta la fortuna che si possa desiderare, Vivvi bella … ah, quanto ti invidio, piccolina! >>. Se la strinse strapazzandola un po’ dall’alto del suo metro e ottantasette, poi la mise giù. << E ora vai, su! Che più tardi ti aspetto al bar e mi devi raccontare tutto! >>.
<< Eh … penso che mi aspetterai a lungo allora … >>, scherzò lei 
<< Ancora? Cavolo, Vera, ma sei insaziabile! E meno male ch’eri vergine! >>.
Vera replicò con un gestaccio da ragazzina ribelle, ma Kos invece di prendersela scoppiò a ridere. Le si poteva perdonare tutto, nel vederla così: gli occhi rilucenti di bagliori dorati, le labbra arrossate e tumide di morsi d’impazienza, le mani che tremavano e si lasciavano scappare tutto dalle dita tremanti. Una ragazzina un po’ in ritardo sui tempi al suo primo amore. Esisteva qualcosa di più sacro e inviolabile? 
No. 
Vera assicurò con un elastico la lunga treccia sulla spalla. Kosta aveva ragione, non le serviva la fortuna. Aveva l’amore di Bill. E nient’altro contava. 
Infilò le scarpe, gli auricolari e uscì fischiettando; il fischiettio divenne canticchiato a mezza voce giù per le scale, e infine gridato dal fondo del cuore in strada, per i viali, sotto le fronde dei tigli, davanti ai cancelli. Chi s’imbatteva in lei non poteva fare a meno di notarla, e guardarla con un misto di ammirazione e rimpianto quella bellissima ragazza bionda, che la musica sparata dalle cuffiette dell’Ipod accendeva in volto di rosso dorato come una fiamma. Si mise a correre saltando le aiuole con la perizia di un atleta olimpico, senza smettere di cantare. Le parole di “Hey du” le tennero compagnia in quella prova fisica in cui bruciava energie che non sospettava nemmeno di possedere, e su cui comunque non faceva affidamento dopo la mezza giornata trascorsa con Bill. Ma l’ansia della verità, la concitazione della rivelazione imminente le scorreva nel sangue assieme ad una miscela di adrenalina pura e desiderio ardente, in una combinazione altamente esplosiva. 
Saltò nella metro senza smettere di cantare un secondo e subito, un gruppetto di ragazzine si mise a guardarla con occhietti acuti, battendo le mani al ritmo di “Darkside of the sun“. Dovevano essere delle fan … se solo avessero immaginato, forse le si sarebbero inginocchiate ai piedi chiedendole dettagli scabrosi come responsi a una sibilla. O più probabilmente, conoscendo la proverbiale possessività delle devote seguaci dei “Tokio”, era più facile che finisse legata e imbavagliata a uno dei pali d’acciaio, se avessero saputo che lei andava a letto con il loro beniamino … e a proposito di pali, si staccò immediatamente appena iniziò “Human connect to human”, perché rischiava di esibirsi in una involontaria, irresistibile lap -dance …
E pensare che c’era stato un momento in cui quella canzone le aveva fatto quasi timore. 
Che sciocca era stata. 
Arrivata davanti casa di lui, suonò una, due, tre volte. Ma nessuno le rispose. 
Forse erano in sala di registrazione. O erano andati da qualche altra parte.
Sarebbe stata costretta a rimandare. 
Per nulla smontata, infilò di nuovo le cuffiette, mandando indietro la lista delle canzoni e fermandosi su una a caso. Avrebbe ricominciato da lì. 
Ma quando riconobbe le prime note di “Ich bin nicht ich”, fu percorsa da una specie di scossa diversa dalle altre. Insidiosa. Maligna. Pungente. Sapeva di rabarbaro sulla lingua.  
Un brutto presentimento.   
Cazzate. Non esistono i brutti presentimenti, si disse. 
Ma non ne fu più tanto sicura quando, giunta nelle vicinanze del bar, rallentò di colpo, sorpresa, stupita, sfilando una delle cuffiette. Aveva riconosciuto fin dall’incrocio l’auto di lui, ma fino all’ultimo decametro, aveva sperato di sbagliarsi. 
Adesso però che aveva davanti agli occhi attoniti le lettere e le cifre della targa, non era più possibile illudersi. 
Un lungo brivido di timore le stritolò in una morsa d’acciaio la spina dorsale; ma Vera provò fino alla fine di convincersi che poteva essere solo un caso, avanzando tuttavia con cautela. Tolse anche l’altro auricolare e sbirciò dalla porta a vetri, trasalendo nel vedere la figura scura ma inconfondibile di lui immobile davanti al bancone, e quella chiara, nitidissima di Sylvie piazzata proprio di fronte, che gli parlava fitto fitto con aria tra complice e finto contrita. 
Intrappolata in quel doloroso incantesimo, non si rese conto di essere stata notata da Stefan; e quando Bill si voltò, incrociando sia pure a distanza il suo sguardo nero di lenti da sole con quello di Vera, era troppo tardi per scappare via. 
Non ce l’avrebbe fatta comunque. Si sentiva trafitta da un immaginario paletto di ghiaccio, e pronta solo a stramazzare al suolo, le forze risucchiate, il sangue che le defluiva dalle vene, la gola serrata in un groviglio di rovi spinosi. 
Qualcuno doveva averla vista lavorare lì al bar e gliel’aveva detto. E lui, chiaramente, era andato a dare un’occhiata … fin qui tutto okay. Lei poteva anche avere un lavoro di copertura, di cui non gli aveva parlato per ovvi e validi motivi … da inventare sul momento. 
Ma non aveva fatto i conti con Sylvie, che di certo non le aveva mai perdonato la sceneggiata a casa sua. Era pronta a scommettere che non aspettava altro che di vendicarsi ma … mai, avrebbe potuto immaginarsi una rivincita così gustosa ...
Quasi come ascoltando quei pensieri Sylvie si tirò su di scatto, inquadrandola immediatamente; e Vera rimase a guardare l’avvicinarsi l’alta ombra chiusa in giacca e pantaloni neri con la rassegnazione di uno schianto inevitabile, come andando incontro a morte certa senza poter fare niente per evitarla. 
Lui aprì la porta. Perfino da dietro le lenti spesse e nere si sentiva il gelo nei suoi occhi. 
<< Vieni con me >>, le sibilò. 
Vera aveva già intuito che quella stronza di Sylvie aveva vuotato il sacco, ma il tono cupo, quasi torvo del ragazzo non lasciava spazio a spiegazioni e scuse. 
<< No >>, sbottò lei d’impulso, senza un preciso motivo. << Parliamo qui >>.
<< Vera, io non discuto gli affari miei in luogo pubblico. Vieni con me >>.
Lei incrociò le braccia ma, ragionevole, si avvicinò all’auto e attese che lui sbloccasse la portiera. Possibile che solo qualche ora prima, in quello stesso abitacolo, avesse vissuto uno stralcio del suo più bel sogno di tutta una vita? 
Buffo. Adesso stava per viverci l’acume del suo peggiore incubo. 
Salì e quando lui mise in moto, continuò a fissare la strada davanti a sé, le braccia ancora strette al petto, a difendersi … ancora non sapeva bene da cosa. Da chi. O chi da cosa. 
Fu lui a esordire. << Sto aspettando che tu mi dica, Vera >>.
<< Cosa vuoi che ti dica? >>, obiettò lei ingoiando a stento quella massa di spine e schegge, sentendosi lacerare dentro, mentre andava giù per l’esofago. << Sylvie non ti ha già detto tutto, forse? >>.
<< E’ vero, allora? >>.
Vera si voltò a fissarlo, con uno sguardo capace di penetrare anche la cortina delle lenti. Lui si fermò ad uno STOP, e la guardò, cercando la sua mano oltre la leva del cambio. << Vera, dimmi che non è vero. Dimmi che c’è stato un equivoco, che quella ragazza ha mentito, e ti crederò. Dimmelo e io ti crederò. Ti prego. Dimmelo, e ti crederò senza riserve. Ti prego, Vera, dì qualcosa … >>, la supplicò lui, come un condannato a morte. 
<< Non c’è più nulla da dire. E’ tutto vero. Io non sono quello che ti ho detto di essere. Non sono una … una puttana. O meglio, non lo ero prima di conoscerti. Poi ho preso dei soldi per fare sesso, e lo sono diventata davvero. Solo, non ho nessun altro cliente oltre te. Non ne ho mai avuto altri, né gratis né tanto meno a pagamento. Mai >>.
La supplica divenne rabbia, rattenuta a stento, al cospetto di quel tono pacato, freddo. << E come pensi che io possa crederti, a questo punto? >>, sbottò lui, e nella sua voce Vera lesse un‘ondata di emozioni negative, in una gamma sconvolgente e vividamente scioccante di toni dal rosso, al nero. 
Ma tenne botta. E restò calma, perfettamente padrona di sé, estraniata dalle sue sensazioni. << Se non mi credi, allora è inutile che io mi giustifichi >>.
<< Non parlare come se fossi io ad avere torto! Tu mi hai preso in giro consapevolmente, ripetutamente; e io, da perfetto idiota ti ho dato tutta la mia fiducia, ti ho aperto le porte della mia casa, della mia vita … del mio cuore. E tu come mi hai ripagato? Con una bugia?! Su quante altre cose mi hai mentito, Vera? Quante? >>.
<< Certo non quelle che stai pensando tu, Bill Kaulitz >>.
Lui distolse lo sguardo. Ripartì e accelerò; con una manovra brusca, imboccò la prima traversa e fece inversione, tornando indietro, al punto di partenza … o meglio, d’arrivo. 
Al capolinea di quella storia, pensò Vera. E basta. Poi, fu travolta dal susseguirsi degli avvenimenti, rapidi come battiti di palpebra in serie.
Non si diede nemmeno il tempo di guardarlo ancora. Appena fermò l’auto vicino al bar, lei scese e chiuse la portiera. 
Ma aveva lasciato il finestrino aperto. Fu per questo, che lo sentì assestare l’ultimo colpo di piccone, nel fragile capino di quel cucciolo di foca dalla pelliccia immacolata ch’era quel legame nonostante tutto … curioso che il suo immaginario avesse scelto quella visione così cruenta, vista una volta in un documentario. Probabilmente era stato per associazione d‘idee: la rabbia, l’indignazione, lo sconcerto, la sofferenza e la voglia disperata di gridare: << No! >>, di fermare tutto che sentiva in quell’istante erano gli stessi che le avevano suscitato dentro quelle scene efferate e crudeli. 
Sovrastati tutti dall’identico senso d’impotenza.   
E ancora più curioso era che avesse scelto proprio una persona che come lei avrebbe urlato d‘indignazione, se le avesse guardate anche lui quelle immagini. 
Nel più perfetto stile dell‘ipocrisia. A un animaletto così fragile e dolce non avrebbe mai tollerato che facessero quella cosa orribile. 
Eppure adesso a lei che lo amava così tanto stava facendo qualcosa di ugualmente doloroso. 
<< Addio, Vera. Buona fortuna >>. Riavviò il motore e si allontanò, confondendosi presto tra le sagome di auto, bus, tram, e suv che ingorgavano le strade a quell’ora. Lei si voltò a guardarlo solo quando fu certa che fosse abbastanza lontano, e restò a fissarlo finché non fu svanito del tutto dalla sua visuale. 
<< Vivvi, ma che è successo? Ho appena parlato con Sylvie e Stefan … ma che diavolo … >>.
Lo sguardo che rivolse a Kosta, che aveva tenuto fede alla sua parola e adesso, incredulo, attonito, dopo aver assistito alla scena conclusiva dalla porta del bar assieme agli altri due spettatori, si avvicinava a lei con cautela, quasi temesse di farle male solo invadendo il suo spazio vitale, lo convinse a non dire niente. 
Soltanto quando la ebbe tra le braccia, riaprì bocca. << Non ti merita, tesoro. Se non ha saputo vedere quanto lo ami, non ti merita. E’ meglio così >>.
Ma per quanto Kosta avesse ragione, non riuscì a convincersi fino in fondo alla sua mente che fosse davvero meglio, pensò Vera. 
E chissà quanto ci sarebbe voluto, perché se ne convincesse anche il suo cuore. 
 
Erano passati dieci giorni. 
E lui non l’aveva più cercata. 
Vera sentiva come se le avessero strappato l’anima dal petto. 
Appena arrivata a casa, il suo primo istinto era stato quello di gettarsi sul letto a piangere tutte le lacrime che ancora le restavano; ma era riuscita a soffocarlo perché sapeva di avere una cosa più urgente da sbrigare. Una cosa che doveva fare immediatamente, col sangue ancora caldo in circolo, quando ancora non sentiva troppo a fondo il dolore … come una frattura. 
Aveva recuperato un borsone e vi aveva infilato dentro tutto quello che lui le aveva regalato, decisa a farglielo recapitare con un corriere … anche se era un po’ incerta per via degli orecchini. 
Di sicuro sapeva solo che non li avrebbe tenuti. Li aveva tolti e dopo averli disinfettati con cura, li aveva richiusi nella preziosa scatolina con cui le erano stati consegnati … e assieme ad essi, aveva rinchiuso un pezzo del suo cuore, e un altro lo aveva messo via con la stella sfilata dalla sua gola. 
Perciò quando bussarono alla porta, quel mattino di dieci giorni dopo, gliene rimaneva soltanto un angolino. Che smise di battere del tutto appena la aprì. 
Per un istante temette di essere vittima di un’allucinazione post - traumatica. 
Ma le allucinazioni non si levano gli occhiali da sole mostrando quegli occhi tristi. 
<< Ciao … >>, disse. 
<< Ciao, Vera >>. 
<< Se sei qui per tuo fratello, noi due non abbiamo più nulla a che spartire, da dieci giorni a questa parte >>, riprese immediatamente lei, seria. Lui chinò il capo bruno.
<< Lo so. Per questo sono qui. Domattina presto partiamo per un tour un po’ in giro per Europa, Asia e America e dopo cominceremo a registrare un Ep con delle canzoni che abbiamo messo da parte dagli altri album … questo in realtà non lo dovrebbe sapere nessuno, ma sono sicuro di poter contare sul tuo silenzio e poi in un modo o nell’altro devo ricambiare. Io … Vera … è un brutto ruolo quello che mi spetta o meglio, quello che mi ha affidato … Bill >>. 
Lei comprese e annuì, quasi sollevata; ma non poté impedirsi di trasalire a quel nome; e si odiò per essere così stupida. << Ambasciator non porta pena, è così. Devo ringraziarti di esserti accollato tu questa rogna, così mi sono risparmiata il disturbo di venire io da voi. Sinceramente, non me la sentivo di affidare questi a un corriere >>, ammise, facendogli strada in camera e posando poi la mano sulla scatolina che occhieggiava dalla patta aperta del borsone, parcheggiato lì da dieci giorni. << Qui dentro c’è tutta la sua roba >>.
<< Ad essere onesti, sono qui perché rivorrebbe indietro soltanto una cosa. Un orso, ha detto >>. 
Vera si sentì trafiggere da una tagliente fitta allo stomaco. Boo era l’unica cosa che non aveva messo nel borsone. 
Perché lo stringeva al seno ogni notte, quando andava a dormire. La spalla su cui poteva piangere e sfogarsi senza riserve, l’abbraccio caldo in cui poteva annegare il suo dolore strozzato e scarnificare la piaga dell’assenza nel suo spirito con il dolce pugnale del suo profumo. 
La cosa che più di tutte le era cara al cuore. L’unica che davvero non sarebbe stata capace di dar via senza che una lacrima di sangue le sgorgasse da quella stessa piaga, spontaneamente. 
Aveva colpito dritto al segno, Bill. La conosceva davvero bene. Aveva mirato dove sapeva di ferire per uccidere senza possibilità di replica. 
<< Aspetta. Te lo prendo >>. 
<< Vera … devo dirti una cosa. Mi dispiace. Dio mio, mi spiace da morire, credimi >>. 
Lei lo guardò, scrutandolo con attenzione. 
E vide. Quello che le era sfuggito fino a lì. 
<< Tu? >>.
Tom annuì. << Pensavo di far bene, dicendogli la verità … era terribilmente preso da te e lo vedevo crogiolarsi nel dubbio, amareggiarsi l’esistenza, retrocedere dai suoi intenti perché voleva chiederti di smetterla con il tuo … “lavoro”  e stare solo con lui, ma non trovava mai il coraggio perché non voleva importi nulla … voleva lo facessi tu di tua spontanea volontà e … be’, quando quella notte sono tornato a casa e l’ho trovato seduto sul suo letto con le mani piene di fiori e le guance bagnate, gli ho detto quello che avevo saputo da un mio … informatore, diciamo così, di andare a dare un’occhiata nel posto in cui lavori. Ma  non immaginavo fosse così idiota da prenderla male e finissi col metterti nei guai. Sono mortificato, Vera >>.
Lei gli andò accanto e gli posò la mano sulla spalla. << Tranquillo, Tom. Non importa. Ho sbagliato io, non tu; tu hai solo fatto quello che io procrastinavo da troppo tempo. Non è colpa tua >>. 
 le scompigliò affettuosamente i capelli. << Sei una brava ragazza, Vera >>.
<< E questo chi te l’ha detto, sempre il tuo informatore? >>, chiese lei sarcastica. 
<< Non serve, si vede. E mi stupisce che Bill sia stato così cieco da non accorgersene … >>.
<< Comunque sia è finita >>.
<< Lo so. Ma spero tanto di riuscire a convincerlo a fare marcia indietro … >>.
<< Lascia stare, Tom. Lascia stare. Se Bill invece di essere contento di scoprire ch’era solo una finta e io non avevo altro che lui si è sentito tradito, be’, scusa se te lo dico ma allora è un idiota sul serio. E non sentiva realmente quel che diceva … quindi a mentire siamo stati in due. Siamo pari. E’ giusto così >>.
Tom fece un cenno con la testa, poi infilò la cinghia del borsone e imboccò il corridoio per l’uscita. << Ah, Tom >>.
Si voltò sulla soglia. 
<< In bocca al lupo per il tour. Sarete fantastici. Come sempre >>. 
Lui abbozzò un sorriso amareggiato. 
E se ne andò.  
 
 
  
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