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Autore: RobTwili    29/10/2012    14 recensioni
Harper e Jared.
Pri e Jedi.
Si conoscono dall’asilo e hanno frequentato il college assieme, sempre e solo da buoni amici.
Jared ha visto Harper in tutti i modi possibili, Harper riesce a sopportare Jared nonostante l’amore incondizionato che lui ha per Pixie, la sua BMW.
Sono single, entrambi, visto che sembra che nessuno sia in grado di sopportare i loro reciproci difetti. Harper ha infatti una teoria: tutti i ragazzi che le piacciono sono dotati di una corazza invisibile che fa rompere le frecce di Cupido, impedendo a tutti di innamorarsi di lei.
Ma se la freccia di Cupido scoccasse improvvisamente, verso quella persona che hai sempre avuto al tuo fianco?
Storia momentaneamente sospesa
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CBA





«Harper, perché non ammetti semplicemente che ci sei rimasta male?». Non ne potevo più; da una settimana continuava a rispondermi male per ogni cosa che dicevo, ignorandomi e urlando contro le peggiori cose che nemmeno pensava, solo per sfogarsi. Avevo lasciato correre, ma dopo una settimana iniziavo a stancarmi quando urlava che ero un idiota solo perché avevo appoggiato un coltello di fianco al cucchiaio dentro al cassetto –e non vicino alla forchetta come lei aveva deciso fosse giusto.
«Non capisco davvero di cosa tu stia parlando». Fece spallucce, continuando a sfregare con forza su quel piatto su cui ormai ci si poteva specchiare sopra da quanto lucido era. Mi avvicinai a lei, appoggiandomi con la schiena al bancone della cucina e incrociando le braccia al petto, sperando che si sbloccasse e iniziasse a sfogarsi per poi ritornare normale. «Che c’è?» sbottò, sentendosi osservata.
«Uscivate assieme da due mesi, è normale che tu un po’ soffra, non è qualcosa di brutto, ok? Puoi dirlo, sono il tuo migliore amico». Cercai di sorriderle per tranquillizzarla, ma conoscevo Harper tanto da sapere che avrebbe finto di nuovo, come se non le fosse interessato nulla di Noah.
«Guarda, per me può andare dove vuole, può trovarsi qualcuna con più tette. A proposito… la ragazza che era venuta qui la settimana scorsa? Perché non l’ho più vista?». Cambiare discorso era la tattica preferita di Harp, perché credeva ogni volta di potermi far dimenticare di che cosa stavamo parlando. La guardai risciacquare il piatto e subito dopo iniziare ad asciugarlo con movimenti meccanici, in attesa di una mia risposta.
«Chi, Alexis? No, non ha funzionato. Era inquietante, delle volte sembrava parlare con i morti, come il bimbo del Sesto senso». Rabbrividii, ricordando quella strana ragazza e il suo insolito modo di comportarsi. Dopo essere uscito con lei un paio di volte e aver capito che non era interessata a me per qualche delusione passata di cui non mi aveva parlato, avevamo deciso di troncare.
«Mi dispiace» mormorò, facendo una smorfia buffa che mi fece ridere. «Che c’è?». Sembrava sorpresa della mia risata, o forse semplicemente non capiva perché avessi iniziato a ridere quando avevamo parlato di Alexis.
«No… è che sono io quello dispiaciuto per te, ti vedo triste e mi dispiace. Alexis l’ho vista solo un paio di volte, Noah invece… be’, lui c’era spesso qui, no?». Non sarebbe riuscita a farmi andare di nuovo fuori strada. Avevo intenzione di parlare con lei riguardo Noah e il loro aver rotto, non mi avrebbe fregato. La vidi sbuffare, prima di asciugarsi le mani su un canovaccio che lanciò dietro di lei, arrabbiata.
«Sai cosa? Non è nemmeno che mi dispiaccia troppo per Noah. Cioè, non sono così scema da fingere di non esserci rimasta male, però, ecco… più che altro è perché sento il bisogno di una trombata e di un abbraccio» concluse, facendo spallucce.
«Posso offrirti l’abbraccio e sono sicuro che Wilson potrà soddisfare l’altra tua richiesta» scherzai, allargando le braccia in attesa che si avvicinasse a me per stringermi. La sentii ridere mentre le sue braccia stringevano il mio busto e strofinava il suo naso sul mio petto. Era il tipico abbraccio di Harper, perché ci eravamo sempre abbracciati così, fin dall’asilo. Io le lasciavo un bacio tra i capelli e lei strofinava la punta del suo naso contro la mia maglia, da destra a sinistra.
«Grazie Jar, ti voglio bene» mormorò, baciandomi la guancia prima di tornare in sala e sedersi sul divano, accendendosi la TV per sorridere davanti a un vecchio film horror che le piaceva. Scossi la testa con un sorriso, sapendo che Harper era così testarda da fare esattamente quello che voleva. Avrei potuto dirle mille volte che doveva uscire e divertirsi, ma l’avrebbe fatto solo se ne avesse veramente avuto voglia.
«Dovresti uscire. Perché stasera non esci con noi? Ci comporteremo bene, niente discorsi porno su di te da parte di Wil, vedrai che Joe non glielo permetterà» sghignazzai, giocherellando con i pantaloni della tuta che indossava. Le accarezzai la gamba, giocando con il suo polpaccio lungo e affusolato.
«Hai ragione. Stasera esco, vado a caccia. Metterò quegli strumenti di tortura e mi truccherò. Sarò così femminile che non mi riconoscerò nemmeno. Il mare è pieno di pesci e stasera io lancerò l’amo con un grosso verme per prendere il pesce più grande. Se ne abboccano due o tre meglio, più pesci con un solo verme». Avrei tanto voluto spiegarle che non era un verme ma un’esca quella che si usava per pescare, ma sapendo che Harper aveva la fobia dei vermi non discussi nemmeno, lasciando che continuasse con il suo discorso. «Che ne dici, mi metto la gonna stasera? Insomma, sono più trombabile con una gonna o un paio di pantaloni? Forse con una gonna, perché un uomo pensa “hop” e sa che ha la via più facile. Sì, mi metterò una gonna, magari un bel vestito». Non riuscii a trattenere una risata quando mimò di alzarsi una fantomatica gonna a quell’hop e appoggiai il capo al divano, abbandonandomi a una risata.
«Harp… non è che tu diventi trombabile perché hai una gonna o meno. Di solito non si guarda quello…». Almeno, le doti di una ragazza che mi colpivano erano diverse, ma non mi lasciò finire la frase, sventolando la mano davanti alle mie labbra e ammonendomi con l’indice dell’altra.
«Senti, lo so che voi vi eccitate per un paio di tette, ma non ce le ho, devo vendere la mia merce. Farò una foto con un uomo a caso e la posterò su Facebook». Si alzò dal divano, sistemandosi i pantaloni che si erano alzati fino al ginocchio. Ma che cosa stava dicendo? Da quando si era trasformata in una ragazza che si trombava uno conosciuto in discoteca e metteva le foto in un social network per far ingelosire Noah?
«Harper, non sei in te, forse è meglio se questa sera rimani a casa, dico sul serio». Mi stavo preoccupando per lei. Se la conoscevo, o meglio, se conoscevo i suoi metodi per sfogarsi, si sarebbe ubriacata come minimo.
«Sono in me anche troppo. Sono single, carica e in astinenza: stasera si tromba. Vado a farmi una doccia». La conferma di quanto Harper fosse deviata e distrutta in quel momento arrivò quando, dal piano superiore sentii una vecchia canzone di Natasha Bedingfield al posto dei Metallica. Quello che però mi preoccupò più di tutto fu sentire la passione con cui Harp cantava sotto alla doccia.
Preoccupante in modo spaventoso era la definizione migliore per definire la situazione di Harper quel giorno.
«Jar, è il momento dei consigli» urlò Harper quasi un’ora dopo, scendendo le scale di corsa. Sbuffai, mettendo in pausa il film che stavo vedendo e togliendomi gli auricolari per sentire che cosa avesse da dire. La situazione si dimostrò molto peggiore di ogni mia previsione quando Harper, con un miniabito nero, camminò fermandosi davanti a me e abbassando lo schermo del pc perché voleva avere tutta la mia attenzione. «Devi essere sincero, non mi offenderò, d’accordo? Dimmi che cosa pensi di questo abito». Fece un giro su se stessa, lasciando che mi prendessi tutto il tempo per guardarla.
«Harp… puoi vestirti come vuoi, ti sta bene tutto» tagliai corto, guardando il preoccupante ammasso di vestiti che aveva appoggiato sul divano, di fianco a me. La mia risposta sembrò non piacerle, perché sbuffò e posò le mani sui fianchi, con aria scocciata. «D’accordo, sarò rude. Se vedessi una ragazza con questo vestito penserei che… è uscita di venerdì sera per divertirsi» spiegai, guardando il bordo del vestito che le arrivava a metà coscia.
«Cazzissimo no, non è quello che voglio. Devo conquistare, devo essere sexy. Devo essere talmente sexy che i minorenni non potranno nemmeno guardarmi. Vado a provare un altro vestito» spiegò, sparendo velocemente con un vestito rosso prima di tornare. «Allora? Sincero di nuovo» sbottò, tornando a ruotare su se stessa per un mio giudizio.
«Sembri una di quelle che te la fa vedere ma non toccare, Harp». Inutile mentire, tanto sapevo che mi avrebbe rotto fino a quando non le avessi detto la verità. Scandalizzata perché convinta che quel vestito la rendesse sexy a dismisura, tornò con un vestito grigio, attillato e corto. Faceva risaltare i suoi occhi verdi e rendeva le sfumature dei suoi capelli ancora più vivide. «Con questo sei molto… sexy. Se uno ti vede pensa che se sa conquistarti potrà trombarti. Però se ti muovi troppo ti esce il culo» notai, quando alzò le braccia in segno di vittoria. Il vestito infatti era salito, arrivando appena sotto la curva del suo sedere.
«Perfetto. Ottimo. Grazie Jar, utile come sempre». Si accucciò per darmi un bacio sulla guancia e inevitabilmente guardai la sua scollatura che mi offrì una chiara visuale delle sue nontette, fino all’ombelico.
«Mal che vada piegati a novanta così, visto che ti si vede anche l’ombelico» scherzai, facendole capire che non doveva muoversi troppo con quel vestito visto che saliva dietro e si abbassava davanti. Non era di certo il vestito che le avrei consigliato di indossare se avesse avuto un ragazzo; io stesso sarei stato geloso che qualcuno la guardasse con quel vestito addosso.
«Non mi piegherò a novanta allora, visto che sono comunque ingrassata e ho la pancia che supera le nontette. Sono a dieta, a proposito. E comunque… Jar posso farti una domanda personale?». Si sedette di fianco a me sul divano con uno sbuffo, come se rimanere in piedi con quel vestito fosse stata per lei un’impresa titanica. Forse lo era davvero, visto che indossava un paio di scarpe con il tacco rispetto alle Vans che portava abitualmente tutti i giorni.
«Personale? Perché quando parliamo del fatto che stasera tromberai non stiamo facendo domande personali?» sghignazzai mentre mi tirava un pugno sul braccio perché la mia battuta probabilmente le era sembrata scema. «Avanti, fammi questa domanda personale» acconsentii, prendendo un respiro profondo e preparandomi a qualche scemata colossale tipica di Harper.
«Non ti manca fare sesso? Cioè, sei single da più di me e sei un uomo. D’accordo, ci sono i film porno, ma non è la stessa cosa, no?». Era seria, incredibilmente seria; talmente seria che iniziai a ridere, ricevendo un nuovo pugno che mi fece sbottare per il dolore. «Sei stupido, era una domanda seria. Cretino». Incrociò le braccia sotto al seno, in un gesto irritato che mi fece ridere più forte, aumentando la sua rabbia verso di me.
«D’accordo, ok». Mi schiarii la voce, cercando di ritornare serio, lentamente. «Harp, certo che mi manca. E in ogni caso che c’entrano i film porno? Mica guardo i porno io» mi difesi, agitando la mano perché non mi interrompesse, visto che sapevo che cosa voleva dirmi.
«Semplicemente una settimana in più non mi cambia, se proprio vedo che non resisto vado al motel e chiedo a qualche signorina se mi fa compagnia» scherzai, mantenendomi però serio. Mi piaceva vedere lo sguardo di Harper stupita: sgranava gli occhi e le sue labbra producevano un cerchio perfetto.
«Sei un maniaco sessuale. Tu andresti con una… prostituta?». Pronunciando l’ultima parola abbassò la voce, come se fosse stato qualcosa che non si poteva dire. Mi fece ridere di nuovo, visto che delle volte diventava improvvisamente pudica, come se non parlassimo mai di sesso e di tutti i derivati. «Non le voglio sentire queste cose, dico davvero. Io esco, sta a casa e guardati un porno, per carità. Ci vediamo… non lo so quando!» esultò, felice. Mi diede uno schiaffo in testa invece di baciarmi la guancia come al solito. Sospettavo che fosse perché temeva dicessi ancora qualcosa delle sue nontette.
Ridendo dopo la pedata che le avevo dato sul sedere mentre passava davanti a me, uscì di casa, traballante sui tacchi; lasciandomi a Gangs of New York, visto che mi aveva interrotto un’ora prima per decidere quale vestito indossare.
 
Stavo giocando con l’X-Box, dopo aver mangiato gli spaghetti di soia avanzati dal giorno prima –visto che i ragazzi avevano deciso di uscire con le pollastrelle che avevano adocchiato-, quando il mio cellulare iniziò a suonare, facendomi interrompere il gioco con uno sbuffo irritato. Perché cavolo Joe o Wilson –visto che ero sicuro si trattasse di loro –mi stavano chiamando a mezzanotte e mezza? Wilson non era uscito con Alyssa? Be’, perché non se la stava spassando con lei?
Quando però vidi il nome sullo schermo lampeggiante, sgranai gli occhi, preoccupato.
Harper.
«Harper che succede?» domandai spaventato, senza nemmeno salutare. Perché mi stava chiamando se era andata a cacciare? Che fosse successo qualcosa? Che qualcuno le avesse fatto male? Mi alzai dal divano irrequieto, aspettando una sua risposta che tardò un po’ troppo ad arrivare.
«Jedi… mi son-persa» ridacchiò Harper, togliendomi un peso dal petto perché temevo che qualcuno le potesse aver fatto del male, ma rendendomi irrequieto perché non sapevo dove diavolo fosse.
«Come ti sei persa? Dove sei?» domandai, guardandomi attorno per cercare le chiavi di Pixie. Sarei andato a prenderla, anche se fosse stata a Tijuana. La sentii ridere e borbottare qualcosa senza senso, tanto che mi spaventò. «Harp? Harp tutto bene?» chiesi, alzando il tono della voce perché potesse sentirmi e soprattutto rispondermi. «Harp quanto cazzo hai bevuto se non riconosci nemmeno la strada di casa, cazzo» brontolai, tenendo il cellulare tra l’orecchio e la spalla e mettendomi il portafoglio in tasca.
«Jedi, c’è un grassone stronzo che non risponde alle mie domande» piagnucolò improvvisamente, sull’orlo di una crisi di pianto. No, la sbronza triste no. Quando Harp si ubriacava e diventava triste era la fine, iniziava a fare discorsi semiseri alternati a parolacce e finiva per piangere. «Ehi, grassone con i baffi e il cappello bianco, dimmi dove siamo, ti prego». La sentii singhiozzare e cercai di concentrarmi per capire dove potesse essere, ma le strade dal bar a casa erano così tante che non sapevo a quale incrocio avesse svoltato. «Smettila di stare qui impalato con quella cosa in… in mano. Dimmi dove siamo». Sentivo Harper urlare nonostante non avesse il cellulare vicino alle labbra.
Grassone con i baffi e cappello bianco, immobile… che fosse?
«Harp, il grassone ha una pizza in mano?» domandai, sperando che riuscisse a sentirmi tra le sue urla per far parlare l’uomo e i clacson delle macchine che suonavano passandole di fianco. Chiusi la porta di casa alle spalle correndo fino alla macchina e accendendo il motore quando sentii Harp rispondere che sì, aveva una pizza in mano. In pochi minuti feci quei due isolati, arrivando davanti alla pizzeria da asporto e trovando Harper abbracciata al finto cuoco. Le avrei volentieri fatto una foto, se non fosse stata mezza addormentata e stravolta.
«Jedi?» domandò, quando mi avvicinai a lei. Si alzò in piedi a fatica, allontanandosi dalla statua e avvicinandosi a me con circospezione. «Sì, Jedi» sorrise, quando fu abbastanza vicino da riconoscermi. «È stato un piacere, Antonio, sei stato l’uomo più gentile che io abbia incontrato stasera». Fece un paio di passi indietro, avvicinandosi alla statua e lasciando una pacca sulla spalla prima di avvicinarsi a me con un sorriso. «Come butta, bello? » domandò, abbracciandomi perché stava rischiando di cadere dai tacchi che indossava.
«Quanto cazzo hai bevuto Harp?». Cercavo di sorreggerla con un braccio, ma non era facile visto che ciondolava a destra e a sinistra, sbilanciandomi. Era magra, certo, ma a peso morto non era facile farla stare in piedi.
«Bevuto… una birra, un mojito, due tequila e… non ricordo più» concluse, iniziando a ridere di nuovo e abbracciandomi mentre cercavo di farla salire in macchina con qualche difficoltà. «Sai Jedi, il problema è che… che… il problema è che proprio… non mi ricordo quello che dovevo dire». Un nuovo attacco di risa mentre le agganciavo la cintura di sicurezza, sistemando il lenzuolo bianco che c’era sopra al sedile del passeggero. Camminai velocemente fino ad arrivare allo sportello del guidatore e salii al posto di guida quando Harper parlò di nuovo. «Adesso ti devo chiedere una cosa. Quando trombi in macchina tieni questi teli perché non si sporchino i sedili?». Si slacciò la cintura di sicurezza, girandosi con le spalle verso il parabrezza, con il sedere in alto. Stava cercando di togliere il vecchio lenzuolo che avevo messo per proteggere i sedili di Pixie.
«Harper! Siediti bene» urlai preoccupato, quando, dopo aver frenato la vidi sbattere la testa contro il sedile e rimanere con il sedere alto. Si alzò lentamente, tenendo una mano davanti alle labbra, come se… «Se vomiti dentro Pixie giuro che ti uccido, me lo dici e accosto o apri il finestrino e ti sporgi fuori». La vidi annuire e aprire il finestrino per prendere un respiro profondo. «Stai male?» domandai, piegandomi verso destra per appoggiarle una mano sul fianco: temevo che potesse cadere e farsi male, visto che non stavo correndo lentamente.
«Tutto ok, mi viene da vomitare, va a casa». Agitò la mano all’interno dell’auto fino a quando la strinsi con la mia perché non scivolasse. Sapere che Harp era stretta alla mia mano mi faceva sentire più sicuro, perché non l’avrei mai lasciata andare. Parcheggiai l’auto nel vialetto di casa e tirai un sospiro di sollievo quando Harper tornò a sedersi sul sedile, arrotolandosi il lenzuolo sulle spalle perché aveva freddo. «Ho fame» si lamentò, mettendo il broncio. Tipico di Haper voler mangiare dopo essersi sbronzata; sapevo però che sarebbe stata ancora più male se avesse assecondato quella sua voglia, così decisi che era decisamente meglio seguirla in cucina, prima che iniziasse a cucinare qualcosa di strano.
Si avvicinò però alla credenza con le caramelle, prendendo un pacchetto di M&M’s che avevamo comprato un paio di giorni prima, quando l’avevo obbligata a uscire di casa per fare la spesa con me. «Mettile giù subito, sei ubriaca» ordinai, avvicinandomi a lei quando la vidi mangiare una manciata di caramelle senza nemmeno controllare di che colore fossero. Strano, doveva essere davvero ubriaca e disperata per non controllare di mangiarne l’esatta quantità di ogni colore.
«No, voglio mangiarle tutte». Si allontanò di un passo, sporgendo il labbro inferiore come se fosse stata una bambina piccola e testarda che voleva fare di testa propria. Quando avanzai per raggiungerla, iniziò, da scema, a correre per scappare da me. Ci ritrovammo così, in piena notte, a correre attorno al tavolo della cucina come due idioti.

Iniziai a ridere per quella situazione scema e, sorreggendomi al tavolo perché mi mancava il fiato per la corsa ma soprattutto per la risata, cercai di fermare Harper, prima che iniziasse a vomitare sul pavimento della cucina. «Harper, metti giù quelle stupide caramelline». Riuscii a raggiungerla con un passo un po’ più lungo degli altri e a pochi centimetri dal sacchetto, quando ormai ero sicuro di averlo preso, Harper indietreggiò all’improvviso, lasciando che la mia mano si stringesse catturando solamente aria.
«Non osare! Non chiamarle più caramelline! Sono preziose arachidi ricoperti di cioccolato e caramellate». Si portò il sacchetto giallo di fianco alla guancia, accarezzandolo con gli occhi socchiusi e un sorriso idiota sulle labbra. Era davvero ubriaca. «Lasciami morire da sola con il cioccolato» bisbigliò, prima di prendere una nuova manciata di M&M’s e mangiarle assieme. «Voglio morire grassa e sola, colorata dal colorante delle M&M’s».

«Harper» sussurrai, aiutandola a sedersi sul divano e togliendole il sacchetto dalle mani senza che se ne accorgesse. «Mi vuoi dire che diavolo è successo stasera? Deve essere stato grave per averti fatta sbronzare così» mormorai tra me e me, spostandole una ciocca di capelli che non mi permetteva di vedere il suo viso completamente. C’era solamente la luce emanata dalla lampada dietro di lei che donava strane sfumature ai suoi capelli e creava giochi di ombre e luci sul suo viso, rendendone i tratti ancora più eterei rispetto al solito.
«Cosa è successo? Semplice, mi hai fatto indossare il vestito sbagliato. Ammetti che hai fatto apposta perché non volevi che qualcuno mi notasse. Sono entrata in quello stupido pub da sola, e già questo doveva far capire quali erano i miei intenti, ho iniziato a ballare e c’erano due ragazzi carini. Quando mi sono avvicinata a uno mi ha sorriso, ha ballato un po’ con me e poi se ne è andato perché era arrivata la sua ragazza. L’avrei strozzato, poteva dirmelo no? Allora ho puntato l’altro. Bello Jar, era bello. Biondo, occhi azzurri, braccia muscolose, vene sulle braccia e sulle mani come piacciono a me, quelle che mi fanno pensare alle porcate. Aveva una camicia aperta sul petto e non vedevo nemmeno i peli, giuro che l’avrei limonato lì in mezzo alla pista. Abbiamo ballato per un paio di canzoni a distanza, poi lo vedevo sempre sorridere, così mi sono avvicinata a lui e cavolo… hai capito no? Insomma non gli ero indifferente fisicamente. Non ho capito più niente e mi sono fatta ancora più vicina a lui, ma improvvisamente mi sono accorta che non stava sorridendo a me, non si era nemmeno accorto di me, visto che i suoi occhi erano puntati addosso a un altro ragazzo, dall’altra parte del locale. Capisci Jar? Era gay. Mi sono strusciata addosso a un gay». Si portò una mano tra i capelli, disperata per quello che era successo. Se non fosse stata ubriaca e in procinto di piangere, avrei iniziato a ridere per quella situazione, ma non me lo permise, perché iniziò a parlare di nuovo, con gli occhi pieni di lacrime tanto che piegai leggermente il capo, stringendo la mia mano tra le sue. «Sono così brutta Jar? Che cos’ho di sbagliato che fa allontanare tutti da me? Non dico di essere una modella, non sono nemmeno bellissima, ma speravo che qualcuno riuscisse a notarmi, invece sono proprio invisibile, inscopabile forse è il termine giusto. Che cosa mi manca per farmi notare dagli uomini? Tu sei un uomo, dimmi dove sbaglio». Vidi una lacrima scivolare sulla sua guancia e istintivamente la levai con il pollice, alzando il suo volto delicatamente perché potesse guardarmi negli occhi.
«Harp, alcuni ragazzi guardano solamente la scopabilità, non si tratta nemmeno delle nontette e credimi che ne ho viste di molto più brutte di te che se ne andavano nel retro del locale. Semplicemente per quanto tu possa fingere di essere una facile, si vede e sempre si vedrà che sei una ragazza semplice e che non cederebbe la sera stessa. Chi cerca solo del sesso lo capisce e quindi cambia preda, non è colpa tua». Cercai di sorridere e vidi Harper scuotere la testa, sconfitta.
«Ho solo bisogno di sfogarmi un po’, è da troppo che non trombo e ho bisogno di sfogarmi, senza impegno. È possibile che nessuno lo capisca? Non si nota questa cosa? Non ci sono tipo dei prostituti o delle cose così per noi donne? Magari in internet trovo qualcosa». Cercò di alzarsi dal divano per prendere il PC, ma ricadde, non riuscendo a reggersi in piedi perché la testa le girava troppo a causa dell’alcol bevuto.
«E tu cadresti così in basso, Harp? No, non sei così» mormorai, cercando di farla ragionare. Sapevo che il giorno dopo non avrebbe ricordato niente di tutta quella conversazione, ma non potevo lasciare che accendesse il PC e scrivesse a non sapevo nemmeno chi, di trovarsi in qualche stupido motel.
«Jedi» urlò all’improvviso, battendo le mani come se avesse avuto un’illuminazione. «Tu sei un uomo, non hai una donna da troppo e ti conosco. Forza Jedi» si sfregò le mani, girando lentamente la testa verso di me, «fammi vedere la tua spada laser. Voglio farla illuminare». Portò le mani sul bordo inferiore del suo vestito, cercando goffamente di alzarlo.
«Ehi, ehi! Harp! Che diamine fai?» domandai allarmato, appoggiando le mie mani sulle sue perché non potesse continuare a spogliarsi. Che cosa stava dicendo? Stava davvero proponendo che noi… no. Era l’alcol a parlare, erano i suoi ormoni e la consapevolezza che ero un uomo e che quindi sarei stato in grado di soddisfare il suo bisogno.
«Mi spoglio. Trombiamo. Tu non mi trovi attraente?». Tentennai nel risponderle, cercando di trovare le parole giuste per non offenderla. Non si trattava di trovarla attraente o meno, semplicemente… era Harper, non l’avevo mai vista come una vera donna, solamente come Harper e basta. «Non mi trovi attraente, ho capito. Non sono scopabile, logico». Fece spallucce, delusa da me e mi sentii in dovere di spiegarle la situazione perché mi dispiaceva vederla soffrire, soprattutto se accadeva a causa mia.
«No, Pri, non è questo. Non sto dicendo che tu non sia scopabile, il discorso è semplicemente che…» non terminai la frase, perché, con una strana luce negli occhi, Harper mi fece una delle domande che non mi ero mai volutamente posto, in tutta la mia vita.
«Quindi tu tromberesti con me, se te lo chiedessi?».
 
 
 
 
 
Salve ragazzuole!
Mi scuso per l’infinito ritardo tra il primo capitolo e questo; giuro solennemente che gli altri aggiornamenti arriveranno prima, credetemi!
Per quanto riguarda You saved me: ho pubblicato la OS finale che s’intitola I’m not a coward… se a qualcuno interessa.
Passiamo al capitolo… non ho molte cose da dire.
Alexis è un chiaro riferimento a YSM e anche il motivo per cui non ha funzionato tra Jared e lei…
Gangs of New York è un film di Scorsese ambientato a New York (ma vah?) nella nascita dei Five Points, criticatissimo per diversi motivi.
E… mi pare non ci sia altro, credo.
Quindi vi ringrazio per la meravigliosa e numerosa accoglienza che avete dato a questa storia e spero che non vi deluda e che continui a piacervi!
E mi scuso anche per il linguaggio volgare!
Come sempre ricordo il gruppo spoiler: NERDS’ CORNER, vi ricordo che accetto tutti.
A presto.
Rob.
 
   
 
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