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Autore: vodkauhl    11/11/2012    6 recensioni
Contea di Stratford, Canada, 1879.

Charlotte, ragazza canadese di diciassette anni, è costretta a vivere nel collegio della Contea da quando i suoi genitori sono morti.
Non si trova assolutamente bene tra quelle mura ed è tristemente sola.
Le insegnanti sono severe e crudeli, sempre attente a non far socializzare la classe maschile con quella femminile per evitare amori tra gli studenti più grandi del collegio.
Charlotte non ha molte amiche, ma ha molte nemiche che la trattano male e la isolano.
Fu in una fredda mattinata di inizio Febbraio, la prima volta che Charlotte lo vide: un nuovo alunno, un giovane canadese di una bellezza non umana… Un certo Drew, Drew Bieber.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Adrenalin.



24 Marzo 1879.

«Signor Bieber, ci sono visite per lei» disse la McFalden guardando Drew con sguardo triste e compassionevole, come se provasse pena e tristezza per lui.
Il ragazzo lasciò i libri dove erano e seguì la signora fuori dall’aula di storia dove il professor Connor stava spiegando, con la solita cadenza e monotonia nella voce, agli alunni del quarto anno.
«Ecco entri, Signor Bieber» disse con un filo di voce l’insegnante e fece entrare Drew nello studio del Preside.
Appena il ragazzo entrò, vide l’ultima persona che avrebbe mai voluto incontrare: il padre di Alysha.
«Bene, eccolo il ragazzo» Drew deglutì rumorosamente, come se volesse mandare giù la paura.
«Dove eravate ieri, Signor Bieber?» chiese il padre di Alysha mentre si accendeva un sigaro, sedendo sulla poltrona del Preside che, in quel momento, era in piedi e aveva lo stesso sguardo impaurito e triste della McFalden; Drew aveva capito il perché, sapeva che non sarebbe finita bene, sapeva che contro di lui non poteva vincere.
«Ero a scuola a fare i miei esercizi, Signore» rispose Drew cercando di sembrare calmo e tranquillo.
L’uomo lo guardò male.
«Ve lo ripeto: dove eravate ieri?»
«Ve lo ripeto anche io: a scuola, a fare i miei esercizi» rispose il biondo.
Il Signor Blackrode si alzò furioso e diede uno schiaffo al ragazzo. Non sopportava venir preso in giro, per di più da un ragazzino di diciassette anni.
Drew rimase impassibile, con lo sguardo vuoto, la guancia iniziava a bruciargli; la McFalden gemette e si coprì gli occhi. Era severa, si, ma era affezionata ai suoi alunni.
«Non mi prendete in giro, stupido ragazzino! Io so dove eravate ieri, e intendo ieri sera, non ieri mattina! Eravate con quella sgualdrina vero? Con quella poco di buono per cui avete lasciato mia figlia! Avete preferito una povera orfanella a mia figlia!»
«Charlotte non è una sgualdrina!» urlò Drew, ricevette un altro schiaffo, più forte del primo.
«Ah si? Allora, ditemi, cosa avete fatto ieri sera?» disse l’uomo, abbassando i toni e massaggiandosi le tempie.
«Sono, io… io sono stato con…» le parole gli morirono in gola.
«Con la vostra poco di buono, vero? E cosa avete fatto con lei?!» urlò irato il padre di Alysha.
«Nulla, Signore. Nulla che vi possa e che vi debba interessare»
«Non mentire ragazzo! Ho le prove, le prove di tutto. So dove vi nascondete: nella botola sotto il vostro letto, li c’è una stanzetta! E in quella stanza vi ho trovato un materasso, un materasso sporco di sangue. A meno che voi non abbiate ucciso nessuno, quel sangue significa solo una cosa…» Drew perse un battito, anzi, il suo cuore si fermò proprio per qualche secondo. Il sangue gli si gelò nelle vene, pensava solo al sangue nel materasso, il sangue della sua piccola. Era stato uno stupido, non aveva pensato a ripulire. Forse aveva fatto a posta: voleva lasciare tutto li, per ricordarsi ogni volta di quanto amasse quella ragazza. Scelta sbagliata, pensò; era riuscito a farsi scoprire, perché non aveva tolto tutto? Perché non aveva cambiato coperte? Perché non aveva pensato che Charlotte, essendo vergine, avrebbe perso del sangue? Era tutta colpa sua, sua, sua e solo sua. Sapeva già che le conseguenze sarebbero state terribili.
La voce del Signor Blackrode interruppero i pensieri di Drew.
«Vi ho colto nel sacco, ragazzino. Lo sapevo! Lo sapevo! Come siete potuto arrivare a questo? Sono estremamente disgustato. So che amate quella ragazzetta, so che non mi permettereste mai di farle del male ma sapete anche che io ne sono in grado. Se non volete che io tocchi la vostra sgualdrina, dovrete lasciarla perdere, dimenticarla, fate finta che non esista. L’unica ragazza per voi è mia figlia, lei è il vostro futuro, solo ed esclusivamente lei. E detto questo, io torno in viaggio.
Cordiali saluti, Signor Preside. Arrivederci
» il Signor Blackrode uscì dall’ufficio. Drew era rimasto li, immobile. In testa gli rimbombavano ancora quelle parole “fate finta che non esista” “dovrete lasciarla perdere, dimenticarla”.
Si sentiva vuoto, cosa aveva senso?
Il tocco delicato della McFalden lo distolse dai suoi pensieri, era triste anche lei, lo accompagnò nel dormitorio; sapeva che voleva soltanto stare solo.
Drew si butto sul letto e chiuse gli occhi.
Gli tornarono in mente tutti i bei momenti passati con Charlotte: dal loro primo incontro nel ripostiglio, al loro primo bacio, il loro distaccamento, i pomeriggi interi passati a scherzare, e poi quella notte: la notte più bella della sua vita ma anche la notte che l’aveva rovinato.
Non avrebbe più potuto parlare con Charlotte, non avrebbe più potuto assaggiare le sue labbra tanto morbide, non avrebbe più visto un sorriso sul suo volto.
Non riusciva neanche a piangere per quanto era vuoto. Non provava più nulla: odio, amore, tristezza? Tutti consumati, era già caduto nel vortice di tutti coloro che erano stati forti per troppo tempo, era caduto nella depressione.
Drew si addormentò con il volto di Charlotte stampato in testa, non poteva dimenticarla.



26 Marzo 1879.

Dal diario di Charlotte.

Non so cosa ho sbagliato, forse ho detto qualcosa che non avrei dovuto dire?
Non lo so neanche io, fatto sta che Drew non mi rivolge la parola da quella notte.
Non uno sguardo, non un cenno del capo, non un breve saluto, nulla di nulla.
Mi sento sola, spero che le cose migliorino.
Forse gli parlerò ma ho paura di fare peggio, aspetterò un poco.



4 Aprile 1879.

Dal diario di Drew.

Credo che la mia Charlotte stia iniziando ad odiarmi, come biasimarla.
Tutte le volte che cerca di parlarmi io mi allontano o distolgo lo sguardo.
Sono un’essere orrendo, vorrei morire.
Mi manca, tantissimo.
 


18 Aprile 1879.

Dal diario di Charlotte.

Perché? Perché mi odia? Sono sicura che mi voleva solo usare, non sono una bambola.
Io cerco di parlargli in qualche modo ma non posso neanche chiarire il perché di questo distaccamento se lui continua a trattarmi così.
Cosa posso fare? Lo amo, mi sento così inutile, sola e impotente senza di lui.



24 Aprile 1879.

Dal diario di Drew.

Basta, non posso più sopportarlo.
Non mi importa se mi faranno del male, se mi picchieranno, io devo stare con lei.
E’ come aria per me.
Ho visto che sta male, è dimagrita più di quanto non lo fosse già prima.
E’ pallidissima in viso, ha sempre gli occhi arrossati e cerchiati da profonde occhiaie.
Dov’è il suo sorriso? L’ha perso e tutto per colpa mia.
Ma come gliel’ho tolto, glielo farò tornare.
Lo prometto, croce sul cuore.



25 Aprile 1879.

Charlotte stava camminando nel buio corridoio per andare a lezione di Letteratura.
Era diventato tutto monotono: alzarsi, mangiare, scuola, compiti, dormire; alzarsi, mangiare, scuola, compiti, dormire. Aggiungiamo anche il piangere e il vomitare.
La ragazza era immersa nei suoi pensieri quando si sentì tirare da un braccio.
Alzò lo sguardo e incrociò quegli occhi che aveva sognato per notti: intensi, profondi, color caramello, espressivi.
«Drew» disse in un sussurro.
Il ragazzo non disse nulla, prese saldamente il volto magro della mora e la baciò.
La baciò con violenza, aveva bisogno di lei.
Era un bacio che racchiudeva tutti quelli che non le aveva dato nell’ultimo mese.
«Perché?» disse la ragazza sempre a bassa voce.
Non capiva, era confusa.
«Lottie, dobbiamo scappare»
«Cosa?»
«Non dire nulla, raccatta tutte le tue cose velocemente; non ti far scoprire. Quando hai finito vai al nostro vecchio ripostiglio, d’accordo?» spiegò velocemente Drew.
La ragazza, pur essendo confusa e impaurita, obbedì.
Corse silenziosamente nel suo dormitorio, mise i suoi pochi e miseri vestiti in una sacca di tela ed uscì rapida da quella grande e triste stanza.
Raggiunse il ripostiglio, fortunatamente non incrociando nessuno. Bussò e Drew le aprì.
Senza dirle una parola la prese per mano, con l’altra afferrò la sua bella valigia di pelle e corse via veloce verso il portone d’ingresso.
Charlotte non capiva perché lo stava seguendo ma sapeva che era la cosa giusta da fare.
Oltrepassarono il grande portone di quercia e uscirono dal cancello di ferro dove sopra era scritto “Stratford’s College”. Charlotte si girò e diede un ultimo sguardo a quella che era stata per anni la sua casa, se così si poteva chiamare. Era stato il posto dove aveva passato i peggiori anni della sua vita, poi era arrivato lui.
Charlotte guardò Drew negli occhi e gli sorrise, come se non fosse successo nulla.
Era piena di adrenalina e, insieme al biondino dagli occhi color caramello, riprese a correre nei vasti prati della campagna canadese.





No, non sono morta.
Solo che non avevo nè voglia, nè idee, nè tempo di aggiornare.
Sono rimasta delusa dalle 6 recensioni del sesto capitolo, lo ammetto.
Pensavo che avesse avuto almeno 8 recensioni perchè era quello più importante e invece no.
Spero davvero che non mi abbiate abbandonato, veramente.
Avrei potuto finire la storia così ma non è spiegato bene quindi
il prossimo capitolo...sarà l'ultimo *musica macabra*.
Dopotutto mi dispiace, questa storia è come un'amica per me.
Mi ci incazzavo se non sapevo che scrivere, ero felice se avevo tante recensioni ecc. lol.
Comunque, per favore, abbiate pietà di questo capitolo stra merdoso e cortissimo ma non sapevo come farla finire.
Poi, dovevo farli separare in qualche modo ewe.
Odiatemi cwc.

Baci,
Giulia.
(
@ciastinshug on Twitter)

  
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