Chiedo
scusa per il giorno di ritardo. Lo so che dovevo postare ieri, mi stufa
metterci più di una settimana, ma non ho avuto il tempo di sistemare il
capitolo per bene. Più che altro non mi fidavo delle mie capacità di rilettura
XD Sono stata impegnata tutta la settimana per l’apertura del nuovo forum Sasusaku (che per chi volesse è qui, l’abbiamo inaugurato ieri!)
e quindi ho dovuto rimandare a oggi la pubblicazione. Che poi non mi pare delle
migliori, ma non sono riuscita a far uscire tutto come volevo io.
Speriamo
in meglio per la prossima volta XD
Intanto
grazie a tutte le ragazze che leggono!
Un
bacio, Filomena
J
Esplosioni
Più
saggio del padre
«Sakura dorme, non puoi urlarmi contro, Sasuke-kun».
«L’ho capito che Sakura dorme» smozzicò lui a
denti stretti, in un tono che poco si conciliava col cinguettio di Ino Yamanaka. Eppure Sasuke trovava piacevole quasi in maniera
sinistra l’idea di tenerla lontana da suo figlio sfondandole un timpano.
Dov’era Naruto quando serviva?
«E non puoi nemmeno fulminarmi, perché in quel
caso urlerei io».
Sasuke si sentì prossimo a gemere di
frustrazione. Tentò di ricordarsi con precisione perché mai fosse assolutamente
sconveniente sacrificare il sonno di Sakura per una buona causa come privare la
sua amichetta di un arto a caso, magari proprio quello con cui teneva Itachi
stretto al petto – solo a lui sembrava pericolosamente in bilico?
Sasuke chiuse gli occhi, scorgendo dietro le
palpebre un sorriso spontaneo. Ci trovò Sakura, nel buio quieto dei suoi occhi,
sembrava che avesse il sole in bocca per quanto era felice mentre gli diceva
che il modo migliore per assicurarsi di essere sempre felici era svegliarsi con calma, con una carezza, magari
due, con una voce soffice che dice buongiorno
come a dire lo vedi che ti amo anche
oggi?. Bastava essere felici per cinque minuti la mattina, cinque minuti di
quiete tenuissima, di passione calma, e la giornata sarebbe filata via più
facilmente. Poi Sakura gli aveva promesso che per lui sarebbe stato sempre
così, ogni giorno. E Sasuke non era sicuro, ma il rischio che avesse ricambiato
la promessa era parecchio elevato.
Forse perché non gli era sembrato niente di
troppo impegnativo, ai tempi. Guardandola ora Sasuke si rese conto di essere
stato poco prudente. Come poteva pensare di placare Ino senza farla prima
urlare di dolore?
Spostò lo sguardo su di lei in cerca di un’idea
e solo in quel momento si accorse che qualcuno aveva agito prima di lui: Ino
era silenziosa, immobile, vicino a Shikamaru che
aveva nascosto un po’ il viso tra i suoi capelli. La bocca non era tappata, ma
un po’ aperta, come alla ricerca d’aria.
Sasuke trovò che suo figlio fosse in qualche modo più saggio di lui: aveva risolto tutto da solo con quegli occhi grandi e neri. Aveva risolto tutto da solo. Togliendole il fiato.
Okaeri
«Sakura, sta dormendo».
Lei gli fece segno di tacere, senza degnarlo di
uno sguardo. «E io sto tentando di educarlo» ribatté, compunta, riportando
l’attenzione sul figlio che gli aveva tolto dalle braccia. «Come ti dicevo,
Itachi, quando rientri a casa devi dire tadaima».
«Giusto, e ricordagli di non inciampare nel
cordone ombelicale» precisò Sasuke, rannuvolato, cacciando le mani in tasca per
cercare le chiavi di casa. Si sentì tuttavia abbastanza magnanimo da non
rinfacciare a Sakura che se lei l’aveva preso in giro per la questione del chakra, lui avrebbe potuto farla sentire di una stupidità
immane ora che si era messa in testa di insegnare buone maniere a un cosetto di tre giorni.
Sakura ne sorrise lievemente, divertita, mentre
lo guardava armeggiare con la porta di casa. Si intrufolò dentro scostando la
copertina dal viso di Itachi mentre Sasuke si liberava dei sandali e proseguiva
per la cucina. «Devi toglierti i sandali all’ingresso, li posi qui, Itachi»,
continuò, sistematica, tentando di scalciare via i suoi senza molto successo.
«Se sono in casa io ti sento, magari ti raggiungo all’ingresso. Se non sono
troppo stressata ti sorrido, ti dico in ogni caso okaeri tesoro. Bentornato».
Sakura si lasciò scivolare contro il muro, su un
gradino. Non poteva muoversi troppo per evitare di svegliare Itachi, ma gli
stivali comunque non si toglievano. Gettò uno sguardo di traverso a Sasuke che
la scrutava accigliato con la spalla poggiata contro lo stipite della porta.
«Se invece c’è papà a casa» continuò a spiegare
lei, «non ti dirà okaeri… è probabile che non ti dirà proprio
niente, non è sempre educatissimo. E poi ha questo problema con…»
«Sakura».
A quell’ammonizione un po’ lieve e un po’
minacciosa, lei gli fece segno di avvicinarsi.
Sasuke azzardò qualche passo verso di loro con
attenzione, gli occhi puntati sul viso serenissimo di Itachi. Dovette
rinunciare a prenderlo in braccio quando si accorse che per qualche fortunata
congiunzione astrale il piccolo stava ancora dormendo.
Si attardò qualche istante a indagargli la linea
degli occhi, come se tra quelle ciglia ci fosse un tesoro. Poi si inginocchiò
davanti a loro e prese ad armeggiare con la cinghia degli stivali di Sakura con
dita leggere, quasi assente.
Lei ne sorrise, senza nemmeno rendersene conto.
«Ti dicevo, Itachi, il papà ha questo problema con le formalità, gli sono un
po’ estranee, anche quelle più carine. Ma non fa niente».
«Ma smettila».
«Non fa niente, Itachi, sai perché?» continuò
lei, finalmente a piedi nudi. «Nel giro di qualche minuto farà qualcosa di
tanto bello che tu ti chiederai che senso abbia avuto stare fuori casa se a
casa si sta così meravigliosamente bene».
«Sì però Itachi ricordati di tornare a stomaco
pieno perché qui ci si dimentica ogni volta dell’ora di cena».
«Non mi dimentico» precisò Sakura, punta nel bel
mezzo di un discorso che le sembrava molto toccante. «Mi attardo fin quando…»
«… fin quando non ci penso io, sì».
Sakura scoppiò a ridere. Non intendeva dire
quello. Voleva solo sentire quella che Naruto chiamava la parolina magica, vedere ricordi antichi sepolti negli occhi di
Sasuke e trovarli stranamente piacevoli – non perché erano tutti belli, ma
perché Sasuke se li ricordava tutti e lei non riusciva a immaginare niente di
più dolce.
«Insopportabile».
Ecco.
Sakura posò Itachi nella culla che Sasuke aveva
portato in cucina. Poi si avviò verso la credenza, senza alcuna ragione per
attardarsi oltre.
Lo
spazio nei suoi occhi
Sul divano si stava abbastanza comodi. A volte
le arrivava in faccia il calore delle fiamme che crepitavano nel caminetto;
altre volte davanti a lei c’erano solo le spalle di Sasuke. Si era seduto sul
tavolino basso lì di fronte e guardava assorto il piccolo Itachi che si faceva
allattare impaziente e un po’ agitato. Sasuke aveva un modo strano di fissarlo:
come se appena un istante prima avesse scalciato il mondo fuori dalla porta,
come se nei suoi occhi ci fosse spazio solo per lui.
Sakura ne sorrise lievemente, abbassando il viso
per indugiare sulla stessa meraviglia che rapiva tanto suo marito. Itachi aveva
una bocca piccola e lei ci aveva messo un po’ per abituarsi alla morbidezza
delle sue labbra sul petto. Le sembrava che le chiedessero ancora più vita di
quelle di Sasuke e lei non era sempre sicura di averla. Non le era ben chiaro
il modo in cui qualcuno era davvero in grado di vivere sul suo petto, beato,
come se non ci fosse niente di più bello al mondo.
Sakura sussultò, scostando il viso di Itachi.
Controllò che non le avesse fatto troppo male anche se aveva morso forte. Tirò
un respiro profondo prima di riavvicinarsi alla bocca di Itachi, e nello stesso
momento sentì una mano leggera sulla fronte che le scostava una ciocca di
capelli fuori posto. Sasuke si era mosso con una naturalezza che non
apparteneva a lui, ma solo ai momenti in cui c’erano entrambi. Poi riconsegnò
l’indice ai pugni di Itachi che quella sera si era scoperto incapace di
starsene fermo.
«Grazie», mormorò lei, pensierosa.
Si ricordò delle raccomandazioni di Ino. Dopo il
parto era stata proprio una piattola e più o meno tutta Konoha
ancora non si spiegava come fosse riuscita a non finire incenerita da un Sasuke
quanto meno esasperato. Ino gli aveva
ripetuto a macchinetta che quando nasce un bambino le cose si fanno complicate
– come se lei lo sapesse, poi. Quando
nasce un bambino sono tutti concentrati su di lui, dimenticandosi della mamma.
Perciò – e qui qualcuno come il piccolo Asuma Sarutobi avrebbe potuto giurare che negli occhi di Ino
fosse spuntata una fiamma più inquietante dell’amaterasu
– Sasuke, non ti azzardare a dimenticarti
di lei e a farla diventare più isterica del solito, ché io poi non la sopporto.
Quello che Ino non sapeva era che Sasuke non si
dimenticava mai niente.
Sakura annuì tra sé, un po’ persa. Lui
gliel’aveva fatto capire a tredici anni e ogni tanto glielo faceva capire
ancora, dopo tutto quel tempo. Non si
dimenticava mai niente. E, Sakura ci pensò con un po’ di sollievo, non si
sarebbe dimenticato di lei.
«Puoi…» la domanda le
morì in gola per un altro attacco di Itachi che evidentemente aveva voglia di
mangiare latte e capelli. Sakura indicò l’elastico sul tavolino basso,
scuotendo un po’ la testa per liberare una ciocca dalla bocca del figlio.
Sasuke picchiettò la guancia di Itachi senza
sapere bene cosa fare e quando lo vide deciso a rinunciare al contorno di
capelli, si affrettò ad agire.
Sakura sollevò il viso a guardarlo mentre lui
finiva di raccoglierle tutti i capelli in una coda. Attese che tornasse al suo
posto con lo stesso sguardo di prima e le venne quasi da ridere al pensiero di
averne fatto un’analisi imprecisa.
Nei
suoi occhi c’era spazio anche per lei. C’era spazio per lei e Itachi.
Anzi,
forse in due si stava ancora più comodi.
Salvarsi
Sakura sapeva bene cosa aspettarsi in quei
giorni particolari. Non accadeva molto spesso, ma a volte non poteva fare a
meno di attardarsi in ospedale anche nel primo pomeriggio. Sasuke era capace di
trasformare quelle circostanze in tragedie che al primo lamento di Itachi
assumevano la portata di una vera e propria fine
del mondo. Di fatti ci teneva a precisare che se Itachi aveva tanto fiato
in corpo per urlare allora poteva anche cantarsi la ninna nanna da solo, perché
lui non aveva la minima intenzione di farlo. E che se nell’atto riusciva anche
a cullarsi per conto suo era tanto meglio, doveva pur imparare a camminare un
giorno o l’altro.
Sakura ogni tanto, a sentirlo, dimenticava anche
di scuotere la testa. C’erano dei momenti in cui Sasuke era più divertente che
esasperante. E in genere quei momenti culminavano con visioni particolari: per
esempio Sakura rientrando a casa lo trovava disteso sul divano con Itachi
piegato su di lui, con le gambe che non riuscivano a circondargli nemmeno metà
busto. Ed era vero, Sasuke quasi non ci pensava a cullarlo per farlo
addormentare. Però lo fissava, come se dopo tutti quegli anni avesse capito
quanto fosse riposante nascondersi nei suoi occhi – come se riuscisse a trovare
la stessa quiete negli occhi del figlio. Poi gli stringeva le mani attorno alle
braccia piccole e morbide, se le poggiava sul petto, lo aiutava a tenersi un po’
su. E lo sapevano entrambi che se l’avesse lasciato Itachi gli sarebbe crollato
sul petto – così si stanca e dorme per
sfinimento, ponderava Sasuke – ma forse il vero mistero di quel momento era
nascosto tra le dita minuscole che si posavano sul suo cuore. Era qualcosa di
inconfessato, forse quasi remoto. Era uno dei tanti modi di salvarsi.
Sakura ne sorrideva, compiaciuta. L’aveva
immaginato che Itachi sarebbe riuscito a salvare un altro angolo di cuore del
padre, perché era così, semplicemente, Sasuke ce l’aveva scritto in faccia che
ne aveva bisogno. Aveva bisogno di credere che essere padre ed essere figlio
fossero esperienze meravigliose. Lui non aveva avuto il tempo di realizzare
quel sogno, ma solo di rincorrerlo, fissando le spalle di un padre a tratti
lontano, o severo, o che faceva il padre ma non per lui. Ci aveva messo un po’
a capire che non era così, che a volte la vicinanza è fatta di sangue e
attenzioni silenziose, ma il rimpianto di non averlo saputo da piccolo
continuava a tormentarlo a distanza di anni.
Così Itachi lo salvava. Non gli regalava il suo
sogno di bambino, non glielo faceva sembrare migliore di quanto avesse sperato.
Semplicemente, Itachi faceva in modo che la realtà e il sogno fossero la stessa
cosa.
Sakura li osservò dormire vicini. Evidentemente Sasuke
nel tentativo sfinire il figlio era rimasto distrutto lui per primo. Aveva sistemato
un cuscino dall’altra parte del letto, aveva posato un braccio vicino alla
testiera, e tra sé e quel piccolo rifugio ci aveva lasciato Itachi, che dormiva
soave.
Sakura si rammaricò di dover fare ancora qualche
passo perché sapeva che lui si sarebbe svegliato. E infatti non passarono molti
istanti prima che sentisse lo sguardo di Sasuke su di sé. Lo vide un po’
lucido, pieno di sonno. E calmo. C’era più salvezza di prima nel fondo dei suoi
occhi.
«Ti vedo bene, Sasuke-kun», sorrise, piegandosi
un po’ sul letto.
Sasuke assottigliò lo sguardo, rannuvolato. «Mi
ha fatto passare l’inferno».
Ed era una bella novità, sapere che ci si salva
anche nel bel mezzo dell’inferno.