Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Padmini    11/11/2012    1 recensioni
Maximillian Webb, medico legale al Saint Bartholomews Hospital di Londra, con una fidanzata opprimente e un lavoro che non lo soddisfano totalmente.
Tutto ciò è destinato a cambiare quando incontrerà una donna molto speciale ...
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Violet'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





 

A study in pink











Tornai a casa. Era così vuota … come il mio petto. Mancava qualcosa. Qualcosa che non riuscivo ad identificare, ma sicuramente doveva averla Rain. Ero rimasto con Rain in quella camera d'ospedale.

Tutto mi sembrava così banale … eravamo lontani da poche ore, eppure già mi sentivo perduto. Sapere che era lontana e stava male … era tremendo per me.

Ormai era sera. Mi preparai una cena frugale e la mangiai guardando la televisione. Avevo bisogno di qualcosa che riempisse quel silenzio.

Spensi il televisore e mi sedetti sullo sgabello di Rain, davanti al pianoforte. Non ero in grado di suonarlo ma provai ugualmente a cimentarmi in qualche pezzo improvvisato.

Era tremendo, un'accozzaglia di note senza significato. Però mi stavo divertendo. Il suono del piano sembrava evocare l'energia di Rain e la sentivo presente, vicina a me.

Ero al culmine della mia performance, quando un suono estraneo si unì alla mia 'melodia'.

Il campanello.

Maledizione! Chi diavolo poteva essere, a quell'ora? Ci pensai. I giornalisti? L'appartamento al 221 B di Baker Street era già famoso per Sherlock Holmes e Rain aveva risolto alcuni casi importanti che le avevano dato notorietà, al di là del cognome materno che usava per lavoro.

Il suo incidente era stato ripreso dalle telecamere del Satellite Awards, perciò non era così innaturale che i giornalisti venissero a parlare con me della sua situazione, soprattutto dopo l'intervista di Benedict.

Andai alla porta, pronto ad affrontare microfoni e telecamere invece …

C'era solo Elisabeth.

Digrignai i denti. Non avevo proprio voglia di vederla.

Lei sembrava felice di rivedermi. Sorrideva.

“Non mi inviti ad entrare?” mi domandò e, senza aspettare la mia risposta, si fece strada ed entrò di forza in casa.

“Vattene, Elisabeth” dissi “Sono stanco e ...”

“Non mi sembravi stanco mentre suonavi il pianoforte” mi rispose lei, ridendo per denigrarmi.

“Vattene. Non è il momento”

“So cosa è successo alla tua Rain” mi disse “Stavo guardando anch'io la premiazione … povero Ben.

“Già!” esclamai seccato “Povero Ben. Sua sorella è in ospedale e ...”

“Non mi interessa nulla di quella detective fallita” mi interruppe lei “Mi dispiace perché, a mio parere, si meritava di vincere ...”

“Sicuramente lui ora non sta pensando al premio che non ha vinto” la rimbeccai “Sta pensando a sua sorella. Ora è fuori pericolo, ma ...”

“Dovresti andartene finché sei in tempo” mi disse lei, cambiando repentinamente discorso “Piuttosto … dove sono le buone maniere? Una tazza di tè, no?”

Sbuffai dal naso, ma andai ugualmente a prendere il bollitore. Lei mi seguì.

“Questa Rain è troppo pericolosa per te, devi fartene una ragione. Lo sai come si dice, no? Chi lascia la via vecchia per la nuova ...”

“Finiscila” la interruppi. Odio i modi di dire. “Se vogliamo esprimerci come fai tu … be', non so cosa ho trovato … non completamente almeno, ma sono sicuro di ciò che ho lasciato. Te”

“Non puoi essere serio” mi rispose lei con una lieve sfumatura di panico nella voce.

“Perché no?”

“Tu mi ami!” protestò lei, quasi urlando “Mi ami e … non puoi vivere senza di me!”

Era isterica. Continuando così avrebbe svegliato tutto il quartiere.

“Ho provato tante volte a capire perché stavo con te” le spiegai “Pensavo di amarti, davvero. Ti ho amata, in realtà … ma ...”

“Ma ...” continuò lei, speranzosa.

Quasi mi dispiaceva spezzarle il cuore, ma non potevo mentirle. Non provavo più amore per lei. Quando avevo iniziato a non amarla più? Non lo sapevo.

“Mi hai aiutato tantissimo quando … be', sai come stavo in quel periodo, no? Tu sei stata il mio sostegno, la persona che mi ha aiutato ad uscire da quella situazione ma … non ti amavo. Ero dipendente da te e dal tuo aiuto. Tutto qui”

Mi guardò come se mi avesse visto per la prima volta. Anch'io, in effetti, ero diventato consapevole di quel fatto proprio in quel momento. Non ci avevo mai pensato, prima. Eppure era così.

Elisabeth mi era stata molto vicino in un periodo buio della mia vita. Mi aveva riportato in salute e mi aveva accolto in casa sua. Non avevo lavoro, non avevo dimora. I miei genitori, che ormai non avevano la benché minima fiducia in me, mi avevano sbattuto fuori di casa.

Ero allo sbando. Solo lei, tra tutti gli ex compagni di scuola, aveva avuto pietà di me. Le ero grato per quel gesto di spontanea generosità. Le ero grato e lo sarò per sempre.

Proprio per questo non potevo trattarla così, non potevo mentirle. Non l'amavo. Provavo un forte senso di riconoscenza, ma ormai consideravo il mio 'debito' pagato.

Vivere con lei era come stare in una prigione. Soffocavo lì dentro.

“Ho confuso la dipendenza con l'amore e la gratitudine con l'affetto, non avercela con me. Preferisco essere sincero che starti vicino e mentirti per tutta la vita. Non sarebbe giusto per nessuno dei due”

“Sei crudele, invece” sibilò lei “Dopo tutto quello che ho fatto! Dopo tutto quello che ho sacrificato per te ...”

“L'ho apprezzato” dissi io, cercando di calmarla. L'afferrai per le braccia e la guardai negli occhi. Volevo che mi credesse, che capisse che ero in buona fede.

“So perfettamente che quel periodo è stato difficile per te. Lo è stato per entrambi e ti ammiro moltissimo per quello che hai fatto. Sei stata straordinaria. Davvero. Lo credo veramente. Ciò non cambia i miei sentimenti per te, purtroppo. Non ti amo. Mi dispiace”

Lei mi guardò a bocca aperta per qualche istante, indecisa su come rispondermi. Alla fine si decise e mi fissò con gli occhi ridotti a due fessure, traboccanti di risentimento. Quanto può essere sottile il confine tra amore e odio Può sembrare una frase fatta, ma in quel momento lo vidi con i miei occhi.

Fu come guardare il negativo di una foto.

Dove c'era luce ora vedevo le ombre più nere e, devo dirlo, mi spaventai.

Le donne sono capaci di provare emozioni fortissime, quasi devastanti. In quel momento fui testimone della nascita del suo odio per me.

“Te ne pentirai” mi disse con un sibilo “Ti pentirai di quello che mi hai fatto. Mi hai ingannata per anni. Tieniti pure le tue scuse e usale per pulirti il culo! Sappi che sei solo un codardo. Un lurido codardo!”

Pronunciò l'ultima frase quasi urlando, poi mi lasciò solo. Uscì dalla stanza sbattendo violentemente la porta.

Sospirai. Era stato difficile per me affrontarla. Avevo dovuto affrontare nuovamente ricordi spiacevoli, ricordi ingombranti e difficili da gestire, che non avrei più voluto nella mia mente. Eppure dovevo chiudere un cerchio. Non potevo lasciarla così, senza una spiegazione. Per trovarla dovevo riaffrontare i miei demoni. Sarebbe stato meno difficile se ci fosse stata Rain, con me. Scossi la testa.

No. Non potevo essere debole. Non ora. Rain … era Rain ad avere bisogno di me.

Quando sarebbe uscita dall'ospedale avrebbe avuto bisogno di sostegno fisico e morale.

Mi stropicciai i viso, come se quel gesto potesse darmi la carica per andare avanti, per dimenticare il passato e pensare, per una volta, al futuro.

 

 

Passarono tre settimane. Rain era rimasta in ospedale tutto quel tempo per potersi riprendere al meglio. L'avevano curata, le avevano fatto fare fisioterapia. In tutto quel tempo le ero stato molto vicino, nei limiti che lei mi concedeva. Sembrava infastidita dalla mia presenza. Sembrava preferisse stare sola, così andavo a trovarla saltuariamente, ma i miei pensieri, tutti i giorni, erano rivolti a lei.

Ero andato a prenderla una mattina molto presto. Non volevo che rimanesse in quel posto un minuto di più.

Da quando avevo confessato a Elisabeth i miei veri sentimenti nei suo confronti mi sentivo meglio. Ero … euforico. Mi sembrava di essermi liberato di un peso.

Inoltre la sola idea di poter portare a casa Rain, dopo la lunga degenza in ospedale, mi riempiva di energia. Erano anni che non mi sentivo così.

Rain era tornata in forma perfetta. Benedict mi aveva detto che in passato era già stata vittima di attentati simili e molto probabilmente il suo corpo era abituato ad essere maltrattato.

Così cominciò la nostra routine e, devo ammetterlo, mi ero fatto un'idea totalmente sbagliata su di lei.

 

Rain era molto abitudinaria. Raramente usciva di sera e, se lo faceva, era sempre e solo per seguire un caso. Quando non era occupata in casi particolari o se ne stava tutto il giorno distesa sul divano o si dedicava anima e corpo al lavoro al Bart's.

Venni a sapere, chiacchierando distrattamente con Daphne, che aveva una cattedra all'università di Medicina e che insegnava chimica. Quindi durante il giorno era impegnata con le lezioni e, appena poteva, si ritagliava degli spazi tutti suoi per sperimentare in laboratorio. Anche in casa teneva provette e microscopio e ogni tanto portava resti di cadaveri che analizzava minuziosamente e che, con mio disappunto, trovavano posto in frigorifero tra le uova e il formaggio.

Per il resto dovetti abituarmi anche alla vita mondana. Molto spesso venivamo invitati a cene, presentazioni di film, cene di beneficenza. Il tutto con l'intermediazione di Ben. Non sempre ci andavamo, ma ogni tanto anche Rain si toglieva quella maschera di ascetismo e si trasformava. Buttava la sua solita mise di giacca e pantaloni e cambiava completamente. Se era già sexy con quei completi di pelle, con i vestiti da sera era a dir poco divina; allora diventava addirittura allegra e rideva e scherzava con tutti.

 

Una sera eravamo comodamente seduti sul divano. Io cercavo di guardare la televisione mentre lei era immersa nella lettura dell'ultimo libro di sua madre Violet, accoccolata nella poltrona e avvolta solo dalla sua camicia da notte e dall'immancabile vestaglia blu.

Non aspettavamo visite così ci stupimmo quando sentimmo il rombo di un'auto proprio sotto le nostre finestre.

Meglio. Io mi stupii. Non avevo idea di chi potesse essere., ma lei lo sapeva già perché aveva riconosciuto il suono del rumore della Jaguar di suo fratello.

Chissà cosa vorrà” disse sbuffando e alzandosi dalla poltrona per andare a guardare fuori dalla finestra il fratello che, dopo aver parcheggiato, stava giusto scendendo dall'auto “Sua Maestà Sir Benedict ci degna della sua presenza!”

Risi a quella sua reazione. In effetti Ben era molto impegnato a causa del suo lavoro, ma non si poteva certo definire un presuntuoso. Mi avvicinai a Rain e guardai giù. In pochi passi aveva raggiunto la nostra porta e un secondo dopo il suono del campanello risuonò nella stanza.

“Immagino che debba andare ad aprire io, vero?”

Lei nemmeno rispose e tornò ad acciambellarsi nella poltrona.

Risi nuovamente e andai ad aprire. Quando mi trovai Benedict di fronte restai a bocca aperta.

Lo avevo conosciuto castano e con i capelli corti. Negli ultimi mesi i capelli gli erano cresciuti parecchio, ma erano pur sempre lisci e castano chiaro. Ora erano … neri. Neri e ricci.

“Ben?” chiesi “Sei proprio tu?”

“No” rispose lui sorridendo e superandomi per entrare “Sono Sherlock Holmes” e lanciò alla sorella uno sguardo divertito.

Rain sollevò appena lo sguardo dal libro ed ebbe la mia stessa reazione. No, fu peggiore.

“Che razza di buffonata!” esclamò chiudendo di scatto il libro “Cos'hai intenzione di fare?”

“Nonno Lock ha dato l'ok per girare il telefilm” annunciò lui orgoglioso “A dire il vero ha accettato per sfinimento” soggiunse poi, con un sussurro “Ma tra una settimana cominceremo a girare le prime scene di 'Uno studio in rosa'”

Sorrisi. Avevo già visto delle foto di Sherlock Holmes da giovane e la somiglianza tra nonno e nipote, soprattutto conciato in quel modo, era sorprendente.

“Complimenti!” esclamai, dandogli una pacca sulla spalla “Sei orgoglioso, vero?”

“Un sogno che si avvera” rispose lui, chiudendo gli occhi per l'emozione “Da quando ero bambino sognavo di poterlo fare”

“Ridicolo!” esclamò Rain, girando intorno al fratello per guardarlo bene “Mi meraviglio del nonno, fossi stata in lui non avrei mai accettato”

“Te l'ho detto, l'ha fatto per sfinimento. Erano quasi cinque anni che Moffat e Gatiss gli stavano dietro”

Rain sbuffò di nuovo e incrociò le braccia al petto. La ignorai.

“Qualche spoiler sul cast?” chiesi, trepidante di curiosità “Chi farà John Watson?”

“Martin Freeman” rispose lui.

“Quello di 'Guida galattica per autostoppisti?” domandai eccitato. Adoravo quel film.

“Proprio lui” mi rispose con un sorriso “Martin è fantastico. Penso che lavorerò proprio bene con lui”

“Moriarty? Chi interpreterà Moriarty?”

Ben mi guardò per un attimo a disagio, poi sussurrò un nome, ma non capii.

“Chi?” chiesi “Non ho capito”

“Andrew Scott” ripose alla fine, con un sospiro e sentii Rain sbuffare.

In quel momento mi ricordai di ciò che Ben mi aveva raccontato in ospedale, così cercai goffamente di cambiare argomento.

“Irene Adler?” chiesi, cercando di sviare la conversazione “Immagino che sarà una donna molto affascinante”

“Sarà interpretata da Laura Pulver. In effetti è proprio una bella donna. Assomiglia molto a nostra nonna”

“Voi l'avete conosciuta?” domandai. Sapevo che era morta da qualche anno.

“Di striscio” rispose Rain “Ogni tanto veniva a trovare il nonno e nostra madre, ma l'abbiamo conosciuta quando eravamo molto piccoli. Una gran donna” continuò lei “Mi è piaciuto come è riuscita a fregare mio nonno e mio zio. Una donna sexy e intelligentissima”

La guardai e non potei fare a meno di ridere.

“Anch'io conosco una donna super sexy e intelligentissima” dissi, senza potermi trattenere, e le lanciai un'occhiata più che significativa.

Lei capì. Era molto sensibile ai complimenti e notai che era arrossita.

“A proposito” dissi “Quando mi farai conoscere tuo nonno Sherlock?”

“Spero presto” mi rispose lei, ritrovando il suo solito contegno “Ora sono molto impegnata con le lezioni all'università. Appena finiranno i corsi troveremo certo del tempo per andare a trovarlo. Vive in Sussex, ora, nella sua casetta sulla spiaggia”

“È un posto favoloso” spiegò Ben con sguardo sognante “Non è una casa molto grande, ma il panorama è splendido”

“Certo” gli disse Rain con una dose massiccia di sarcasmo “Per uno che è abituato a vivere da solo in una villa ...”

“Non è colpa mia se tu hai deciso di venire a vivere nella vecchia casa del nonno” rispose lui piccato “Essendo il maggiore ho ereditato Villa Holmes, ma sai che potresti venire a vivere con me in qualsiasi momento”

“Per carità, no!” esclamò lei, come se il fratello avesse pronunciato un'eresia.

Risi. Quei due, insieme, erano davvero comici. Lui così spontaneo e solare, lei fredda e distaccata. Rain riusciva a conferire all'attore e sognatore un po' di senso pratico mentre lui riusciva a scalfire la corazza della cinica detective e farla sorridere. Sembrava che il corpo e la mente di Sherlock Holmes si fossero scissi e reincarnati nei suoi nipoti.

Benedict aveva ereditato il corpo, Rain la mente.

Io mi sentivo come un nuovo John Watson e la cosa mi piaceva. La notizia del telefilm su Sherlock era fantastica. Non vedevo l'ora di poterlo vedere. Sapevo che anche Rain, nonostante fingesse di non esserlo, era contenta. Era così orgogliosa di suo nonno … un telefilm commemorativo era qualcosa di straordinario.

Continuammo a parlare fino a notte tarda e Rain ci deliziò con un brano al pianoforte. Io e Ben ci accomodammo sul divano e finimmo per addormentarci, cullati dalla sua musica.

 

Il mattino seguente mi svegliai lentamente e notai subito che c'era qualcosa che non andava. Mi girai e vidi che, nel sonno, io e Benedict avevamo finito con l'abbracciarci. Avevo dormito con la testa placidamente appoggiata sul petto dell'uomo, che mi cingeva teneramente a sé.

“Ben!” esclamai imbarazzato “Ben!”

Finalmente si svegliò. Quando si rese conto della situazione si alzò di scatto, facendomi cadere.

“Scusa!” esclamò “Io … scusa … scusa” e arrossì.

“Non fa nulla” risposi io, alzandomi e massaggiandomi il sedere ammaccato.

Ci guardammo intorno. Rain era già uscita. Andammo in cucina e scoprimmo che, prima di andare via, ci aveva preparato una colazione di tè e pane tostato.

Fu Benedict a notare il post-it appeso sul frigorifero. Appena lo leggemmo diventammo rossi come due pomodori maturi e, nostro malgrado, scoppiammo in una sonora risata.

 

Ben svegliati. Sono andata all'università. Tornerò tardi.

Buona colazione, Piccioncini! ♥

Rain

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Padmini