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Autore: The Pirrons    17/11/2012    14 recensioni
Sono un po' tornata indietro nel tempo e ho preso in considerazione il servizio più bello di sempre. :)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ciao! xD


Ehm, non so cosa dire. Che devo dire? Boh. Mi conoscete già, sono Fabi, e se non mi conoscete: ciao, sono Fabi e mi sto buttando in questa cosa... dove io scrivo e qualcuno legge. ._. Ok, vi spiego in breve: sono tornata indietro nel tempo di circa 4 anni e sono andata a parare al 2008, Vanity Fair, uno dei servizi che amiamo di più di tutti. Quindi niente. Io l'ho immaginato così e volevo condividerlo :)
Spero vi piaccia, buona lettura.

PS. E' una OS, non sono brava con le FF, mi partono le scene a random e scrivo xD







Stand by me
OS #1. Vanity Fair 2008






Kristen's pov





Era la mattina dell'11 Novembre 2008 quando la mia vita cambiò radicalmente. 
Ero in una strana roulotte e circa sette persone, che avevano impieghi diversi, mi giravano attorno. Beh, sì. Si trattava di uno di quei photoshoot che rimangono nella storia, avete presente? Uno di quelli che i fans ricorderanno a lungo, uno di quelli che, tra dieci anni, guarderò e mi chiederò "Ma ero davvero io?". 
E poi era uno dei nostri primi photoshoot assieme. 
La sera prima, a cena con il resto del cast, mi aveva rassicurata dicendo che sarebbe andato tutto bene, che, essendo tutti insieme, la cosa non mi sarebbe pesata più di tanto. Era la prima volta che mettevo piede in un vero set per un servizio fotografico, era la prima volta che avevo un compagno di "avventura", ero nuova, era un modo nuovo.
Mi sentivo stranamente piccola, indifesa e spaventata. Tutto quell'andare di fretta, tutto quel trucco, tutto quel sistemarmi i capelli, tutto quello che girava attorno a questa nuova vita mi spaventava. 
Mi piaceva rimanere in camera a leggere libri. Decine di libri. Da sola, mi piaceva stare da sola. Lo amavo. 
Adesso non sono sola quasi mai. Non sono sola neanche quando lo voglio perché volere o volare qualcosa da fare: interviste, premiere, photoshoot, incontri, c'è sempre. 
Capite bene che, per un'attrice alle prime armi, che fino ad ora aveva girato solo ed unicamente film indipendenti, film che attraggono al cinema massimo quindici persone, film sconosciuti, tutto questo caos era davvero l'inferno.
Ma, ormai, ci avevo messo un piede dentro, dovevo continuare. Dovevo continuare e passo dopo passo sarei andata avanti, nel bene e nel male. 
Non ero sola. C'era Robert. 
Robert è uno di quei ragazzi che guarderesti per ore, senza mai stancarti, senza trovare nel suo volto o nei suoi gesti un piccolissimo difetto. 
Uno di quelli che lasciano il segno. 
Anche lui, in questo genere di cose, era nuovo. Aveva girato, come film non indipendente, il quarto film della Saga di Harry Potter: Harry Potter e il Calice di Fuoco. 
Lui era l'affascinante Cedric Diggory. 
L'affascinante-poi-assassinato-Cedric-Diggory. 
Tutti lo conoscevano come il ragazzo dell'ultimo anno della casa del Tassorosso, ma io lo conoscevo come Robert. Robert Pattinson. 
Ragazzo londinese, con uno strano accento inglese. Accento inglese che, in realtà, ho sempre adorato. 
Era alto (più di me sicuramente), occhi celesti e capelli arruffati, spesso un'incolta barba biondiccia appariva, mi piaceva quella barba. 
Una delle cose che mi dispiaceva perdere di lui ogni volta che, dopo un periodo di pausa dal set tornavamo, era la sua barba. Gli dava quel tocco di...mistero e fascino, misto a qualcosa di malinconico e trasandato.
Non so spiegarlo. Mi piaceva la sua barba. Vi può bastare?
Continuavo a fissare la strana e arida radura che si apriva davanti a me, mentre Kate continuava a sistemarmi i capelli.
La cosa positiva di questo photoshoot? Eravamo liberi. Non avevamo restrizioni, vestiti strani, vestiti importanti, eravamo noi. Eravamo casual e poco eleganti. I nostri vestiti e il nostro aspetto rispecchiava quello che, al di fuori delle premiere e degli eventi pubblici, eravamo davvero.
Jeans, maglietta e converse, per Robert.
Un vestito nero, che sfiorava metà delle mie cosce e un paio di converse, per me. 
La prima parte del servizio era destinata alla copia Edward e Bella, quindi alle 10.30, circa, sul set c'eravamo solo io e Robert. 
Toc-toc.
"Sì?", chiesi.
"Sono io, apri!", era Robert. 
Kate cercò di velocizzare il suo lavoro, aggiustando qualche ciocca qui e lì e cercando di farli sembrare del tutto naturali.
"Entra Rob, è aperto". 
"Oh, sono educato e mi piace bussare, scusami eh.", rispose mentre aprì la porta ed entrò dentro.
"Sono tredici secondi che sei qui e già non ti reggo più, vedi di calmarti", risposi facendo la finta offesa.
"Ah, ok. Allora le due ciambelle posso mangiarle io, ciao", fece per andarsene.
"No! Dove vai? Dammi la mia ciambella!", cercai di avvicinarmi a lui con la sedia ma Kate mi lanciò uno di quegli sguardi... agghiaccianti, della serie: "sto facendo il mio lavoro, non rendere le cose difficili". 
"Kate, potresti lasciarci dieci minuti per far colazione? Ti prometto che poi sarà di nuovo tutta tua", chiese Robert in modo educato, sfoggiando uno di quei sorrisi a quarantasette denti che non avevo mai visto prima d'ora sul suo viso.
"Certo Signor Robert, non c'è problema. Ci vediamo tra poco Signorina Kristen".
Le avevamo ripetuto diverse volte che, davanti ai nostri nomi, non andava quel "signore" o quella "signorina", poteva chiamarci Robert e Kristen. Kristen e Robert. Stewart e Pattinson. Come credeva, insomma. Ma lei non ne voleva sapere.
Chiuse la porta e ci lasciò da soli.
"Allora, questa è tua", indicò quella più piccolina, "e questa è mia", indicò quella più grande. 
"Sei uno stronzo, il caso è chiuso", risposi ridendo.
"No, ho solo fame, Kristen!", quasi urlò.
"Va bene, te lo concedo. Dai, sediamoci. Vuoi qualcosa da bere? Ehm, in realtà non è casa mia quindi non so cosa ci sia nel frigo bar, però possiamo vedere...", mi diressi verso il piccolo frigo bar bianco nella zona cucina della roulotte.
"Ahm, ce l'hai un' Heineken?", chiese spensierato.
"L'Heineken?", chiesi sorpresa. Erano le 10.30 del mattino, per Dio!
"Sì. Sposa bene con le ciambelle la mia Heineken.", rispose tutto fiero.
Presi la bottiglia verde dell'Heineken dal frigo e la posai sul tavolino. Mi sedetti di fronte a lui e iniziai a mangiare la mia piccola ciambella.
Lui mi fissava. Continuava a fissarmi e no, non ho occhi ovunque, semplicemente sentivo i suoi su di me, fissi, che scrutavano ogni movimento, che percepivano tutto, che respiravano. I suoi occhi mi stavano respirando. Era possibile? 
Si accorse del minuto interminabile di silenzio e iniziò a canticchiare una canzone mentre apriva la bottiglia.
"Isn't she looooveeeelyyy? Isn't she woooonderfull? Isn't she preeeecious?", continuò fischiettando la melodia della canzone che, ovviamente, avevo riconosciuto. 
Isn't She Lovely - Stevie Wonder.
"Devi farmi qualche accordo con la chitarra, mi piace questa canzone", spiegai.
"Certo! Ce l'ho nella roulotte, magari dopo la prendo".
Continuammo beati a mangiare le nostre ciamebelle infinite.
Il tempo con Robert non trascorreva mai. Era come se si fermasse.
Probabilmente volevo che si fermasse. 
Non dovevo pensarle queste cose, Dio.
Eppure, quel giorno, da quando avevo aperto gli occhi il mio pensiero fisso era Robert.
Non Mike. Non il mio ragazzo. Non-Mike-il-mio-ragazzo. Ma Robert. Robert il mio collega. 
Mi vergognavo ma cosa potevo farci? 
Giuro, non era una cosa volontaria. Di solito i pensieri non sono mai volontari. Quelli che albergano nella tua mente, che non escono dalla tua bocca perché, se escono dalla tua bocca diventano pensieri pensati e razionali, quindi i miei sicuramente non erano pensati e razionali. Ma era comunque più forte di me.
Trascorrevo con lui quasi dodici ore della mia giornata e il mio ragazzo lo vedevo su per giù una volta a settimana. Avevo nella mia mente una strana visuale di questa situazione. 
Robert era il Lunedì, il Martedì, il Mercoledì, il Giovedì, il Venerdì, il Sabato. Mike era la Domenica. 
E' strano, vero? Non avrei mai immaginato che da lì a poco Robert sarebbe diventata la mia quotidianetà.
"Posso andare in bagno?", chiese come se fossimo a scuola.
"Robert, non siamo a scuola. Puoi fare quello che ti pare", risposi sorridendo e prendendo dal frigo una bottiglietta di acqua.
"Non mi piaceva andare a scuola, la odiavo", disse fissando il tavolo a mo' di bambino offeso.
"Scusa, non volevo urtare la tua indole, piccolo", gli dissi senza degnarlo di uno sguardo.
Sentii i suoi passi vicini, si avvicinavano sempre di più e sentii il suo respiro su di me, lo percepivo.
"Vado in bagno, Kristen", disse con quella voce da... oddio, non so esattamente a cosa associarla. Ma era una bella voce. Ehm.
Non risposi. Rimasi immobile. Neanche l'acqua scendeva più nella mia gola. Si era fermato tutto. 
Non era la prima volta che succedeva una cosa del genere, non era assolutamente la prima volta e il fatto che, quasi sempre, la mia reazione era questa mi spaventava, mi spaventava davvero.
Sentii lo scarico del water provenire dal piccolo bagno in fondo alla roulotte e mi sedetti al tavolo.
Erano le 11.05, tra quindici minuti avremmo iniziato il servizio.
Uscì dal bagno mentre si sistemava la maglia nera che gli fasciava il busto magro e mi lanciò una delle sue occhiate. 
"Ciao", disse ridendo.
"Ciao anche a te", risposi continuando a fare dei sorsi da quella maledetta bottiglietta di acqua che aveva appena assistito al fascino da cantante trasandato e frustato di quello stronzo di Robert Pattinson. 
I nostri occhi non si staccarono neanche un secondo. Mi fissava. Lo fissavo.
Non la smettevamo, non era una cosa voluta, probabilmente.
Era, non lo so, attrazione?
Probabilmente. 
Qualunque cosa fosse mi piaceva e mi sentivo piena.
Si sedette di fronte a me.
"Tra meno di quindici minuti dobbiamo essere fuori di qui, Kristen".
"Lo so, Rob", risposi.
"Perché bevi l'acqua?", mi chiese.
"Beh. Perché sono le 11:00 del mattino e non mi chiamo Robert Pattinson. La birra non sposa per un cazzo con le ciambelle", risposi acida.
"Neanche l'acqua sposa con le ciambelle", disse.
"Sempre meglio della tua Heineken, ubriacone", dissi facendo un altro sorso e continuando a fissare i suoi occhi, fermi sui miei.
"Ascolta, non sono un ubriacone. Prima di tutto questo trascorrevo quasi ogni venerdì sera devastato da qualche super sbronza con degli amici, ma questo non fa di me un ubriacone!", rispose gesticolando con le mani.
"Ah, no? Quindi sei astemio, giusto?", chiesi con fare serio.
"Certo che no! Ma almeno se bevo non guido", rispose cercando di cambiare argomento.
Ah-ah. Non ero una di quelle tipe.
"Rob, non cercare di cambiare argomento. Accetta la realtà. Sei un ubriacone!", glielo urlai in faccia e scoppiai a ridere. Lui scoppiò con me. 
Lasciai la bottiglietta sul tavolino.
Posai i gomiti e mi misi la testa fra le mani. Mi stavo letteralmente "mantendo la testa".
Lui continuava a fissarmi divertito ed io continuavo a scuotere la testa in senso in disapprovazione. 
"Non ce la posso fare con te, davvero", gli dissi.
"Neanche io con te, ma chi ti conosce? Ma chi sei? Esci fuori dalla mia roulotte!", rispose alzando un po' la voce, imitando quella del secondo regista con cui avevamo lavorato spesso negli ultimi giorni.
Scoppiai a ridere, non riuscivo a controllarmi. Iniziò a farmi male la pancia per il troppo ridere e lui continuava a fissarmi con fare serio, arrabbiato, era come se lo stessi sfidando.
"Rob, la roulotte è mia, ma va beh", gli dissi tra una risata e l'altra.
"Dettagli, Kristen, dettagli".
Rimanemmo a fissare la radura davanti a noi, spiavamo dalle tendine della roulotte e facevamo commenti sulle varie persone presenti sul set.
Ci stavamo divertendo. 
Ci divertivamo sempre.
Arrivano le 11:15 e qualcuno bussò alla nostra porta.
Era Kate.
"Signorina Kristen, credo che i suoi capelli non debbano più essere toccati, quindi ci vediamo quando vi concedono una pausa. Posso prendermi una pausa?", chiese senza entrare.
Mi alzaii e andai vicino la porta, la aprii e trovai la piccola signora giapponese.
Era giapponese. Capelli scuri, occhi scuri, pelle olivastra. Era carina. Mi piaceva il taglio dei suoi occhi.
Era una bellissima donna di cinquant'anni circa e sapeva fare in modo eccellente il suo lavoro.
"Certo che puoi prenderti una pausa, Kate. Ma, davvero, puoi chiamarmi Kristen", le dissi per la centesima volta.
"Ehm, grazie mille, Kristen!", rispose e si allontanò. 
Chiusi la porta e mi trovai Robert in piedi, davanti a me. 
Mi fissava divertito. 
"Ti chiama Kristen, a me continua a chiamarmi Signor Robert. Sembro così vecchio?"
"Probabilmente sì, Rob! In effetti sei più vecchio di me", risposi.
Si avvicinò e poggiò la sua mano sinistra sul mio fianco sinistro.
Avvicinò i nostri bacini e annusò il profumo del mio shampoo alla pesca. 
"Rob...", dissi come se fosse un lamento.
"Sssh, Kristen", disse a bassa voce.
Seguii il suo consiglio e rimasi in silenzio.
Il battito dei nostri cuori che aumentava ogni secondo faceva già troppo rumore. 
"Kristen", disse abbassandosi un po' e avvicinandosi al mio orecchio.
"Mh?", risposi.
"Sai cosa si sposa oltre l'Heineken e le ciambelle?", mi chiese, spostando una ciocca dietro l'orecchio destro.
"No, cosa?", chiesi incantata.
"Le mie labbra sulle tue", rispose lentamente.
Non so esattamente quanti secondi passarono o se aggiunse altro.
Mi baciò.
  
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