Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Eirien    14/11/2012    5 recensioni
La notte degli inganni ha avuto ufficialmente tre vittime: il Gran Sacerdote Shion, Aioros di Sagitter, la sanità mentale di Saga di Gemini.
Questo, perché non tutti sanno che due giorni dopo Mitsumasa Kido è andato in cerca di un Cavaliere d'Oro. E che si può vivere due volte lo stesso destino, anche se una volta sarebbe già troppo.
Genere: Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Chameleon June, Nuovo Personaggio, Phoenix Ikki, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Track #12: Sometimes You Can't Make It On Your Own TRACK 12

SOMETIMES YOU CAN’T MAKE IT ON YOUR OWN

Tough, you think you've got the stuff
You're telling me and anyone
You're hard enough...
You don't have to put up a fight
You don't have to always be right
Let me take some of the punches
For you tonight...
Listen to me now
I need to let you know
You don't have to go it alone […]
And it's you when I look in the mirror
And it's you that makes it hard to let go
Sometimes you can't make it on your own…

(U2)

La sala conferenze era gremita di gente. Alex aveva appoggiato la schiena contro la parete accanto alla porta, fissando con disincanto la folla di cornacchie in total black. Quello spettacolo non lo impressionava più. Le facce torve, le divise tutte uguali… nessun grado visibile, niente segni di riconoscimento. Precauzione indispensabile, quella, per i membri di un esercito segreto, della cui esistenza erano al corrente soltanto il Segretario Generale dell’ONU, e alcuni, selezionati capi di stato. Se li avessero catturati, nessuno sarebbe stato in grado di determinare a quale corpo appartenessero, nessuno li avrebbe cercati, nessuno avrebbe riconosciuto i loro cadaveri.
E, se fossero stati fortunati, a tempo debito qualcuno avrebbe aperto il loro testamento, e dato la notizia a quei pochi cui poteva interessare.
Sì, era proprio quello, il motivo del suo accanimento. Non voleva essere l'ultimo ad andarsene, non voleva morire solo. E quando suo zio l'aveva portato via dalla base il sollievo era durato soltanto per ventiquattro ore. La vita da civile non faceva più per lui, ragazzino e già segnato per sempre. Quando, un mese prima, aveva sollevato il telefono e dall'altra parte l'aveva raggiunto la voce piena d'ansiosa speranza di Katie, aveva sorriso senza neppure stupirsi.
Sapeva che prima o poi avrebbero trovato una scusa per tornare a casa. 

 — Always look on the bright side of life…*— prese a canticchiare, quasi senza rendersene conto. Poi sorrise appena. Per darsi per vinti c'era sempre tempo, ma ora…
Doveva credere che Mark e gli altri fossero ancora vivi, che non fossero fuggiti di loro volontà, che non l'avessero lasciato indietro come una vecchia scarpa. Aveva bisogno di pensare che, quando quel giorno fosse arrivato, qualcuno avrebbe aperto quella busta custodita in una remota cassaforte, e avrebbe sprecato una risata e una lacrima sui suoi saluti.
I coordinatori stavano già prendendo posto, in rigoroso ordine d'importanza. Alex avvertì la solita, familiare fitta di disagio, notando che Martin non era presente. Lo sguardo del giovane saettò fino all'estremità del lungo tavolo già ingombro di fascicoli, raccolti in ordinate scatole di cartone impilate da un energico inserviente. E accanto a lui…

"Eccolo…" Ned aveva ragione. Un Wood del tutto ostile sedeva al di là delle scatole, facendo rimbalzare occhiate malevole a destra e sinistra. Non lo aveva mai visto tanto furibondo e intimidito insieme. Accanto a lui, simili a bizzarri angeli della morte, stavano due figure piuttosto inconsuete: un Jack Allen dall'aria ancora più arcigna del solito e una ragazza di qualche anno più grande di loro, una rossa perfettamente a suo agio che aveva snobbalo la sedia in favore di una  pila di fascicoli, su cui si reggeva in un prodigio di equilibrio instabile.

"Dipartimento disciplinare…" dedusse immediatamente il ragazzo, fissandola con aperta ammirazione. Aria sicura, belle gambe, chioma ramata naturale. Senza contare il tailleur da lady di ferro. "Un frustino e sarebbe perfetta." La sua immaginazione di diciottenne in piena tempesta ormonale non esitò un attimo a lanciarsi in fantasie condite di candele nere e aderenti completini in pelle. Molto aderenti. E molto in pelle.
In quel momento i suoi amici gli si accostarono, trafelati. Rispose al saluto di entrambi, senza staccare gli occhi da quella visione celestiale. — Max, pensi che avrò abbastanza tempo per ripassarmela? —

 — Cosa? — Il tedesco lanciò un’occhiata distratta sul palco. In quel momento, la ragazza seduta si volse nella loro direzione. Sorrise maliziosa, lanciando un bacio con la punta delle dita. Max divenne pallido come un cadavere.

 — Scheiße… — mormorò. La ragazza riprese a sfogliare un dossier, come nulla fosse, lo stesso sorriso appena accennato sulle labbra.
Jack Allen sorbì un ultimo sorso dalla sua eterna tazza di caffè, quindi si schiarì rumorosamente la voce nel microfono.
La riunione era iniziata.



~.~


 — Non puoi piombare qui, agitare un foglio di carta e pretendere la nostra istantanea collaborazione, Allen. Perfino un seccatore megalomane come te dovrebbe rendersene conto. — Wood non era per niente credibile. Non con quel tremito nella voce, e quel tamburellare nervoso delle dita sulla superficie della scrivania.

 — È stato il Dipartimento della Difesa di questo grande Paese che vi ospita ad autorizzarmi. Il nostro grande Paese, Wood. Voglio tutto il materiale che ti ho chiesto, entro domattina, su questo tavolo. Non credo che ci sposteremo da questa sala. —

"No che non lo farai" stavano saettando gli occhi del Generalissimo, come lo chiamavano i suoi più affezionati detrattori. "Brucerò vivo, prima di permetterti di andare in giro a ficcanasare per la MIA base". L'uomo si costrinse ad un sorriso piuttosto untuoso, che non ingannò nessuno, ma scatenò un'ondata anomala di sogghigni.

Tutti avevano potuto seguire quel breve dialogo, nonostante il microfono fosse coperto. Del resto, quella sala non era poi così ampia, ed era dotata di un'ottima acustica. Alcuni già stavano per ridere apertamente, ma una severa occhiata circolare, dispensata dagli occhi di ghiaccio di Jack, era bastata per ridurre tutti nuovamente al silenzio.
Poi, l'ex marine aveva ripreso a parlare, pretendendo la reperibilità di tutti gli impiegati. L'indagine in corso avrebbe richiesto interrogatori separati, da cui nessuno (l'uomo sottolineò accuratamente la parola) avrebbe potuto esimersi.
Ma l'attenzione di Max era da un'altra parte.
Rivedere quella donna dopo tanto tempo gli procurava una strana sensazione. C’era qualcosa di familiare, e al contempo, l’esatta percezione che la vita continui il suo viaggio, che il mondo attorno cambi troppo in fretta per poterlo fotografare appieno nel ricordo. Il ragazzo si trovò catapultato ai primi giorni del loro addestramento, per rivederla com'era allora, una ragazzetta di pochi anni più grande di loro, che i loro occhi di bambini sembrava tanto adulta, in piedi accanto a Martin, ad aiutarlo, e ad imparare.
Imparare, come Martin, a crescere altre spie come loro. Aveva avuto occhi che ridevano anche allora, e una bocca che non aveva mai aveva timore di imitarli.
Come se l'avesse sentito, la ragazza dai capelli rossi lanciò ancora uno sguardo sbieco, un mezzo sorriso pronto ad allargarsi all’angolo delle labbra. Max ricambiò appena, colpito da un ricordo incongruo: l’allegro festino clandestino che avevano organizzato nei sotterranei della base, il giorno in cui il suo apprendistato era finito. Non c’erano state cerimonie, diplomi con il bordo dorato, nessuna di quelle pacchianate in stile telefilm. Soltanto una pacca sulla spalla, e il sogghigno di Martin non appena Wood si era voltato. Della notte che era seguita, aveva conservato soltanto pochi ricordi: il sapore di ciliegia del lucidalabbra della sua Chris, il suo primo White Russian e la ferma intenzione di non sbronzarsi mai più.
E anche lei, la sua mano pestifera a scompigliargli la zazzera, e quel sorriso malandrino che la mattina dopo non avrebbe ritrovato all'appello. Svanita nel nulla, partita per il suo primo vero incarico. A cavallo di una scopa, aveva aggiunto David, caustico più del solito. Il perché, tra le risate di Mark, l'avrebbe scoperto soltanto settimane più tardi.
Si guardò attorno. Accanto a lui, i due amici, annoiati e divertiti. E inconsapevoli.
"Già, loro erano già lontani, quando lei andava in missione con Martin. E lo aiutava ad addestrarci."
Tre anni. Ed eccola ricomparire al fianco del responsabile della sezione Disciplinare, famoso misantropo con la scopa nel deretano e notoriamente contrario alle collaborazioni con altri dipartimenti. L'uomo che dopo mesi li aveva indirizzati su una pista promettente, fornendo loro la fotografia di Wood con il 'ganzo' senza nome. Troppa grazia, che fosse ricomparso proprio mentre esaminavano gli incartamenti del misterioso benefattore.
In quale compagnia, poi. Clara Galesi, la donna che lui ricordava, era adatta per le indagini disciplinari tanto quanto un ladro di elemosine a far questua per un convento.
"Se fossi maligno mi chiederei cosa c'è sotto… e potrei mandare Alex ad indagare. Dopotutto, pare già ben disposto."

 — Potrei punirla per questa disattenzione, sottotenente Herrmann —  Per un attimo eterno, Max fu sul punto di mettersi sull’attenti e urlare ‘signorsì, sergente istruttore’. E di rendersi sommamente ridicolo. — La riunione è terminata, e lei non ne ha seguita neppure la metà. —

"Dannazione…" l’aveva fatto fesso imitando quasi alla perfezione l’accento del sadico bastardo irlandese che li torturava a sette anni con le sue interminabili sedute di ginnastica.

 — Non hai perso il talento né il gusto per gli scherzi da prete, Galesi —  ribatté, con tono poco divertito. Per tutta risposta, una risata scrosciante.

 —La gente non cambia mai del tutto, Max. Tant'è vero che tu sei ancora il piccolo crucco troppo serio che ricordavo — sorrise lei, una mano tesa verso i suoi capelli.

"Diavolo, non sono più un bambino." Il ragazzo la schivò con uno scatto maldestro, che lo mandò a schiantarsi diritto tra le braccia di Alex, giunto proprio in quel momento. "Come un cane da tartufo, in effetti…"

 — Max, te l'ho detto mille volte, sei un bel ragazzo, ma proprio no — commentò il suo amico, togliendoselo di dosso con quello che indubbiamente riteneva un sorriso affascinante. Un sorriso tutto per lei.

"Farà la fine di Dave, me lo sento…" — Alex, ti presento… —

Un sorriso malandrino, a gamba tesa. — Sono Claire, Alex Barzini. La tua fama ti precede. —

"Ma davvero?" Max la guardò molto, molto male. Lei ricambiò con una scrollata di spalle. E intanto Little Casanova partiva all'attacco, ignaro di essere diventato, agli occhi del suo amico, del tutto identico ad un ignaro crotalo nelle grinfie di una esperta mangusta.

 — È un onore essere nel radar di una donna tanto affascinante — sbatté le palpebre un paio di volte, accattivante. Max si ritrovò a fissarlo con gli occhi fuori dalle orbite. "E questa da dove l'hai presa? Dal manuale per la verginità perpetua?"

Claire scoppiò a ridere. E scostò con eleganza la mano che già aveva tentato di planare nell'incavo della schiena. — Vola basso, giovanotto. Ci sono piaceri difficili da guadagnare. —

 — Già, vola basso, Alex. — la voce di Allen, secca e vagamente risentita come sempre. Li fissò, tutti, anche Katie ancora addossata alla parete, reclamando la loro attenzione senza sprecare una parola. — Voi tutti, con me. Dobbiamo parlare, subito.—

~.~


Il sottotetto dell’Undicesimo Tempio era diventato una sorta di rifugio, quella sera. Dopo la difficile conversazione del pomeriggio Milo aveva accompagnato Camus a casa sua, ottima scusa per non lasciarlo. E l’altruismo c’entrava poco. Scorpio si sentiva confuso, e smarrito, come da tempo non gli accadeva. Si faceva presto, fin troppo presto, ad imparare a chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie, se non ti riguardavano da vicino, e dopotutto non aveva mai prestato più di tanta attenzione anche allo spropositato numero di novizi rinunciatari che lasciavano il Santuario in una bara di legno, quando non andavano a deliziare i corvi all'interno di una qualche fossa comune. Difficilmente aveva battuto ciglio, anche di fronte inevitabili vittime collaterali degli incarichi che Arles gli affidava ormai da tempo. Questa volta era diverso, e non soltanto a causa del dolore composto che filtrava, come umidità, dagli occhi troppo asciutti del suo amico di sempre. No, c'era qualcosa di nuovo, come la sensazione irrimediabile che nel mondo qualcosa avesse preso a girare nel verso sbagliato. Non riusciva scuotersi dalla mente il disgusto per ciò che il Sacerdote aveva portato a compimento, per la crudeltà immotivata di quel gesto. Con tutti i guerrieri al sul servizio, aveva ordinato proprio al Maestro dei Ghiacci di portargli la testa del suo allievo. Preferiva non immaginare quali metodi potesse aver usato per convincerlo.
Si rigirò la bottiglia di birra ormai vuota tra le mani. Camus non aveva toccato la sua. Come se l’avesse chiamato, l’amico alzò gli occhi su di lui.

 — Grazie di tutto Milo, davvero. Ma ora… credo di aver bisogno di riflettere. —

Scorpio non poté che annuire, semplicemente. La porta si richiuse con uno strano rumore ovattato.
Camus si prese la testa tra le mani, cercando un modo di dare sollievo a quel martellio che sembrava volergliela spaccare, ma si rialzò quasi subito, colto da un’idea improvvisa.
"Bagno."
Si strappò di dosso la maglietta, aprì il rubinetto della doccia e immerse la testa nella corrente d’acqua gelida, finché la morsa del dolore non si allentò, e poté respirare più agevolmente. Prese a tamponarsi i capelli con gesti lenti, svogliati.
Tutto, pur di non pensare.
Era così abbattuto che neppure si accorse del leggero bussare alla porta del suo appartamento. Tornò nella sua camera da letto, senza preoccuparsi di rivestirsi, senza provare nulla oltre quello spaventoso senso di vuoto. Sentiva, sapeva che si stava aggrappando a quei gesti meccanici, allo sfregare ripetitivo dell'asciugamano sulla pelle, come se si trattasse di un sortilegio che l'avrebbe strappato a quella realtà. Pensò a Kelly, ai suoi occhi spenti la sera in cui aveva dato l’addio al suo amico scomparso. "La solitudine di chi resta…" In quel momento desiderò di non aver chiesto a Milo di lasciarlo, di non avergli mai mentito, di non essere così… ostinatamente solo.
Era questo che lei aveva cercato di dirgli, prima di sbattere la porta e tornare da Saori Kido? Che presto o tardi avrebbe dovuto fidarsi ancora?
"Non posso, ragazzina. Soprattutto non con te. Fa già abbastanza male così."
Alzò gli occhi sullo specchio. In momenti come quello lo detestava. Rifletteva sempre lo stesso viso. La sua solita espressione seria, composta, impassibile. L’aspetto di chi sembra aver raggiunto un nirvana tutto suo.
Il riflesso di un mostro. Un essere che non era neppure capace di piangere la morte di un amico. "Ci dev'essere un momento, un interruttore, che spegne la capacità di farlo… e allora perché…"
Si girò verso la porta, e all’improvviso si accorse di lei. Una mano sulla maniglia, la maschera rituale nell’altra. Si dondolava sui piedi, incerta. Si sentì soffocare da un’ira così violenta e improvvisa che non riuscì a trattenersi.

 — Che ci fai tu qui? — sibilò.

Kelly aprì bocca, ma non rispose. Camus osservò con bieca soddisfazione la testa chinata, e la stretta convulsa della mano attorno alla maschera. "Che dolce… Sei venuta a fare da bersaglio perché ti senti in colpa?"

 — Credevo che la signorina Kido fosse una compagnia migliore della mia — sogghignò con fredda ironia. Lei prese a fissarlo, incredula. "So perché sei venuta. Ma non voglio il tuo aiuto. Non riuscirei a farne più a meno." — Magari ti ha innervosito e hai piantato in asso anche lei? Cattiva, cattiva Saori. Bisogna avere più rispetto dei nervi di Sua Signoria… —

La ragazzina trasalì, gli occhi che cercavano di posarsi dovunque, tranne che su di lui. "Vattene prima che continui." In quel momento si sentiva ben disposto a demolire l’intero Santuario, Palladio compreso. Tutto pur di non pensare. Alëša era morto per la sua stupida disattenzione. Anche lui, come David. E come Aioros. "Quanto mi fai pena, ragazzina. Come pensi di rimediare a ciò che è successo?"

 — Sono… sono venuta… per te — balbettò lei, confusamente. L'aveva spiazzata, per una volta. E doveva ammettere che lo trovava piacevole.

 — Per me? — ribatté velenoso. Incrociò le braccia e prese a fissarla con cattiveria. — Allora ripassa tra qualche giorno. Non sono in vena di scenate infantili, per oggi. — Secco, tagliente. E crudele. Si sentiva un verme e allo stesso tempo non riusciva a smettere di offenderla. — Oppure sei qui per assicurarti che non mi venga in mente di ridurre tuo fratello ad un pupazzetto di neve? —

"Ma sì, che idea fantastica. Smettiamo per una volta i panni dell’eterno perdente. Sarebbe  divertente trasformarsi in Mr. Hyde."

 — Lascia stare Steve… lui non c’entra — soffiò la biondina, come se volesse saltargli al collo.

"Fare la carogna è più gustoso del previsto…" — Pensavo che l’assassino c’entrasse sempre… —

Lei sembrava sul punto di scoppiare a piangere. O di chiamare uno strizzacervelli. — Smettila, Camus. Mio fratello non è un assassino. Non più di quanto lo sia tu. —

 — Io? Allora sì che il povero Steve può dormire tranquillo… — insinuò, mellifluo.

Kelly non rispose subito. Chinò il capo, e la maschera le sfuggì di mano. Chissà, forse era diventata troppo pesante. — Questo non sei tu… — bisbigliò.

"Deponi le armi? Bisogna festeggiare, allora". — E cosa ne sai, tu, di come sono io? — ribatté, beffardo. "Cos'è che credi di aver indovinato, ragazzina? E perché ora sei triste?"

 — Hai ragione, una volta credevo di saperlo. E ti consideravo il miglior esempio — ammise lei, tormentandosi i palmi con le unghie. — Ma sbagliavo anche allora. —

"Questa dovrebbe farmi male?" — Tutto sommato, credo che sopravvivrò anche senza la tua approvazione — motteggiò, con pesante sarcasmo. "Benvenuta nel mondo vero, piccola Kelly."

 — Buon per te. — Tre parole soltanto, pronunciate con tutta calma. Diamine, il gioco era già finito? Camus represse a stento l’impulso di crollare a sedere sulla sponda del letto. Sarebbe stato un segno di debolezza e non aveva alcun desiderio di mostrarsi vulnerabile di fronte a lei. Rimase in piedi, voltandole le spalle e tentando di ignorare la sua presenza. "Un bambino. Mi sto comportando come un bambino che pesta i piedi e offende chiunque capiti a tiro. Davvero sono dieci anni più vecchio di lei?"

Kelly si mosse con circospezione, fino a trovarsi di fronte a lui. Quanta pena nei suoi occhi… In un’altra occasione se ne sarebbe offeso, invece… ne era quasi commosso. Distolse lo sguardo. "Perché t’importa tanto?"

 — Penso che dovresti occuparti di tuo fratello — le fece notare. "Ecco, vattene da lui. Io preferisco cuocere nel mio brodo."

 — Non c’è nient’altro che possa fare per lui oggi… — Steve. Il suo Steve che aveva intravisto, per la prima volta da quando erano piombati un quell’incubo, proprio quel giorno, mentre seppelliva sotto il ghiaccio eterno il corpo del suo maestro, morto con un tenue sorriso. Steve che aveva allungato una mano, fino a stringerle le dita tra le sue, una, due, tre volte, con un ringraziamento appena celato negli occhi. Il loro gesto della buonanotte, da bambini. Forse c’era qualche speranza per tutti loro…  — Sei tu che mi preoccupi, adesso — continuò, riportando la sua attenzione su Camus, afferrandogli un braccio per costringerlo a voltarsi.

Un’occhiata fu sufficiente. Prima lei. Poi la sua mano. La ragazzina lo lasciò andare come se scottasse. Con un pesante sospiro, sedette sul bordo del letto. Si raggomitolò con le ginocchia al petto, e prese a dondolarsi lentamente. Camus si voltò a guardarla, perplesso. La spavalda guerriera della Gru era intimidita da lui. Da non crederci, proprio lei che qualche tempo prima avrebbe potuto tentare di cavargli gli occhi con un cucchiaino.

 — Sai, a volte mi chiedo perché nessuno abbia mai inventato un farmaco contro questo tipo di dolore. Ma forse è meglio così. Tu ed io ne diverremmo dipendenti. —

Camus si sentì mancare il terreno sotto i piedi. E tutta la sua rabbia infantile stava andando in fumo. "Tu ed io…" La comprensione racchiusa in quelle poche parole lo stupiva e lo confondeva. "Come se ne avessi bisogno, ragazzina."

 — Io sono a posto — scandì, in un ridicolo tentativo di apparire convincente. "E comunque non ti ho chiesto di occuparti di me. Anzi, smetti di guardarmi come una cerbiatta spaurita. Mi sento in vena di follie stasera."

Come se l'avesse sentito, Kelly prese a fissare il vuoto di fronte a lei. — Credi di prendermi in giro, maestro? Sei anni passati a decifrare i tuoi segnali in codice parlano contro di te. —

Camus scrollò le spalle, di nuovo seccato. Si chiese per quanto ancora potesse sopportare quel bombardamento di buoni sentimenti abilmente camuffati da impertinenza. — E che cosa ne avresti concluso, ragazzina? —

"Che sei un idiota, sig. Adulto&Inacidito." — Camus, tanto per citare un saggio di origini franco-siberiane, la vita è tua. — Lei aveva scelto con cura le parole, e le aveva pronunciate scandendo ogni sillaba. — Quello stesso saggio una volta si è vantato di insegnare ai suoi allievi a non fuggire di fronte alle difficoltà, di qualunque natura esse siano. — Lo fissò a lungo, godendosi il suo muto stupore. —Ma forse parlava solo di combattimenti, chi sono io per dirlo? — concluse, trasudando malafede.

 — Tu… hai ascoltato tutto, quella mattina? — Camus serrò le nocche per smorzare la tensione. Quello era esattamente il genere di sorpresa che non gradiva ricevere.

 — Se con ‘tutto’ intendi l’ingenuo tentativo della mia povera sorella di inculcarti un briciolo di spirito di squadra, allora penso di sì. — La ragazza sorrise. — Mi dispiace, maestro. Se fossi stata appena un po’ più sveglia le avrei impedito di sprecare il fiato. —

 — Come sempre la tua bontà è stupefacente. — Camus incrociò le braccia con un gesto plateale. — E immagino che la tua presenza qui stasera abbia una ragione precisa. —

Kelly batté una mano sul copriletto in un muto invito. Le sfuggì un sorrisetto sardonico, nel riconoscere lo stesso abito improvvisato che aveva protetto la dignità del suo maestro una notte di qualche tempo prima, quando era piombata in quella stessa camera a notte fonda e l’aveva trovato in condizioni ben poco presentabili. Incrociò i suoi occhi appena in tempo per vederlo irrigidirsi lievemente, colto dallo stesso pensiero. Borbottando qualcosa, Camus aprì l'armadio e ne trasse una camicia con la zip.

Kelly aspettò pazientemente che la vestizione fosse terminata, poi scoppiò in una breve risata. — Sei sempre convinto che la vista di un uomo a torso nudo possa procurare un trauma ad una mente giovane, non è vero? —

"E chi può pretendere di impressionare Miss Sono-Una-Donna-Navigata?" Camus le scoccò un’occhiataccia, le mani ancora sulla cerniera, ma l’espressione serena sul viso della ragazzina riusciva a spegnergli qualunque desiderio di litigare ancora.

 — Sto aspettando — le fece notare, girando attorno al letto per andare a sedersi sulla poltrona, le braccia incrociate al petto, il più lontano possibile da lei.

Kelly si lasciò sfuggire un sogghigno. Non c’era bisogno di tante parole. Camus restava sempre fedele a se stesso ed era quello il suo modo contorto di chiederle scusa. Si allungò sul materasso, senza curarsi di chiedere permesso. — Nella mia ingenuità, ho creduto che la presenza di qualcuno che sa esattamente come ti senti avrebbe potuto farti piacere. —

La lampada ad olio che troneggiava sulla cassettiera cominciò dapprima a fumigare, infine si spense senza che il padrone di casa se ne preoccupasse. Aveva ben altro per la testa. — Kelly… non sei obbligata a farlo. Non sei obbligata a restare. — disse, in tono contrito.

 — Lo so, ma voglio farlo. Neanche io devo essere stata un granché amabile, in questo periodo. — Sospirò lei, con una dolcezza che lo stupì. — Ogni volta che mi sono sfogata su di te sapevo di non meritare altro che un paio di schiaffi. Anzi, di una bella pedata, giù dalla vetta. Ma tu non mi hai abbandonato al mio destino. Perché l’hai fatto, Camus? —

"Non credo che vorresti saperlo davvero." — Dove vuoi andare a parare? — replicò lui, a disagio. Era davvero il caso di dirottare altrove la sua attenzione. Quella conversazione rischiava di rivoltarsi contro di lui.

 — È così difficile accettare un po' d'aiuto da chi si preoccupa per te? — la voce di Kelly era percorsa da una traccia inconfondibile d’ironia. Dopotutto, lo conosceva bene.

 — Non è difficile. Ma non dovresti sprecare tempo con chi non ne ha bisogno — sentenziò Camus, nella speranza di chiudere quello sgradevole discorso una volta per tutte. "Tu non puoi capire. Vorrei essere abbastanza ottuso da prendermela con tuo fratello. Ma non posso. Perché è soltanto colpa mia. Sembra che la morte mi corteggi in continuazione, ma decida sempre di preferire qualcuno che mi è caro." Un pensiero doloroso, fin troppo realistico. "Potresti essere tu la prossima…"
Lei scese da letto e si avvicinò. Per un attimo il suo profumo lo stordì, una nuvola delicata ed allusiva. "Come un fiore che sta sbocciando. O un pasticcino che aspetta solo di essere assaggiato. Dannata bambina, davvero non capisci o stai solo giocando?"
E intanto non riusciva a smettere di guardarla, nonostante quelle contrazioni sospette sotto la cintura e l'improvviso desiderio di emigrare in un posto molto freddo.

 — Sai che non arriverai da nessuna parte se continuerai a pensare che sia sempre colpa tua? — Gli si era piazzata davanti, e torreggiava su di lui, le mani sui fianchi, con un cipiglio da maestrina che abbia appena colto in fallo il suo allievo più discolo.

"Per le mutande da donna di Saga, ecco che ci risiamo." Braccato, ecco come lo faceva sentire. Quella marmocchia non possedeva soltanto il potere di rimescolargli il sangue, riusciva anche a mettere a nudo sentimenti che si sarebbe scordato volentieri di provare. "Ho passato metà della mia vita convinto di aver rimosso ogni emozione pericolosa. E ora arrivi tu, piccola impicciona, a ricordarmi chi ero allora."
Allora. Prima che Kido lo trovasse. Prima che si trasformasse nella statua di se stesso. Prima che…

 — Tu non sai nulla di ciò che penso — sibilò, pericolosamente vicino ad esplodere di nuovo.

Kelly se n’era accorta. Si allontanò senza una parola. Quando Camus si decise a guardare cosa stava facendo, la vide appollaiata sul davanzale della finestra. "Brava, fatti vedere. Serviamo a Saga il cospiratore e la sua emula maldestra su un piatto d’argento."

 — Ragazzina, togliti di là — ammonì a bassa voce. Lei lo ignorò. Aveva lo sguardo fisso sulla volta stellata. — Non so se per te farà differenza saperlo. Io… io c’ero. Posso raccontarti com’è andata. —

"No, grazie…" Poteva anche immaginarselo da solo. Avrebbe preferito piuttosto chiudere gli occhi e dormire, dormire fino alla fine dei tempi. Ma adesso che quella rabbia benevola l'aveva abbandonato in modo così poco opportuno non riusciva più a togliersi dalla testa l’immagine di Alëša, dalle orecchie le sue ultime parole. Soltanto pochi giorni prima.



 — Sono davvero preoccupato, Camus. —

Sì era limitato ad uno sguardo interrogativo, e divertito. Per Alëša, alle volte, farsi carico degli altri era naturale come respirare, e Aquarius era già convinto che stesse per lanciarsi nella lunga e ben poco appassionante cronaca delle disavventure di qualche abitante della steppa, suo grande amico, di cui lui si sarebbe ricordato a malapena. L'armatura di Corona Borealis  era composta in un angolo della camera da letto, e loro due si erano avventurati fuori, sul tetto di marmo candido e perfettamente liscio dell’Undicesima Casa. "Un vero miracolo che se la sia tolta…" aveva pensato.

Il suo amico aveva sollevato a malincuore lo sguardo dal bicchiere di tè alla menta che stava sorseggiando, e aveva puntato gli occhi trasparenti nei suoi. — Il Sommo Pontefice non mi ha convocato. Sono venuto di mia iniziativa. — Gli aveva teso la lettera che lui stesso gli aveva recapitato di persona qualche tempo prima, e Camus si era un po' vergognato di quella condiscendenza che, per fortuna, aveva tenuto per sé. — Ordina che gli costruisca una piramide di ghiaccio. Un monumento al suo potere — l’aveva informato con voce tremante. Stava fremendo di sdegno, e non era mai stato bravo a dissimularlo; non lo aveva mai ritenuto importante.



"Alëša…"


Camus aveva faticato per mantenere una patina di distacco. In un post scriptum Sua Santità l’Impostore suggeriva di utilizzare come lavoranti gli abitanti di Kobotek. Con la forza, se si fosse reso necessario.

Gli aveva restituito il plico in fretta, come se scottasse. — Hai intenzione di chiedere udienza ad Arles, domattina? —

 — Non vedo cos’altro potrei fare — aveva risposto Alëša, alzandosi. —Domattina presto contatterò quel Primo Ministro, e presenterò la mia richiesta. Il Sacerdote non può negarmi una spiegazione.  —

— Se quel Gigars dovesse ritenere il preavviso troppo breve, prova a congelargli qualche parte poco importante. Sarà un utile promemoria  — aveva lasciato cadere Camus, con una punta di divertimento. Divertimento che era svanito di colpo, al pensiero delle possibili conseguenze di quella udienza. Saga avrebbe riso degli argomenti del suo amico, ne era certo. Ma, d'altra parte, conservava ancora sufficiente buonsenso da cercare di tenersi buoni i Santi d'Argento, se solo non avessero alzato troppo la cresta. — E sii prudente, con Arles, ci sono diversi modi per mettere al sicuro quella gente e non è necessario che lui li venga a sapere — aveva aggiunto, come quei padri ansiosi con figli adulti, che sanno di non avere più altre cartucce, a parte delle vuote esortazioni.

L'altro aveva annuito, rilassandosi. Camus aveva compreso di colpo che era quella, la vera ragione della sua visita. Alëša aveva temuto che lui potesse approvare quella vergogna, o quantomeno consigliargli di eseguire quell'ordine, dal momento che proveniva dalla massima autorità. Ed ora sorrideva, sollevato di aver scoperto di avere ancora un maestro da stimare. E un amico. Era rimasto in piedi, contro il sole che moriva, lui che era un figlio di quei ghiacci e che mai li avrebbe profanati. — Non andrò in cerca di una rissa, lo sai. Ad ogni modo, ti ringrazio per l’ospitalità. Penso che ci rivedremo non appena avrò chiarito questa faccenda. —


"Invece non ci rivedremo affatto. Che beffa la vita. Un mattino ti svegli, e qualcuno che ne ha fatto parte di colpo non c’è più. E il vuoto che lascia non si colma."
Non aveva più visto Alëša, prima che una sentinella della Tredicesima l’informasse con un sogghigno che aveva lasciato il Santuario in tutta fretta. Se n’era stupito, ma non troppo preoccupato. Aveva pensato che dopotutto il provato buonsenso del suo amico lo avrebbe tenuto fuori dai guai. Sarebbe andato a verificare di persona, se non fosse stato già in partenza per il  K2. Una leggerezza imperdonabile.
Solo ora, dopo aver sentito il racconto di Milo, e aver collegato i vari pettegolezzi a bassa voce dei soldati, riusciva a capire come Alëša fosse stato astutamente messo alla prova, e quindi attirato al Santuario, per costringerlo ad eseguire l'ordine che al mentecatto premeva davvero.
"Nessuno può dirsi al sicuro dal potere manipolatore di Saga. E tu dovresti saperlo meglio di molti altri."
Ma le cose non erano andate come il fine stratega di Gemini aveva sperato. Il piccolo Cigno ce l'aveva fatta. 
Avrebbe avuto di che sorridere, se un altro dei suoi amici non fosse morto.

Sobbalzò, gli occhi di nuovo aperti. Kelly si era avvicinata ancora, e gli aveva sfiorato una mano con delicatezza. — Sei ancora su questo pianeta? —

"Io sì, maledizione. Io sono sempre qui, mentre attorno a me tutto il resto va in malora." La respinse malamente. "Vattene. Chi ti ha chiesto di farmi da fata madrina?"

 — Come vuoi tu… — lei gli voltò le spalle, senza cogliere il suo sguardo già pentito. L’osservò raccogliere con indifferenza la maschera dimenticata sul pavimento. Un oggetto inutile e fastidioso, come lui. E Kelly, che si accaniva a tentare di salvare quel po’ d’umanità che gli era rimasta, forse sapeva già di combattere una battaglia persa.
La sentì imboccare le scale che portavano al piano inferiore. Pochi attimi, e se ne sarebbe andata. "E se domani si portasse via anche lei?"

 — Aspetta, ragazzina, non puoi andartene proprio ora… — La raggiunse in quattro falcate. Lei si fermò presso il colonnato, senza apparente interesse. Si voltò con aria stanca e prese a tamburellare con le dita tra le scanalature di una delle tante colonne.

 — Cos’è esattamente che dovrei aspettare? Sei stato abbastanza chiaro. Ripetutamente chiaro. Ed io… non capisco neanche perché mi preoccupo tanto per uno come te. Sai che ti dico, maestro? Resta solo, se è questo che preferisci. Costruisciti una solida bara mentre sei ancora in vita. — "E dopo seppellisciti."

"Che diavolo puoi inventarti, quando sai di non avere scuse?" — ci sono ancora troppe guardie in giro perché tu te ne vada senza rischio. E poi non mi hai ancora raccontato cos’è successo a Kobotek — abbozzò.

Kelly si tolse la maschera. Di colpo gli sembrava molto più adulta della sua età. Bambini senza infanzia, guerrieri addestrati troppo presto per aver mai saputo cos’era la pace, tutti loro. Perché proprio lei avrebbe dovuto far eccezione? Era grande ormai, anche per merito suo. O forse suo malgrado.

 — Davvero vuoi saperlo? —

"No, ma è sempre meglio che lasciarti andare." — E tu hai sempre voglia di spiegarmi che ci fai qui? —

La ragazza gli dedicò un piccolo sorriso, prima di abbracciarlo di slancio. Camus s’irrigidì, sorpreso, ma soltanto per un istante. "È inutile tentare di tenerti alla larga. Riesci sempre a stanarmi." E quello era l’unico gesto di cui avesse davvero bisogno. "Non voglio restare solo…"
Chiuse gli occhi. Sentiva la tensione sciogliersi, liquefarsi ai suoi piedi. Non poteva cambiare il passato. Doveva tentare di accettarlo, ancora una volta. "E finché ci sarai tu saprò di non aver fallito del tutto…", pensò, tuffando una mano tra i suoi capelli. L’altra rimase abbandonata lungo il fianco, a ricordargli che era meglio non sfidare troppo la sorte. E neanche quelle emozioni davvero troppo confuse.

 — Ci voleva tanto? — lo prese in giro lei, con una voce piena di dolcezza. — Non puoi portare il peso del mondo da solo, maestro. — Scosse la testa contro la sua spalla. — Nessuno di noi può. —

 — Kelly… — Perché non riusciva a parlarle? Cos’era che gli seccava la gola?

 — Ti prego, non farmi sentire altre assurdità. Sei stato esasperante. E mi hai fatto dimenticare la cosa più importante che dovevo dirti oggi. —

Lui la scostò abbastanza da guardarla negli occhi. Brillavano. All'improvviso, sembrava che non potesse più contenersi. — Attenta a te, piccola serpe — la minacciò con un sorrisetto, contagiato da quell’allegria.

Kelly si guardò attorno, quindi si sollevò sulle punte, fino ad arrivargli all'orecchio. — Camus… Dave è tornato. —



~.~










Angolo della vergogna™


Lo giuro, miei 4 lettori. Quando ho scritto la battuta su Camus che si costruisce la bara da vivo era il lontano 2005, e Death Toll, il Cassamortaro dello Zodiaco, non era ancora uscito a far danno al sole di Next Dimension. Forse, se l'avessi saputo prima, me la sarei risparmiata. O forse no, perché messa così sembra quasi una battuta alla Mel Brooks. Forse. Se siete orbi e leggete con l'occhio miope.
Quanto al resto… beh, sono ancora viva, per la gioia del francese di carta. Glielo avevo detto che il suo colpo in realtà è un pacco.
E vi prometto anche che i capitoli sfrangicosi stanno per finire. Ora sta per succedere qualcosa. Devo pur ringraziare Camus per tutte le sue premure, no?
Il ringraziamento vero, come al solito, va a tutto voi che leggete, a chi, tanto carinamente, mi lascia un commentino, a Philos che legge, ghigna e segnala i refusi. In bocca al lupo a te, amica. Tu sai per cosa.

*THE BRIGHT SIDE OF LIFE, da LIFE OF BRIAN, geniale film dei Monty Python per il quale, nonostante il rischio lapidazione, non potrò mai smettere di rendere lode a Geova. O Allah, o Buddha, o chi per loro. Ouch!

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Eirien