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Autore: Hagne    13/11/2012    3 recensioni
Una donna innamorata è capace di tutto, persino di annientare se stessa, ma quando Musa si trova a dover affrontare l'ennesimo tradimento, il suo cuore innamorato non può far più tacere la voce aspra della sua coscienza.
Non quando è il suo stesso corpo ferito a dar voce alla sua pena, a maledire quel tradimento.
Ma le apparenze ingannano, e a volte è necessario scavare più in fondo per trovare la verità, per scoprire che l'amore non è sempre gentile, semplice e onesto, ma che può tradire, ferire, e uccidere.
Una lezione che Musa imparerà a proprie spese, con il sangue e lacrime di chi, in passato, prima di lei, ha sofferto per un amore più tragico del suo.
Genere: Mistero, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Musa, Riven, Saladin, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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dfnanò


“I'm just a step away

I'm just a breath away
Losin' my faith today
Fallin' off the edge today”

[…]
“I've gotta fight today
To live another day
Speakin' my mind today
My voice will be heard today”

[…]
“I'm gonna fight for what's right
Today I'm speaking my mind
And if it kills me tonight
I will be ready to die”
( Hero- Skillet)






- Tu non capisci! Io devo tornare indietro! Devo aiutarlo! – gridò per l’ennesima volta, battendo i palmi aperti sulla lastra di vetro che la divideva dal resto della navicella, ma Tecna continuava a guardarla con fermezza, incurante delle sue preghiere.
- Io devo …
- Cosa ? Correre in aiuto del Fantasma ? Avevamo pattuito due giorni, Musa, e guarda a cosa ci ha portato darti ascolto!
Tecna non urlava mai, men che meno con la sua migliore amica, ma la fata della musica capì da quegli occhi lucidi che le sue azioni avevano avuto  ripercussioni su quelli che le stavano attorno, su chi le voleva bene e desiderava tenerla al sicuro, proteggerla.
Ma Musa era anche consapevole che lei aveva dei doveri, verso Salazar, vero il suo cuore, e loro non avrebbero potuto capire il perché delle sue azioni, la causa di quel suo morboso attaccamento ad una storia vecchia di cent’anni.
Perché loro non assomigliavano ad una donna morta, non avevano provato il dolore dell’abbandono, della solitudine, non potevano comprendere la sua empatia con lo stregone.
Non avrebbero potuto.
- Io devo andare – affermò dura, stringendo i pugni quando vide Tecna scuotere il capo e mordersi le labbra con forza, tanto da farle sanguinare.
- Non te lo lascerò fare. Non sei in te lo capisci? – le urlò straziata, battendosi il petto con una mano – lui ti ha plagiata. Credo che tu sia sotto incantesimo, Musa.
L’incredulità le sformò il viso in una smorfia sofferente, ma più che la consapevolezza di non essere creduta, Musa si risentì del suo pensiero, del crederla vittima di chissà quale maleficio che la guidava a compiere azioni non da lei.
Ma per quanto le Winx fossero la sua famiglia, il suo angolo di pace, non conoscevano tutto di lei, come a sua volta la fata non conosceva ogni minima sfumatura di chi la circondava.
C’era sempre qualcosa che si teneva nascosto, persino alle persone più care,  per paura di essere giudicate, criticate, e Musa era consapevole di non poter essere sempre l’amica che ascolta e acconsente.
Non  quando era il suo cuore a pagarne le conseguenze, non quando c’erano altri a soffrire, come aveva sofferto lei in passato, che nessuno voleva aiutare e che lei poteva confortare.
- Come puoi dire questo ? – soffiò dolente, distogliendo lo sguardo con una punta di rabbia nella voce.
Tecna tese la schiena per il dolore che aveva percepito in quella frase, per il risentimento che aveva spinto Musa a volgere il capo.
- Lo dico perché non avresti mai permesso a Riven di venire ferito a causa tua.
Il dolore fu acuto, come una fitta che porta un uomo a contorcersi per allontanarlo, nel tentativo di alienarlo, ma quando Musa lo sentì, non riuscì a difendersi,  non dall’ondata di rancore che le infiammò lo sguardo, non dalla rabbia che l’aveva portata a colpire il vetro con i pugni serrati.
- Va via.
Il suo sibilo misto all’eco della  magia che le aveva storpiato la voce fu atroce, fastidioso e acuto come il grattare frenetico di unghie spezzate su una lastra di vetro, un suono da pelle d’oca.
- Io…
- Va via ho detto – sibilò ancora, dandole le spalle con un gesto secco e infastidito – non voglio dire cose che non penso.
Tecna guardò quella schiena stringendo le palpebre per bloccare le lacrime prima di avviarsi alla porta e scomparire.
E fu con la consapevolezza di essere rimasta sola che Musa allentò la presa feroce dei suoi denti sul labbro inferiore, rilasciando il primo forte respiro per contenere il dolore e farlo uscire dalle sue labbra in profonde e lente boccate.
Inutile pensare davvero di riuscire a contenerlo, in quel modo, a piegarlo al suo volere, ma con gli anni la fata aveva imparato a frammentarlo per non andare in pezzi, per l’incapacità di contenere un dolore che altrimenti l’avrebbe davvero uccisa.
Ma Tecna aveva detto la verità.
Riven era stato ferito mortalmente per colpa sua, ed era sempre lei ad accollarsi il dolore di sapersi rea di ogni suo comportamento, gesto che il più delle volte tornava come una fitta al petto, come un maledetto boomerang che non era lei a lanciare. Mai.
Eppure eccola là, con le lacrime agli occhi, imprigionata dentro una gabbia di vetro perché creduta pazza, con l’uomo che amava ad una porta di distanza in fin di vita a causa sua.
Sempre a causa sua.
Perché avrebbe dovuto lasciarlo, dargli  e darsi davvero la possibilità di dimenticare il passato, ma lei non ci riusciva, ci aveva creduto, ci aveva creduto tanto, ma i fatti parlavano chiaro.
Era stata ingenua. Era stata saccente. Era stata codarda.
E quella volta non lo sarebbe stata, non sarebbe fuggita, non da quella promessa che la spinse a sfiorare con una mano la parete metallica della navicella prima di rilasciare un lento e profondo respiro.
- Cosa succede ?
Timmy riprese il comando sterzando il volante con un gesto brusco, pigiando il bottone dell’impianto elettrico di emergenza quando quello principale sembrò andare in avaria, per un motivo sconosciuto.
- Non so, c’è stato uno sbalzo di corrente – spiegò a Sky e ai compagni quando riuscì a riprendere quota, ma questa volta fu un sonoro scoppio al motore destro a tossire fumo e a far ondeggiare la navicella.
- Timmy!
- Io non so cosa sta succedendo ! Sembra che qualcosa abbia fatto contatto nella sala macchine, io…
- Musa!
Bloom e le Winx sgranarono gli occhi nel vedere Tecna fiondarsi con quell’urlo fuori dalla cabina, sorpassando velocemente la barella sulla quale Riven  riposava con Helia a tenergli compagnia prima di battere i pugni sulla porta metallica che conduceva alla stanza di Musa.
E quando l’entrata saltò via sotto la fiamma del Drago di Bloom nessuno di loro potè trattenere un singulto di sorpresa nel vedere un buco forare il tettuccio della navicella.
Sky calpestò i frammenti della cella di vetro con sguardo duro, alzando gli occhi sul cielo notturno puntellato di stelle, e la vide passare, una scheggia colorata dai familiari capelli blu che Tecna fissò con il viso schiacciato contro il finestrino e quella domanda piantata come un paletto nella sua gola.
Perché ?
    






°°°





Fonterossa era tornata al proprio rigore militare dopo la partenza improvvisa delle guardiane di Magix, ed Aidan, che non aveva neanche potuto salutarle, non potè che smozzicare una maledizione contro il preside prima di irrigidirsi e allungare uno sguardo dalla torre che pattugliava.
Era notte fonda, e le fiaccole illuminavano ben poco, eppure  la chiazza luminescente nel cielo era ben visibile anche senza l’ausilio di una lanterna, ma pareva sfocata, inghiottita com’era dal buio della notte.
Un’isolata fonte di luce che lo specialista e il ragazzo di guardia assieme a lui guardarono con curiosità prima di sentire i passi precisi e coordinati di un gruppo di loro superiori dabbasso, studenti del terzo anno che Aidan vide uscire di corsa prima di  disporsi a fila e puntare i propri archi verso quello che, a quanto pareva, era un nemico.
Eppure c’era qualcosa di familiare in quella scheggia luminosa, il blu acceso e inconfondibile di una chioma che il ragazzo fissò ad occhi sgranati prima di affacciarsi dalla torre e urlare ai compagni di abbassare le armi.
- Fermi ! – strillò con la voce resa rauca dall’orrore, ma nessuno degli specialisti gli prestò attenzione, tendendo l’arco per colpirla, ma si videro frantumare le frecce tra le mani quando un’onda d’urto piovve su di loro con la potenza di una lastra di metallo gettata sulle loro teste.
Aidan si parò il viso per difendersi dai detriti, accucciandosi dietro il muro di cinta per non venire sbalzato via dall’onda sonora, e quando sentì un sibilo sopra la testa fece appena in tempo ad intravedere il viso di Musa prima che la fata scendesse in picchiata con tra le mani l’ennesima onda esplosiva.
L’entrata saltò in aria quando la guardiana vi cozzò contro, scatenando una pioggia di detriti nella quale passò frettolosamente prima di volare tra i corridoi urlando il nome dello stregone.
- Salazar !
- Eccola lì !
Una lancia rischiò di trapassarle l’ala, ma Musa fu lesta a ruotare su se stessa e caricare una nota esplosiva che lanciò con un ringhio contro gli specialisti, attenta comunque a non ferirli, solo a rallentarli.
- Salazar ! – urlò ancora, ripercorrendo il sentiero che avrebbe dovuto portarla alla sala principale, lì dove aveva visto il pavimento illuminarsi a contatto con la lacrima dello stregone, e la fata sapeva che quella non era una coincidenza.
Lei non ci aveva mai creduto, alle coincidenze, men che meno a quelle così palesi.
- Salazar !
- Musa !
La sorpresa di sentirsi chiamare le inondò il viso di sconcerto, ma quando la fata fu costretta a ruotare il busto per evitare una freccia intravide tra le ciocche scure l’espressione angosciata di Aidan, intento a bloccare le truppe che  le urlavano addosso “strega”.
- Non è una strega – sentì urlare ad Aidan, tornato in piedi dopo lo spintone di uno specialista.
- Invece si, Aidan. Quella donna è stata incantata. Guarda tu stesso!
Il respiro alle sue spalle fu più significativo di ogni suo sguardo, di ogni sua parola, ed anche se gli occhi dello specialista la pregavano di non voltarsi, di non lasciare che quelle braccia le circondassero la vita, Musa non potè che abbassare il capo e lasciarsi stringere.
- Dovete spostarvi – li pregò con voce bassa, avvertendo contro la sua schiena il petto freddo del ladro di anime.
- Mai. Saladin ci ha ordinato di farvi prigioniera – tuonò il più anziano tra loro, puntandole contro la propria spada.
E Musa non potè che prendere un lungo respiro, riempiendo i suoi polmoni di aria, di magia, prima di alzare bruscamente lo sguardo e fissare il ragazzino con rammarico.
- Mi dispiace.
Quando gli specialisti caddero a terra con le mani pressate sulle orecchie, Aidan fu l’unico a schiudere le palpebre e guardare il volo della guardiana di Magix e dello stregone al quale stringeva la mano, e solo lui potè leggere dispiacere in quello sguardo blu che Musa puntava con rabbia davanti a sé, per non dover guadagnarsi altre accuse sulla sua integrità, sulla sua coscienza.
Ma Aidan si accorse della piega amareggiata delle sue labbra, e potè leggere qualcosa nella mano del Fantasma che stringeva quella della fata, un bisogno di aiuto che nessuno, all’infuori di lei, gli avrebbe dato.
- Sigilla l’entrata.
Lo scatto delle serrature la  informò di avere l’attenzione e la collaborazione di Salazar, e Musa non rimuginò sul perché lo stregone si fosse fidato di lei, fatta eccezione per la somiglianza con la sua defunta amata.
Non se ne curò, non quando quella consapevolezza le avrebbe fatto storcere il naso con una smorfia contrita.
La consapevolezza di poterlo capire perché lei era stata come lui, lo era ancora, anche se lo mascherava egregiamente, e si ricerca l’aiuto dei propri simili,di chi ha toccato il fondo, quello più ributtante e cupo, prima di guardare la fine di quel tunnel e sapere di non poterlo raggiungere più, di non poter scrollarsi di dosso l’odore aspro della sconfitta.
- Deve esserci qualcosa qui sotto – rimuginò ad alta voce, inginocchiandosi sul ghirigoro intarsiato al centro della sala principale, poggiandovi conto l’orecchio per battervi sopra una nocca e sentire il suono fino alle fondamenta.
E Musa la udì, la sensazione di vuoto sotto le sue mani, nascosto in profondità.
“L’accademia presenta cunicoli, sotterranei e passaggi inesplorati e sconosciuti ai più”  le aveva detto una volta uno dei compagni di Aidan durante la loro esplorazione notturna, e quel nascondiglio doveva avere qualcosa in comune con Salazar, con la sua improvvisa comparsa, con l’inaspettata reazione a contatto con una sua lacrima.
Quando però la fata provò ad aprirsi un passaggio con un’onda si trovò distesa al suolo, con gli occhi serrati per il dolore dell’impatto contro una colonna portante quando la sua magia la scaraventò indietro.
E forse non era il momento di lasciarsi sommergere dalla frustrazione di non essere stata capita, di non essere riuscita a spiegarsi, di dover credersi pazza e sbagliata per le sue azioni, ma le lacrime le rigarono le guance senza che lei potesse evitarle, lente e silenziose si raggrumarono sul mento che poggiò con rabbia contro il petto prima di caricare le braccia di altra magia.
L’impatto quella volta le tolse il respiro, ma quando strisciò sul pavimento, stringendo i pugni e urlando di rabbia venne scaraventata contro qualcosa di meno doloroso, le braccia che le avevano impedito di riaprire quella vecchia ferita alla schiena, e lì, tra braccia che non erano vere, che non avrebbero saputo confortare nessuno, Musa si abbandonò ad un singhiozzo, coprendosi il viso con le mani per soffocare il dolore contro i palmi.
Salazar rimase immobile, con un braccio attorno alla vita della fata che teneva in equilibrio contro il petto, gli occhi d’ametista inghiottiti dal cappuccio attirati dalle lacrime che Musa provava ad asciugare in tempo.
- Io voglio davvero aiutarti.
Qualcosa scricchiolò sotto i loro piedi, un lento cigolio, come il suono di ingranaggi vecchi e arrugginiti messi in movimento, e quando la fata schiuse le dita per vedervi attraverso si stupì di scoprire una voragine in mezzo alla sala e una scalinata ripida che portava verso il basso.
E quando la fata lo sentì irrigidirsi contro di sé nel vedere quel passaggio capì che c’era davvero qualcosa di suo, lì sotto, forse i suoi ricordi, forse il racconto del passato, ma Salazar non potè scoprilo, non quando, avanzando assieme a lei, si trovò respinto da una barriera.
- Tu lo ricordi ? – gli chiese un po’ sorpresa da quella reazione, stupendosi ancora di più nel notare che lei non veniva respinta.
Lo  vide stringere le labbra rosse in una smorfia confusa, insicuro.
- Non ha importanza, vedrò di scoprirlo da me – gli assicurò gentile, discendo i primi scalini con lo sguardo di Salazar addosso, uno sguardo ansioso le suggerì la sua mente, e capì l’ansia di lui, la percepì come un brivido lungo la schiena quando si accorse che la scala si stringeva sempre di più.
C’era umidità, puzza di muffa e polvere, ma era un nascondiglio segreto, magico si corresse quando con le dita sfiorò una scia di rune che vorticavano sulle pareti come una canzone antica.
Lanciò un piccolo grido quando scivolò su qualcosa di umido e incrostato, e non potè che gemere dal dolore e massaggiarsi la schiena con la quale aveva fatto gli ultimi scalini.
Le parve di sentire il sibilo ansioso di Salazar fino a lì, ma non se ne curò, non quando ebbe quella stanza davanti.
Era una sala esagonale, piuttosto spoglia e umida, gelida per lo spiffero che filtrava da quella che doveva essere stata l’uscita ora sommersa da macerie.
La perlustrò in silenzio, starnutendo per ogni granello di polvere che inspirava, e si riscoprì sempre più sorpresa nel pensare che quel passaggio sotterraneo somigliasse al nascondiglio di due amanti.
Lo capì dagli sgabelli divorati dalle termini, dalle coperte marce ma ripiegate in un angolo, ma soprattutto, dal particolare di trovare un paio di ogni cosa.
Libi, calamai, scrivanie e piccoli scrigni incassati nella pietra,  e fu proprio verso uno di questi che Musa si avvicinò, schiudendo quello che non era chiuso a chiave, e quando vi infilò una mano sobbalzò nel toccare qualcosa di ruvido.
Quando Musa estrasse il contenuto dello scrigno non potè che sgranare gli occhi, sorpresa, passando una mano sul piccolo libricino consunto che fissò con un groppo in gola.
Poi la notò, la scritta minuscola e incisa nella copertina che le sue dita seguirono con un tremore, quattro parole che ebbero il potere di emozionarla, di farle salire agli occhi lacrime di gioia.
Arya. Quello era il diario di Arya.
- Vedo che tu sei riuscita dove io ho fallito.
La fata trasalì nell’udire quella voce lì, dove non sarebbe  dovuto essere, eppure quando Musa lanciò uno sguardo alle proprie spalle  riconobbe la testa grigia e lo scettro dorato del preside Saladin che si guardava attorno con curiosità.
Il terrore la sommerse, ma presto la guardiana si riscoprì meno atterrita  con la consapevolezza di poter dimostrare l’innocenza di Salazar con quel diario, e lo avrebbe mostrato al mago, glielo avrebbe ceduto se solo non avesse visto lo sguardo che rivolgeva alla stanza.
Lo sguardo furioso e cattivo di un uomo che vedeva attorno a sé solo spazzatura, sporcizia, qualcosa di sbagliato, di errato, che non sarebbe dovuto esistere.
La fata nascose il diario dentro il corpetto con un gesto veloce, indietreggiando inconsciamente quando il mago si decise finalmente a guadarla, e capì di aver agito bene, di dover proteggere quel segreto da quegli occhi scuri che se avessero potuto, avrebbero dato in pasto alle fiamme lei e quel luogo.
- Ho passato anni a cercare questo sotterraneo, senza mai riuscirvi, mentre a te è bastato appena un mese – pensò ad alta voce Saladin, chiudendo in artiglio la mano che poggiava sulla testa del drago dorato del proprio bastone  – e avevo ripromesso a me stesso di distruggerlo una volta che l’avessi trovato.
- No.
Musa lo trovò grottesco, lui, il suo ghigno di labbra secche e raggrinzite, ma soprattutto, lo scatto del collo con il quale aveva completamente voltato il capo.
- Non credo tu abbia voce in capitolo, mia giovane fata. Faragonda è una mia vecchia amica, e mi addolora pensare di doverle togliere una delle sue amate studentesse.
Il pericolo di quella voce, di quella frase la atterrì, la spinse a caricare una nota esplosiva che però non ebbe modo di creare, incapace di difendersi, di ripararsi da quello sguardo feroce che Saladin le riservò con un sorriso affettato.
- Qui la magia non funziona, mia piccola fata. Mia sorella, per quanto sia stata una donna stupida, era molto potente – confessò il mago con una nota di rancore, abbozzando un passo che la guardiana fissò con astio, e raccapriccio.
- Arya non era stupida – la difese, colpita lei stessa dal rancore con il quale il mago si riferiva alla sorella defunta, a quella donna che le assomigliava e che Helia aveva assicurato loro, aveva lasciato un vuoto incolmabile nel padre e nel nonno.
Ma Musa trovava vuoto solo quello sguardo e quel cuore che pompava disgusto e raccapriccio verso il sangue del suo sangue.
Saladin stirò le labbra in una linea dura, secca, raggrinzita dal freddo e dall’età.
- Ho sempre odiato questo di lei, la tua stessa cocciutaggine e il suo blasfemo interesse per quell’abominio!
A chi si riferisse il mago fu chiaro, lampante, ma la fata si stupì del senso di quella frase, di quell’interesse che,  secondo i racconti, Arya non avrebbe  avuto motivo di nutrire per Salazar, non dopo averlo respinto.
E la fata capì, comprese che c’era qualcosa di marcio in quella storia, quella nota stonata che lei aveva notato dall’inizio, perché Saladin aveva appena confessato l’interesse di Arya per Salazar, chiaramente ricambiato dallo stregone vista la sua presenza lì e la sua ricerca del suo vecchio amore.
Ma erano morti entrambi, lui in circostanze sconosciute, lei per mano del ladro di anime.
Bugie, solo bugie.
- Non appena sapranno di questa stanza, Faragonda e le Winx capiranno che io avevo avuto ragione su tutto – sibilò rabbiosa, alzando il braccio per pararsi il viso nel vederlo avanzare.
- E credi davvero che io ti lascerò uscire da qui viva ?
Lo spintone le tolse il respiro, e urlò di dolore quando si ritrovò schiacciata contro una parete, la guancia ferita dallo strofinio con il materiale granuloso conto il quale Saladin le spinse la testa, torcendole le braccia dietro la schiena.
- Ci sono segreti che non possono, non devono venire alla luce, capisci ? Ma andrà tutto bene, non devi preoccuparti.
Spiegherò io alle tue amiche il tuo valoroso tentativo di ribellarti alla violenza di Salazar – le soffiò nell’orecchio con voce rauca, raschiata dalla follia, e Musa non ebbe neanche il tempo di comprendere quanto il mago fosse disposto a sporcarsi le mani prima di sentire uno strappo alla schiena che le congelò il cervello e le fece perdere i sensi per il dolore.
Quando Salazar vide un’ombra stagliarsi sullo stretto corridoio, fremette, ringhiando per l’incantesimo che il vecchio Saladin gli aveva lanciato e che gli impediva di muoversi.
Ma la visione dell’ala luminosa gli alleggerì il respiro prima che i suoi occhi riconoscessero alla fine di questa qualcosa che non sarebbe dovuto esserci, non una mano, ma soprattutto, non il denso e viscido fiume di sangue che gocciolava sulle scale.   
- Credevi davvero che te l’avrei lasciata ?
Ci fu qualcosa di insano nel sussurro del mago, gli occhi spiritati che fissavano il Fantasma, ridenti, sgranati per la gioia di vederlo trasalire, perdere colore in viso e fissare incredulo l’ala che aveva strappato alla fata di netto.
- Ma non preoccuparti, il merito sarà tutto tuo – gli assicurò gentile, chiudendo il passaggio e sfilando da sotto la casacca un piccolo pugnale prima di gettare di lato l’ala di fata che scivolò  ai suoi piedi con un movimento innaturale, orribile, come un braccio mutilato.
- Non appena vedranno il grande Ladro di anime con le ali della fata ai propri piedi e il corpo privo di sensi del proprio preside accanto, non potranno che trovarti spregevole e orribile, come sei sempre stato, come sempre sarai.
Il fiotto di sangue che sporcò le vesti di Salazar fu corposo, e Saladin non potè che congratularsi per la precisione prima di sfilare il pugnale dalla spalla e gettarlo ai piedi dello stregone, strisciando ai suoi piedi per trovarsi esattamente sotto le sue mani.
Ma Salazar non lo guardava, non quel corpo, non quell’ala, vedeva solo il passaggio chiudersi, lentamente, davanti ai suoi occhi, senza che potesse opporvisi, senza che potesse chiamare il nome  di Musa, di quella ragazzina identica ad Arya, immobile, pietrificato dall’incantesimo e da un antico dolore, da una vecchia impotenza che lo aveva tormentato nel suo sonno eterno e che lo aveva risvegliato.
La stessa annichilente sensazione di aver perso qualcosa di prezioso e di averlo ucciso con le proprie mani, ancora una volta.





°°°


 



Quando Riven rinvenne scattò a sedere con il nome di Musa ancora  incastrato in gola, ma si costrinse a tossire per la fitta alla spalla che lo portò a piegarsi di lato per non sforzarla troppo.
- Sono contento che tu ti sia svegliato.
Helia sorrise gentile quando gli occhi dello specialista gli si puntarono addosso con la violenza che li contraddistingueva, una forza che Riven non era mai riuscito a smorzare, a trasformare in qualcosa che altri non potessero scambiare per semplice ferocia.
Ma tutto di lui sottolineava quella forza.
La mascella dal taglio netto, squadrato, che sottolineava la spigolosità dei suoi zigomi, il taglio deciso dei suoi occhi, la piega rigida di labbra dalla forma un po’ troppo geometrica, e quel fisico temprato dagli allenamenti, dalle notti passate a sferzare l’aria con la propria spada.
Una forza che Helia vide vacillare quando Riven gli chiese notizie su Musa.
- Siamo riusciti a recuperarla quando hai perso i sensi.
Lo specialista potè giurare di avergli visto fremere le pupille, come il riflesso acquoso di uno stagno smosso dal lancio di una pietra.
- Ma ? – continuò per lui, gonfiando i muscoli delle braccia, come per prepararsi alla confessione dell’insegnante di Fonterossa che sembrò voler prendere tempo.
- Ma è riuscita a scappare e a tornare a Fonterossa e … Riven !
Il tonfo del suo corpo contro il pavimento in metallo gli causò un’altra fitta di dolore, ma era nulla in confronto all’ansia che gli attanagliava le viscere.
Perché non era riuscito a proteggerla, aveva perso i sensi come un dannato principiante, aveva fallito, ancora una volta.
Helia lo risollevò con un sospiro stanco, tentando di riposizionarlo sulla lettiga.
- Non devi sforzarti così, e non devi preoccuparti. Siamo quasi arrivati, anche se ci abbiamo impiegato un pò, Musa ha fatto saltare il secondo motore – confessò infine, aspettando una reazione che ebbe, e fu  più normale di quanto si sarebbe aspettato visto che si trattava di Riven, e lo specialista non mostrava mai la propria sorpresa, o un’emozione diversa dalla noia.
- Ha fatto cosa ? – ringhiò avvelenato, battendo un pugno sulla barella per sfogare la propria frustrazione.
- Lo so, non è da lei sabotarci, ma crediamo che sia stata incantata quando ha guardato il Fantasma negli occhi. Lo ha letto Tecna nel libro che abbiamo trovato in biblioteca.
Incantata. Musa era stata incantata.
Riven ingoiò l’ennesimo ringhio quando la porta si aprì con un fruscio, facendo passare una rigida Flora che si accostò al fidanzato con passi nervosi, addolcendo un po’ il taglio severo della bocca quando si  accorse dello sguardo dell’altro specialista.
- È successo qualcosa ? – le domandò Helia con voce stranita, ricevendo dalla compagna uno sguardo significativo che Riven comprese, registrò e analizzò nella sua testa con l’imparzialità di un soldato, l’accuratezza e profondità di un guerriero.  
- Cosa hai visto ? – la richiamò Riven con voce cavernosa, irrigidendosi nel vedere la fata abbassare il capo e torcersi le mani per il nervosismo.
- Stiamo per atterrare – li avvisò lei compassata, tradendo nella voce solo un briciolo di ansia – e Timmy ci ha avvertiti della possibilità di trovare qualche problema nell’atterraggio visto la confusione che sembra regnare a Fonterossa.
La corsa alla finestra gli costò un ringhio di fastidio, ma Riven aveva patito dolori peggiori, più profondi di una stupida ferita mortale alla spalla, e quando si affacciò non potè che aggrottare le sopracciglia e risentirsi del caos che intravedeva anche da lì.
C’erano specialisti che correvano a perdifiato per il campo, richiamando quello o l’altro superiore per chiedere delucidazioni su un problema che sembrava averli gettati nel panico, un problema tanto grande da aver trasformato la rigida e composta accademia militare di Magix in un’accozzaglia informe di ragazzini spaventati.
Come le previsioni di Timmy, atterrare fu una manovra difficoltosa a causa dell’inesistente supporto da terra, ma lo specialista era pratico e avvezzo a viaggi più turbolenti, perciò riuscì a tornare a terra senza uno sforzo eccessivo.
E quando il portellone si aprì le Winx e gli specialisti capirono davvero l’entità del danno.
Non solo il panico dilagava per i corridoi, ma nessuno sembrava aver realmente capito cosa fosse giusto fare per risanare quella ferita, solo quando, in mezzo alla calca urlante, riuscirono ad aprirsi un varco verso la sala principale Bloom si irrigidì, fermando la loro goffa avanzata.
- C’è Faragonda – li avvisò la fata con voce nervosa.
- E l’ispettrice Griselda – continuò con sempre più ansia Aisha, stringendosi a Nabu quando gli occhi di tutti loro si puntarono sull’uomo di mezza età che la preside Griffin stava curando con la magia.
E il tempo di chiedere spiegazioni non ci fu.
Ma l’ispettrice Griselda, che li aveva riconosciuti e  visti avanzare aveva inforcato di fretta gli occhiali poco prima sfilati per massaggiare le palpebre stanche prima di  porsi loro innanzi e fermarli con una mano.
- Non potete proseguire – ordinò loro con una voce che avrebbe dovuto essere neutra ma che  le uscì bassa e stanca, un particolare che gettò le Winx nel panico.
- È successo qualcosa a Musa ? – chiese Tecna con voce strozzata, ricevendo in compenso uno sguardo acido della preside Griffin quando la strega si alzò da Saladin con espressione dura.
- Ora non è il momento dei  vostri piagnistei – le rimproverò con ferocia, ma una mano di Faragonda sulla sua spalla la convinse a lasciare alla fata la responsabilità di avvisare le sue ex allieve dell’accaduto.
- Dovete essere forti ragazze – cominciò la donna con voce seria, notando l’ondata di terrore che aveva fatto sbiancare le guardiane – Non sappiamo ancora cosa sia successo di preciso, ma vi prego di non farvi prendere dal panico.
- Credo che dovresti informarle, Faragonda, della possibilità di non rivedere la loro povera amica.  
Riven fissò il suo preside, il mentore, il suo maestro con occhi increduli, spaventati, non di quello che sarebbe dovuto essere il guerriero più forte di Fonterossa, ma di un uomo che ha paura di scoprire la verità.
Saladin tornò in piedi con un gemito, soccorso da alcuni suoi sottoposti che lo aiutarono a non cadere prima che il mago guardasse con aria mortificata quei visi bianchi per l’orrore.
- Ho cercato di proteggerla – ammise il mago con voce bassa, dolente, scuotendo il capo con un gesto rammaricato – ma Salazar era troppo potente per …
- Lei dov’è ?
Le Winx, le presidi, l’ispettrice Griselda, lo stesso Saladin, nessuno riuscì a frenare il brivido di paura corso lungo la colonna vertebrale nel sentire il sibilo basso di Riven, la mascella contratta e gli occhi ridotti a due schegge di luce viola.
Lo specialista la cercò con lo sguardo, lei e quei suoi occhi blu sempre così gentili, comprensivi, poi lo vide, lo udì, il pianto singhiozzante di un ragazzino dai bizzarri capelli verdi.
E quando Riven scansò l’uomo con poco garbo le Winx lo seguirono a ruota, sussultando violentemente quando videro cosa Aidan tenesse tra le braccia.
Non un corpo, non il viso smorto della loro amica, ma un’ala, una  fragile e colorata ala di fata che Riven riconobbe con un colpo al cuore prima di alzare lo sguardo su Salazar, il ladro di anime, che gli specialisti avevano accerchiato.
- No. No, no, no. No !
Fu Tecna la prima a rompere il silenzio, ad infrangere la cappa di incredulità che esplose tra  loro assieme alle sue urla di disperazione mentre Stella crollava in ginocchio con le lacrime agli occhi e Flora scoppiava in singhiozzi.
Sky fece appena in tempo a vedere Bloom tremare violentemente prima di reggerla e impedirle di farsi male.
Aisha si limitò a coprirsi il viso con le mani per non guardare, per non vedere, per non sentire il cuore andarle in pezzi nel petto mentre Riven altalenava il proprio sguardo dallo stregone, immobile al centro di un cerchio magico, all’ala di fata ai suoi piedi.
Ma lo specialista vide solo il sangue, tanto, troppo sangue, una scia che tinse la sua mente e i suoi occhi di rosso.
Lo stridio della spada contro il pavimento fu doloroso per l’orecchio di chi gli era vicino, ma Riven, finito carponi dopo essersi avventato sul Fantasma e averlo attraversato non potè che tornare in piedi con lo stesso suono, facendo strisciare la lama che alzò ancora e a ancora, correndogli attraverso, finendo sempre col cadere.
E continuò così, una, due, tre volte prima che la ferita alla spalla gli strappasse un gemito di dolore che gli impedì di mantenere una presa salda sulla spada che scivolò via prima che lo specialista cadesse contro una colonna, le gambe divaricate e rigide per lo sforzo, le mani abbandonate su quel petto che sentiva muto.
“- Ho pensato molto a quello che è successo e …  ho deciso che sarebbe meglio prenderci una pausa”.
Si prese la testa tra le mani con un ringhio di frustrazione, strizzando gli occhi per cancellare la figura ingobbita di fronte a lui, quell’espressione ferita e rammaricata che sognava ogni notte da tre anni.
E lui avrebbe voluto gridarle che non avevano bisogno di una pausa, che non sarebbe servito a nulla se non a ferire entrambi, a rendere penoso il suo tentativo di proteggerla da se stesso, da quell’orrore che covava nel petto e che segnava la schiena di Musa.
“ - Mi biasimeresti se lo fossi ? Credi che ciò che è successo non mi abbia fatto male ?”
Riven seppe di stare per crollare, di non riuscire più a raccogliere i cocci sbilenchi che componevano il suo cuore, perché non c’era più niente a tenerli su, non la consapevolezza che anche senza di lui, lei sarebbe stata felice, non il pensiero di saperla al sicuro dai pericoli, da lui.
Perché lui le aveva fatto male, tante, troppe volte per contarle, per enumerare le cicatrici che le aveva lasciato nell’anima, su quel corpo fragile che tremava ogni volta davanti alla sferzata del suo sguardo che esigeva durezza e strafottenza.
Che era tremata anche quella sera e che era indietreggiata, con l’orrore nello sguardo, con la paura.
Paura di lui, di quel mostro verde che si ripresentava a chiedere il conto di ogni sua azione, ridendo dei suoi tentativi di essere migliore, di sembrarlo, di credersi tale.
“ -  Credi che tutto sarebbe tornato alla normalità, una volta tornati ad Alfea ?
 “  - Credi che non mi sia sentita morire quando ti ho visto ubbidire ai comandi di Mandragora ? Credi che il tuo tradimento non mi abbia ferita, Riven ?”
Non lo aveva mai creduto, neanche una volta, perché non era così stupido da esigere quel sacrificio, non da lei, non in quel modo. Non quando l’aveva vista davvero morire dentro. Non quando sapeva di aver ucciso entrambi, se stesso e lei.
“  - Spiegami allora! Spiegami”
Ma lei non avrebbe capito, non avrebbe compreso la complessità del suo cuore, il grigiore della sua anima, il marciume del suo spirito, l’orrore del suo cuore, di quell’anima nera che lo portava a ferire, a distruggere ogni cosa buona nella sua vita.
Perché non la meritava, né lei, nè il suo amore. Non lo aveva mai meritato.
“ - Capisci allora che una pausa non può che farci bene.  Forse, se stiamo lontani per un po’, noi …
“- Cosa vuoi dire ?”
Lo aveva avvertito anche lui, il suono di qualcosa che cade e va in pezzi, perché li aveva visti, quegli occhi blu velati di lacrime infrangersi come un vetro rigato dalle sue mani, dai suoi  tentativi di romperli, di farle vedere la mostruosità del suo essere, l’ineluttabilità del suo destino.
E non l’avrebbe portata con sé in quella caduta, non l’avrebbe trascinata, non sarebbe stata la sua zavorra.
 “- Non parlare come se la cosa non ti riguardasse !”
Quando una mano si poggiò sulla sua spalla Riven si spezzò, un misero contatto con l’esterno che lo aveva catapultato in una realtà peggiore di ogni suo incubo, di ogni sua notte passata a rotolarsi tra le lenzuola sudate con il ricordo della sua spada che affondava nella carne tenera di quella schiena bianca.
- Mi dispiace.
Ma non trovò conforto in quella frase, non l’avrebbe trovata più, da nessuna parte.
Perché tutto quello lo riguardava, lei, lo avrebbe sempre riguardato.
Ogni sua azione, ogni sua lacrima, ogni sua ala spezzata.
Lei sarebbe stata una cosa sua, ma accettarlo ora non sarebbe importato, non avrebbe avuto senso, avrebbe solo aggravato il rimorso.
Il rimorso per non essere stato abbastanza forte da difendere entrambi.
Il rimorso di averla amata, sempre, ma di non essere mai riuscito a dirglielo, di non essere mai stato normale.
Il rimorso di avere di lei, come ultima immagine, un  viso inondato di lacrime e un sorriso spezzato.


Continua…
 

Quatti quatti ci avviciniamo alla fine, con la speranza di riuscire a concluderla degnamente.
Pochi capitoli alla fine che però saranno molto più lunghi dei precedenti vista la molteplicità di avvenimenti trattati.
Un saluto, Gold Eyes
  
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