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Autore: Deademia    15/11/2012    3 recensioni
Quando Stefan si rivolge a Nina Lefevre, giovane vampira francese conosciuta decenni prima a La Rochelle, per chiederle aiuto nella lotta contro Klaus, non sa quanto la sua richiesta sconvolgerà il fragile equilibrio della ragazza. Perchè Nina fugge da un passato macchiato da una colpa fugace ed innocente, un passato dove l'amore è stato oscurato dall'odio, dove il paradiso è mutato sotto i suoi occhi in un eterno inferno. Così quando arriva a Mystic Fall, si trova persa: da una parte vecchi e nuovi amici che combattono per una giusta causa, dall'altra lui, l'amore della sua vita, l'uomo per il quale anni prima avrebbe fatto follie. Per chi lotterà? Per chi metterà a repentaglio la proprio vita? Per quegli amici appena trovati, solari e vivaci, che le faranno scordare la solitudine in cui è sempre vissuta, o per Elijah, bello e dannato, che un tempo l'aveva amata come nessuno mai aveva fatto ma che ora sembra odiarla dal profondo del cuore, quello stesso cuore che lei comincia a temere non possa più provare nulla nei suoi confronti?
Genere: Azione, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. INDIFFERENZA CHE UCCIDE

 

 

Il peggior peccato contro i nostri simili non è l'odio ma l'indifferenza: questa è l'essenza dell'inumanità”

(George Bernard Shaw)

 

 

 

Francia, La Rochelle, 1824

 Sdraiata tra le lenzuola candide mi rigiravo tra le dita in trepidante attesa una delle lunghe ciocche bionde, fissando il soffitto rosa antico del letto a baldacchino con sguardo perso.
Quello era il gran giorno.
Sarebbero finalmente arrivati i due misteriosi ospiti di cui tanto se ne era parlato tra le mura del castello nelle ultime settimane, con bisbigli ciarlieri di serve maliziose o semplicemente curiose ed ordini impartiti da mio padre perché tutto fosse perfetto. Tante volte avevo provato a chiedere qualcosa di più a riguardo, ma avevo ottenuto solamente risposte vaghe che non mi svelarono nulla più di quello di cui ero già a conoscenza: due fratelli nobili conosciuti anni prima in cerca di un luogo dove sostare nel loro viaggio in quella terra a loro straniera. Una patina superficiale che certamente non ebbe la pretesa di soddisfarmi i miei molteplici dubbi. Chi erano? Che aspetto avevano? Cosa ci facevano in Francia?
Avevo tanto fantasticato su di loro, immaginandoli prima in modo poi nell’altro, sbizzarrendomi a modificare i loro aspetti, rendendoli ogni volta dissimili in maniera ridicola, ma finalmente era arrivato il momento di conoscerli. Sorrisi, piena di aspettative, quando un bussare leggero alla porta mi fece voltare.

-Avanti-

-Buongiorno Contessina, avete riposato bene?-

Sophie, la mia balia dai tempi in cui mossi i primi passi, entrò sorridente, tenendo tra le mani una brocca con dell’acqua calda e teli puliti.

-Buongiorno Sophie, benissimo come sempre. Dimmi, sono per caso già arrivati?- chiesi con una punta d’ansia nella voce, temendo di essermi persa il loro arrivo. Eppure non avevo sentito rumore di carri da che ero sveglia.

-Vi riferite ai nostri ospiti? No, ma tra breve dovrebbero arrivare, vostro padre mi ha appunto mandata a prepararvi, vuole che siate presente-

Sorrisi entusiasta, scalciando le coperte e correndo verso di lei senza badare alla lunga camicia da notte che mi intralciava il passo.

-Forza allora! Non voglio tardare!- mi diressi spedita verso il bagno, sotto il suo sguardo divertito –Muoviti Sophie!- le urlai, accorgendomi che era rimasta nella stessa posizione.

-Arrivo, arrivo, ma calmatevi per l’amor del cielo!- alzò gli occhi al cielo raggiungendomi, io non le badai minimamente mentre mi sfilavo le vesti leggere.

L’avere ospiti, in quel periodo, era cosa rara, una novità che spezzava la monotonia dei giorni e rallegrava il clima pressoché sedentario che albergava a palazzo, era ovvio che un’adrenalina profumata di gioiose speranze mi accarezzasse da capo a piedi.
Quando terminai di lavarmi ed infilarmi la biancheria pulita, mi avvicinai al letto, appoggiandomi ad una colonna del baldacchino e voltando la schiena alla balia, affinché potesse stringere liberamente i lacci del corsetto. Trattenni il fiato, infastidita da quella compressione asfissiane ma doverosa, mentre Sophie tirava ed annodava velocemente e con movenze esperte, socchiudendo gli occhi ad ogni strattone senza però proferire parola, erano ormai lontani i tempi in cui mi ero lamentata di tutta quella tortura poco più che inutile.
Stretto anche l’ultimo nodo con un sospiro pesante di soddisfazione si avvicinò all’ampio armadio, aprendone le massicce ante in legno scuro intarsiato per rivelare i numerosi abiti che facevano mostra di sé al suo interno. Ce ne erano di tutti i tipi e colori, dai più eleganti, prettamente da ricevimenti ufficiali e balli, ai più semplici, adatti solamente a giorni trascorsi in casa. Sophie ispezionò con puntigliosa attenzione i vari vestiti, scartandone velocemente una buona metà, poi ne afferrò uno verde con un’ampia gonna in raso, ma prima che potesse tirarlo fuori cambiò idea adocchiandone un altro, blu scuro, in preziosa seta drappeggiata ad arte e ricamata da un intricato disegno sul corpetto. Mi si illuminarono gli occhi, era il mio preferito.

-Che ve ne pare?- sorrise prendendolo tra le braccia e porgendomelo per cercare la mia approvazione.

-E’ perfetto Sophie! Mettimelo, non voglio perdere altro tempo- non feci in tempo a finire di dire quelle parole che il rumore dello scalpiccio degli zoccoli dei cavalli sul ghiaino e delle ruote cigolanti di una carrozza arrivò in lontananza dalla finestra aperta che dava sul cortile del palazzo.

-Oh no! Sono già arrivati!- mi fiondai verso l’abito, infilandomelo con malagrazia e tirandolo su con gesti bruschi e sbrigativi.

-Per l’amor di Dio Nina, datevi una calmata o strapperete l’abito!- mi rimproverò la balia, sostituendo le mie dita frenetiche con le sue, più esperte, che fecero scivolare la stoffa liscia lungo il mio corpo per poi chiuderlo velocemente senza intoppi.

-Ecco fatto, fatemi dare una spazzolata a questa chioma ora, su- mi fece accomodare davanti ad uno specchio, afferrando la preziosa spazzola d’argento e affondandola tra le onde  dei miei capelli, mentre mi contorcevo con ansia le mani in grembo attenta ad ogni più piccolo rumore proveniente dall’esterno. Avevo sentito la carrozza arrestarsi, segno che erano ormai davanti al portone, poi uno schiocco come di uno sportello aperto di scatto. Fremetti,  mordendomi il labbro inferiore mentre i miei occhi cadevano sulla mia immagine riflessa. Non stava facendo niente di particolare, nulla di sfarzoso o complicato, li stava semplicemente districando per poi appuntarne due ciocche sulla nuca con un fermaglio appartenuto a mia nonna, in argento, rivestito di pietre preziose.

Un bussare alla porta mi fece scattare la testa, tanto che Sophie mi strattonò per sbaglio un ciuffo, facendomi fare una smorfia.

-Avanti-

Un servo entrò, chinando il capo in segno di rispetto.

-Contessina, vostro padre desidera che lo raggiungiate nella sala dei ricevimenti-

-Riferiscigli che sarò subito da lui- lo vidi annuire chinando nuovamente il capo prima di uscire dalla stanza in silenzio.

-Ecco fatto, adesso siete proprio un incanto- mi sorrise Sophie, fissandomi attraverso lo specchio –Non so chi siano questi misteriosi ospiti, né come siano, ma certamente non potranno che rimanere incantati davanti a questo bel volto-

Risi, voltandomi verso di lei.

-Oh Sophie, tu sei sempre stata troppo buona. Comunque ti ringrazio- mi alzai, rassettando le pieghe dell’abito e portando le mani al corpetto –Ci vediamo dopo- la salutai, avviandomi lungo il corridoi fuori dalla stanza.

Dovetti percorrere due rampe di scale e svoltare almeno cinque volte per raggiungere la sala designata all’incontro, ma quando vi entrai i miei piedi non poterono che bloccarsi, riflesso incondizionato di ciò che i miei occhi videro.
Due giovani uomini se ne stavano in piedi, voltati di profilo, a conversare amabilmente con mio padre, mostrando in tal modo solamente una piccola parte dei loro volti indubbiamente marcati e attraenti.

-Oh, Nina, eccoti finalmente. Vieni, ti presento i nostri ospiti- mio padre allungò una mano in mia direzione, invitandomi ad avvicinarmi. Sorrisi incamminandomi mentre i due si voltarono a guardarmi, gli occhi scintillanti di pura curiosità. Quando fui davanti ad entrambi mi inchinai, abbassando lo sguardo lievemente imbarazzata da quelle attenzioni, per poi rialzare la testa e fissarli con titubanza negli occhi.

Occhi così diversi.

Erano l’opposto, gli uni azzurri, cristallini come il mare illuminato dal sole d’estate, quasi ironici nella loro espressione gioviale, gli altri neri come la notte, profondi tanto da sembrare irraggiungibili, misteriosi come misterioso era lo sguardo che irradiavano.
Ne rimasi incantata.

-E’ un piacere fare la vostra conoscenza-

-Il piacere è nostro, Contessina- il ragazzo dagli occhi celesti si avvicinò, afferrandomi delicatamente la mano per poi baciarla con un sorriso che a posteriori definirei unicamente malizioso –Permettetemi di presentarmi, il mio nome è Klaus. Lui invece è mio fratello, Elijah- il ragazzo in questione mosse un passo, inclinando l’angolo delle labbra in un sorriso prima di posarle sul dorso della mia mano, esattamente come aveva fatto il fratello pochi attimi prima.

-E’ un onore- sussurrò galante, ritraendosi e lasciandomi lì, inebetita, a fissare quegli occhi pece che non accennavano a staccarsi dalla mia figura.

Non seppi se fu solamente una fantasticheria sciocca, dovuta alla soggezione creata dal momento o da quell’infatuazione nascente, scoccata come un fulmine a ciel sereno, ma quasi lo sentii nella pelle, nelle cellule che vibranti mi scatenarono brividi lungo tutta la schiena, il cambiamento radicale che da quel momento avrebbe portato ad un lento, dolce declino della mia vita. A ben vedere, quello spirito di autoconservazione praticamente inconsistente radicato in qualche anfratto della mia mente forse aveva voluto avvertirmi del rischio di quella situazione di cui avevo iniziato ad essere preda; e quelle scosse flebili probabilmente non erano altro che segnali del pericolo che si era insinuato strisciando in casa mia, entrando dalla porta d’ingresso con tutti gli onori possibili per giunta, ma io le registrai come puro piacere, rimanendone assuefatta tanto da decretarle come riflesso del tutto normale a quello sguardo ammaliatore che con insistenza mi sospingeva a perdermi nelle sue profondità, a sprofondare nel suo abisso di oscurità.
Fu in quell’esatto istante, contro ogni logica possibile ed impersonando le più frivole protagoniste di romanzetti rosa che oggi spopolano tra le pagine degli Harmony e di altri libri di dubbia consistenza letteraria, che me ne innamorai.
Proprio così, me ne innamorai lì, con la mano ancora a mezz’aria e il risuono delle sua voce galante nelle orecchie, con gli occhi sgranati fissi nei suoi e la gola secca, col cuore che senza una ragione valida batteva furioso e quel sorriso ebete che mi spiegava le labbra.
Me ne innamorai ancor prima di conoscerlo, ancor prima di capire chi era, cosa era, ancor prima di sapere la sua storia, quella vera, di accettare le sue proposte di passeggiare per il giardino antistante il palazzo, rendendomi conto di quanto la sua pazienza fosse sconfinata il giorno in cui mi ascoltò senza proferir parola per ore, o di imparare ad apprezzare quella sua tipica usanza tutta inglese di bere il tè sul tardo pomeriggio.
Me ne innamorai senza una ragione, senza nemmeno rendermene conto, attribuendo al battito sordo e frenetico del mio giovane cuore un significato puramente superficiale, legato all’eccitazione di avere due ospiti tanto ammalianti per un tempo indefinito a palazzo, e non ciò che invece voleva davvero essere, l’inizio di un amore dannato, dannato come l’uomo di cui mi ero infatuata, dannato come l’esistenza che con un tale sentimento mi ero immancabilmente costretta a vivere.
Mi ero innamorata del diavolo, un diavolo che beveva il tè delle cinque e trasudava galanteria da ogni gesto, e non me ne ero neanche accorta.

 

 

Mystic Falls, oggi

 Bussai alla massiccia porta di casa Salvatore gettando una rapida occhiata indietro, l’immagine di un pazzo Klaus che mi compariva alle spalle senza preavviso mi aveva tormentata per tutto il tempo che avevo passato fuori dalla stanza del B&B, e per quanto ero consapevole che come vampiro sarei stata in grado di percepire la sua presenza o meno, l’idea era tanto terribile da eclissare anche un dato di fatto irremovibile come quello.
Sentii suoni in lontananza provenire dall’interno, una voce femminile che bisticciava animatamente, rimbeccando senza tregua le affilate battute di un ragazzo.

-Oh per l’amor del cielo Matt, basta! Cos’è tutta questa diffidenza, sei peggio di…peggio di Bonnie Santo Dio, e te lo dico con tutto l’affetto possibile, perché lei è una mia amica e tutto quanto, ma piantala!-

-Caroline sei assurda. Ti sei forse dimenticata i casini in cui siamo incappati praticamente secondo dopo secondo negli ultimi tempi? Eppure hai la memoria di un vampiro ormai, certi dettagli dovrebbero risultarti chiari mi pare-

-E lo sono, sono cristallini! Cosa credi, che mi sia dimenticata che un pazzo ibrido originario sta cercando di usare la mia migliore amica come banca del sangue? Pensi che mi sia dimenticata che il mio ragazzo ora si trova chissà dove tra una montagna dal nome impronunciabile e l’altra a combattere contro uno stupido asservimento che mi ha quasi uccisa? Che ora non stia maledicendo in tutte le lingue che conosco ogni singolo passo falso che ci ha portati sempre più vicini a questa…catastrofe? Sono consapevole, dannatamente consapevole del casino in cui ci troviamo, e il mio bellissimo fondoschiena è in pericolo quanto quello degli altri per colpa della mammina originaria da premio nobel che sembra volerci estirpare come erbacce secche, ma stare qui a lagnarmi su quanto potrebbe essere rischioso fare questo e fare quello non mi sembra una buona idea Matt, abbiamo toccato il fondo, ci siamo sprofondati praticamente e, beh, sai che ti dico? Ogni aiuto lo accoglierò a braccia aperte, certamente non gli sputerò in faccia come sembri intenzionato a fare tu-

Sentii distintamente uno sbuffo seccato e quello che doveva essere un piede sbattuto con forza a terra, gesto molto maturo, pensai con un sorriso, prima di udire dei passi affrettati raggiungere l’ingresso. La porta si spalancò, palesando uno Stefan decisamente a corto di pazienza, il che era tutto dire.

-Ciao Nina- sorrise appena, invitandomi ad entrare con un gesto del braccio, ed io non mi feci attendere, sfilandomi contemporaneamente il giacchetto dalle spalle.

-Buongiorno, disturbo?-

-Cosa? Oh no, anzi scusali, siamo tutti un po’ nervosi ultimamente…- si grattò la nuca, sorridendo imbarazzato.

-Tranquillo- gli accarezzai una spalla sorridendo comprensiva, d’altronde potevo capire la loro diffidenza in un momento simile, probabilmente io stessa avrei reagito a quel modo vedendo una vampira comparire dal nulla in un momento critico come quello che stavano vivendo; prima di gettare un’occhiata incuriosita verso il salotto –Allora, mi presenti questi…compagni di squadra?- tentennai, non sapendo bene come definirli, il che lo fece ridere.

-Certo, seguimi- 

Mi fece strada, anche se ormai avevo capito come orientarmi tra quelle mura trasudanti antichità da ogni anfratto, e sbucammo nell’ampio salone dove ad aspettarci vidi una ragazza bionda dal sorriso effervescente che se ne stava accoccolata sul bracciolo del divano, accanto sedeva un ragazzo abbastanza imbronciato che mi gettò una rapida occhiata prima di piantare lo sguardo sul tappeto con insistenza, mentre in piedi dietro di loro ritrovai lo sguardo amichevole di Elena. Non potei trattenere un brivido, non di fronte a quel viso così identico al suo, tanto che potei risultare quasi sgarbata nel rapido saluto che le rivolsi prima di voltare lo sguardo altrove. D’altronde era più forte di me, più il passato ritornava nella mia vita e più cercavo di fuggirgli.  Solo dopo un istante notali l’assenza dell’ironico rampollo di casa Salvatore e della strega a cui avevamo affidato il libro.

-Tu devi essere Nina, sono così felice di conoscerti, ho sempre adorato la Francia sai? Comunque sono Caroline- la ragazza bionda balzò su con espressione letteralmente elettrizzata, materializzandosi davanti a me in un battito di ciglia e porgendomi amichevolmente una mano, che non rifiutai certamente di stringere, sorridendole grata per quell’accoglienza calorosa. 

Erano anni, o forse decenni, che non mi si palesava davanti tanta vitalità e voglia di fare conoscenza. A pensarci, forse ero sempre stata io a porre mura tra me ed il resto del mondo, evitando di legarmi  con la consapevolezza che tutto sarebbe svanito, dissolto lungo i secoli. Non per questo non avevo amici sparsi per il mondo, ma erano come me vampiri troppo abituati alla sregolata vita che tale esistenza permetteva, troppo distaccati dalla mentalità di “amicizia umana” per poter creare qualcosa di solido, qualcosa di stabile e vissuto. Erano parentesi più o meno importanti della mia vita che ricordavo con affetto, ma che rimanevano là, nel passato, e qualche volta ricomparivano, si facevano sentire per un breve periodo, per poi scomparire di nuovo nella nebbia della lontananza. 
Quella ragazza invece, quella vampira, sembrava così…umana. Forse era solamente passato poco tempo dalla sua trasformazione, o forse era semplicemente lei che riusciva in qualche modo a restare attecchita a quello spirito umano che col tempo scompariva pian piano in ogni immortale. Provai un pizzico d’invidia nei suoi confronti perché rividi in lei me stessa, la me di un tempo lontano, quella che era realmente affogata tra le onde del mare nel 1824, lasciando il posto all’essere che ero divenuta, poi scossi la testa con amarezza, simili pensieri pensavo di averli accantonati molti decenni prima.

-E’ un piacere conoscerti Caroline- le sorrisi, stringendole la mano –E sono contenta ti piaccia la Francia, chissà un giorno magari farò da guida turistica anche a te- risi e la ragazza mi guardò aggrottando le sopracciglia.

-Come mai “anche”?-

Gettai un’occhiata ironica a Stefan, che al mio fianco alzò gli occhi al cielo prima di dirigersi verso Elena ed abbracciarla da dietro, posandole il mento sulla spalla.

-E’ una storia lunga, ma ti basti sapere che Stefan non aveva un grande spirito di orientamento all’epoca e che ci fu bisogno di un intervento immediato per fargli conoscere ogni bellezza di Parigi- sorrisi riportando alla mente vecchi ricordi di quando incontrai per la prima volta quel vampiro vegetariano dagli occhi verdi.

-Ah è cosi? Complimenti signor Salvatore, credo sia l’unico vampiro al mondo a non sapersi orientare in una città come Parigi- Elena lo prese in giro, voltando la testa per guardarlo in tralice con aria furbescamente derisoria.

-Io credo che Nina abbia un po’ ingigantito la cosa, le avevo solamente chiesto un’indicazione stradale, e lei si è gentilmente offerta di farmi da guida vedendo che ero straniero- si difese lui, sbuffando divertito.

-Solamente? Mi hai chiesto come potevi raggiungere Notre Dame, Stefan, mi sei sembrato un caso decisamente disperato –

Caroline ed Elena scoppiarono a ridere, il ragazzo che per tutto il tempo era rimasto ai margini del nostro quadretto ilare sorrise a mezza bocca e Stefan si affettò a chiudere il discorso.

-Bene, che ne dite di darci un taglio con i vecchi ricordi e passare a qualcosa di più serio?- al che io mi avvicinai, accomodandomi su di una poltrona di fronte al divano, accavallando le gambe ed intrecciando le mani sopra al ginocchio, in aspettativa.

Stefan si chiarì la voce.

-Nina, cosa sai degli Originari?-

Tutto.

-Poco e niente, voci sparse durante i secoli, qualche leggenda e pochi documenti con lievi accenni- mi strinsi nelle spalle cercando di risultare il più credibile possibile, non volevo che scoprissero il mio passato, non in quel momento, quando ancora dovevo far chiarezza io stessa sulla questione, né in quel frangente, dove esso era a tutti gli effetti il nemico –So che sono i nostri “Adamo ed Eva”, ma sinceramente la mia cultura in merito si ferma qua-

Stefan annuì pensieroso, e per un attimo mi si strinse lo stomaco in una spiacevole morsa, non mi piaceva mentire, per quanto ironico fosse visto che la mia esistenza stessa doveva essere una costante bugia agli occhi degli altri, ma odiavo ancora di più farlo con quelli che consideravo amici. Eppure non avevo altra scelta, non ancora.

-D’accordo…allora dobbiamo partire dall’inizio. Mille anni fa una strega di nome Esther, la Strega Originaria, trasformò suo marito Mikael ed i suoi figli, Niklaus, Elijah, Rebekah, Kol e Finn, in vampiri prendendo potere dal sole e dalla Quercia Bianca ed usandosangue nel rituale, affinché riuscissero a proteggersi dai licantropi che minacciavano sempre più il villaggio e che erano arrivati ad uccidere uno dei suoi figli. Questi tre elementi, però, diedero sì loro la vita, ma allo stesso tempo li condannarono: il sole, come ben sai, era in grado di ustionarli ed ucciderli, il legno della Quercia Bianca era l’unico in grado di togliere loro la vita e il sangue era ciò da cui erano dipendenti, unica sostanza in grado di nutrirli. Quando lo scoprirono bruciarono la quercia, ma la sua polvere se cosparsa su di un pugnale ottiene gli stessi risultati. Niklaus però non era figlio di Mikael, ma di un licantropo, per questo fu il primo ibrido nella storia, l’essere più forte che possa esistere. Circa un anno fa è venuto qui a Mystic Falls per spezzare la Maledizione del Sole e della Luna, poiché gli serviva Elena, o meglio il suo sangue di doppelganger, per il rituale, ma questa storia la conosci già, come sei a conoscenza che uccidendone uno uccidi tutta la sua discendenza, è il motivo per cui sei qui d’altronde-

Annuii tesa, ero a conoscenza della storia di Elijah, ma certo non si era dilungato nei dettagli della sua trasformazione, o nel piccolo segreto di Klaus e della sua mezza licantropia, a quel tempo.

-Per cui Klaus adesso è un ibrido a tutti gli effetti, giusto?-

-Già…con tanto di scodinzolanti cagnolini mezzi vampiri appresso- ringhiò Caroline, facendomi inarcare un sopracciglio. Stefan si premurò di spiegarmi.

-Non si è limitato a spezzare la maledizione, ha anche iniziato a creare ibridi come lui, vampirizzando dei licantropi e instaurando così  un legame di asservimento. E…beh anche Tyler, il suo ragazzo, è stato trasformato. Ora si trova sugli Appalachi, a cercare di spezzare l’asservimento in qualche modo-

Prima che potessi ribattere, palesando il mio stupore per questa assurdità egoistica ed ingiusta, il ragazzo che fino a quell’istante non aveva aperto bocca scattò come una molla.

-Ma certo, adesso sveliamole anche questo! Come se non bastasse metterla a conoscenza di ogni nostra intenzione- scosse la testa, sorridendo per nulla divertito –Chi ce lo dice che non faccia il doppio gioco, eh? Sappiamo quanto Klaus sia subdolo, ce lo ha dimostrato svariate volte mi sembra, e noi siamo qui a svelare ad una perfetta estranea sbucata dal nulla praticamente ogni cosa!-

Stefan lo guardò compassionevole ma severo, prendendo in mano la situazione, mentre Caroline sbuffò seccata.

-Matt, è una mia amica non un’estranea, la conosco e so bene da che parte sta-

-Potrebbe essere stata soggiogata- buttò lì allargando le braccia, quasi fosse una cosa ovvia, sfidandoli a contraddirlo –O potrebbe mentirci e conoscere Klaus da molto più tempo di te, che ne sai. Io non mi fido. Probabilmente il libro è solo una scusa per farci perdere tempo, così intanto lei può fare i suoi comodi sporchi per quel pazzo-

A quel punto non potei trattenermi e scoppiai a ridere sotto lo sguardo sbigottito di tutti.

-Scusatemi- dissi, non appena mi fui ripresa –Ma è davvero ridicolo. I miei comodi sporchi? Pensi che un tipo come Klaus perda tempo ad infiltrare una sottospecie di spia nelle file nemiche?-

-Sembri conoscerlo bene, mi pare- insinuò, assottigliando lo sguardo.

Oh, non hai idea di quanto tu abbia ragione.

-D’accordo, chiariamo questa situazione ambigua una volta per tutte. Se davvero lavorassi per Klaus, a quest’ora ti ritroveresti con il collo spezzato senza neanche essertene accorto, avrei già strappato il cuore sia a Stefan che a Caroline, perché sono più vecchia di loro, e quindi più forte, e gli avrei portato Elena, come deduco desideri da ciò che mi state dicendo. Quindi, pensi davvero che se facessi il doppio gioco per Klaus, starei ancora qui a parlare?-

Stefan sorrise, intuendo che le mie parole avevano sortito l’effetto desiderato, così come Elena e Caroline, che, notai, mi guardò con una punta d’ammirazione.
Il ragazzo che intuii chiamarsi Matt, borbottò qualcosa prima di rinunciare, alzandosi con un sospiro.

-Va bene, fate come volete, ma io me ne vado- e detto questo imboccò la porta e se la sbatté alle spalle con violenza, lasciando che calasse un pesante silenzio tra di noi.

-Scusalo, è fatto così…è un cretino, ma non è cattivo. Gli passerà- sussurrò imbarazzata Caroline, sedendosi al mio fianco.

-Lo so, penso abbia solo molta paura. Ma chi non ne avrebbe? Anzi, è da lodare, pochi altri avrebbero avuto il coraggio di parlarmi così, un qualsiasi altro vampiro più orgoglioso e iracondo gli avrebbe staccato di netto la testa- sorrisi.

Caroline rise –Avrei in mente un soggetto simile…magari millenario e con un problemino con la luna-

-Ma quanta ilarità ragazzi, su fate ridere anche me, anzi…noi- quando mi voltai verso Damon fui sicura di sbiancare, mentre il sorriso mi si gelava sulle labbra esangui.

Appoggiato allo stipite della porta, una mano nella tasca del completo nero dal taglio costoso e l’altra placidamente abbandonata lungo il fianco, c’era Elijah.
Una statua sarebbe stata meno immobile di me, ne ero sicura. Se fossi stata umana, il cuore avrebbe cominciato a battermi furioso nel petto, il respiro sarebbe divenuto un affanno discontinuo ed irregolare e la fronte si sarebbe imperlata di goccioline gelate, ma ero un vampiro, per cui l’unico cambiamento fu quella mia immobilità assoluta, l’irrigidimento di ogni muscolo del mio corpo, l’annebbiamento totale della mente e quel peso sullo stomaco, molto simile ad un pungo, che mi creava un senso di nausea sempre più pressante.
In altre parole, terrore puro.
Deglutii la poca saliva che avevo in bocca mentre lo fissavo come un drogato fissa la migliore droga presente sul mercato.
I capelli erano più corti, le vesti moderne, ma per il resto era sempre lui, l’Elijah che avevo conosciuto quasi due secoli prima, quello di cui mi ero perdutamente innamorata. Aveva lo stesso portamento sfrontato e sicuro di sé, gli stessi illeggibili occhi scuri e la stessa espressione misteriosa che gli avevo visto la prima volta che l’avevo incontrato. Solo il sorriso era sparito, sostituito da una linea dura e severa, non trasudante nulla più che indifferenza.
Quando i suoi occhi si posarono su di me e la sua mascella ebbe un impercettibile guizzo, fui sicura di morire. Mille emozioni si mescolarono dentro di me, mille sentimenti, mille sfumature diverse: paura, amore, nostalgia, dolore, rabbia. Non riuscivo a sintonizzarmi su qualcosa di stabile, ero una trottola impazzita che ogni istante provava qualcosa di diverso e destabilizzante.
Quando poi, con una noncuranza che fu pari ad una stilettata dritta al cuore, voltò il capo verso gli altri, distogliendo come nulla fosse lo sguardo dal mio, per poco non caddi dalla sedia.
Com’era possibile? Come diavolo aveva potuto essere così…indifferente?
Sgranai gli occhi, trattenendomi dal non boccheggiare per puro buon gusto, prima di espirare lentamente un tremolante respiro, continuando a fissarlo scioccata .

-Che diamine ci fa lui qua?- Caroline assottigliò lo sguardo insospettita, fissando l’originario con circospezione mentre si faceva più vicina ad Elena, quasi a volerla proteggere.

-Non c’è bisogno che tu sia così guardinga, giovane Forbes, non ho intenzione di torcere un solo capello ad Elena-

Sentire quella voce, la sua voce, dopo duecento anni fu un colpo al cuore, a quel povero muscolo morto che era ancora in grado di sanguinare per lui.

-Non sta mentendo Barbie, ritira gli artigli, il nostro pezzo da museo è venuto a portarci liete notizie- scherzò Damon, per poi schiarirsi la voce ad una sua occhiata per niente amichevole.       –Volevo dire che girando l’ho incontrato, e a quanto pare ha delle novità da raccontarci- poi vagò con lo sguardo per la sala, fermandosi con un ampio sorriso su di me –Ma non pensavo avremmo avuto ospiti. Che piacere rivederti Nina, vieni a conoscere per la prima volta un Originario, su, sarà emozionante- ironizzò, allungando un braccio nella mia direzione con fare plateale.

In qualsiasi altra situazione avrei trovato la scenetta divertente, ma non quella volta.
Deglutii a vuoto, artigliando senza farmi notare la stoffa della poltrona, mentre Elijah rimaneva impassibile nella sua posa elegante, in piedi a pochi passi da me. Mi fissò, e nel suo sguardo vi lessi solamente il vuoto. Sembrava privo di emozioni, totalmente indifferente a tutto ciò che lo circondava, totalmente indifferente a me. Odiai quel suo sguardo freddo, gelido, lo sguardo di un uomo per cui nulla e nessuno ha valore, e per un attimo desiderai che mi sbattesse al muro, che mi urlasse addosso la sua rabbia, quella che, ero certa, fosse nascosta sotto quella scorza di noncuranza e passività, per un attimo desiderai  che mi artigliasse il petto e mi strappasse il cuore, tutto purché reagisse. Ma rimase immobile, guardando me o un punto imprecisato sopra la mia spalla, trasmettendomi null’altro che il gelo.
Possibile che questi due secoli fossero bastati per dimenticarsi di me? Per dimenticare l’amore che provava, ed anche l’odio scaturito dal mio tradimento? Possibile che avesse cancellato proprio tutto?
Alla fine mi alzai, credendo di traballare sui tacchi, ma percorsi incolume la distanza che ci separava fissando ostinatamente il pavimento in legno.  Solo quando me lo trovai di fronte osai alzare la testa, ritrovando quello sguardo illeggibile a perforarmi intensamente.
Fui davvero tentata di urlargli contro che diavolo avesse, se mi avesse dimenticata, e con me avesse dimenticato anche l’amore e l’odio che ci avevano legati, ma mi limitai ad alzare la mano tremante per farmela stringere, così da non destare alcun sospetto negli altri.

-Nina- dissi solamente, e già quell’unica parola mi costò uno sforzo immane che prosciugò la scarsa riserva d’aria accumulata faticosamente nei polmoni da quando era entrato nella stanza.

Poi accadde l’inaspettato.
Invece di stringerla la voltò e si chinò a sfiorarne il dorso con le labbra, in un deja vù dolorosamente vivido che mi procurò un’acuta fitta alla bocca dello stomaco.
Non può essere…
Quando si rialzò, le labbra erano piegate in un sorriso in cui vi lessi solo macabra ironia amara incapace di contagiare gli occhi, duri, severi, spietati.
La tentazione di tirare via la mano con forza fu acuta, irresistibile. Ma rimasi immobile, gelata in quella posizione, gli occhi appena sgranati e la mascella contratta.

-E’ un onore- sussurrò apparentemente galante, ed io sprofondai in quelle tre parole cariche di significati nascosti, affondai senza via d’uscita soffocata dalla consapevolezza di ciò che realmente significavano.

Elijah era lì, ad un passo da me, teneva gentilmente una mia mano nella sua e mi guardava in un modo così devastante che ebbi voglia di urlare, o di piangere.
Elijah era lì, e mi odiava.

 

 

 

- - - Angolo dell’autrice - - -

Tadaaaaa! Eccomi qua, con…beh diciamo un po’ di giorni di ritardo (sempre meno della scorsa volta faccio notare :P) a presentarvi questo tormentato capitolo. Tormentato perché avevo mille idee per scrivere l’apparizione di Elijah, ma alla fine dovevo sceglierne una ed eccola qua. Sinceramente non lo so, dato che l’ho scritto ieri sera, un quarto d’ora prima di andare a dormire, quanto le mie facoltà mentali abbiano reso l’idea di come mi immagino il mio bell’Originario, non so se vi soddisfa, se vi aspettavate questo (ok beh, ammettetelo, proprio questo no eh? Nina vi aveva fatto una testa così tra cuori strappati e teste mozzate, il baciamano non lo pensavate proprio su XD) o se preferivate altro. Insomma, ho paura di come potete vederlo voi.
Intanto partendo dall’inizio, il flash sul primo incontro spero non vi abbia deluse, quel suo “cadergli ai piedi” l’ho ritenuto normale, era umana, giovane, era un’altra epoca, e lui era intrigante, molto. Inoltre non so se si è capito, ma non è che l’ha visto e ha detto “oddio mi sono innamorata”, semplicemente ne è rimasta affascinata, e a distanza di anni sostiene che è da quel momento che ha iniziato ad amarlo, perché erano fatti l’una per l’altra, e anche senza conoscerlo già era completamente “cotta” di lui alla prima occhiata.
Poi poi poi….ah si! Matt. Premetto che quel ragazzo non l’ho mai particolarmente sopportato, ma pareri personali a parte, mi serviva un bastian contrario che scaldasse un po’ l’atmosfera e permettesse di far uscire il caratterino della nostra protagonista, quindi diciamo solo che la scelta non è stata così ardua XD
E duclis in fundo…Elijah! Eccolo qua, in tutta la sua freddezza, imponenza e classe. Ma sinceramente, credevate davvero che l’avrebbe appesa alla parete non appena l’avesse vista? Certi scatti impulsivi ed iracondi lasciamoli a Klaus, per il momento, stiamo parlando di Elijah, la compostezza fatta persona, l’autocontrollo puro, non avrebbe mai fatto una scenata davanti ai Salvatore&Co., o almeno così la penso io :) Sinceramente non vorrei essere nei panni di Nina, perché col caratterino che si ritrova una scenata l’avrebbe saputa affrontare (abbiamo visto con Klaus) ma questo…brutta bestia l’indifferenza totale ù.ù
Mmmm ok penso di aver detto tutto, ora passiamo ai ringraziamenti, perché caspiterina mi sono accorta che le recensioni aumentano! :D Credo di essere la persona più felice di questa terra :D Quindi ringrazio tutte coloro che hanno continuato a recensire, le nuove recensitrici, le lettrici silenziose che mi hanno aggiunta tra seguite/preferite/ ricordate e tutte quelle che perdono un po’ di tempo nel leggere i miei deliri.
Spero di vedere ancora tante recensioni, anche per sapere cosa ne pensate, qualche vostra idea…accetto pure i pomodori eh:)
Un bacio, alla prossima
Deademia

  
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