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Autore: Laleith    18/11/2012    2 recensioni
«Me ne vado da qui. Da questa città.»
La tua mano si blocca a metà strada tra un respiro e un singhiozzo. Ti agiti sotto il tavolo mentre fai finta di voler riacciuffare un foglio.
Quando torni a guardarlo sul tuo volto non c’è la benché minima traccia di tristezza. Solo una fastidiosa finta indifferenza e un velo di rossore, dovuto forse al tuo stare a testa in giù – o alla rabbia che sembra volerti divorare i nervi-.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bombe e menzogne
A te,
che mi hai spezzata.





Bombe e menzogne.



  «Me ne vado.»
Distogli lo sguardo dal libro di storia, gli occhi arrossati dalle troppe ore di studio si spostano automaticamente verso l’orologio della biblioteca. Mentre tenti di mettere a fuoco l’ora, uno sbadiglio ti costringe a sciogliere le braccia e a coprirti la bocca. Con un sorriso e qualche lacrima di stanchezza pensi che tre ore di studio bastano e avanzano.
  «Mi riporti a casa?», chiedi mentre inizi a raccogliere le tue cose sparse sul tavolo della sala studio.
Lui resta in silenzio, osservando i movimenti impacciati che ti contraddistinguono da sempre. Qualche foglio pieno di appunti ti sfugge sotto il tavolo e, quando ti chini per recuperarli, trova il coraggio di risponderti.
  «Me ne vado da qui. Da questa città.»
La tua mano si blocca a metà strada tra un respiro e un singhiozzo. Ti agiti sotto il tavolo mentre fai finta di voler riacciuffare un foglio.
Quando torni a guardarlo sul tuo volto non c’è la benché minima traccia di tristezza. Solo una fastidiosa finta indifferenza e un velo di rossore, dovuto forse al tuo stare a testa in giù – o alla rabbia che sembra volerti divorare i nervi-.
Aspetti ancora qualche secondo prima di parlare: non vorresti mai che la tua voce tradisse quello che ti agita lo stomaco e la testa. Impili con calma i libri prima di guardare i suoi occhi verdi: i tuoi ancora non si sono asciugati.
Spesso veniva a casa tua, si sdraiava senza invito sul tuo letto e ripeteva quella frase. Mai, come quella volta, la sua voce era stata priva di rabbia e frustrazione, desiderio e aspettativa. Quella frase semplicissima, pronunciata con la massima calma, era una bomba silenziosa che aspettava di esploderti nel petto.
  «Quando?»
Vorresti fare un applauso alla gelida cortesia con cui hai impregnato quelle sei lettere.
Sembra aver capito il tuo gioco, infatti incurva le labbra e chiude il libro. Quel sorriso non raggiunge nemmeno gli zigomi.
  «Mercoledì.»
Nascondi gli occhi sgranati infilando, con gesti meccanici e fin troppo puliti, i libri nel tuo zaino. Se non avessi concentrato ogni singola parte del tuo cervello nel renderti conto che oggi è lunedì, forse avresti fatto cadere qualcosa.
Fai un verso di comprensione e molleggi un po’ la testa, affettando un’espressione pensierosa mentre ti alzi per infilare la giacca. Una giornata di pioggia settembrina è appena diventata il tuo incubo.
Anche lui imita i tuoi movimenti, prendendo la sua giacca e infilando lo zaino su una spalla.
Sembra aspettare una tua reazione con circospezione. Inesorabilmente attende la tua prossima domanda.
Salutate il bibliotecario con un cenno per poi abbondare l’edificio in silenzio.
Improvvisamente ti fermi sotto il colonnato che vi ripara ancora per qualche istante dalla pioggia che scende lenta.
Si ferma e aspetta la tua prossima mossa. Non si aspettava la domanda piena di curiosità che gli rivolgi.
  «Dove hai deciso di andare?»
Meriti un oscar, non fai che convincertene. I tuoi occhi sono aperti abbastanza da accentuare quella domanda innocente e le labbra leggermente socchiuse tradiscono un’aspettativa che non provi davvero.
Esita qualche istante, le sopracciglia contratte.
  «Rimini. Vado a Rimini.»
Ora la sua voce tentenna. Ti guarda in un modo strano e non riesci a capire perché.
Fai l’ennesimo cenno con la testa, ma sembra più un tic nervoso.
La pioggia sembra rallentare fino a fermarsi del tutto e voi potete raggiungere velocemente la macchina.
Per cinque minuti riesci a guardare fisso davanti a te, aspettando da un momento all’altro il comparire di uno zombie, o di un omino grigio dagli occhi enormi. Ti andrebbe bene anche un unicorno color arcobaleno, purché ti faccia capire che la cena ti è rimasta particolarmente difficile da digerire.
Prendi in considerazione l’idea di tirare fuori una monetina e farla girare sul parabrezza nella speranza che continui a girare, come fanno in quel film di cui non ricordi il nome. Purtroppo sai che è tutto vero, e che nemmeno nel peggiore degli incubi, la tua mente ti avrebbe giocato questo brutto scherzo.
Un semaforo rosso prolunga quel viaggio imbarazzante e senti gli argini prossimi alla rottura.
Con la coda dell’occhio osservi il tuo amico concentrarsi sulla strada e pensi a quanto vorresti prendergli il collo e soffocarlo per averti fatto una cosa del genere.
  «Avevi intenzione di dirmelo una volta arrivato a Rimini, per caso?»
Entrambi sobbalzate. Se lui a causa dell’improvvisa domanda, tu per il tono aspro con cui l’hai posta.
Casa tua è vicina e sembra considerare l’ipotesi di accelerare per terminare quanto prima quella tortura.
  «No… Non me ne sarei mai andato senza dirtelo.»
Sbuffi. Senti le palizzate della tua rabbia scricchiolare pericolosamente.
  «Te lo dovevo.», aggiunge.
Crash.
Le tue mani hanno uno spasmo.
  «Me lo dovevi?» Un ringhio, una minaccia.
Pensi a tutte le volte in cui si era dato del codardo e improvvisamente ti rendi conto che ti ha sempre mentito.
Ti ha mentito quando ti ha detto che la vera amicizia l’aveva conosciuta con te.
Ti ha mentito quando ti ha detto che avrebbe affrontato l’università con te, perché non voleva perdersi quell’esperienza senza le tue battute e le tue crisi pre-esame.
Ti ha mentito anche quando ti disse che forse un motivo per restare l’avrebbe trovato sempre, perché aveva paura di quello che avrebbe trovato fuori da quel mondo ottuso che a lui stava stretto.
Non ti accorgi che siete arrivati finché non senti la macchina spegnersi.
Ti guarda e aspetta.
  «Perché ora?»
Senti una guancia prudere e porti il dorso della mano a strofinare la pelle. Con orrore ti accorgi delle lacrime che scivolano silenziose verso il tuo mento.
Non c’è traccia di tristezza in lui, solo rassegnazione.
  «Non c’è più niente che mi trattiene qui.»
Silenzio.
Pensi che sia davvero strano tutto quel silenzio.
Di solito le bombe, quando esplodono, fanno rumore.
  «Non c’è…niente.», ripeti come in trance.
Dentro di te una voce protesta.
  “Ci sono io! Io! C’è la nostra amicizia!”
  «Niente.», ripete lui.
E improvvisamente capisci che quelle risate e quelle confessioni non erano altro che l’ennesima menzogna di un’amicizia che non era mai esistita, se non nella tua mente ingenua.
  «Fai buon viaggio.»
Ti ritrovi nel tuo palazzo senza neanche accorgertene, la pioggia fin dentro le ossa.
Scivoli a terra e finalmente sei libera di spezzarti senza remore.
Ci avevi creduto.
Per l’ennesima volta ti sei fatta ingannare.
Ora resti immobile, le gambe incrociate e le braccia abbandonate. Non senti nulla.
Solo l’ennesimo amico che ti abbandona.


   
 
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