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Autore: Princess_Klebitz    11/11/2012    2 recensioni
“Fottiti, Alan Wilder!!”
“Precedimi, David Gahan! Ho aspettato per 6 mesi di mandarti a fanculo di persona!”
“E…?”
“Vaffanculo, David Gahan!”
-Una piccola raccolta di momenti dei DM, tra l'86 e il tragico (per molti) annuncio del 1995, passando per la sfiorata tragedia di Dave, la rinascita, risate, drammi, e partendo tutto da una sera del 2010, alla Royal Albert Hall. Per chi, come me, spera sempre, in ogni tour, in una sempre più improbabile reunion;Alan e Dave-centric
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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WHAT DO YOU EXPECT OF ME?
WHAT IS IT YOU WANT?
WHATEVER YOU PLANNED FOR ME
I’M NOT THE ONE
(Barrel of a gun; Depeche Mode)
 
Ultra era uscito; aveva fatto urlare tutti al miracolo, ed era uscito.
Il RITORNO dei Depeche Mode, come se ne fossero mai andati; le interviste in cui Dave prendeva un giornalista e gli riversava addosso fiumi e fiumi di parole, come delle autentiche confessioni, sulla droga, sul suo essere rimasto morto, sulla disintossicazione.
Fragile.
Dannatamente fragile.
Eppure era stato lui a imporsi, una volta compiuto il ‘miracolo’, ancora malmesso, magrissimo, il viso segnato, i capelli di quella strana lunghezza.
Aveva imposto di andare avanti, senza quel pezzo importante di band.
Quella cosa di cui non parlava mai.
Di cui non aveva mai parlato con Martin, né con Fletch.
Piano piano, dopo la sfiducia del Devotional e di Sofad, nuove dinamiche si erano installate nel gruppo, avevano deciso di affidarsi a grandi session man e di tornare all’elettronica.
ULTRA era un disco cupo, un miracolo di elettronica dark, carico di bassi, che rivelava la forza oscura dei Depeche Mode di essere riemersi, seppure pieni di cicatrici, da quell’abisso che per un anno aveva rischiato di trascinarli a fondo.
Nel video di Useless, Dave rideva, con Anton, che lo abbracciava; rideva veramente non si sa da quanto tempo.
It’s no good era perfidamente ironica, Home era un gioiello stupendo.
Ma l’album era stato aperto da Barrel of a gun; come al solito, il talento di Martin come songwriter aveva colto il malessere di Dave, e questi l’aveva cantata al meglio, come meglio poteva ma enfaticamente.
Sembrava sempre più che il biondino scrivesse le canzoni su di lui, piuttosto che sui propri sentimenti; solo Home gli apparteneva, intimamente, ed erano tutti convinti fosse pienamente una canzone DI MARTIN, da cantare e interpretare solo da Martin.
Come Somebody.
L’album sembrava grondare fluido elettronico oscuro, come sangue vecchio rappreso che i scioglieva, e forse un giorno sarebbe tornato a scorrere; erano riusciti ad inserirsi nelle tendenze del tempo, nella Bristol Scene, nei ritmi elettronici esasperati di cui, anni prima, erano stati pionieri ed ora si trovavano ad inseguire.
Ma c’erano.
Erano lì.
Erano vivi.
Erano i Depeche Mode.
*
Non vi fu mai un Ultra tour, solo dei ‘Release parties’ per i singoli e in aggiunta la grandiosa Never let me down again.
Per una volta, a parte le coriste del Devotional tour, si servivano di session man anche dal vivo, cosa che all’inizio avevano testato con un po’ di dubbio ma poi avevano accettato con più facilità del previsto.
D’altronde, nessuno avrebbe potuto supportare quelle parte di synth, quella batteria ancora una volta analogica.
Non più.
*
L’unica cosa di cui Dave non parlava, ed era proibito fargli, e fare loro, domande al riguardo, era l’uscita di Alan dal gruppo.
Solo dei mini movies, con i remastered che iniziarono ad uscire dei vecchi album, con delle interviste separate, iniziarono a fare chiarezza.
*
1998
*
“Non sarei comunque rimasto in un gruppo, so che è brutto da dire ma preferisco lavorare da solo.”, sospirò Alan, alla domanda per il documentario all’ennesimo cd rimasterizzato con i Dm.
La sua uscita era ancora un mistero, non solo per i giornalisti ed i fans, che spesso gli mandavano messaggi in cui gli chiedevano di tornare.
Lo era per gli altri suoi ex- compagni, che ancora si interrogavano; lo era anche per lui, a volta.
Era un uomo provato, da quel tour e da quella decisione, ma non era certo finito.
E qualcuno aveva la risposta, e quando finalmente la disse, fu come se un peso gli si sollevasse dal petto.
Nel corso di quelle interviste separate, si erano sparate mille ipotesi, e nessuna delle tante gli era piaciuta.
Solo Dave aveva avuto il buongusto di non commentare, ma di sospirare.
“Io… l’ho lasciato da solo. Ed ho commesso un errore. Ma… non c’ero. Era come se ci fossi. Cioè, c’ero, ma…”, e lo sguardo di Dave si era fatto assente, anche sotto la telecamera.
Era inutile ci provasse, Dave non sarebbe mai stato capace di mentire, non avrebbe mai imparato.
A sua differenza.
“…non c’ero, in realtà. Penso di avergli detto qualcosa come…FAI QUELLO CHE VUOI, IO STO MORENDO. A posteriori…”,e Dave tornò, con lo sguardo, ma pensieroso.
Afflitto.
“Avrei dovuto parlarci io. Eravamo i più attaccati. Lui era il mio punto fermo non solo per la musica… mi incoraggiava sempre…”
Dave aveva fatto un’ulteriore pausa, pensando a cosa dire, esattamente, e poi scandì bene le parole.
“Mi manca. Non solo come musicista, un eccezionale musicista. Mi manca la sua amicizia. Essere suo amico. Mi manca.”
*
Interrogato, sull’uscita di UNSOUND METHODS, di Recoil, che aveva preceduto di poco il faticoso parto di ULTRA, Alan si era trovato a rispondere, non senza, a domande sul suo ex-gruppo.
“Ci siamo divertiti…”,ammise, riluttante.
Quel maledetto tour aveva lasciato segni fisici anche su di lui, ma non se ne curava.
Non era Dave, non aveva bisogno di migliaia di persone che urlavano ad ogni sua mossa.
Anzi.
Era come se lui e Dave, molte volte, per quanto si cercassero, da giovani, fossero la luce e l’ombra di due facce della medaglia.
L’operazione ai calcoli, ricordino delle maledette bevute del Devotional, seppure fosse il più in control, la vita sedentaria, la poca cura, i dubbi cui si era flagellato dopo quel maledetto annuncio, il lavoro ossessivo, lasciavano i suoi segni su quella che, negli anni ’80, era stato il viso di un sex symbol, suo malgrado.
Cosa di cui gli era sempre poco fregata, e cosa di cui se ne sarebbe fregato sempre meno.
Riprese l’intervista, in un’ambiente decisamente poco riconducibile ad un ex membro dei Depeche Mode, familiare, caldo…
“…ci siamo divertiti, ma non ne potevo più. Sono felice abbiano fatto ULTRA, mi sembra un buon disco e…sono felice siano riusciti ad andare avanti.”, concluse, con un tocco di rimpianto.
Senza di lui.
Non aveva mai voluto che mollassero, specialmente Dave, cui sapeva che la sua sopravvivenza era legata all’esistenza del gruppo; ma era comunque una mazzata sentire una perla oscura, così bella, anche se ormai lontana dal suo stile, fatta senza di lui.
Non avevano avuto tempo di piangerlo; l’avevano sorpassato ed erano andati avanti.
In tempi relativamente brevi per quel folle periodo che avevano passato.
E solo Dave sembrava rimpiangerlo.
Così si decise di dirlo.
“Dave… non ne abbiamo mai parlato. Ma lui ha sempre fatto come comprendesse il perchè me ne sia andato.”,sospirò, riavviandosi i capelli.
“Probabilmente è così. Dave è sempre stato un signore.”
Non menzionò il fatto delle rose ricevute da Hep per la nascita della loro prima figlia, Paris.
Non menzionò il fatto che si erano sentiti.
Appena dopo ULTRA.
E che il dolore impediva ancora di parlare liberamente.
*
“Alan…”
“Dave.”
Silenzio, come due anni prima, da un capo all’altro dell’oceano.
Nel frattempo le linee erano migliorate.
No.
Dave era migliorato.
Non era in grado di sostenere un tour, ma lo sarebbe stato in fretta.
La sua voce era ancora ferita, ma stava guarendo, anche se non sarebbe più tornata quella di Sofad.
NIENTE sarebbe mai stato come Sofad.
MAI Più; MAI NESSUNO.
Avevano agganciato un livello più alto del cielo, si erano scarnificati delle loro corazze mentali e fisiche per mantenere quell’incredibile livello, e non vi avevano rinunciato fino alla fine del tour.
Non vi avrebbe rinunciato nessuno; sapevano di stare facendo la storia, più di Violator.
Ne erano usciti a pezzi, letteralmente avevano tutti sfiorato la morte.
Il suo incidente d’auto, l’overdose di Dave, Martin e le sue crisi epilettiche, Fletch ed il suo esaurimento nervoso.
Ma avevano fatto la storia, in quel momento Alan se ne rendeva conto.
Solo una tragedia avrebbe cambiato le loro carte, e così era stato: una tragedia in fila ad un’altra, fino a chè avevano applicato il principio di Kurt Cobain; o affogavano o imparavano a stare a galla.
“Alan?”
La voce di Dave lo scosse; aveva atteso che Hep uscisse a portare Paris a fare una passeggiata, per telefonare, come se ormai i suoi contatti con  suoi ex- mates fossero clandestini.
“Dave… stai bene?”
“La tua amorevole preoccupazione per me, specie dopo anni, mi commuove, Al!”,grondò ironia Dave, ma non malevole.
“Dave, non dire cazzate,”, si infuriò l’ex-tastierista, quando si accorse che Dave stava ridendo, e si riappoggiò al muro, come da giovane, sorridendo a sua volta.
“Quando sei stronzo!!”
“Oh…mai come te. Hai lasciato una band in merda, ti ricordo.”
“…lo pensi davvero?”
Dave ci pensò, pensò a come era rimasto, quando aveva sentito che se n’era andato davvero, davvero, non era stato un suo sogno o allucinazione da droga.
Si era sentito smarrito, ma specialmente tradito.
E dannatamente triste.
Poi pensò a cosa gli aveva detto, proprio lui che gli aveva assicurato di esserci sempre.
Pensò a come doveva averlo lasciato il Devotional tour, quando lo aveva acchiappato durante la data di Barcellona, dopo In Your Room, dopo che vagava per il palco, senza canotta, dopo lo stage diving.
Quando gli aveva chiesto, in un unico sussurro non catturato dalle telecamere di Anton, se andasse tutto bene.
Lo aveva quasi capito, maledizione.
No, non l’aveva capito del tutto, ma aveva capito tante cose.
Si sarebbe preso a calci; ma aveva fatto autoflagellazione per tante, troppe cose, e si sentiva troppo svuotato per assumersi anche quella colpa.
“No. Penso… penso che tu abbia fatto bene.”
Alan sospirò, sapendo che Dave non stava comunque dicendo la verità, ma che con quella pietosa bugia gli stava risparmiando annose discussioni che si era preparato e che non aveva assolutamente voglia di tirare in ballo.
“Stai bene, comunque?”
“El Gato non è mai stato così in forma…”, rise Dave, con un tremolio nella voce, per poi sospirare.
“Penso di aver esaurito le mie vite da gatto, Al.”
“Già…”,confermò Alan, non sapendo che dire.
“Hai ricevuto le rose?”
E Alan si trovò a sorridere incredibilmente alla cornetta.
“Le ha ricevute Hep, era felicissima. Ti ringrazio.”
“Ringraziarmi?Di cosa?”
“Per tante cose, Dave…”,sospirò, chiudendo gli occhi.
“Per tante, credimi.”
“Se lo dici tu…”,e rise. 
Poi il cantante tornò serio, mentre gli poneva la domanda che gli premeva più di tutte.
“Eravamo i migliori, vero?Con SOFAD, intendo. I migliori.”
“Eravamo i migliori.”, confermò Alan, come una pietra tombale.
“E tu pensi che non lo torneremo più, vero?”
Alan se lo chiese, come se l’era chiesto miliardi di volte e mai aveva voluto rispondere.
Ma glielo stava chiedendo Dave, che era stato suo complice nel creare quel mostro che poi li aveva inghiottiti.
Quello stupendo mostro.
“No, io… penso che farete molto altro. Tu sei un cantante eccezionale, lo sai… Ma penso che Songs of faith and devotion fosse il nostro zenith.”
“…ed il nadir.”,sospirò Dave,mollando la cornetta con le nocche sbiancate.
In realtà voleva chiedere se mai, non ora, ma in futuro, sarebbe tornato con loro.
Ma ora, indirettamente, aveva la conferma di quello che Fletch diceva sempre.
Non sarebbe mai tornato con lui.
E se la colpa fosse stata anche lontanamente sua, questo non cambiava le cose; aveva deciso ed era fermo.
Sarebbe stato carico suo vedere che si sbagliava.
“Sai Alan… ci siamo divertiti, comunque.”,gli disse, sorridendo.
“Prima o dopo la tua overdose?”
“Ah-ah-ah!”
“Scherzavo…scusa, dai. Sì…”,e si concesse un ampio sorriso, a pensare a certi momenti.
Gli eterni scherzi sui suoi capelli, che finalmente se ne stavano ‘tranquilli’.
Sull’ossigenatura di Dave.
Sull’abbigliamento di Martin.
Sul clap clap di Andy.
Quelle cose erano quelle che gli facevano male, e che l’avevano cambiato così tanto.
Stando con loro, si era appropriato della giovinezza e dell’irresponsabilità, e aveva seppellito per un po’ il suo lato da freak control; aveva persino scherzato sulla fine del suo primo matrimonio, prendendo in giro il lato folle di Jeri.
Lui.
“Sì, Dave…”,e si augurò che la voce non tremasse.
“Ci siamo divertiti. Ma è finita.”
Dave si era a sua volta appoggiato, chiudendo gli occhi, a L.A, osservato attentamente da Jennifer.
Prese fiato e tentò di parlare, bloccandosi.
E alla fine riuscì a dirlo, con voce ferma.
“Purtroppo. E’ finita, purtroppo.”
Ma Alan aveva già riattaccato.
Questa volta era toccato a lui, rimanere senza parole, al telefono, avvicinato da Jennifer.
“Era Alan, tesoro?”
Dave si prese due secondi, e poi si girò, con un sorriso falso ma non per questo meno splendente.
“Sì, Jen. MI ha fatto gli auguri.”,e sorpassandola, poiché il suo sorriso iniziava a vacillare, continuò, mentre Jennifer Skylas guardava il suo futuro marito mentirle spudoratamente per la prima volta.
“Ed io… intendo fare in modo che la sua fiducia sia ben riposta.”
 
Bene, devo dire che a parte alcune parti strafamose, sono andata di pura fantasia: e non so se la telefonata tra Dave ed Alan ci sia stata davvero, ed in che toni ci sia stata.
Parliamo di un pezzo di storia tragico, ma anche di ripresa.
Ed ormai il pezzo di storia che volevo raccontare, sta per finire.
Aspettate il finale.
Tanto lo conoscete, non vi saranno grosse sorprese
   
 
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