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Autore: Berenice88    18/11/2012    7 recensioni
Oscar e Andrè ricevono l'ordine di partire per Parigi, sanno che dovranno sparare sulla folla o combattere con essa,ma soprattutto sanno che rimane loro poco tempo da passare insieme e per decidere del loro futuro... riusciranno i loro ingarbugliati sentimenti, sogni e ideali a venire alla luce e a prendere forma in mezzo alla polveriera della rivoluzione francese?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Bernard Chatelet, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il giorno dopo Oscar era ancora viva, e quello dopo ancora anche. Ogni giorno che quel poco di colore le rosava le guance la mattina presto, quando lui entrava per controllare che fosse ancora viva, Andrè tirava un sospiro di sollievo, si stampava un sorriso in faccia e la svegliava.
I miglioramenti erano lenti, la ferita ogni tanto accennava ad infettarsi, ma appena vedeva traccia di pus, Andrè prendeva bende e panni, la stordiva con un po' del brandy che Alain gli aveva procurato al mercato nero, e si metteva a pulire lo squarcio sulla sua spalla, ben attento a trascinare via ogni goccia di sangue e impurità e a lasciare la ferita sana e pulita.
Lui e Alain tentavano di alternarsi per i turni di guardia, e con Rosalie per assistere Oscar.
Andrè era nervoso, stanco, voleva controllare ogni pomodoro, ogni pezzo di pane che arrivava dalla città tramite Bernard, cucinava i pasti in silenzio, concentrato, e andava a imboccarla in camera, piano, attento acché nulla le andasse per traverso, e poi la addormentava.
Qualche volta Oscar aveva la febbre, delirava piano e gli chiedeva di leggerle qualcosa, altrimenti avrebbe avuto gli incubi la notte. Lui si stendeva sul letto vicino a lei, la cingeva con un braccio attento a non farle male, il contatto la calmava, e poi le mormorava all'orecchio una poesia che sapeva a memoria. Le avevano imparate insieme, il precettore le aveva pretese da tutti e due. In pochi minuti era assopita, il volto rivolto a lui, il sonno che le sbiancava il volto e Andrè pregava sottovoce che il giorno dopo si svegliasse ancora.

Il dottore aprì la porta in silenzio, metodico nel girare il pomello, nello spingere la porta quel tanto che bastava per passare, e nel richiuderla facendo poco rumore.
Oscar lo guardò incedere verso di lei. Ricordava vagamente il suo viso, era un po' incosciente quando le aveva estratto la pallottola due mesi prima.
Il medico si sedette sul letto, e approntò gli attrezzi: le analizzò le pupille, saggiando la loro reazione alla luce con una candela, le chiese di muovere le braccia, notando con soddisfazione che la ferita non era stata infettata e il braccio aveva recuperato bene il movimento. La lo squarcio aveva ora l'aspetto di una brutta cicatrice arrossata, ma non faceva male. Riusciva a muoversi senza dolore, a ricambiare l'abbraccio di Andrè la sera, prima di addormentarsi.
Gli occhi marrone scuro del medico analizzarono severi il suo colorito, la sua gola, e poi auscultò il suo respiro, sospirando a sua volta.
“Il riposo forzato e la buona alimentazione vi hanno giovato, i vostri polmoni stanno meglio” commentò mentre riavvolgeva la tromba dell'auscultatore con la sua cordicella, “da quanto tempo non tossite sangue?”
“L'ultima volta è successo quattro giorni fa, e prima di allora mi succedeva solo una volta ogni due o tre giorni, per gli ultimi trenta giorni almeno.”
“Capisco... bene, fatevi spesso il bagno, tenete la stanza pulita come ora, continuate a mangiare e dormire bene, e camminate qui in casa se potete.”
“Già lo faccio. Almeno trenta minuti ogni giorno, scendo dal letto e vago per la casa, anche se, capirete, non posso uscire.”
“Si, conosco la storia. Bene, sta andando tutto per il meglio, continuate così cittadina Oscar Francois. Vi restituiremo alla Francia più splendida di prima.” scherzò con un sorriso malandrino il dottore, la bocca tirata in una smorfia buffa, come a voler fare un complimento anche se non era abituato, “Il vostro amico ha avuto buona cura di voi. Non scordatelo.”
“Sarebbe impossibile,” rispose Oscar, e il pensiero di Andrè la sopraffece di tenerezza, “come scordarsi di respirare.”
Il dottore chiuse con uno scatto la borsa con gli attrezzi, le fece un cenno con la mano e se ne andò.
No, pensò tra sé, non si sarebbe più scordata di respirare.

Rosalie entrò dalla porta e si sedette su una sedia vicino ad Oscar, sorridente, aveva sentito le notizie dal dottore.
“Che bello madamigella,” disse “tra poco non dovrai più portare le fasce alla spalla, potrai anche tornare a cavallo. E non preoccuparti, vedrai, non ci saranno più problemi con quel maligno di Saint-Just, Bernard gli sta alle costole come un segugio, appena farà un passo falso lo concerà per le feste davanti all'assemblea.”
“Ne sono sicura, Bernard sa arrabbiarsi a dovere quando vuole, basta che non lo morda davanti a tutti!” scherzò Oscar, suscitando la risata cristallina di Rosalie, fresca come il mughetto a primavera. No, la sua Rosalie era sempre uguale, meravigliosamente gentile nell'animo e grande nel cuore.
“Dov'è Andrè?” chiese Oscar, ansiosa di vederlo.
“Andrè è in camera nostra, è andato a farsi un bagno visto che ho scaldato molta acqua. Ce n'è abbastanza anche per te se vuoi lavarti. Comunque io devo andare ora, vado a vedere che succede all'Assemblea. Alain viene con noi, ma tornerà tra un paio d'ore e tra qualche minuto Andrè sarà qui.”
“Non ti preoccupare.”
“Bene, a domani.”
Rosalie uscì dalla stanza e la lasciò sola.
Svanito il suo ultimo passo dopo il rumore del chiavistello della porta della casa, il silenzio rimase aleggiando nella stanza per un minuto. Poi Oscar notò un disturbo di fondo, lieve, che giungeva rotondo fino alle sue orecchie, come un gocciolare.
Era il rumore dell'acqua, Andrè si stava muovendo nella tinozza.
Curiosa, si mise in piedi piano, anche se oramai i capogiri per la fretta dei movimenti non la coglievano più. Avanzò fino alla stanza di Bernard senza fare rumore, anche se quando spinse la porta, sentì la voce di Andrè rimproverarla, anche se lui e la tinozza le davano beatamente le spalle:
“Perchè sei in piedi?”
“Volevo vedere cosa facevi. E poi oggi ho riposato abbastanza.” disse avvicinandosi.
Si sedette sulla sponda del letto, parallela alla lunghezza della tinozza e si mise ad osservare Andrè.
L'acqua saponosa gli arrivava al petto, fumante, la posizione seduta lasciava affiorare le ginocchia dalla linea del fluido, la schiena era poggiata al metallo della vasca assieme al collo, rilassati. Ma i suoi occhi la guardavano, non smettevano di guardarla.
“Sei stremato.” gli disse, nessuna domanda, solo una costatazione, “E lo sei per colpa mia”.
“Non ti preoccupare, l'importante è che tu stia meglio,” sorrise, dolce, e aggiunse “e poi mi piace fare la donna di casa.”
Oscar rise, Andrè e la sua espressione rilassata la alleggerirono, non venne nemmeno la tosse a disturbarla. Allungò il braccio convalescente per accarezzargli una guancia.
“Vedi?” Gli disse muovendo le dita dal suo naso alla guancia, alla bocca, al collo “Ce la faccio.”
“Non ti fa male la spalla?”
“Non più.” disse, continuando, riportando le dita alla sua bocca, una bocca che le baciò leggere, con un'espressione tra l'orgoglioso e la malizia.
Oscar si alzò in piedi,la schiena si flettè, la mano lasciò il volto di Andrè e andò a cercare la sua mano sotto l'acqua, trovandola, e attirandola verso l'alto, verso di lei.
Andrè si alzò in piedi, e uscì dalla vasca, senza lasciarle la mano, e la abbracciò, stretta.
Lei ricambiò l'abbraccio stringendo il corpo umido di Andrè più che poteva, la pelle calda, le gocce d'acqua che scivolavano, poi alzò la testa, cercandone la bocca, che subito trovò con stampato un sorriso malizioso. Si, anche lui la voleva, anche lui la desiderava così tanto.
Fino a pochi giorni prima il dolore aveva dominato i pensieri, poi era sparito, chiuso, cucito via, la vita “ordinaria” aveva ripreso a farsi sentire, camminare, mangiare, parlare con Rosalie, Alain e Andrè le sembravano azioni impegnative, amplificate a mille, e l'abbraccio di Andrè in cui si addormentava la sera non era più solo un guscio caldo dove dormire nello stordimento, era anche una tortura sottile; percepire ogni muscolo del suo corpo, ogni alzarsi del torace mentre respirava, la stretta misurata del suo braccio... non riusciva a pensare come prima, che questo le avrebbe provocato dolore, che non l'avrebbe fatta sopravvivere, ora sentiva solo tutta la presenza di Andrè avvolgerla, e doveva, doveva assolutamente ricambiarla.
La spinse leggermente e la fece allungare sul letto.
Oscar adoperò subito le mani, di nuovo perfettamente sensibili, forse più di prima, per slacciare la propria camicia e per allontanare velocemente dalle gambe i calzoni leggeri di cotone prestatigli da Bernard.
Sentire tutto il corpo di Andrè con la propria pelle fu di nuovo la scossa di un fulmine, le terminazioni nervose straripavano di sensazioni. Tatto. Sapore della sua bocca sulla propria. Occhi che appena potevano mangiavano il suo viso stanco e innamorato. Odore di sapone e di umidità. La risata leggera di Andrè mentre lei lo stringeva con una mano alla schiena e con una sul sedere.
Tutto rimbombava e risuonava più forte nel suo cervello.
Quando Andrè le baciò il collo e il seno sospirò inarcandosi, era insopportabile quel sentire, una tortura.
Andrè, attento a non pesare sulla parte superiore del suo petto, aderì perfettamente al suo corpo, entrandovi, stringendolo, cercando quasi di assorbirlo nel suo, Oscar poteva sentire la voglia di esserle vicino e di proteggere ogni angolo attorno a lei.
Con un braccio le bloccò le mani sopra la testa, senza premerle troppo, l'altro le finì sotto la schiena per spingerla di nuovo verso di lui, il più possibile.
Lei sentiva Andrè avvolgerla e stringeva a sua volta, come voleva ricambiare quel trasporto incondizionato, quell'amore così dolce, devoto, quei sorrisi e quelle battute che alleggerivano ogni macigno fra di loro. Come lui in quel momento, sentiva di non stringerlo, di non riuscire mai abbastanza a proteggerlo, a dirgli quale grande cosa fosse la sua sola presenza.
Sentì Andrè gridare il suo nome mentre il calore e la frenesia correvano per le vene e per i tessuti mentre tutti e due si muovevano insieme, accaldandoli come mai prima, torturandola per quella fusione che non riusciva a compiersi del tutto.
Poi un altro fulmine la scosse, per un interminabile minuto le grida di Andrè si confusero perfettamente con le proprie, erano lì un essere unico e palpitante per una manciata di secondi, un essere divino che poteva percepire il tutto e il nulla attorno.
Andrè non riuscì a impedirsi di crollare sul corpo di Oscar, non le faceva male, né alla spalla né al braccio, anzi, le onde che si irradiavano nel suo corpo le sentiva più piacevoli proprio in quella zona sanata di recente.
Strinse le spalle di Andrè con le braccia.
“Ti amo, scusa se non riesco a essere tutto quello di cui hai bisogno. Farò del mio meglio, perché tu... tu lo sei.” disse e posò un bacio delicato sull'orecchio di Andrè che era proprio accanto al suo viso. Sentì Andrè stringerle la schiena di nuovo e girarsi per portarla sopra di lui.
“Non devi fare nulla,” le disse accarezzandole la colonna della schiena, dal basso verso l'altro, “continua solo a resistere, per noi.”
Lei sorrise ed alzò il viso per guardarlo negli occhi, verdi, tersi, uno che fissava la sua iride, l'altro sbiadito che fissava la sua anima.
“Non smetterò mai.” e tornò ad appropriarsi della sua bocca, una bocca amata e necessaria come non lo era stata e non lo sarebbe stata nessun'altra.

  
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