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Autore: virgily    14/11/2012    6 recensioni
"Ed era strano quello che lui provava dentro. Un peso, enorme, eppure leggero allo stesso tempo. Come se tutto cominciasse a perdere di significato, come se la sua vita precedente fosse stata soltanto una fase vissuta in un mondo completamente assestante dalla realtà. Ma era più vicino alla verità di quanto pensasse: ora che era sbendato, vedeva tutto sotto una nuova luce. E forse era proprio lei la sua luce. Perché? Semplice: lei lo aveva salvato.
-Come vi chiamate?- domandò focalizzando la sua attenzione su quelle sinuose labbra che si mossero piano
-Claudia- un sussurro. Le labbra di Undertaker si mossero in un sorriso sereno, genuino... Puro. ”
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Undertaker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando il tempo, un mattino, ti rubò da me

13 July 1866



Londra, tredici Luglio 1866.

La bottega era buia, infestata dall'odore acre di morte e polvere. Piccoli ragni danzavano nelle fitte e scintillanti ragnatele, penzolando come funamboli agli angoli del soffitto e delle molteplici bare li deposte. Non vi era la benché minima fonte di luce, se non un misero spiraglio penetrato da qualche tapparella difettosa. Questo era il luogo dove il becchino viveva, l'unico posto al mondo, oltre al cimitero, dove quel bizzarro uomo riusciva a sentirsi a proprio agio. Quando non aveva clienti, spesso vagava trascinando la sua lunga tunica scura sul pavimento lurido, errando tra il laboratorio e il suo giaciglio, una splendida bara di mogano imbottita di seta. Ma quel giorno in particolare, Udertaker si guardava spesso intorno, sbandierando quelle iridi misteriose che mai aveva mostrato ad anima viva. Stava cercando qualcosa mediante l'utilizzo del suo solo sguardo, ma non riusciva a capire di cosa veramente avesse bisogno. Gli venne da ridere per tutta quella euforica confusione che aveva nella testa, e quei piccoli versi acuti e strazianti, per qualche istante, riuscirono a non farlo sentire solo. Forse era proprio la solitudine a schiacciarlo sotto il suo peso. Onestamente non ci aveva mai pensato, erano così tanti i cadaveri che accoglieva come ospiti d'onore che nella sua testa non aveva mai provato la necessità di avvertire quel vuoto che ora cominciava a dilatarsi nel suo petto. Non sentiva dolore, ma il corrodere lento quasi riusciva a dargli un certo fastidio. Improvvisamente, sentì la porta d’ingresso aprirsi piano, lasciando propagare il suono di piccoli passi, lenti e incerti. Voltandosi di scatto, il becchino ebbe l’opportunità di osservare quella donna che mai avrebbe pensato di vedere all’interno della sua bottega: di bassa statura, con i capelli scuri raccolti sotto il cappellino di raso e velluto nero, indossava un abito del medesimo colore, semplice, privo di decori. Una bella donna sebbene di età piuttosto avanzata. L’uomo si concentrò soprattutto sullo sguardo, freddo e austero, che trapelava al disotto della morbida veletta che le mascherava le prime rughe del volto. Nelle sue iridi pallide vide uno strato di amara tristezza, e dei segni contriti irrigidirle le gote altrettanto sciupate. Si chiese il perché della sua presenza, e sapeva che c’era soltanto un modo per scoprirlo. Così, espose uno dei suoi migliori finti sorrisi, e accogliendola come un comunissimo cliente ridacchiò:
-Hi hi come mai sono onorato della vostra presenza, my lady?- domandò con tono fastidioso e sarcastico
-Se cercate vostra figlia, sono spiacente di avvertirla che quest’oggi non è ancora giunta a farmi visita…- continuò il becchino dopo averle proposto un inchino esageratamente studiato e dispettosamente elegante. La donna, infatti, era pienamente conscia di essere beffeggiata da quel personaggio eccentrico e malsano che disgustava la sua vista; ma quel giorno, nemmeno lei, nobildonna dal carattere forte e autoritario, era in grado di controbattere a una tanto misera provocazione. E rimase in silenzio, abbassando lo sguardo, come se si stesse concentrando nel cercare le parole adatte per parlargli. Fu questa sua insolita calma e timidezza a disarmarlo. Così decise anche lui di tacere a sua volta, lasciando che un angoscioso silenzio calasse su di loro con un peso quasi mortale
-Infatti, sono qui per dirti…- la sua voce pareva un flebile sussurro forzato da tremori improvvisi. La donna s’interruppe di colpo, cercando di riprendere fiato. Notare questa tua difficoltà nell’esprimersi della donna certo non rassicurò il becchino, che da sempre era abituato a ricevere un certo “trattamento” di stizza da lei. E proprio innanzi i suoi occhi, quella stessa donna che amava sprecare parole amare sul suo conto, indugiava. Spaventata. Debole. Sconvolta. Quasi istintivamente fece un passo avanti, ma proprio quando lo scricchiolio del pavimento annullò quell’infame silenzio, il volto della donna si rizzò di colpo, penetrandolo con occhi macchiati da uno spesso strato di lacrime
-Claudia non verrà. Ne oggi ne mai…- a denti stretti, quasi ringhiava mentre una piccola gemma incolore le rigava il volto. C’era della cattiveria nella sua lingua, quella nostrana antipatia che Undertaker riconobbe immediatamente. Un ghigno amaro si allungò sulle labbra del becchino che trattenendo un risolino inquietante le rispose:
-My lady, non l’avrete davvero chiusa a chiave nelle sue stanze?- le mani candide dell’uomo si strinsero a pugno, stritolandosi la sua stessa carne con forza, sebbene dal suo volto tentasse di non lasciar trapelare alcuna emozione. Ed era più difficile di quanto pensasse, perché proprio dentro il suo petto sentiva un fuoco pervaderlo e corroderlo
-No. È morta.- fredda e repentina, la donna parlò così velocemente che per qualche istante lo shinigami pensò di non aver udito una parola. Ma mentiva a se stesso. Lui aveva sentito più che bene, ma semplicemente cercava di ignorarlo, non voleva crederle. Sotto la folta frangia argentea, gli occhi dell’uomo erano sbarrati, impietrito proprio come il resto del suo corpo. Sentì dolore, quel dolore che non sentiva da tempo…
-Ha preferito il veleno alla vita felice che io avevo predisposto per lei. Per… Te- era indignata. Ma non gli importava. E lentamente il vuoto bruciava sempre più, trascinandolo in una depressione inquieta e deleteria. Rimase immobile, lo sguardo fisso al pavimento, il cuore fermo nel petto.
Ancora silenzio. E questa volta pareva ancor più letale.
Quasi prendendo coraggio, la donna si avvicinò alla figura di nero vestita, sfilando dalla piccola borsetta di velluto un monile d’argento.
-Questo è per voi. Nelle sue ultime volontà Claudia ha desiderato solo questo-Con distacco e ripudio, afferrò quasi schifata la mano del becchino, posando sul suo glaciale palmo quel piccolo oggetto finemente inciso: un ciondolo porta ciocche a forma di ovale. Sul piccolo coperchio un infinito incatenato da spine; sulla parte superiore vi era riportata una data: “ 13 July 1866” mentre sulla parte inferiore il suo nome: “Claudia P.”
Ora che vedeva con i suoi occhi la prova inconfutabile della sua morte, Undertaker trattenne il fiato, senza pronunciare una parola. Il suo tempo da shinigami era finito da tempo, eppure gli sembrò che lo scorrere dei secondi si fosse congelato, eppure non aveva alcun cinematic record da visionare. Non capì l’addio sornione della nobildonna, non volle ascoltarla. La porta della bottega si chiuse alle sue spalle, e soltanto quando finalmente rimase in completa solitudine, il tempo riprese a camminare, lentamente, ancora disorientato. Arrancò con passo pesante verso la prima bara a coperchio chiuso che le capitò a tiro, sedendosi su di essa. La mano serrata al suo petto, proprio all’altezza del cuore. Guardò nuovamente quel ciondolo. Ecco che cosa restava di lei. Facendo leva con un’unghia aprì quel prezioso pendente, cercando quella misera ciocca di capelli bruni gelosamente racchiusa al suo interno. Con enfatica delicatezza, la sollevò appena. Era soffice al tatto, e emanava ancora il suo dolce profumo. Un piccolo sorriso si dipinse tra le sue labbra, e un piccolo riso fuoriuscì da esse. Un riso di rabbia, schizofrenico. Una lacrima invisibile solcò quella cicatrice che gli marcava il volto. Se la sfiorò appena con la punta delle dita, ruvida e umidiccia percorreva l’angolo della fronte, scendendo nell’incavo dell’occhio per poi percorrergli tutta la lunghezza del naso e della guancia. Chinò il capo all’indietro, lasciando offuscare la sua mente di piccole immagini macchiate di sangue e lacrime perfettamente incastrate tra loro:

“Era notte fonda. L’oscurità lo avvolgeva. Candida neve si macchiava di purpureo sangue, il suo sangue. Lunghi capelli argentei sparpagliati al suolo, un paio di occhiali rotti, il volto coperto da una maschera cremisi. Il cuore batteva lentamente, sussultando i suoi ultimi rintocchi. I suoi occhi guardavano l’immenso del vuoto che si propagava attorno al suo corpo in fin di vita. L’angolo sinistro delle labbra sollevato verso l’alto. Un ultimo sorriso.
-Santo cielo! Padre aiutatemi! Quest’uomo è ferito gravemente!!- passi che affondavano nella neve, una voce vellutata, melodiosa
-Passatemi il vostro foulard, dobbiamo immediatamente arrestare la fuoriuscita di sangue dal collo!- stoffa morbidissima, un pacato odore di fiori. Non vide nulla, ma Undertaker seppe di per certo che perse conoscenza nel momento esatto in cui dita sottili s’inoltrarono tra i suoi capelli, sollevandogli appena il capo.
Quando riprese conoscenza, il dolore era come una scossa elettrica che percorreva il suo corpo con violente scariche prive di alcuna pietà. Doveva essere bendato, riconosceva l’odore acre della garza sporca, e pur volendolo non riusciva ad aprire gli occhi. Doveva essere disteso, e il confortevole tepore delle coperte pesanti quasi alleviavano le sue pene. Sentì il cigolio lontano di una porta, il suono aggraziato e leggero dei tacchi quasi gli lasciò pensare che ad avvicinarsi fosse una fanciulla
-Dove mi trovo?- domandò tentando si sollevarsi dal suo giaciglio. Ma i muscoli sembravano essersi inturgiditi, e tiravano come corde ormai troppo vecchie per essere tese. Trattenne a malapena un sussulto di dolore, e nuovamente sentì quelle mani affusolate e piccole posarsi sul sulle sue spalle nude aiutandolo, e quasi cullandolo tra le sue braccia nel tentativo di aiutarlo a farlo tornare disteso. Da quel poco che riuscì a constatare, la giovane doveva essere piuttosto snella, e sebbene avesse il viso fasciato, non riuscì a far a meno di assaporare quel profumo di fiori
-Siete al sicuro. Ora non sforzatevi. È già un miracolo che siate ancora vivo, signore- lo stesso tono morbido e gradevole che ricordava di avere udito prima di perdere ogni concezione sensoriale
-Sei tu? Sei stata tu ad avermi trovato?-
-Dovete riposare, signore- dal suo tono l’uomo dedusse che stava sorridendo, eppure piuttosto che rispondergli, la giovane gli stava rimboccando le coperte. Con un movimento improvviso della mano, afferrò prontamente per il polso scoperto il braccio della ragazza. Al tatto, la sua pelle immediatamente pareva essersi irrigidita, probabilmente per lo spavento. I brividi percossero la sua epidermide lungo tutto l’avanbraccio
-Rispondete, vi prego…- era serio, una freddezza quasi inquietante. Eppure la fanciulla leggeva tenerezza nella sua voce. Così, si poggiò al suo fianco, e proprio in quel momento la presa dello shinigami si fece più dolce, scivolando lungo il dorso della mano, carezzandole le dita con le sue lunghe e scheletriche
-Sì, sono stata io a trovarvi- per un brevissimo istante, un soffice silenzio si posò su di loro come un velo sottilissimo. E tutto attorno a loro pareva essere rallentato. Mossa da un irrefrenabile senso di curiosità, improvvisamente le mani della giovane si mossero, annullando quel breve contatto che Udertaker stesso aveva cercato. Si levarono sul suo volto, e lentamente cominciò a sciogliere quelle garze che gli coprivano l’ovale candido e delicato. Man mano che toglieva la garza, il cuore della ragazza cominciava ad aumentare gradualmente. Era stata lei stessa a mettergli i punti quando l’uomo era ancora privo di conoscenza, a ripulirlo del sangue che macchiava il suo terrificante candore, e non riusciva a nascondere a se stessa che quei lineamenti affilati l’avessero affascinata. Ed eccolo lì, proprio innanzi i suoi occhi scuri: i punti erano ancora arrossati e conferivano un roseo delicato che colorava quella pelle sottile e quasi trasparente. I lunghi capelli argentei incorniciavano quel magnifico pallore, ma la caratteristica che più la incantava erano quegli occhi verdi. Profondi, magnetici, luminosi… Proprio come se nelle sue iridi fosse stato aggiunta una goccia d’oro purissimo per conferirgli maggiore fascino. E per la prima volta, lo shinigami svelò l’identità di quella fanciulla dal profumo di fiori che lo aveva salvato dalla perdizione nell’oblio: lunghe onde brune, occhi altrettanto grandi e scuri, sulla sfumatura del nocciola. Era dolce il suo sguardo, proprio come il sorriso che rimpolpava la sua bocca fina. Ed era strano quello che lui provava dentro. Un peso, enorme, eppure leggero allo stesso tempo. Come se tutto cominciasse a perdere di significato, come se la sua vita precedente fosse stata soltanto una fase vissuta in un mondo completamente assestante alla realtà. Ma era più vicino alla verità di quanto pensasse: ora che era sbendato, vedeva tutto sotto una nuova luce. E forse era proprio lei la sua luce. Perché? Semplice: lei lo aveva salvato.
-Come vi chiamate?- domandò focalizzando la sua attenzione su quelle sinuose labbra che si mossero piano
-Claudia- un sussurro. Le labbra di Undertaker si mossero in un sorriso sereno, genuino, puro. ”

-Claudia…- e quando ripeteva il suo nome, a voce bassa, come se volesse ascoltare da solo il suono di quelle sette lettere accostate insieme, custodendolo gelosamente, ancora gli nasceva spontaneo quel magnifico disegno sulle sue labbra. Ma ben presto, quella linea sottile e armoniosa si storpiò in un ghigno amaro, rabbioso. Doveva farci l’abitudine. Claudia non c’era più.

***
Aveva appena cominciato a piovere quando la donna di nero vestita fece ritorno presso la sua dimora. Le luci soffuse, il silenzio tombale. Soltanto il suono dei suoi passi confermava la presenza di qualche anima viva. Passeggiando per i lunghissimi corridoi, i suoi occhi osservavano quasi con prepotenza quella porta di legno massello alla quale si avvicinava sempre più. Dalla medesima pochette dalla quale aveva estratto il prezioso ciondolo, adesso ne faceva fuoriuscire una chiave. E nel momento stesso in cui la lasciò girare all’interno della serratura, la donna prese un respiro profondo, quasi alla disperata ricerca di ritrovare l’autocontrollo e ritornare la donna tutta d’un pezzo che era. Girò la maniglia e con un gesto autoritario e deciso, entro in quella camera da letto lasciata completamente al buio. L’unica fonte di luce era quell’opaca luminosità che filtrava dalle nuvole scure, e si addentrava nella stanza per mezzo della finestra. Proprio lì, seduta con la tempia posata sul freddo vetro e i capelli scuri lasciati sciolti lungo le sue clavicole, una fanciulla dalla pelle candida e marchiata dall’infelicità, volgeva i suoi occhi nocciola al cielo, contemplando la pioggia come quelle lacrime che purtroppo aveva esaurito. Per lui, Undertaker.


*Angolino di Virgy*
Dopo secoli, e secoli... E secoli (okay forse sto esagerando!) sono tornata con una nuova storia!
Claudia P. Un nome, un mistero. Sono rimasta letteralmente affascinata da quel ciondolo, così ho deciso di scrivere una sorta di excursus per spiegare la sua relazione con il nostro amato becchino, ma non mi limiterò solo a questo, chi mi conosce sa che amo complicarmi la vita con intrighi assurdi! O.O
Bene, detto questo spero sinceramente che vi piaccia! Questa fic rappresenta una sorta di rivalsa dopo un periodo di vuoto.
A presto, un bacio
-V-  
  
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