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Autore: Scimi    14/11/2012    0 recensioni
E' la mia prima storia pubblicata. Spero possa piacervi.
Il dolore, la perdita non possono impedirti di vivere. Per quanto puoi stare male, devi impare a ricominciare a vivere. Vivere non è vivere in apnea, non è sopravvivere. Vivere è anche lasciarsi amare.
Nonostante siano passati due anni dall'accaduto per Sara non è facile lasciarsi amare. Non lo ammetterà mai, neanche a se stessa. Qualcosa, o meglio qualcuno l'aiuterà, inconsapevolmente...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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PERDONATEMI!!!So benissimmo che avevo detto che avrei aggiornato settimanalmente, ma ho avuto dei problemi. mi sono lauereata e trasferita in un'altra città, dove non ho una grandissima connessione. Spero capiate. :)
mi farebbe paicere se qualcuno di voi commentasse, tanto per sapere che ve ne pare, e se è il caso che io continui a postare i capitoli successivi.
Un Bacione Scimi




Le mie giornate non erano poi così diverse. Erano frenetiche sì, ma erano vissute. Non ero mai annoiata o senza uno scopo. Ogni singolo minuto della mia vita era organizzato. Non potevo sprecare un solo secondo, altrimenti sarei stata fottuta tutta la giornata. Pensavo a questo, cercando di distrarmi mentre andavo in università. Già stavo andando a fare il penultimo esame. Ne mancava uno solo e avrei potuto dimostrare a mia madre che non ero una perdigiorno. O forse no, avrei continuato a tenerle nascosto tutto ciò. Perché in una qualche maniera mi sentivo sbagliata, con lei.

Arrivata alla fermata scesi dal treno, dirigendomi in quell’aula con una certa ansia. Non ero mai troppo agitata ma stavolta sì. Quel professore metteva ansia. Mi agitava lo sguardo di superiorità con cui guardava tutti. Guardai l’orologio. Ero in perfetto orario. Forse anche con dieci minuti di anticipo. Entrai in aula e presi posto.
Ero agitata si. Perché questo esame lo odiavo. C’erano troppe cose da ricordare. Si supera così un esame di Diritto Commerciale? I miei colleghi parlottavano tra di loro, ripassando e augurandosi di arrivare anche ad uno puzzosissimo diciotto. Già avrei firmato anche io per uno schifosissimo diciotto. Ma ero sicura che mi avrebbe rimandato a casa ancora una volta. Ops! Ho omesso di dirvi che era la terza volta che mi sedevo davanti a quel bruttussimo pezzo… ok non offendiamolo prima del tempo. Le prime due volte mi aveva dato un 18. Avevo rifiutato sempre, sapevo di meritarmi di più. Sapevo che voleva punirmi per non aver frequentato le sue lezioni. Lo sapevo benissimo.
Oh eccolo che arriva con la sua schiera di assistenti, sembravano tante scimmiette ammaestrate tutte pronte a sorridere e ripetere perfidamente, “ per me non sei preparato a sufficienza, torna al prossimo appello” e lì che la mente di ogni studente pensava alle più cattive e ingegnose vendette.
Avevano già chiamato le prime vittime, oggi non ne eravamo in tanti. Strano.
“Ferrari” ok era il mio turno.
Alzai la mano e andai a posizionarmi dalla scimmietta ammaestrata.
“Buongiorno, ecco questo è il libretto”
“Bene, si accomodi. Iniziamo dalle società per azioni? Bene mi parli della costituzione di una S.p.a.”
“si certo. La costituzione di una Spa deve avvenire per atto pubblico, pena la validità dello stesso…”
Andai avanti a ripetere tutto quello che sapevo.
Risposi anche alle due domande successive. Certo mi ero accorta che le domande non erano particolarmente difficili. Ma avevo comunque risposto esaurientemente.
“bene, per me puoi andare dal professore.” Appuntò una sua proposta di voto e mi mandò dal professore.
“ah, è lei signorina Ferrari. Bene. Vediamo. Questa volta sembra abbia studiato”
Come tutte le altre volte. Ma non lo dissi, mi limitai ad un sorriso di circostanza. Meno aprivo la bocca e meno insulti avrei rischiato di vomitargli addosso.
“allora mi parli del diritto d’opzione. Numero dell’articolo e tutto quello che sa a riguardo”
Ovviamente il numero dell’articolo non lo sapevo ma non me ne curai andai dritta per la mia meta dicendo tutto quello che sapevo. Ero convita che questa volta ce l’avrei fatto. Si ero precisa e dettagliata.
“si fermi, il numero dell’articolo non lo ricorda?”
“al momento mi sfugge”
“non avevo dubbi sa? Più di un 23 non posso darle. Accetta?”
Stavo per aprire bocca e dire che quel 23 poteva gentilmente infilarlo nel suo di dietro.
“benissimo.”
“si accontenta di poco.”
Aspettai che firmasse il libretto. Mentre stavo riprendendomelo dalle sue mani, non riuscii proprio a trattenermi.
“sa qual è la verità? A volte non possiamo di certo lottare contro i mulini a vento. La mia preparazione non era da 23 lo so io. E lo sa lei, a conferma della proposta di voto della sua assistente. Ma forse ha ritenuto opportuno penalizzarmi per aver mancato le sue lezioni.”
“mi scusi?”
Già facciamo finta che io non abbia parlato. Molto meglio.
“arrivederci professore.” Mi alzai e me ne andai. Non so cosa mi è preso. Sapevo benissimo di essere incazzata nera ma di solito non perdevo il controllo. Eppure mi sfidava con quello sguardo così cattivo, stronzo. Già. Così stronzo. Eppure quello sguardo assomigliava a qualcuno di mia conoscenza, ma non riuscivo a ricordarmi. Eppure… prima o poi mi verrà in mente.
Le tre del pomeriggio al bar non c’era mai molta gente, solo alcuni ragazzi che venivano a prendersi gli ultimi gelati dell’anno.
“ciao Sara..”
“ohi Vane, ciao. Come mai sei qui? Ti sei dimenticata qualcosa?”
“no, è che mi annoiavo a casa, non sapevo che fare..”
“tu annoiata??”
“oh si,..non guardarmi in quel modo, non riuscivo nemmeno a dormire capisci?? Io che non riesco a dormire è praticamente assurdo..”
“con chi hai discusso??”
“non c’ho proprio discusso..scambio di opinioni..”
“mmm ti va di parlarmene?”
Avevo lo sguardo spento. Lei che sempre rideva e scherzava aveva lo sguardo spento. Sapevo che c’entrasse Mario ne avevo la certezza. Ma non potevo essere io a chiedere. Questa volta doveva fare tutto lei.
“non mi va molto di parlare… mi dai un gelato? Triplo cioccolato?”
“benissimo, la cosa è piuttosto grave quindi.. e c’entra un ragazzo, altrimenti non si spiega il triplo cioccolato.” Le feci una linguaccia per non farle pesare troppo la situazione. Era giusto così. Doveva rendersene conto da sola di quello che provava, per lei è sempre stato difficile aprirsi ai sentimenti.
“beh me lo dici com’è andato quest’esame??”
“uno schifo, un misero 23, ma giuro che avevo studiato. E che quello stronzo. L’avrei strangolato con le mie stesse mani. Giuro.”
“dai calmati, pensa che sei a meno uno. Che ora non hai più scuse e che a dicembre posso venirti a cantare la canzoncina..”
Parlammo un altro po’ scherzando. Cercavo di distrarla dal suo problema. Lei per me in questi anni ci era stata, mi aveva dato tutto l’affetto, l’appoggio di cui avevo bisogno.
Si erano fatte le 18.30, il turno di Vane stava iniziando e il mio era finito. Dovevo correre al centro.
Andai a piedi, tanto era a poche centinaia di metri dal Bar. Adoravo camminare mi rilassava e mi aiutava a pensare. Era piacevole il clima autunnale. Anche se io preferivo di gran lunga il clima invernale. Il freddo, la neve il calore del caminetto. Forse lo adoravo perché in questa sperduta cittadina non nevica mai, e l’inverno non era mai così rigido.
Entrando nel centro, salutai i tanti ragazzini che giocavano nel grande salone. Alcuni di loro erano più estroversi e ti saltavo in braccio schioccandoti un bacio sulla guancia. Altri erano più timidi si fermavano a un piccolo sorriso. Il Don aveva aperto questo centro, inizialmente, per dare una mano alle famiglie costrette a stare tutto il giorno a  lavoro e di certo non riuscivano a pagarsi una babysitter. Così il Don rimise in sesto questo vecchio immobile che apparteneva alla parrocchia e organizzavo una sorta di oratorio. Aiutava i bambini con i compiti per la scuola e offriva un valido ed economico aiuto alle famiglie. Infatti non erano previsti compensi, ma solo piccole offerte in misura a quanto potevano le famiglie stesse della parrocchia. Il Don aveva un sacco di spese dovute al Centro, ma mai aveva pensato ad un contributo fisso da chiedere alle famiglie. Era un uomo di Dio, mandato sulla terra a fare del bene.
Da un annetto, il centro era diventato una sorta di orfanotrofio. Aveva ottenuto le autorizzazioni necessarie, così con l’aiuto delle suore cercava di aiutare i ragazzini che non potevano vivere a casa con la propria famiglia. C’erano solo un paio di ragazzini orfani di entrambi i genitori, Micheal e Robert. I loro genitori erano morti un incidente stradale, ed essendo parrocchiani del Don, lui aveva fatto di tutto per non abbandonarli e farli vivere al Centro. Per aiutare quei due ragazzini, che altrimenti sarebbero stati costretti anche a cambiare città, che il Don si adoperato per aprire l’orfanotrofio.
Il resto dei ragazzini che si vedano nel centro, avevano una famiglia dove tornare la sera, anche se a volte dormivano al Centro. Specialmente l’estate, era un modo per far fare a quei ragazzi una vacanza, che sicuramente la famiglia non si sarebbe potuta permettere.
Il Don passava le sue giornate lì dentro. Sempre disposto ad aiutare tutti. Aveva provato ad aiutare anche la mia famiglia. Ma con non ci era riuscito. Non si può aiutare qualcuno che non poteva essere aiutato. In particolare mia madre non aveva apprezzato l’aiuto che ci aveva offerto. Mio padre, non si era mai espresso a riguardo, ma sapevo che il suo silenzio significava che sarebbe rimasto accanto a sua moglie, fino alla fine. Io invece, mi ero lasciata aiutare non avevo chiuso completamente il mio cuore. Non volevo che il dolore mi rendesse una persona insensibile e indifferente alla vita. Ero sempre stata una ragazza attiva, volevo continuare ad essere la stessa. Ma il dolore cambia tutto, ed è una triste verità a cui prima o poi bisogna abituarsi.
Nonostante il dolore, e il cambiamento inevitabile, il Don mi aveva coinvolto nel lavoro nel Centro, sapeva che avevo bisogno di impegnare le giornate, di ritrovare il valore della vita. E cosa meglio di un sorriso sincero e puro di un bambino può riuscirci?
Ecco perché ero così legata a quel posto e a quei ragazzini. Perché mi avevano aiutato senza nemmeno rendersene conto, senza chiedere nulla in cambio. Ora toccava a me. Ora che sapevo che con il dolore si può convivere, toccava a me essere d’aiuto a loro.
Più li guardavo giocare tra di loro, parlottare più m rendevo conto che non c’era nulla che mi scaldava il cuore in questo modo.
“no ma ciao, hai intenzione di aiutarmi o rimani a sorreggere la parete?”
Eccola, Suor Francesca. Tutti la chiamavamo la suora Morbidosa. Perché?? Perché era bella pienotta, e ogni volta che ti stringeva in un abbraccio sentivi tutto l’affetto che ti donava. Era la SuoraAbbracciaTutti. Sì.
“suoraaaa..” feci per abbracciarla ma lei si scansò.
Feci il labbruccio tremolante, per muoverla a compassione. “niente abbraccio??”
Scoppiò in una sonora risata, una di quelle che ti riempivano il cuore. Risi con lei anche io, perché era contagiosa, ma non sapevo per cosa stavolta stesse prendendomi in giro. Dopo qualche istante alzai le sopracciglia crucciandomi, chiedendo silenziosamente cosa avesse.
“beh, scimmietta non mi dice com’è andato il penultimo esame??”
“se ti dico quanto ho preso, posso scordarmi il mio abbraccio” dissi con lo sguardo basso. Sapevo quanto tenesse che tutti i suoi ragazzi andassero bene a scuola. Ed io non ero esclusa, il suo sguardo orgoglioso era il più bel ringraziamento. Ed a ogni brutto voto, la ramanzina era d’obbligo. I bambini del centro non erano esclusi.
“era quello di diritto commerciale, che hai dato per tre volte di seguito?”
“oh, ecco!! Senza sapere quanto ho preso già parti con la ramanzina. A mia discolpa posso dire che il prof. È stato proprio cattivo!! Io avevo studiato tantissimo…” il mio sguardo era basso, fissavo le mie scarpe. Sapevo che Suor Francesca non era contenta.
“mi stai dicendo che hai passato l’esame?? Con il prof. Renzetti??”
Alzai lo sguardo arrendendomi. “si, mi ha dato 23. Si lo so. Ho disatteso le tue previsioni. Ma è insopportabile, arrogante, presuntuosa, un professore odioso.”
Mi mise una mano davanti la bocca per stopparmi. “tesoro, hai passato l’esame. La fama del tuo professore è arrivata anche alle mie orecchie. Conosco il soggetto non facile. Non sono delusa da te, tutt’altro. Hai preso un voto basso per i tuoi standard ma ti manca pure sempre un solo esame e potrò chiamarti dottoressa no??”
Mi aggrappai al suo collo lasciandomi abbracciare. Sapevo quanto fossero sincere quelle parole. La persona che stavo abbracciando sapeva che avevo bisogno di sentirmelo dire. Sapeva che per quanto sorridevo a tutti ogni tanto mi prendeva l’ansia di non essere adatta a quella vita. Che per quanto il bicchiere per me fosse mezzo pieno. A volte io vedo solo quanto mancava al bicchiere colmo fino all’orlo.
 
Subito dopo ci mettemmo a lavorare per i ragazzi. Suor Francesca stava giocando con i più piccoli. Mentre io aiutavo i più grandicelli a fare i compiti.
Dai su, leggiamo un’altra volta. La maestra ti ha detto di leggere dieci volte.
“Sara, lo sai che quando torno a casa mamma me lo farà rileggere di nuovo?”
“e lo sai perché lo fa Davide? Perché vuole che tu sia uno dei più bravi. Perché ti vuole bene e vuole che tu ti impegni in quello che fai.”
“uffa! Sei più simpatica quando ci fai giocare”
Gli scompigliai i capelli e lo ascoltavo mentre, sforzandosi di non fare errori, leggeva di nuovo il piccolo bravo assegnatoli.
“Sara, mi aiuti a fare questo conticino??” andai da Gianluca. Procedendo così tutto il pomeriggio.
Aiutando ognuno di loro a terminare i compiti per poi aspettare che i loro genitori venissero a riprenderli. In realtà non rimanevo mai fino a tardi. Al massimo andavo in cucina da Suor Anna, dandole una mano a preparare la cena ai bambini che rimanevano anche a cena. Quindi avevo pochi contatti con le famiglie dei ragazzi.
Ma stasera suor Anna, non c’era e la cena stava preparandola Suor Francesca, così io ero rimasta a sorvegliare i ragazzi, man mano che andavano via.
Mi senti tirare la maglia, girandomi mi trovai il mio piccolo vulcano. Con un faccino triste. Mi inginocchiai di fronte a lei e prendendo le sue piccole mani tra le mie.
“Bene cosa c’è??chi ha rubato il tuo splendido sorriso?”
Fece un sospirone, poi mi chiese che ore fossero. “sono le 7.30, perché piccola?”
“Teo di solito alle 7 mi viene a prendere, e torniamo a casa insieme. Ma ho visto che Davide è andato via. E Lui va via sempre dopo di me.”
“oh, tesoro. Stai tranquilla. Il tuo fratellone ha fatto un po’ di ritardo. Magari ha finito tardi di lavorare”
“beh , ma di solito quando fa tardi mi fa venire a prendere da quell’antipatica di Melissa, che mi accompagna da lui. Non è che si è dimenticato di me?”
L’abbraccia, dandole un bacio sulla guancia. “ma come si fa a dimenticarsi di te?”
Fece un sospirone, e un lacrimone le scese dalla guancia. Ma si vedeva che cercava di non piangere. Stava trattenendo le lacrime che una piccola donna orgogliosa. La strinsi più forte cercando qualcosa che potesse rallegrarla. Siccome erano andati tutti via tutti i ragazzi, rimanevano solo quelli che si fermavano per cena, perché i genitori avevano il turno di notte, o quelli che invece restavano lì a dormire, come Micheal e Rob.
“ti và se ti porto in cucina? E andiamo ad aiutare Suor Francesca a preparare la cena?”
“va bene..” era mogia. Sapevo che era triste, e che lo sentiva come un abbandono da parte del fratello. Era il super eroe. Raccontava sempre di quello che facevano insieme, avevo capito che era terribilmente attaccata a lui. E il suo ritardo era non giustificato.
“Suora, posso aiutarti???Teo non è ancora venuto a prendermi”
“ma certo piccola, apparecchia la tavola insieme Michel?”
La piccola, sembrava aver ritrovato la spensieratezza. Si era messa a piegare i tovaglioli così come le insegnava Micheal.
“suora, il fratello aveva avvertito di passare più tardi?”
“no, e mi sembra strano. Quel ragazzo fa i salti mortali per assicurare una esistenza serena a Benedetta. Di solito se fa tardi manda Melissa. Non che mi piaccia poi molto, ma in fondo l’accompagna in officina dal fratello. In cinque minuti non può influenzarla malamente.”
Risi con lei. Perché era così. Una donna di chiesa, ma pur sempre una donna. E ogni tanto si lasciava sfuggire qualche commento indelicato.
“Signore, perdona la mia linguaccia..” nel frattempo era tornata a preparare il brodino.
Intanto si erano fatto le 20, e di questo Matteo nemmeno l’ombra. Benedetta sembrava non accorgersene, perché si era messa a giocare con gli altri bambini.
Ad un certo punto sentimmo suonare il campanello del centro, andai ad aprire io che ero senza far nulla.
Mi ritrovai di fronte lo stesso ragazzo della mattina, solo che della strafottenza della mattina non c’era traccia. Sembrava preoccupato.
“Benedetta è ancora qui vero?”
“si certo, dove dovrebbe essere altrimenti?”
Mi fissava con un sguardo cupo, meno preoccupato. I suoi occhi erano duri. Non permettevano di andare oltre. Si fece spazio per entrare sorpassandomi, e lasciandomi turbata alla porta.
Pochi secondi per riprendermi, e indicargli con la mano dove avrebbe potuto trovare Benedetta.
“Bene, guarda chi è arrivato?”
I ragazzi erano tutti intorno a tavola, pronti per la preghiera.
“TEOOOO” scese di corsa dalla sedia buttandosi tra le braccia del fratello stringendolo.
“quanto affetto piccola peste” si stacco un po’ dal suo abbraccio, mostrando il suo visino imbronciato.
“sei cattivo. Hai fatto tardi.”
“scusa scricciolo, mi perdoni??”
“no. sono troppo arrabbiata con te. Perché non hai mandato neanche Mel?”
“ma se non ti è mai piaciuta. Volevo venire io a prenderti, ma ho fatto tardi scusa”
Erano adorabili vederli insieme, parlottare così. Quando era con lei Matteo era tutto fuorché cupo. I suoi occhi brillavano di tutto l’amore fraterno che possedeva.
“Sara, secondo te lo devo perdonare?”
Mi sentii chiamata in causa, imbarazzata sorrisi alla bambina. Non sapevo come uscire da quella situazione.
“certo tesoro, capita a tutti di fare tardi. Può succedere.” L’accarezzai sorridendole e superando i due fratelli per evitare di essere messa di nuovo in mezzo. Matteo mi metteva in soggezione. Era un bel ragazzo e questo rendeva ancora tutto più strano e imbarazzante.
“beh ragazzi, iniziate a mangiare che si fredda tutto. Su. Matteo mangiate con noi??c’è posto anche per voi..”
“siiii, dai Teooooo ti prego…”
“scricciolo no dai, un’altra volta promesso. Sono troppo stanco stasera.”
“Cattivo. Cattivo. Cattivo. Ho deciso non ti perdono”
“non fare i capricci…su saluta tutti..”
“NO. fammi scendere”
“ma Benedetta..”
Suor Francesca prese in mano la situazione, avvicinandosi a Matteo.
“Matteo potete fermarvi a cena, tanto è già pronto non credo che tornano a casa tu abbia voglia di cucinare. Tua sorella è una bambina e dovrebbe mangiare sano” e fece un occhiolino alla piccola. Osservavo la scena divertita. Suor Francesca sapeva accontentare sempre tutti.
“oh, va bene… grazie” sembrava quasi imbarazzato dal sedersi a tavola con noi.
“Teo, sei perdonato. Grazie.” Tutta contenta la bambina si era messa a mangiare parlottando piano con gli altri ragazzi. Io mangiavo la mia minestra pensando a quale scusa inventare una volta rientrata a casa. Anche questa sera mi ero attarda troppo.
Matteo non aveva parlato molto, era un tipo taciturno. Ogni tanto gettava uno sguardo sulla sorella e allora accenna un sorriso sincero. Non mi ero accorta che il mio sguardo era fisso da un po’ su di lui. Lui si doveva essere sentito osservato perché si era girato dal mio lato, accennando un sorriso. Non come il precedente. Questo era più freddo.
“ti piace ciò che vedi ragazzina?”
No ma mi ha dato della ragazzina, fatemi capire.
“ce l’hai con me scusa?”
Fece un ghigno spavaldo, di quello che piacciano molto alle ragazzine. Quei ghigni che fanno innamorare. Beh, a me veniva voglia di strappargli i capelli che aveva in testa uno ad uno. Odiavo la gente spocchiosa.
“ti eri incantata ad osservarmi, mi chiedevo se almeno quello che guardavi ti piaceva.”
“se ti piace pensarlo fai pure”
“da quanto mi ha raccontato mia sorella, mi aspettavo una ragazza gentile e simpatica, ma deve essersi sbagliata..”
“si credo di sì, tua sorella tende a descrivere in maniera angelica un po’ tutti, comprese te”
Scoppiò in una fragorosa risata, facendo girare tutti i bambini dal lato nostro. Mi sentivo osservata da tutti.
“fratellino hai visto? Te l’avevo detto che Sara è troppissimo simpatica”
Ora ero scoppiata a ridere io. I nostri sguardi si erano incrociati. Per un momento mi è sembrato più caldo quello sguardo scuro come la pece. Cose se fosse sparito l’astio che si era creato da questa mattina. Non sembrava stronzo quando rideva così contento.
Una volta finita la cena, stavo aiutando la suora a sparecchiare.
“Sara, non voglio cacciarti, sai quanto prezioso è il tuo aiuto, ma quello che mi chiedo è se tu hai intenzione di tornare a casa stasera..” Suor Francesca mi stava sgridando bonariamente, ma sapevo che se provavo a contradirla ne avrei pagato le conseguenze.
“si Suora, ora vado volevo solo aiutarti con i piatti..” Aveva alzato un sopracciglio. La cazziata in piena regola stava arrivando.
“okokok. Frena. Non guardarmi così brutto. Lo sai che ti voglio tanto bene??” e gli feci gli occhietti da cerbiatto. “Fila a casa ruffiana”. Mi sporsi per darle un bacio sulla guancia e salutai con un gesto tutti ragazzi.
“Ragazzi a domani, e mi raccomando stanotte fate arrabbiare suor Francesca..”
I ragazzi scoppiarono a ridere. Assicurandomi, che ovviamente avrebbero fatto disperare la suora.
“vai via?”
“si, ho una cosa in cui rientrare.”
“capisco. Senti grazie, per aver tranquillizzato mia sorella, Suor Francesca mi ha detto che era andata un po’ nel panico.. beh insomma.. grazie”
“tranquillo, l’ho fatto perché è una bambina graziosa, e perché crede in te in una maniera mostruosa. Dovresti stare attento a non deluderla mai. Lei da te si aspetta molto.”
“sono suo fratello, credo sia normale” Non ci credo mrs so-tutto-io-sono-un-figo-da-paura era in imbarazzo.
“sei in imbarazzo per caso?”
“ma figurati..”
“va beh, io devo andare. È stato un piacere.”
“si ciao”
Mentre uscivo dal centro, mi investì un’aria fresca. Feci dei profondi respiri. E mi incamminai verso casa. Avrei dovuto trovare una scusa per giustificare di aver fatto tardi anche stasera.
 
 
  
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