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Autore: Ato    12/11/2012    4 recensioni
«Sasuke-kun», rise, incapace di trattenersi. «Che ce ne facciamo di tutta questa roba?»
Sasuke arrivò in cucina chiedendosi come potesse non essere chiara la ragione di quella riserva. «Secondo te io posso mai uscire di notte per soddisfare tutte le voglie che ti verranno?»
«E ci volevano tre marche diverse di salsa di soia?»
Sasuke le si avvicinò, guardingo, anche un po’ pensieroso. «Di più?»
Sakura si dichiarò offesa, lo riprese esclamando un paio di volte il suo nome con un’enfasi tutta da lei. Gli diede anche un pizzicotto sul fianco. Lui le bloccò la mano prima che gli lasciasse un livido senza nemmeno accorgersene. L’interno del suo polso era liscio, la pelle finissima. Si sentiva il sangue che scorreva veloce. Sasuke la sentiva sotto le dita, quella vita, eppure sembrava che stesse esplodendo ovunque. Bellissima.
[...]
Sasuke voleva diventare papà (?) e io mi sono sentita moralmente obbligata a scrivere una raccolta di momenti in cui pian piano lo diventa. Sì, più o meno.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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Chiedo scusa per il giorno di ritardo. Lo so che dovevo postare ieri, mi stufa metterci più di una settimana, ma non ho avuto il tempo di sistemare il capitolo per bene. Più che altro non mi fidavo delle mie capacità di rilettura XD Sono stata impegnata tutta la settimana per l’apertura del nuovo forum Sasusaku (che per chi volesse è qui, l’abbiamo inaugurato ieri!) e quindi ho dovuto rimandare a oggi la pubblicazione. Che poi non mi pare delle migliori, ma non sono riuscita a far uscire tutto come volevo io.

Speriamo in meglio per la prossima volta XD

Intanto grazie a tutte le ragazze che leggono!

Un bacio, Filomena

J

 

 

 

 

 

Esplosioni

 

 

 

 

 

 

 

Più saggio del padre

 

«Sakura dorme, non puoi urlarmi contro, Sasuke-kun».

«L’ho capito che Sakura dorme» smozzicò lui a denti stretti, in un tono che poco si conciliava col cinguettio di Ino Yamanaka. Eppure Sasuke trovava piacevole quasi in maniera sinistra l’idea di tenerla lontana da suo figlio sfondandole un timpano. Dov’era Naruto quando serviva?

«E non puoi nemmeno fulminarmi, perché in quel caso urlerei io».

Sasuke si sentì prossimo a gemere di frustrazione. Tentò di ricordarsi con precisione perché mai fosse assolutamente sconveniente sacrificare il sonno di Sakura per una buona causa come privare la sua amichetta di un arto a caso, magari proprio quello con cui teneva Itachi stretto al petto – solo a lui sembrava pericolosamente in bilico?

Sasuke chiuse gli occhi, scorgendo dietro le palpebre un sorriso spontaneo. Ci trovò Sakura, nel buio quieto dei suoi occhi, sembrava che avesse il sole in bocca per quanto era felice mentre gli diceva che il modo migliore per assicurarsi di essere sempre felici era svegliarsi con calma, con una carezza, magari due, con una voce soffice che dice buongiorno come a dire lo vedi che ti amo anche oggi?. Bastava essere felici per cinque minuti la mattina, cinque minuti di quiete tenuissima, di passione calma, e la giornata sarebbe filata via più facilmente. Poi Sakura gli aveva promesso che per lui sarebbe stato sempre così, ogni giorno. E Sasuke non era sicuro, ma il rischio che avesse ricambiato la promessa era parecchio elevato.

Forse perché non gli era sembrato niente di troppo impegnativo, ai tempi. Guardandola ora Sasuke si rese conto di essere stato poco prudente. Come poteva pensare di placare Ino senza farla prima urlare di dolore?

Spostò lo sguardo su di lei in cerca di un’idea e solo in quel momento si accorse che qualcuno aveva agito prima di lui: Ino era silenziosa, immobile, vicino a Shikamaru che aveva nascosto un po’ il viso tra i suoi capelli. La bocca non era tappata, ma un po’ aperta, come alla ricerca d’aria.

Sasuke trovò che suo figlio fosse in qualche modo più saggio di lui: aveva risolto tutto da solo con quegli occhi grandi e neri. Aveva risolto tutto da solo. Togliendole il fiato.

 

 

Okaeri

 

«Sakura, sta dormendo».

Lei gli fece segno di tacere, senza degnarlo di uno sguardo. «E io sto tentando di educarlo» ribatté, compunta, riportando l’attenzione sul figlio che gli aveva tolto dalle braccia. «Come ti dicevo, Itachi, quando rientri a casa devi dire tadaima».

«Giusto, e ricordagli di non inciampare nel cordone ombelicale» precisò Sasuke, rannuvolato, cacciando le mani in tasca per cercare le chiavi di casa. Si sentì tuttavia abbastanza magnanimo da non rinfacciare a Sakura che se lei l’aveva preso in giro per la questione del chakra, lui avrebbe potuto farla sentire di una stupidità immane ora che si era messa in testa di insegnare buone maniere a un cosetto di tre giorni.

Sakura ne sorrise lievemente, divertita, mentre lo guardava armeggiare con la porta di casa. Si intrufolò dentro scostando la copertina dal viso di Itachi mentre Sasuke si liberava dei sandali e proseguiva per la cucina. «Devi toglierti i sandali all’ingresso, li posi qui, Itachi», continuò, sistematica, tentando di scalciare via i suoi senza molto successo. «Se sono in casa io ti sento, magari ti raggiungo all’ingresso. Se non sono troppo stressata ti sorrido, ti dico in ogni caso okaeri tesoro. Bentornato».

Sakura si lasciò scivolare contro il muro, su un gradino. Non poteva muoversi troppo per evitare di svegliare Itachi, ma gli stivali comunque non si toglievano. Gettò uno sguardo di traverso a Sasuke che la scrutava accigliato con la spalla poggiata contro lo stipite della porta.

«Se invece c’è papà a casa» continuò a spiegare lei, «non ti dirà okaeri… è probabile che non ti dirà proprio niente, non è sempre educatissimo. E poi ha questo problema con…»

«Sakura».

A quell’ammonizione un po’ lieve e un po’ minacciosa, lei gli fece segno di avvicinarsi.

Sasuke azzardò qualche passo verso di loro con attenzione, gli occhi puntati sul viso serenissimo di Itachi. Dovette rinunciare a prenderlo in braccio quando si accorse che per qualche fortunata congiunzione astrale il piccolo stava ancora dormendo.

Si attardò qualche istante a indagargli la linea degli occhi, come se tra quelle ciglia ci fosse un tesoro. Poi si inginocchiò davanti a loro e prese ad armeggiare con la cinghia degli stivali di Sakura con dita leggere, quasi assente.

Lei ne sorrise, senza nemmeno rendersene conto. «Ti dicevo, Itachi, il papà ha questo problema con le formalità, gli sono un po’ estranee, anche quelle più carine. Ma non fa niente».

«Ma smettila».

«Non fa niente, Itachi, sai perché?» continuò lei, finalmente a piedi nudi. «Nel giro di qualche minuto farà qualcosa di tanto bello che tu ti chiederai che senso abbia avuto stare fuori casa se a casa si sta così meravigliosamente bene».

«Sì però Itachi ricordati di tornare a stomaco pieno perché qui ci si dimentica ogni volta dell’ora di cena».

«Non mi dimentico» precisò Sakura, punta nel bel mezzo di un discorso che le sembrava molto toccante. «Mi attardo fin quando…»

«… fin quando non ci penso io, sì».

Sakura scoppiò a ridere. Non intendeva dire quello. Voleva solo sentire quella che Naruto chiamava la parolina magica, vedere ricordi antichi sepolti negli occhi di Sasuke e trovarli stranamente piacevoli – non perché erano tutti belli, ma perché Sasuke se li ricordava tutti e lei non riusciva a immaginare niente di più dolce.

«Insopportabile».

Ecco.

Sakura posò Itachi nella culla che Sasuke aveva portato in cucina. Poi si avviò verso la credenza, senza alcuna ragione per attardarsi oltre.

 

 

Lo spazio nei suoi occhi

 

Sul divano si stava abbastanza comodi. A volte le arrivava in faccia il calore delle fiamme che crepitavano nel caminetto; altre volte davanti a lei c’erano solo le spalle di Sasuke. Si era seduto sul tavolino basso lì di fronte e guardava assorto il piccolo Itachi che si faceva allattare impaziente e un po’ agitato. Sasuke aveva un modo strano di fissarlo: come se appena un istante prima avesse scalciato il mondo fuori dalla porta, come se nei suoi occhi ci fosse spazio solo per lui.

Sakura ne sorrise lievemente, abbassando il viso per indugiare sulla stessa meraviglia che rapiva tanto suo marito. Itachi aveva una bocca piccola e lei ci aveva messo un po’ per abituarsi alla morbidezza delle sue labbra sul petto. Le sembrava che le chiedessero ancora più vita di quelle di Sasuke e lei non era sempre sicura di averla. Non le era ben chiaro il modo in cui qualcuno era davvero in grado di vivere sul suo petto, beato, come se non ci fosse niente di più bello al mondo.

Sakura sussultò, scostando il viso di Itachi. Controllò che non le avesse fatto troppo male anche se aveva morso forte. Tirò un respiro profondo prima di riavvicinarsi alla bocca di Itachi, e nello stesso momento sentì una mano leggera sulla fronte che le scostava una ciocca di capelli fuori posto. Sasuke si era mosso con una naturalezza che non apparteneva a lui, ma solo ai momenti in cui c’erano entrambi. Poi riconsegnò l’indice ai pugni di Itachi che quella sera si era scoperto incapace di starsene fermo.

«Grazie», mormorò lei, pensierosa.

Si ricordò delle raccomandazioni di Ino. Dopo il parto era stata proprio una piattola e più o meno tutta Konoha ancora non si spiegava come fosse riuscita a non finire incenerita da un Sasuke quanto meno esasperato. Ino gli aveva ripetuto a macchinetta che quando nasce un bambino le cose si fanno complicate – come se lei lo sapesse, poi. Quando nasce un bambino sono tutti concentrati su di lui, dimenticandosi della mamma. Perciò – e qui qualcuno come il piccolo Asuma Sarutobi avrebbe potuto giurare che negli occhi di Ino fosse spuntata una fiamma più inquietante dell’amaterasuSasuke, non ti azzardare a dimenticarti di lei e a farla diventare più isterica del solito, ché io poi non la sopporto.

Quello che Ino non sapeva era che Sasuke non si dimenticava mai niente.

Sakura annuì tra sé, un po’ persa. Lui gliel’aveva fatto capire a tredici anni e ogni tanto glielo faceva capire ancora, dopo tutto quel tempo. Non si dimenticava mai niente. E, Sakura ci pensò con un po’ di sollievo, non si sarebbe dimenticato di lei.

«Puoi…» la domanda le morì in gola per un altro attacco di Itachi che evidentemente aveva voglia di mangiare latte e capelli. Sakura indicò l’elastico sul tavolino basso, scuotendo un po’ la testa per liberare una ciocca dalla bocca del figlio.

Sasuke picchiettò la guancia di Itachi senza sapere bene cosa fare e quando lo vide deciso a rinunciare al contorno di capelli, si affrettò ad agire.

Sakura sollevò il viso a guardarlo mentre lui finiva di raccoglierle tutti i capelli in una coda. Attese che tornasse al suo posto con lo stesso sguardo di prima e le venne quasi da ridere al pensiero di averne fatto un’analisi imprecisa.

Nei suoi occhi c’era spazio anche per lei. C’era spazio per lei e Itachi.

Anzi, forse in due si stava ancora più comodi.

 

 

Salvarsi

 

Sakura sapeva bene cosa aspettarsi in quei giorni particolari. Non accadeva molto spesso, ma a volte non poteva fare a meno di attardarsi in ospedale anche nel primo pomeriggio. Sasuke era capace di trasformare quelle circostanze in tragedie che al primo lamento di Itachi assumevano la portata di una vera e propria fine del mondo. Di fatti ci teneva a precisare che se Itachi aveva tanto fiato in corpo per urlare allora poteva anche cantarsi la ninna nanna da solo, perché lui non aveva la minima intenzione di farlo. E che se nell’atto riusciva anche a cullarsi per conto suo era tanto meglio, doveva pur imparare a camminare un giorno o l’altro.

Sakura ogni tanto, a sentirlo, dimenticava anche di scuotere la testa. C’erano dei momenti in cui Sasuke era più divertente che esasperante. E in genere quei momenti culminavano con visioni particolari: per esempio Sakura rientrando a casa lo trovava disteso sul divano con Itachi piegato su di lui, con le gambe che non riuscivano a circondargli nemmeno metà busto. Ed era vero, Sasuke quasi non ci pensava a cullarlo per farlo addormentare. Però lo fissava, come se dopo tutti quegli anni avesse capito quanto fosse riposante nascondersi nei suoi occhi – come se riuscisse a trovare la stessa quiete negli occhi del figlio. Poi gli stringeva le mani attorno alle braccia piccole e morbide, se le poggiava sul petto, lo aiutava a tenersi un po’ su. E lo sapevano entrambi che se l’avesse lasciato Itachi gli sarebbe crollato sul petto – così si stanca e dorme per sfinimento, ponderava Sasuke – ma forse il vero mistero di quel momento era nascosto tra le dita minuscole che si posavano sul suo cuore. Era qualcosa di inconfessato, forse quasi remoto. Era uno dei tanti modi di salvarsi.

Sakura ne sorrideva, compiaciuta. L’aveva immaginato che Itachi sarebbe riuscito a salvare un altro angolo di cuore del padre, perché era così, semplicemente, Sasuke ce l’aveva scritto in faccia che ne aveva bisogno. Aveva bisogno di credere che essere padre ed essere figlio fossero esperienze meravigliose. Lui non aveva avuto il tempo di realizzare quel sogno, ma solo di rincorrerlo, fissando le spalle di un padre a tratti lontano, o severo, o che faceva il padre ma non per lui. Ci aveva messo un po’ a capire che non era così, che a volte la vicinanza è fatta di sangue e attenzioni silenziose, ma il rimpianto di non averlo saputo da piccolo continuava a tormentarlo a distanza di anni.

Così Itachi lo salvava. Non gli regalava il suo sogno di bambino, non glielo faceva sembrare migliore di quanto avesse sperato. Semplicemente, Itachi faceva in modo che la realtà e il sogno fossero la stessa cosa.

Sakura li osservò dormire vicini. Evidentemente Sasuke nel tentativo sfinire il figlio era rimasto distrutto lui per primo. Aveva sistemato un cuscino dall’altra parte del letto, aveva posato un braccio vicino alla testiera, e tra sé e quel piccolo rifugio ci aveva lasciato Itachi, che dormiva soave.

Sakura si rammaricò di dover fare ancora qualche passo perché sapeva che lui si sarebbe svegliato. E infatti non passarono molti istanti prima che sentisse lo sguardo di Sasuke su di sé. Lo vide un po’ lucido, pieno di sonno. E calmo. C’era più salvezza di prima nel fondo dei suoi occhi.

«Ti vedo bene, Sasuke-kun», sorrise, piegandosi un po’ sul letto.

Sasuke assottigliò lo sguardo, rannuvolato. «Mi ha fatto passare l’inferno».

Ed era una bella novità, sapere che ci si salva anche nel bel mezzo dell’inferno.

 

 

   
 
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