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Autore: Eriu    16/11/2012    1 recensioni
Caledonia, 305 d.C. La potenza di Roma incombe sulla Caledonia ed i clan che la abitano. Aredhel, del Clan delle Montagne, non può vedere suo fratello Wulfric se non in sporadiche occasioni, in gran segreto. Ma lui è a conoscenza di qualcosa, qualcosa che può portare lo sterminio dei clan caledoni.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana, Medioevo
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Aredhel era esausta, dopo quella notte, e quando sua madre Winifred la svegliò il giorno dopo aveva dei brutti segni sotto agli occhi. Impiegò qualche minuto a rendersi conto di essere in casa sua, e per poco non si fece scappare dalle labbra il nome di suo fratello non appena ebbe aperto gli occhi.

Lei e sua madre a volte parlavano di lui, ma non la pensavano allo stesso modo. Nessuno sapeva la verità su quel che era successo la notte in cui Wulfric fu cacciato dal villaggio, a parte lei, lo stesso Wulfric ed il ragazzo che lui aveva ucciso. Lei non lo conosceva, sapeva solo che il suo nome era Cainan e che era il figlio del guerriero Gunnar: un uomo influente, all'interno del consiglio di guerra, e che aveva preteso l'immediata espulsione del fratello di Aredhel.

Nessuno conosceva la verità, e lei non poteva dirla a nessuno: aveva giurato di non farlo. Ricordava che, in attesa della sentenza, Wulfric era stato tenuto sotto stretta sorveglianza nella casa del druido, le mani legate ad un palo che sosteneva il tetto di paglia e fango. Aredhel aveva avuto il permesso di fargli visita, così come i suoi genitori, ma lui non aveva voluto altri che lei ad essergli di conforto in quelle ore incerte.

Ora, se mai lei e sua madre discutevano insieme di quell'argomento, la donna era subito pronta ad accusarlo di essere un ingiustificato violento; non serviva a nulla ricordarle quante ore felici avevano passato, tutti e quattro insieme, o quanto fosse stato dolce nei confronti delle due donne di casa, o quante volte fosse andato al posto suo nel folto a prendere legna da ardere, compito che, peraltro, era in teoria esclusivamente femminile. Winifred non accettava ragioni, e Aredhel non poteva insistere troppo senza rischiare di offenderla.

Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di poter rivelare a sua madre quanto aveva saputo la notte precedente, ma se lo avesse fatto sarebbe stato chiaro che lei aveva incontri segreti con un esiliato. La pena per un simile affronto alle leggi del Clan avrebbe significato morte.

«Aredhel?» disse sua madre, riportandola alla realtà. «Che hai? Ricordati che oggi devi aiutarmi con l'orto. Sta arrivando l'inverno, e devi aiutarmi a pulirlo prima che geli.»

«Si, madre.»

Winifred non era una donna molto sensibile: inadatta a capire sua figlia, così difficile e complicata; e tuttavia era una buona madre, e come tale capì subito che Aredhel aveva dei pensieri per la testa.

«Che hai, si può sapere?» domandò sbrigativa.

«Niente.»

«Hai lo sguardo perso, ragazza. Hai conosciuto un uomo, per caso?»

Aredhel scosse il capo, per nulla sconvolta da quell'affermazione. «No, madre. Nessun uomo.»

«Se lo dici tu. Vai a prendermi quel paniere, avanti.»

Passò un mese. Un mese durante il quale Aredhel non ricevette alcuna notizia di suo fratello. Solitamente, lui le faceva arrivare qualche messaggio, anche breve, approfittando dei momenti in cui lei e sua madre andavano al mercato di Caledorum. Il mercato e la scrittura erano cose che lei, così come tutti i Caledoni, non conoscevano; tuttavia Wulfric era riuscito ad imparare a scrivere e leggere quel minimo indispensabile che gli serviva a dare notizie di sé, ed aveva insegnato a sua sorella ciò che sapeva durante alcune lezioni notturne. Lei non era mai riuscita ad imparare a scrivere, la mano le tremava al solo pensiero, ma aveva imparato a leggere quel tanto che bastava da capire gli scritti di Wulfric. Quando non capiva una parola, cercava di indovinarla dal contesto, e così erano andati avanti per quegli anni. Lei aveva tenuto ogni messaggio, ogni lettera più o meno lunga che lui le aveva mandato.

Non ricevere alcun messaggio da Wulfric la insospettiva e spaventava.

Una mattina, la giovane si alzò presto: aveva dei lavori da fare per aiutare sua madre, ed era stato organizzato un piccolo allenamento per i guerrieri del Clan. Sebbene nessuno la considerasse davvero all'altezza, non le era mai stato impedito di partecipare a quei raduni, per rispetto a suo padre Coinneach. Era stato lui ad addestrarla, sebbene a malincuore, ed ora lei era ufficialmente un guerriero del Clan delle Montagne. Tuttavia, aveva anche dei doveri verso sua madre, e così prima di tutto si adoperò per darle una mano.

Dopo un paio d'ore, Aredhel appoggiò il secchio al bordo del pozzo, lieta di poter riposare un momento le mani. Winifred voleva poter lavare i vestiti di entrambe prima che l'inverno con i suoi geli glielo impedisse, e lei aveva trasportato acqua dal pozzo alla casa fino a che la donna non era rimasta soddisfatta. Ora Aredhel aveva le guance arrossate per il freddo, così come le mani. Si ritrovò, come le era spesso accaduto durante quel periodo, a pensare a suo fratello ed agli eventi che gli avevano impedito la tranquillità; era passato un bel po' di tempo da quando il Clan del Lungo Fiume aveva distrutto il villaggio sorto intorno all'avamposto romano, ed ancora non c'era stato alcun sentore di una possibile lotta tra i Caledoni ed i Romani.

Un bambino, il piccolo Dubhan, le sfrecciò accanto, strappandole dalle mani un piccolo straccio con il quale stava per detergersi il viso.

«Hey!» gridò Aredhel. «Dubhan! Ridammelo immediatamente!»

Sorridendo, la ragazza guardò il bambino nascondere il panno dietro la propria schiena.

«Vieni a riprendertelo!» la sfidò.

Aredhel non aveva nessuna voglia di correre, così si avvicinò con cautela al ragazzino. Non voleva che lui scappasse via: in quel caso, avrebbe dovuto inseguirlo, e così avrebbe fatto tardi per il pranzo, e sua madre era già abbastanza nervosa senza che lei le procurasse altri fastidi.

«Ti prego, ora non ho tempo per giocare. Più tardi, magari, ma adesso proprio non..»

La sua voce fu soffocata da un grido, la voce di un uomo, e da una serie di esclamazioni provenienti dalle donne del villaggio. Aredhel voltò il capo nella direzione da cui era arrivata la voce, e rimase pietrificata. Wulfric, suo fratello, stava correndo verso il portone del villaggio, unico accesso attraverso la muraglia di pali di legno, che restava sempre aperto durante il giorno. Stava agitando le braccia come un pazzo, e intanto strillava qualcosa di incomprensibile a quella distanza. Aredhel era allibita.

Un guerriero, Conn, che sedeva vicino alla porta della sua casa si alzò ed afferrò un'ascia appoggiata alla parete.

«Sei venuto a morire, traditore?» gridò nella sua direzione, mentre sollevava un'ascia verso l'alto. Aredhel non era sorpresa: Conn e Gunnar erano sempre stati amici, ed avevano entrambi votato per la morte di Wulfric.

La ragazza non riusciva a smettere di fissare suo fratello. Dubhan le si avvicinò e tirò dolcemente la sua gonna, per attirare la sua attenzione.

«Aredhel, quello è tuo fratello?»

Ma lei non rispose: aveva notato in quel momento Gunnar, in piedi sulla camminata che correva lungo le mura. Era da lì che tiravano gli arcieri, ed infatti l'uomo imbracciava un enorme arco. Attraverso l'apertura del portone, Aredhel vide Wulfric arrestarsi di colpo e battere in ritirata, mentre Gunnar scoccava la prima freccia. Nessuno avrebbe potuto biasimarlo: la pena per gli esiliati che ritornavano era la morte, e Gunnar non faceva altro che seguire la legge.

Fu sorpresa di sentire le sue gambe tendersi, e di avvertire le sue mani che stringevano la gonna del vestito per sollevarlo. Prima che se ne rendesse conto completamente, aveva già iniziato a correre. Vide scorrere accanto a se Conn e la sua ascia, le mura di legno ed il portone spalancato. Chiamò suo fratello prima che potesse sparire dietro gli alberi, sapendo che Gunnar non lo avrebbe colpito se in mezzo ci fosse stata lei.

Wulfric tornò nuovamente verso il villaggio, e quando si incontrarono Aredhel gli buttò le braccia al collo. Era spaventata, non si vergognava ad ammetterlo, perché vedere Wulfric al villaggio significava che la situazione era più grave di quel che pensava.

Lentamente, i due si avvicinarono alle porte del villaggio. Aredhel sapeva benissimo che, a questo punto, il consiglio di guerra avrebbe potuto condannarli entrambi a morte; e tuttavia sperava che li avrebbero ascoltati.

Il silenzio che li avvolgeva era irreale. Aredhel non ricordava di aver mai sentito degli sguardi tanto carichi di diffidenza su di sé. Alzò lo sguardo verso Wulfric, il quale sembrava perfettamente padrone della sua mente. Lui si accorse dell'agitazione della sorella e le strinse la mano. Si fermarono esattamente al centro del grande spiazzo che dominava il villaggio, in attesa.

Gunnar, Conn e gli altri membri del consiglio si avvicinarono a loro, le lame sguainate. Gunnar, in particolare, ha lo sguardo pieno di ira e odio. Aredhel non può biasimarlo, ma al tempo stesso si porta istintivamente davanti a suo fratello, come a volerlo proteggere da quegli occhi omicidi.

«Aredhel» dice il guerriero. «Spostati. Sai cosa lo attende.»

«No.»

Gunnar resta per un attimo in silenzio. Il grande tatuaggio blu che gli riempie la fronte si contrae, quando lui aggrotta le sopracciglia. Per quanto sanguinario, Aredhel sapeva che Gunnar era anche un uomo abbastanza saggio.

«Che sei tornato a fare, Wulfric?» gli domandò, investendo il ragazzo con il suo pessimo alito. «Sai benissimo qual'è la pena per i traditori.»

Wulfric lo guardò con altrettanto astio, e Aredhel comprese che tra i due era in atto una battaglia davvero singolare: come due animali, i due guerrieri si squadravano nel tentativo di intimidirsi l'un l'altro. Quando suo fratello parlò, la giovane quasi non lo riconobbe, tanto la sua voce era roca e distorta dalla rabbia.

«Secondo te che ci faccio qui, Gunnar?» lo aggredì. «Sono venuto qua per avvisarvi. Siete tutti in pericolo, se restate qui.»

A questa frase, un coro di voci impaurite e di esclamazioni scosse il villaggio. Aredhel incontrò allora lo sguardo di sua madre, uscita di casa per capire cosa stesse succedendo. La ragazza non vide altro che delusione negli occhi di lei. Delusione non per Wulfric, ma per sua figlia.

Gunnar, stanco della confusione che il giovane aveva creato, impose il silenzio con un urlo, per poi rivolgersi nuovamente a Wulfric.

«E che ne sai, tu, di cosa ci riguarda? Non sei più uno di noi.»

Wulfric alzò il mento in segno di sfida. «Lo so, grande indovino! So benissimo di non far più parte di questo Clan, ma faccio parte della comunità di Caledorum, adesso. I Romani presto saranno qui.»

Aredhel avrebbe desiderato che suo fratello dicesse quelle parole solo al cospetto del consiglio di guerra, invece che in mezzo a donne e bambini spaventati. Eppure, lui continuò imperterrito, senza ragionare.

«È così!» gridò. «Se resterete qui, morirete tutti! Mi avete sentito? Tutti! I Romani stanno bruciando tutti i villaggi a nord del Vallo di Antonino. Avete capito? Moriremo tutti, se restiamo qui!» 

   
 
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