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Autore: RobTwili    17/11/2012    14 recensioni
Harper e Jared.
Pri e Jedi.
Si conoscono dall’asilo e hanno frequentato il college assieme, sempre e solo da buoni amici.
Jared ha visto Harper in tutti i modi possibili, Harper riesce a sopportare Jared nonostante l’amore incondizionato che lui ha per Pixie, la sua BMW.
Sono single, entrambi, visto che sembra che nessuno sia in grado di sopportare i loro reciproci difetti. Harper ha infatti una teoria: tutti i ragazzi che le piacciono sono dotati di una corazza invisibile che fa rompere le frecce di Cupido, impedendo a tutti di innamorarsi di lei.
Ma se la freccia di Cupido scoccasse improvvisamente, verso quella persona che hai sempre avuto al tuo fianco?
Storia momentaneamente sospesa
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CBA


Video trailer


«Harp, ma che domande fai?» domandai in imbarazzo, muovendomi irrequieto sul divano. Mi stava guardando con quello sguardo serio; era davvero in attesa di una mia risposta.
«Quindi vedi? Non mi tromberesti nemmeno tu che sei mio amico; sono senza speranza». Si alzò dal divano barcollando per dirigersi verso la cucina. Probabilmente voleva mangiare, di nuovo; ma se l’avesse fatto poi avrebbe vomitato e non mi andava davvero di passare tutta la notte in bagno, a tenerle la mano sulla fronte.
«Che fai?» chiesi allarmato, seguendola e allungando le braccia per sorreggerla quando ciondolò pericolosamente all’indietro, ridendo. «Harp, non è il caso di mangiare, davvero. Ascoltami, sei ubriaca e se mangi poi vomiti. Domani viene a trovarti Ken, ricordi? Non può vederti in piena post sbornia, sai che si arrabbierà». Harper, appoggiata al tavolo della cucina, continuava a guardarmi seria e attenta, come se quello che stavo dicendo fosse di vitale importanza.
«Ken… Harper… i miei genitori dovevano davvero aver fumato roba pesante quando hanno scelto i nostri nomi. Conosco solo due Ken: quello di Barbie e quello di Magic Mike» ridacchiò, piegandosi in avanti e sorreggendosi con le mani appoggiate alle cosce perché stava ridendo troppo. Magic Mike? Ma stava parlando di quel film di spogliarellisti?
«Harp… ma non avevi detto che non ti saresti abbassata a vedere un film del genere al cinema?». Era lei che, dopo che io e i ragazzi avevamo discusso a lungo su un film del genere –film che tutti e tre non avevamo visto perché non interessati –aveva detto che era un insulto al genere femminile; aggiungendo che si sarebbe infervorata con tutte le sue amiche che sarebbero andate a vederlo all’anteprima mondiale.
«Ovvio che non l’ho visto al cinema, l’ho scaricato. Shhh, ho piratato un film». Incominciò a ridere di nuovo, rischiando di svegliare Kurt, nonostante vivesse nell’appartamento di fianco al nostro. Mi avvicinai a lei per metterle una mano davanti alle labbra, impedendole di ridere così rumorosamente, ma Harper si spostò, schiaffeggiando la mia mano. «No, caro mio. Hai detto che non mi avresti scopata e quindi adesso non lo fai più. Non mi importa se ti faccio pena perché ho piratato un film di spogliarellisti. Tu non toccherai le mie nontette, né stasera né mai» mi ammonì, sventolando l’indice sotto al mio naso. Iniziai a ridere come uno scemo, incapace di rimanere serio di fronte ad Harp che così ubriaca sembrava soffrire di bipolarismo. «E non fare quella cosa con la lingua, cazzo. Non fare quella cosa se non vuoi che ti strappi la lingua con i miei denti». A quell’affermazione sgranai gli occhi, confuso. Di che cosa stava parlando?
Cosa avevo fatto con la lingua? Perché avrebbe dovuto strapparmela con i denti? «Harp, ma cosa stai dicendo?» domandai, avvicinandomi a lei e stringendo la mano attorno al suo busto per accompagnarla a letto. Stava farneticando troppo e parlava a vanvera; era decisamente meglio se si distendeva a letto e dormiva, visto che la mattina dopo di sicuro avrebbe avuto un dopo sbornia di quelli che le avrebbero fatto giurare –inutilmente –di non bere più per il resto della sua vita.
«Fai una cosa con la lingua… ti lecchi il labbro superiore. Non farlo se ci tieni alla tua masticazione, anzi alla tua deglutizione. Si dice deglutizione Jar con la lingua birichina?». Mi spintonò con il gomito, facendomi sbattere contro al muro e trascinandosi addosso a me. Per fortuna eravamo arrivati al piano di sopra ed ero riuscito a stringere le mie braccia attorno a lei prima che potesse cadere dalle scale. Mi ritrovai con il volto di Harper davanti al mio, i suoi occhi lucidi che mi scrutavano curiosi e le sue labbra socchiuse, tanto che sulla mia lingua sentivo il sapore dolce dell’alcol. «Sai, Jedi… sei più figo con la barba rispetto a quel taglio ridicolo che eri solito avere al liceo… quello che ti faceva assomigliare a quell’attore Disney che ha fatto i musical». Iniziò a ridere di nuovo, appoggiando la sua fronte sulla mia spalla e lasciandosi cadere, tanto che la ritrovai seduta a terra, in preda a un attacco di risa.
«Alzati, scema» mormorai, caricandola in spalla e ridendo quando sentii Harper farmi il solletico sui fianchi perché voleva camminare da sola. La appoggiai sul materasso in camera sua, sedendomi di fianco a lei sul letto e ridendo quando sbatté il capo contro al muro. «È meglio se dormi Harp; domani andrà tutto meglio». Mi alzai dal suo letto per uscire, dopo averle dato un bacio tra i capelli per augurarle buonanotte.
«Jedi… pensaci seriamente alla questione del trombarmi». Subito dopo aver finito la frase –pronunciata con una serietà che mi disarmò completamente –Harper iniziò a ridere, raggomitolandosi sotto alle coperte senza nemmeno togliersi il vestito che indossava.
Scuotendo la testa perché ormai avevo capito che Harper era senza speranza, mi chiusi la porta della sua camera alle spalle, scompigliandomi i capelli e tornando in camera mia per spegnere definitivamente il pc e dormire. Harp ubriaca mi aveva tolto tutte le forze, non avevo nemmeno voglia di provare a risolvere quel problema al pc che non mi aveva permesso, quella mattina, di finire il lavoro per consegnarlo in tempo. Abbassai lo schermo del laptop e, dopo essermi spogliato, mi distesi a letto, ripensando ad Harp ubriaca e ridendo. Era veramente seria quando mi aveva detto di pensare a… no, non potevo credere che fosse seria. Iniziai a ridere, strofinandomi il viso con le mani per rilassarmi e dormire.
 
Infernale. Ecco l’aggettivo che più descriveva la mia notte. Perché dopo aver portato Harper a letto, visto che aveva iniziato a ciondolare per casa cantando gli AC/DC, mi ero accorto di essere abbastanza stanco da dormire. Come se fossi riuscito a farlo. Mi ero svegliato innumerevoli volte, dopo strani sogni con ragazze mezze svestite che muovevano le loro mani sul mio petto e sulle mie braccia.
Per questo, appena mi ero svegliato, avevo fatto una doccia fredda per dimenticare quel sogno e per svegliarmi un po’. Ken sarebbe arrivato quel pomeriggio e non mi sembrava giusto accoglierlo con i rimasugli di una notte in bianco perché sua sorella si era presa una sbronza colossale.
Finii di sistemare il lavoro che dovevo consegnare quel lunedì e, a mezzogiorno passato, decisi di vendicarmi con Harp: lei mi aveva fatto sognare donne nude, io le avrei donato la sveglia polifonica migliore di sempre; perché andare a letto con una sbronza la rendeva irritabile il giorno dopo.
Aprii lentamente la porta della sua camera, chiamandola dolcemente. «Harp, sveglia, su» mormorai, avvicinandomi alla mensola con lo stereo che aveva di fianco al letto. La sentii lamentarsi con un suono che mi fece ridere e pigiai un paio di pulsanti, selezionando la canzone. Appena partì l’assolo di chitarra di Highway to hell aprii il balcone lasciando che la luce entrasse in camera di Harp, colpendola in pieno viso. «Highway to hell» urlai, avvicinandomi a lei e strattonando le coperte per toglierle e scoprirla definitivamente. Harp mugolò, coprendosi con il cuscino per nascondere il suo volto e tapparsi le orecchie «Whoo» urlai di nuovo, togliendo anche il guanciale e lanciandolo dietro di me a tempo di musica, fingendomi un chitarrista di una Air Band.
«Jar! Stronzo, spegni» strillò, mettendosi a sedere di scatto. Si portò una mano alla fronte, probabilmente perché le girava la testa tanto che subito dopo tornò a stendersi, tenendo gli occhi chiusi.
«Volevo solo farti provare l’ebrezza di sentire questa canzone dal vivo, visto che stanotte non mi hai fatto dormire perché la cantavi di continuo» spiegai, raccattando il cuscino e le coperte e lanciandole sopra di lei per seppellirla viva in mezzo a tutti quei colori. Non avevo mai capito perché Harp componesse il letto sempre con le lenzuola di colori spaiati. La sua scusa era: «più colori, più sogni variopinti», ma ero sicuro che non fosse proprio un accostamento decente verde evidenziatore –come lo chiamava lei –azzurro cielo e fuxia. «Ken arriverà tra meno di due ore. Vedi di alzarti, lavarti e mangiare qualcosa, visto che sembra tu abbia passato la serata in una distilleria» dissi, uscendo dalla sua camera e scendendo al piano di sotto per guardare un po’ la tv.
Qualche istante dopo udii la porta del bagno chiudersi e il rumore dell’acqua che scrosciava: Harp si stava facendo il bagno. Socchiusi gli occhi sorridendo quando sentii le prime note di una canzone degli Iron Maiden diffondersi per l’appartamento. Un giorno o l’altro Kurt avrebbe bussato alla nostra porta, arrabbiato perché non ne poteva più di canzoni rock e metal.
«Jared» urlò così forte Harper che mi alzai dal divano di scatto, preoccupato che le fosse successo qualcosa. Feci i gradini a due a due per arrivare prima davanti alla porta chiusa del bagno. «Harp? Tutto bene? Perché hai urlato?» chiesi, con il fiato corto per la corsa. Non udii risposta e appoggiai la mano sulla maniglia, pronto a entrare.
«È… aiuto… entra cazzo» sbottò, rendendomi confuso. Che c’era? Si era fatta male? Perché mi aveva chiamato? Senza aspettare un secondo in più aprii la porta, entrando in bagno e guardandomi attorno. La porta del box doccia era aperta; Harper se ne stava in piedi, con uno sguardo terrorizzato. Quello che però mi colpì e mi fece sgranare gli occhi per la sorpresa fu il suo abbigliamento.
«Harper! Sei nuda, cazzo» urlai, coprendomi gli occhi con una mano per non guardarla di nuovo. Non avevo visto niente, non avevo visto il suo tatuaggio a forma di quadrifoglio sul fianco, nemmeno le sue nontette. Men che meno la sua pancia piatta.
«Come dovrei fare la doccia, vestita? Togli quel ragno, è enorme. Oddio, una tarantola nel nostro bagno. Te l’ho sempre detto che devi pulire di più la tua stanza, guarda che cosa esce da lì, poi» inizio a blaterare, mentre le lanciavo un telo perché potesse arrotolarselo attorno al corpo e coprirsi. Era Harp, ma rimaneva una donna, e io un uomo che da troppi giorni non faceva una sana trombata.
«Mi fai perdere quindici anni di vita per questo?». Presi tra il pollice e l’indice quel piccolo ragnetto che misurava sì e no un centimetro e allungai il braccio verso di lei, facendola urlare ancora più forte. Notando la sua reazione non riuscii a trattenermi e iniziai a ridere, avvicinandomi di un passo a lei e costringendola a indietreggiare fino a quando si trovò intrappolata perché c’era il lavandino dietro di lei. «Ha più paura lui di te, Harp». Aprii la finestra del bagno, appoggiando il ragno sul davanzale senza ucciderlo. Odiavo uccidere i piccoli insetti solo perché erano una delle tante fobie di Harp. «Adesso fatti questa dannata doccia e non urlare più, nemmeno se vedi la mamma di quel ragno».
Mi chiusi la porta del bagno alle spalle, ridendo quando sentii la voce di Harp mormorare un «Mamma?» spaventata. Almeno si sarebbe impaurita e non avrebbe più provato a farmi quegli attacchi a sorpresa. Nuda. Non che ci avessi poi fatto tanto caso, ma era meglio non pensare più a quell’incidente. In fin dei conti l’avevo vista nuda anche... in prima elementare, mentre sua mamma la cambiava davanti a me, al mare. Non era cambiato nulla, no?
«Ahh» sbottai, frustrato, portandomi le mani tra i capelli e tirandone qualche ciocca per cercare di non pensare a quello che era successo. Fortunatamente lo scalpiccio dei piedi di Harper mentre scendeva la scala mi fece tornare alla realtà, distraendomi da quei pensieri senza senso.
«Devo mangiare, sto morendo di fame e mi fa mal di testa. Jar vieni in cucina a farmi compagnia?» domandò, mentre la sentivo aprire le ante dei mobiletti della cucina, per cercare qualcosa da mangiare. Imprecò, lamentandosi della Nutella che era quasi finita e con un sorriso mi alzai, per raggiungerla. «Allora, che è successo ieri sera? Perché non mi ricordo proprio di aver camminato fino a casa… forse ho esagerato un po’ troppo con l’alcol ieri sera, ma non ne sono sicura». Arricciò il naso, avvicinando il barattolo mezzo vuoto di Nutella al viso e scavando con il cucchiaio. Sembrava una bambina che mangiava la cioccolata, soprattutto perché indossava quella vecchia t-shirt logora che la faceva sembrare ancora più magra e giovane. «Insomma, come ho fatto a tornare a casa?». Alzò lo sguardo per incontrare il mio prima di iniziare a spalmare la cioccolata sulla fetta di pane che aveva tagliato qualche istante prima.
«Mi hai chiamato; eri ubriaca e sono riuscito a capire dove ti trovassi così sono venuto subito a prenderti e ti ho portato a casa. Non so che cosa sia successo, parlavi in modo confuso, hai nominato un paio di ragazzi, uno con la ragazza e un gay e poi dicevi cose strane come il tuo solito. Era una sbronza pesante». Accennai a un sorriso, sperando che Harp non notasse quanto fossi turbato al ricordo della sua domanda, quella notte. Non volevo che iniziasse a tempestarmi di domande come il suo solito, soprattutto perché sapevo che alla fine mi sarei visto costretto a dirle che cosa mi aveva chiesto e io volevo solo dimenticare quella scomoda domanda.
«Non ricordo niente davvero. Oddio sono presa male. Ho detto altro? Sparato qualcosa di idiota come il mio solito? Non mi sono spogliata vero? Cioè mi hai trovato vestita, giusto? Non ho fatto o detto niente di sconveniente?». Continuava a parlare sempre più veloce, facendosi prendere dal panico. Come potevo dirle che mi aveva chiesto se avrei voluto trombarla? Non era da me ricordarle cosa diceva da ubriaca –a meno che non fosse qualcosa di talmente stupido che mi permetteva di deriderla per giorni interi –quindi avrei sorvolato.
«No, mi pare di no. Ero molto stanco e non ricordo ogni parola, ma non dovresti aver detto altro». Non riuscivo nemmeno a guardarla negli occhi perché mi sentivo un bugiardo. Non ero abituato a mentire ad Harper e l’idea che in quel momento stavo raccontando una delle bugie più grandi di sempre mi faceva sentire ancora più sporco. Mi concentrai sul calendario appeso al frigo, fingendo che ci fosse qualcosa di interessante lì sopra.
«Jar… stai mentendo. Guardi il calendario in due momenti: prima che mi venga il ciclo, per controllare; oppure quando non vuoi farmi capire che menti. Siccome non deve  venirmi il ciclo a breve stai mentendo. Che cosa è successo? Che ho fatto? Che ho detto?». Si agitò tanto che iniziò a gesticolare tenendo il panino in mano e non badando al suo mento sporco di cioccolato. Quando Harp mangiava la Nutella diventava una bambina, sporcandosi ovunque. Ridacchiai, porgendole una salvietta e indicandole il mento perché potesse pulirsi, ma sembrava che non considerasse la nostra discussione conclusa, perché –dopo essersi pulita –ritornò a incrociare le braccia sotto al seno e mi guardò, in modo quasi minaccioso. «Dimmi che cosa ho fatto» ordinò di nuovo, spaventandomi. Harp conosceva tutti i miei punti deboli e sapeva come farmi cedere, soprattutto perché era testarda e non si sarebbe arresa fino a quando non avessi sputato il rospo.
Meglio mentire, decisamente. «Niente Pri, o almeno, se hai detto o fatto qualcosa non ricordo davvero. Ero stanco e appena siamo arrivati a casa ho preso sonno nel divano». Cercavo di guardarla negli occhi per farle vedere che non stavo mentendo, ma non ci riuscivo; per quanto mi impegnassi il mio sguardo fuggiva dal suo: mi sentivo colpevole.
«Jar, stai mentendo. Tu ricordi che cosa è successo e non vuoi dirmelo. Quindi è qualcosa di grave, perché di solito appendi post-it in giro per casa con le frasi epiche che ho detto dopo essermi ubriacata. Andiamo, non può essere così grave, no? Sarà stato qualcosa di porno, se ho detto che ho guardato un porno non è vero, era solo un pezzettino e poi mi sono rotta perché si vedeva che lei stava fingendo e ho chiuso, lo giuro». Si portò una mano sul cuore, facendomi sorridere. Forse sì, se mi avesse raccontato che aveva visto un pezzo di un film porno avrei tempestato la casa di post-it con frasi idiote per prenderla in giro, ma quella domanda non mi permetteva di deriderla. Non potevo però continuare a mentirle, perché Harper se ne sarebbe accorta e non mi avrebbe dato più pace; la conoscevo.
«D’accordo. Ti ho portato a casa ed eri ubriaca, mi hai raccontato che avevi visto due ragazzi carini poi ti hanno rifiutata perché uno aveva la ragazza e l’altro era gay, così ti sentivi brutta. Era una sbronza triste, te lo dico già. Così all’improvviso mi hai chiesto se…». Mi fermai, prendendo un respiro profondo e socchiudendo gli occhi per qualche istante. Sarebbe cambiato qualcosa? No, ovvio che no. Avremmo riso per quella domanda scema dettata dall’alcol e poi ce ne saremmo dimenticati per sempre, perché non aveva nessun senso rimuginare su una cosa così stupida. «… mi hai chiesto se voglio trombarti, nel caso tu me lo chiedessi».
Non era stato poi così brutto come mi ero immaginato. Eravamo entrambi ancora vivi, anche se Harp aveva la mascella che toccava terra e gli occhi sgranati per la sorpresa. La vidi muovere le labbra, come se volesse dire qualcosa, ma entrambi sussultammo sentendo una voce alle nostre spalle.
«Dov’è la mia sorellina preferita?». Ken entrò in cucina lanciando le chiavi di casa sopra alla tavola e allargando le braccia, in un chiaro invito per Harp ad abbracciarlo –come faceva sempre. Harper però continuava a rimanere seduta sulla sedia, in procinto di dire qualcosa che non voleva uscire dalle sue labbra. «Uno attraversa tre stati per salutare sua sorella e viene accolto così, direi che la mia autostima ha raggiunto le vette dell’Everest, Hapi». Ken sorrise, ammiccando verso la sorella che sembrò riprendersi all’improvviso.
«Ken» urlò correndo verso di lui e abbracciandolo di slancio, tanto da farlo indietreggiare di un passo per non perdere l’equilibrio. «Mi sei mancato tanto». Vidi Ken sorridere mentre ricambiava l’abbraccio di Harp e sorrisi anche io di riflesso.
Ken era sempre stato un ottimo fratello per Harper; protettivo e buono, l’aveva difesa dai bambini più grandi fino a quando, all’asilo, lei non mi aveva incontrato. Poi, davanti alle statue di Biancaneve e dei sette nani, Ken mi aveva minacciato con una manciata di sassi: avrei dovuto proteggere sua sorella visto che l’anno dopo lui sarebbe andato alle elementari e non avrebbe più potuto farlo. Da quel giorno, dopo che avevo promesso di proteggerla da tutti, io e Harp eravamo diventati ancora più amici, sostenendoci e punzecchiandoci. Non era passato giorno senza che ci deridessimo a vicenda, sotto lo sguardo divertito di Ken che –da bravo fratello maggiore –controllava tutti i ragazzi che cercavano di conquistare sua sorella. Poi era arrivato il momento per Ken di scegliere il college e si era trasferito a Lubbock, in Texas, allontanandosi da me, ma soprattutto da Harper che aveva sofferto per quel distacco. Certo, non l’aveva detto espressamente, ma la conoscevo talmente bene da sapere quando soffriva per qualcosa. Per questo il suo ultimo anno di liceo era stato il peggiore: voti bassi dovuti al suo scarso impegno e feste di confraternite a cui si imbucava quasi tutte le sere. Poi, dopo aver parlato con Ken prima delle vacanze di primavera, Harp era cambiata, o meglio, era tornata la Harp di sempre. Non sapevo che cosa Ken gli avesse detto, ma di sicuro quelle parole avevano fatto capire ad Harper che quella che aveva intrapreso non era la strada giusta.
«Già così mi piace di più» sogghignò Ken, accarezzando la schiena di Harper e sorridendo. «Sbaglio o sei ingrassata? Riesco quasi a non sentire le tue scapole». Le pizzicò la pelle della schiena, facendola mugolare per il dolore. Quel suono ci fece ridere entrambi. «Allora, come state? Come va con Noah o come si chiama?». Ken non riuscì a notare in tempo la mia espressione sconvolta: cosa avrebbe detto Harper, visto che era davvero ferita da Noah, nonostante fossero stata con lui solo per due mesi?
«Mi ha lasciata. Ha detto che non ero quella giusta per lui e che non mi trovava attraente». Harp fece spallucce, tornando a sedersi per finire di mangiare il suo panino con la Nutella, come se il discorso potesse considerarsi concluso con quella frase. Sapevo che Ken non avrebbe detto nulla in presenza di Harper, ma mi avrebbe fatto il terzo grado una volta soli.
«Quando sono così idioti è meglio lasciarli perdere» sentenziò, accendendosi una sigaretta dopo essersi seduto su uno sgabello di fianco a me. «E tu, a donne come sei messo?». Mi diede una pacca sulla spalla, facendomi ridere. Harper e Ken erano uno l’opposto dell’altro fisicamente: lei aveva due grandi occhi verdi, lui castani. I capelli di Harp erano di un biondo naturale che lei mascherava con quel rosso scuro; quelli di Ken invece, come i suoi occhi: castani. Nonostante tutto però, avevo imparato a vedere, attraverso il corso degli anni, come alcune espressioni e alcuni modi di fare li rendessero simili.
«Bene dire. Non c’è nessuna che mi disturba mentre gioco con l’X-box. A parte tua sorella, naturalmente». Trovai il tappo di una bottiglia di birra e lo lanciai contro Harp, dopo che alla mia affermazione mi aveva fatto una linguaccia. «Scherzi a parte, nessuna al momento, ma non mi lamento, sto bene così». Ed era la verità, non sentivo la mancanza di una donna, forse perché il lavoro occupava davvero molte delle mie energie e quasi tutto il mio tempo. Di certo non era perché –come credeva Harp –passavo il tempo guardando film porno.
«A proposito del lavoro… devo chiederti una cosa del mio pc. Non so che gli sia successo, ma ha lo schermo che fa lo stupido. I colori si vedono male e non so se sia perché è partita la scheda video o…» iniziò a spiegarmi, prima che Harp si alzasse in piedi, muovendo le braccia per attirare la nostra attenzione.
«Prima che vi perdiate con i vostri discorsi da individui maschili, andiamo a cena fuori tutti assieme stasera? Io con i miei uomini?» propose, portando le mani a intrecciarsi sotto al mento, in attesa di una risposta da parte nostra. Ken mi guardò, annuendo assieme a me e sentimmo entrambi il gridolino felice di Harper che corse ad abbracciare entrambi nello stesso momento, dando prima un bacio sulla guancia a Ken e poi uno a me. «Vado a farmi una doccia e mi preparo, sbrigatevi, faccio presto» urlò, salendo le scale di corsa. Avrei voluto dire che non le serviva lavarsi di nuovo, visto che l’aveva fatto meno di due ore prima, ma sapevo che con Harp non era il caso di discutere, soprattutto perché aveva già acceso lo stereo in bagno.
«Che le succede?» domandò Ken, appena sentimmo la porta del bagno chiudersi. Sapevo che mi avrebbe chiesto qualcosa di Harper, l’aveva trovata troppo strana e Ken notava subito ogni più piccolo sbalzo d’umore di sua sorella.
«Credo che ci sia rimasta davvero male perché Noah l’ha lasciata. Per una settimana non è praticamente mai uscita e quando l’ha fatto, ieri sera, ha indossato un vestito e dei tacchi altissimi. Mi ha chiamato ubriaca che non sapeva come tornare a casa. Credo abbia bisogno solo di tempo, sai com’è; non ammetterà mai di essere rimasta delusa da Noah, anche perché l’ha lasciata davvero come un cretino. Le ha detto che non era attratto da lei e che aveva troppe poche tette per venire, se mai avessero trombato». Non aveva senso mentire a Ken, anche perché, se l’avessi fatto, sarebbe tornato a Lubbock con il pensiero che Harp non era felice, e non potevo permettere che accadesse.
«Che stronzo. Sai dove abita? Ho una mazza da baseball in macchina…» sogghignò, fingendo di sgranchirsi il collo per sembrare più minaccioso. Ridemmo assieme, prima che si alzasse per gettare la sigaretta ormai spenta dentro al cestino. «Perché stasera non inviti anche Joe e Wilson? Almeno la faranno ridere un po’, no? E poi è da tanto che non vedo i tuoi amici». Ken si voltò per guardarmi, in attesa di una risposta. Esattamente in quel momento ricordai perché continuavo a dire che, riguardo alcuni aspetti, si vedeva che lui fosse il fratello di Harp. Anche lei quando voleva qualcosa usava la stessa espressione. Doveva per forza essere l’espressione Hetfield, non c’era altra soluzione.
«D’accordo, provo a sentire se sono liberi per cena». Cercai il telefono dentro alla tasca dei jeans, trovandolo poco dopo e digitando il messaggio per chiedere ai ragazzi se fossero o meno liberi quella sera. Non passarono che pochi istanti, prima di leggere le loro risposte. «Sono liberi entrambi e felici di passare la serata con te. C’è solo una condizione che credo non andrà bene ad Harper: vogliono mangiare all’Uga Uga». Non riuscii a trattenere una risata al pensiero dell’espressione schifata di Harp, nel momento in cui avrebbe saputo dove saremmo andati a cenare.
«Ottimo, a Lubbock non c’è nessun posto come l’Uga Uga. Digli di sì, ma non diciamolo ad Harper» sghignazzò, facendomi ridere. Harper entrò in cucina in quel momento, trovandoci con le lacrime agli occhi e chiedendoci cosa ci fosse di così divertente.
«Niente, la scheda video di Ken si è rotta, ma per controllare abbiamo guardato un porno, visto che Ken sapeva i colori a memoria» scherzai, notando l’espressione di Harper mutare e sentendo la risata di suo fratello farsi più acuta per l’ilarità della situazione. «Comunque stasera a cena con noi ci sono anche Joe e Wilson, non vorrei mai che poi ti stupissi quando te li trovi davanti». Meglio non dire il ristorante, però; altrimenti avrebbe volentieri declinato l’invito per la cena.
«D’accordo. Dove andiamo a mangiare?».

 
 
 
Mi scuso immensamente per il ritardo, avevo promesso che avrei aggiornato più velocemente e invece è passato tantissimo tempo dal capitolo precedente; non so davvero come farmi perdonare, lo ammetto.
Riguardo al capitolo, solo un paio di precisazioni: Quando parla di “Ken” dal film Magic Mike mi riferisco al ruolo di Matt Bomer, che per l’appunto nel film si chiamava Ken.
Quando Harp dice a Jar che è meglio la versione con la barba rispetto a quella di lui al liceo che assomigliava all’attore Disney... l’attore Disney a cui mi riferisco è proprio Zac Efron, durante gli HSM.
AC/DC e Iron Maiden sono due gruppi rock/metal e il cognome di Harper è Hetfield, come il cantante e chitarrista dei Metallica James Hetfield, volevo che fosse un tributo a loro :)
Uga Uga è un nome che mi sono inventata e non so se a Los Angeles –ma non credo proprio –esista un ristorante con questo nome e con le caratteristiche di cui parlerò nel prossimo capitolo.
Infine, se non avete  visto, all’inizio del capitolo è apparso un link per il video trailer come sempre fatto da Ale, guardatelo! (Se siete pigre e non volete tornare all’inizio della pagina riposto il link QUI).
Ultimissima cosa… NERDS’ CORNER è il gruppo spoiler dove ci sono anche i volti dei personaggi. Accetto tutti, quindi se volete iscrivervi non ci sono problemi.
Ho finito davvero, mi scuso ancora per il ritardo.
A presto.
Rob.
   
 
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