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Autore: anqis    17/11/2012    7 recensioni
“Hai messo qualcosa in faccia oggi?” mi chiede a brucia pelo.
Cosa? “Eh?”.
“Rispondimi”, l’aria calda fuoriesce dalla sua bocca riscaldandomi le guance. Nonostante tutte le schifezze che mangia, anche il suo alito sa perennemente di menta fresca. Dolce.
“Un po’ di fard..”.
“Non metterlo, mi da fastidio” pronuncia serio, con le mani nel cappotto scuro.
“Scusami?” chiedo più stupita che infastidita.
Tentenna un attimo, un tenue rossore colora le sue guance. Sarà il freddo? “Ti copre le lentiggini e mi da fastidio” spiega distogliendo lo sguardo.
Faccio una smorfia. “Sai che odio le mie lentiggin..”
“A me piacciono invece! Sai, io ci passo il tempo ad unirle a farci strani disegni!” dice, ma si blocca all’ultimo, imbarazzato dalla strana e improvvisa confessione.
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Little Things.

 

Your hand fits in mine like it's made just for me 
but bear this mind it was meant to be 
and i'm joining up the dots with the freckles on your cheeks
and it all makes sense to me

- Zayn, Little Things.

 
 
“Hai capito, sfigata?”
Annuisco stringendo al petto il libro di algebra che non ho avuto il tempo di infilare nello zaino, cercando di darmi fiducia. O proteggermi con quello nel caso cercassero di farmi qualcosa. Mantengo lo sguardo basso, i miei occhi si rifiutano di alzarsi e affrontare il suo. Sono debole, ne sono consapevole. Come sono a conoscenza che potrei finire male se rispondessi agli insulti che escono dalla sua bocca riversandosi su di me, come una pioggia di spine che si conficcano nella pelle, dolorose.
Ad un tratto, senza che io possa prevederlo, sento la sua mano stringersi al braccio con cui sto tenendo il libro, il quale casca per terra nel momento in cui me lo tira. Sento lo strappo, la violenza con cui mi costringe ad alzare gli occhi e ritrovarmi a faccia a faccia con il suo viso. Gli occhi scuri perfettamente truccati mi fissano quasi schifati, mentre i boccoli biondi si attorcigliano sulla spalla, scendendo morbidi sul seno pieno.
“Guardami negli occhi sfigata” dice muovendo le labbra tinte di rosa pallido.
Anche con tutto l’odio che provo non posso fare a meno di pensare quanto sia bella a confronto di me. Con quella chioma chiara, le linee del viso dolci anche se indurite dalla rabbia, sembra quasi una principessa fiabesca. Ecco, perché i ragazzi si innamorano di lei, ecco perché la guardano quando passa per il corridoio. Con quel fisico perfetto, chi non si volterebbe a guardarla?
Strizzo gli occhi sentendo la sua mano aumentare la presa intorno al mio polso: è incredibile la forza che ha in quelle magre braccia. Fa male, ma non dico niente, stringo i denti cercando di azzerare il rantolo che vorrebbe sfuggire dalle mie labbra.
“Senti, devi smettere di girargli attorno. Devi smettere di parlargli, di salutarlo, di scherzare con lui” ringhia spostando un ciuffo biondo dietro la spalla, “Non riesco a capire cosa ci trova in te, sei una sfigata. Bassa, ti vesti da far schifo, non hai personalità, secchiona, con quell’enorme brufolo in mezzo alla fronte mi chiedo come faccia a parlarti senza inorridire” sibila incurvando le labbra in un sorriso storto.
Mi sembra di aver perso la sensibilità del braccio e del cuore. Non è la stretta d’acciaio con cui mi agguanta la carne a farmi male, ma la parole uscite dalla sua bocca. Fredde, crudeli, senza scrupoli e fatte per fare male, per recare dolore. E ci sono riuscite, perché per quanto sia falsa e bugiarda, quello che dice quando insulta qualcuno è vero. Come è vero che sono una sfigata.
Mi costringo a reprimere le lacrime che spingono con violenza, ma una goccia supera le ciglia e scivola, rigandomi la guancia lentamente. Non mi preoccupo di cancellarla, fino a quando sento il sapore salato sulle labbra.
“Piangi pure?” ride acutamente, buttando la testa all’indietro con la mano che le copre leggermente la bocca, come ogni ragazza educata fa. Me lo dice sempre mia madre, mi accusa di sembrare una foca quando rido e più volte ha cercato di rendermi più presentabile, più simile “alla tua carissima e bellissima compagna di scuola”.  Peccato che non sappia che la mia adorata compagna di scuola mi odia e si prende gioco di me, ripetendomi ogni giorno quanto il mondo sarebbe migliore senza di me. Ma dettagli.
“Allison” una sua amica la richiama, cercando di attirare la sua attenzione, ma lei sembra troppo occupata a ridere di me per accorgersene.
Vedo la preoccupazione negli occhi dell’amica indirizzati in un preciso punto dietro di me. Seguo il suo sguardo girandomi di poco, quando mi blocco. Una chioma bionda è all’uscita dell’edificio scolastico, fermo immobile con lo sguardo puntato verso di noi, ferme al cancello. Appena i nostri occhi si incontrano, lui comincia a camminare verso di noi con passo spedito. Potrei riconoscere quella camminata a chilometri di distanza.
I ciuffi biondi disordinati si muovono accarezzati dal vento, mentre la bocca stretta in una riga decisa e arrabbiata si avvicina sempre di più. Mi rendo conto solo in quel momento di cosa sta per succedere e con tutta la forza che ho, cerco di liberarmi. Quando riesco a sfuggire dalla presa di Allison è ormai troppo tardi.
“Cosa le stavi facendo?” chiede con un tono pericolosamente duro.
Sono poche le volte che l’ho sentito parlare così, ed ogni volta mi mette ansia. Sono felice che non abbia mai usato questo tono con me, non credo riuscirei a reggerlo.
“Io? Assolutamente niente!” squittisce Allison ingrandendo gli occhi.
Sembra davvero innocente. Lui si gira di scatto verso di me. I suoi occhi chiari mi percorrono il corpo, prima di soffermarsi sul mio viso. La rabbia che gela le sue iridi sembra scomparire lentamente, ma ritorna non appena si gira verso di lei.
“Devi starle lontana, quante volte te le devo ripetere McPhin?”.
Allison sembra quasi voler rispondere, ma la sua amica che vedo per la prima volta -  deve averla appena assunta al posto della gallinella senza cervello che prima precedeva – ha la buona idea di fermarla appoggiandole una mano sulla spalla.
“Ally, andiamo. Dobbiamo parlare della festa..” balbetta.
Allison la fissa per un attimo, poi torna a Niall al quale lancia uno sguardo triste ma quasi provocatorio, e non mi lascio scappare l’alzarsi involontario e nervoso del pomo di adamo di Niall. Sono pur sempre stati fidanzati, è difficile ignorare la sua bellezza. Infine posa lo sguardo su di me. Riesco a leggere perfettamente l’odio e lo schifo con cui mi squadra. Poi se ne va, con il movimento ancheggiante del bacino.
Quando scompare, percepisco i muscoli rilassarsi all’unisono. Inconsciamente mi accarezzo il braccio, scoprendo un grosso livido viola che lo percorre interamente. Sto attenta a nasconderlo sotto la manica della felpa prima che lo veda qualcun altro.
Fisso per terra, muta, senza sapere cosa dire.
“Cosa ti ha fatto?” spezza il silenzio.
Deglutisco. “Niente, assolutamente niente”. A parte farmi sentire uno schifo.
Silenzio, di nuovo. “Cosa ti ha detto, allora?” domanda.
“Davvero, niente” rispondo quando in realtà vorrei mettermi a piangere.
In un attimo sento una sua mano stringermi la spalla, costringendomi a voltarmi verso di lui. Ma il modo con cui mi gira è completamente diverso da come ha fatto Allison qualche minuto fa. Rimango meravigliata dal colore dei suoi occhi, come sempre mi succede. Perché sono particolari, non sono dei semplici “bellissimi occhi azzurri”, sono solitamente chiarissimi, ma sembrano cambiare tonalità a seconda dell’umore. In questo momento sono scuri, assomigliano al colore delle onde dopo un uragano.
“Lucy, sai perfettamente che con me puoi parlarne” sussurra con dolcezza.
Lo so, ma non posso. Non ne hai colpa. “Sì, lo so”.
Rimane immobile, scrutandomi imperturbabilmente con quei occhi che sembrano leggermi nella testa. Tuttavia, questa volta non devo lasciarmi scappare niente.
“E va bene” sospira, facendo respirare anche me di sollievo. “Andiamo a casa”.
Nel dirlo, la sua mano scende per il mio intero braccio, quello intatto, fino a raggiungere il polso dove dopo qualche secondo di tentennamento, raggiunge la mano per stringerla. E quel contatto, superficiale forse, mi fa sorridere per la prima volta in tutta la giornata.
È incredibile come sentire la sua mano ruvida scorrere sulla mia riesca a tranquillizzarmi, incredibile come il suo calore irradiato da così poca pelle riesca a riscaldarmi l’intero corpo facendomi bollire il petto, all’altezza del polmone.
“Ma sappi che non ti credo” ribadisce e per un attimo mi spavento.
Tuttavia i suoi occhi sono tornati all’azzurro cielo, quello tranquillo che colora le sue iridi. Accenna ad un sorriso e dandomi un piccolo strattone mi fa segno di camminare. Con un sorrisino nascosto, stringo la sua presa e lo seguo con lo zaino che saltella.
“Ehi, scemo tira di meno” lo rimprovero seguendo a fatica la sua camminata veloce.
“Se vuoi ti lascio andare..” mi risponde.
Faccio una smorfia. “Non volevo dire questo..” borbotto a bassa voce.
“.. ma poi non lamentarti se finisci spiaccicata a terra” aggiunge poi con un sorrisetto antipatico. Gli do una leggera spinta.
“Non è colpa mia se la gente lascia le cose per terra..”
“Sei inciampata nei tuoi stessi piedi, genia”.
“Sfotti pure, stupido irlandese?”
“Ora attacchi il mio ceppo, inglese dalla puzzo sotto il naso?” risponde cominciando a punzecchiarmi il fianco. Le mani sempre unite.
Camminiamo parlando della scuola, della giornata e tante altre cavolate. Non capisco come facciamo a non annoiarci l’uno dell’altro, riusciamo a tirare fuori sempre argomenti improponibile con cui non credo riuscirei a parlare se non con lui. Rido divertita quando comincia a descrivere l’aspetto delle zucchine in mensa, sembra farne un capolavoro; a me sinceramente, come quasi tutti gli studenti dell’istituto, fa schifo ma lui è l’eccezione dato che qualunque cosa in un piatto per lui è commestibile.
Siamo arrivati quasi all’incrocio, il semaforo segna arancione.
“Lo yogurt di oggi era qualcosa di celestiale” continua con voce sognante.
Scuoto la testa. “Ma se sembrava grasso di maiale!”.
“I gusti sono gust-“
“Attento!” grido tirandolo indietro con la mano.
Una macchina sfreccia di fronte a noi ad una velocità esagerata e per poco non vedo Niall tirato giù; con particolare forza stringo la sua mano e lo tiro indietro, trovandomelo schiacciato addosso. Lui con ancora gli occhioni azzurri spalancati boccheggia spaventato e  ancora incosciente. Dopo qualche minuto, con il cuore in gola, parlo:
“Dico, ma sei coglione?! Per poco non ti facevi tirare giù!” grido spostandolo pericolosamente di peso, mentre faccio della sua mano una salsiccia per lo stress. Dio mio, se mi ha spaventato.
Lui se ne sta muto, con l’espressione sorpresa ancora in volto. Ad un tratto si gira verso di me, all’improvviso risvegliato dallo stato catatonico nel quale sembrava esser caduto. La sua mano aumenta la presa, e i suoi occhi si stringono dolcemente mentre mi fissa.
“Per fortuna c’eri te” sospira.
 Alzo gli occhi al cielo. “Per fortuna, ma nessuno ti ha insegnato a camminare per strada senza farti investire?” mi lamento, con una nota decisamente troppo acuta nella voce.
Lui sorride rimettendosi in piedi. Si strofina i pantaloni beige che indossa, all’altezza delle ginocchia dove il cemento e la terra hanno lasciato segno. Si accorge solo dopo qualche minuto di me, ancora seduta per terra con le braccia incrociate al petto e una smorfia incavolata. Mi solleva prendendomi per mano. Ma per la forza, mi ritrovo più vicina del solito a lui che continua a fissarmi in modo strano.
“Guarda le nostre mani” dice ad un tratto.
Deve aver preso qualche colpo alla testa. “Nialler, ti fa male da qualche parte, la testa?”
Scuote la testa con una goffa risata. “Tu guarda le nostre mani” ripete diventando ad un tratto serio. Questo ragazzo è peggio di me quando ho il ciclo, lunatico da far paura.
Lo assecondo e sposto gli occhi sulle nostre mani. Le dita sono intrecciata tra di esse, i palmi nei palmi, la sua pelle è chiara, ma la mia ancora più pallida sembra smorta al confronto del colorito rosato che dipinge la sua. Sento uno strano calore espandersi nelle guance. Mi viene spontaneo ritrarla, ma le sue dita non sembrano d’accordo.
“La tua mano, non si è staccata neanche un attimo quando è passata l’auto” dice con uno strano luccichio negli occhi. Sto seriamente pensando di aver un pazzo come amico.
“Ovvio, non potevo mica mollarti lì in mezzo alla strada in balia di qualche deficiente senza patente!” gli rispondo contrita.
Fa no con la testa. “Potevi perdere la presa, o la mano poteva scivolare, invece sono rimaste insieme” sorride giocandoci distrattamente. “Sembra fatta per combaciare perfettamente con la mia” sospira, con un sorriso dolce che gli incurva le labbra.
“Non esagerare adesso” balbetto.
Da quando in qua mi sento in imbarazzo con lui? Respira Lucie, respira. Neanche a pensarlo che un profumo di muschio e menta fresca si inala nelle mie narici confondendomi maggiormente la mente e le idee. Oddio.
“Ma tieni questo a mente Lucie” e con voce calda e bassa mi fa alzare il viso verso di lui dove vengo spiazzata dalla sincerità di quelle iridi. “Era destino che fosse così”.
Il sangue affluisce improvvisamente nelle mie guance ed imbarazzata scappo dalla sua stretta, nascondendo la mano, ancora calda dal suo tocco dietro la schiena. Cammino velocemente sulle strisce pedonali, seguito da lui che mi segue a passi veloci e lunghi.
“Ehi Lucie, che c’è?” mi domanda al mio fianco.
Mi volto per gridargli di smetterla con questi atteggiamenti strani, ma appena mi trovo il suo viso a pochi centimetri dal naso, abbasso di scatto il volto. Oggi non è la mia giornata.
“Lucie, che ti succede oggi?” continua saltellando. Dannazione al ceppo irlandese.
“C-cosa succede a te voglio dire, hai ingerito un libro di filosofia?” chiedo ironicamente mentre giro l’angolo della strada, nella stradina privata verso casa mia.
“Perché?” chiede confuso, riconosco il singhiozzo particolare della sua voce.
“Mi dici quelle frasi che sembrano uscite direttamente da qualche romanzo rosa, da qualche film strappalacrime se non una canzone sdolcinata!” mi lamento con la gola secca.
Scoppia a ridere. La sua risata si espande nell’aria, supera il rumore del traffico, dei clacson e delle urla dei venditori di giornali che si riversano in tutta la città. Non posso fare a meno di lasciarmi scappare un sorriso, è davvero contagiosa.
“Hai ragione” sghignazza grattandosi i ciuffi biondi. “Non so cosa mi è preso oggi”.
Non so cosa sta succedendo a me ora.
“Bene, ora che hai finito, possiamo andare che non so ancora cosa cucinare?” borbotto nascondendo il mento nella grossa sciarpa di lana bordeaux.  “Sto morendo di freddo e fame”.
Annuisce in silenzio e camminiamo. Facciamo l’intero tragitto senza parlare, il silenzio sopraffatto dal suo fischiare imperterrito di qualche melodia non conosciuta, che mi appare stranamente dolce e triste. Non gli chiedo che cosa sta canticchiando, conoscendo che potrebbe essere una delle solite band sconosciute che ascolta solo lui e i suoi amici, una combriccola al quanto stramba.
Quando arriviamo di fronte a casa mia, vado dritta verso il cancello.
“Aspetta un attimo”.
Mi blocco con la mano sul cancello di ferro scuro, ormai arrugginito dal trascorrere del tempo. Mi volto verso di lui, trovandomelo nuovamente troppo vicino. Il vento non mi aiuta, si alza e mi investe del profumo di muschio e menta che sembra circondarlo.
“Hai messo qualcosa in faccia oggi?” mi chiede a brucia pelo.
Cosa? “Eh?”.
“Rispondimi”, l’aria calda fuoriesce dalla sua bocca riscaldandomi le guance. Nonostante tutte le schifezze che mangia, anche il suo alito sa perennemente di menta fresca. Dolce.
“Un po’ di fard..”.
“Non metterlo, mi da fastidio” pronuncia serio, con le mani nel cappotto scuro.
“Scusami?” chiedo più stupita che infastidita.
Tentenna un attimo, un tenue rossore colora le sue guance. Sarà il freddo? “Ti copre le lentiggini e mi da fastidio” spiega distogliendo lo sguardo.
Faccio una smorfia. “Sai che odio le mie lentiggin..”
“A me piacciono invece! Sai, io ci passo il tempo ad unirle a farci strani disegni!” dice, ma si blocca all’ultimo, imbarazzato dalla strana e improvvisa confessione.
“Mi stai dicendo che quando mi fissi è perché stai unendo le mie lentiggini in strani disegni? Come faresti con i giochi che trovi sui giornalini delle parole crociate?” chiedo molto lentamente, quasi incredula di ciò che sto dicendo.
Questa volta sono io ad osservare le sue guance prendere un vivace colore che si sposa magicamente con la sciarpa rossa di lana che gli fascia metà volto. Lui mi fissa serio, sembra voler dire qualcosa, ma poi si zittisce ed annuisce.
Vorrei arrabbiarmi, ma non posso fare a meno di scoppiare a ridere. Poi con dolcezza, quasi senza farlo di mia propria volontà, faccio per accarezzargli una guancia. Ma mi blocco all’altezza della fronte, spaventata da ciò che stavo per fare, per tirargli un debole schiaffetto sulla fronte. “Tu sei tutto matto” sospiro con un sorriso a fior di labbra.



- spazio autore.

Non ho molto da dire.
Grazie per aver letto, prima di tutto. E' una mini molto mini-long su Little Things, sì quella canzone che mi ha fatto sentire bellissima anche quando non lo sono, mi sembrava giusto scriverci qualcosa. Per ringraziarli. Un enorme grazie ad Ed per questo meraviglioso testo e a quei cinque ragazzi che sono riusciti a renderlo perfetto. Sarà un capitolo per ogni assolo, non so esattamente quando aggiornerò la prossima volta, spero solamente di farlo presto. Spero vi sia piaciuto, spero di aver suscitato in voi un piccolo sorriso. 
Ogni recensione, parere è apprezzatissimo. Davvero.

Grazie mille.
Cercherò di continuare il più presto possibile.
Alice.





Grazie soprattutto a Zayn per questa interpretazione perfetta.
Grazie per aver dato voce a queste parole.

   
 
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