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Autore: LairaWolf    19/11/2012    3 recensioni
Duncan si è appena trasferito in un luogo sperduto, a due passi da una foresta misteriosa. Qui troverà qualcuno di molto speciale, che occuperà il suo cuore. Ma la verità è un'altra... una verità orribile, che metterà a rischio la sua stessa vita.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Duncan, Gwen | Coppie: Duncan/Gwen
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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CAPITOLO 2 - La creatura

  "Sei speciale. Io l'ho capito"




Mi sono svegliato prestissimo. Dall’orologio che ho sul comodino, sono le cinque e mezza del mattino.
Stavolta sono pronto e armato per recuperare il mio telefono e per un eventuale aggressione della “Cosa”: zainetto con pila, acqua, una corda, una coperta e del cibo (non si sa mai). Nella mia tasca invece c’è il coltellino e una pila più piccola. Scendo dalla finestra e mi arrampico sulla quercia. È la prima volta che lo faccio, ma è come se lo avessi fatto da sempre. Mi muovo abilmente e silenziosamente tra i rami e atterro perfettamente in piedi. Esco dal retro del cortile, saltando la recinzione.
Beh, oddio... “saltando” è un parolone. Diciamo che provo a saltarla, mi schianto contro di essa e allora decido di scalarla. La recinzione è alta tre metri e venti. Ma non importa, questi son dettagli. Mi trovo fuori, con davanti la foresta.
Non so perché... ma sembra che faccia più freddo. Così, di colpo. La cresta mi si sta già ammosciando per l’umidità. Uffa! Se mi vedesse la mia combriccola... verrei sfottuto a vita.
Scaccio via questi pensieri e mi inoltro nella foresta, con la pila più piccola accesa. È come una spada laser, talmente si staglia bene nell’umidità e nella nebbia delle cinque del mattino.
Si sentono solo i miei passi sul tappeto di foglie e rami e il mio cuore. Mi sembra di avere un bongo al posto del muscolo cardiaco.
Insomma Duncan controllati! Sei tu il ragazzo senza paura, quello che se ne frega di tutto e di tutti, e che riavrà il suo cellulare! Anche a costo di fare a botte con un mostro!
Rincuorato da questi pensieri, proseguo. Mi guardo per terra, cercando primo, di ricordare dove mi ero mosso ieri e secondo, osservando se si vede un colore rosso (il colore del mio cellulare).
Vago così per venti minuti buoni ma senza risultati. Il mio telefono sembra volatilizzato. Non è giusto! Possibile che il primo giorno che sono qui, in questo posto del cazzo devo perdere il mio unico contatto col mondo vero e per di più mi faccio spaventare come un coglione!
Un fruscio. Molto vicino. Alla mia sinistra.
Mi volto di scatto, con la torcia e con il coltellino aperto nell’altra mano. Stavolta non mi lascio intimorire come un deficiente.
Ma...
Ragioniamo: sto puntando la pila in una sottospecie di dolmen di rocce che formano una caverna (l’ho notato ieri). Su una di queste rocce sono appoggiate due mani. E dietro la roccia c’è una testa con capelli neri e blu, e nella testa ci sono due occhi. Occhi neri, profondi, spaventati.
-          Chi sei? Sei tu che mi inseguiva ieri? –
Gli occhi si fanno più lucidi.
-          Sei tu? Avanti rispondi!! –
La testa scompare di più dietro la roccia. Una voce flebile.
-          Tu... tu... –
Silenzio, mentre il fascio di luce della pila si sposta sugli occhi neri e lucidi. Ma la tolgo subito. Si vede che gli dà fastidio.
-          Tu... nou... fare... male... me... –
Rimango un attimo interdetto.
-          Cosa? Non ho capito. –
L’essere si sporge un pelo di più, mentre gli occhi neri mi scrutano spaventati.
-          Tu nou fare male me... –
-          Vuoi dire: non mi fare del male? –
Gli occhi si illuminano.
-          Scì! Non mi fare del male! Io... pr-prego... tu... –
È strano: sembra la voce di una ragazza. Ma non sa parlare? Balbetta come un neonato! Ma di certo non sembra minacciosa, e non sembra che abbia intenzioni ostili. Rischio: mi avvicino. Ma lentamente.
Non perché fossi spaventato! Ma perché lei... lui sembrava spaventato/a da me. Ripeté:
-          Non mi fare del male... io nou volere fare del male... a tu... –
-          Non ti farò del male. Giuro. Esci fuori, tranquillo... –
Sembra aver creduto a quello che ho detto. Si sposta oltre la roccia, a gattoni. Fa spuntare la testa dalla destra della roccia, non mostrando il corpo.
La testa è quella di una ragazza... o almeno così sembra!
A parte gli occhi neri, profondi e lucidi che mi affascinano non poco, la pelle è molto pallida e i capelli... sono strani! Neri con... alcune ciocche blu o verde acqua. Ma saranno mechès? Ma soprattutto: chi è, e perché si trova qui? E perché parla come se avesse appena imparato a parlare? Sarà una ragazza straniera che si è persa?
-          Tu... essere qui... qui... per... cuisto? Nou... q-questo? –
Mentre lo dice, dalla rocce spunta un braccio con una mano, anch’essi pallidissimi, che reggono il mio cellulare.
Eccolo lì! Ma... perché me lo dà? Ieri mi stava inseguendo o sbaglio? La cosa bianca... era lei? E perché ha le braccia nude? Non ha un cappotto?
-          Sì, sono qui per questo. Posso riaverlo? –
Cerco di parlare con calma, ma mi sento tremare. È come una strana emozione. Questa ragazza... mi sconvolge non poco. Insieme a una miriade di domande su di lei.
-          Scì... io... dare... questo... a tu... mat... Non mi fare del male... –
Detto questo, poggia il mio cellulare per terra, vicino a me. Dico vicino, perché io mi sono avvicinato. Ma quando allungo il braccio per afferrarlo, lei si nasconde di nuovo dietro la roccia.
-          Perché ti nascondi? –
Non risponde. Forse non ha capito. Provo con un linguaggio più primitivo.
-          Perché tu nascondere? –
Lascia passare qualche secondo, prima di rispondermi con la sua voce flebile.
-          Io... avere... avere... volksa... –
-          Volksa? Cosa? –
-          Io avere... p-ao... pao... –
-          Pao? Forse tu volere dire paura? –
-          Scì! Io avere paura di tu... –
-          Perché? Che male posso fare? –
-          Nou sapere... –
-          Andiamo! Posso io vedere te? –
Non risponde. Allora mi dico basta con la diplomazia: entro in azione. Giro velocemente attorno alla roccia e la guardo.
Non ci credo. È completamente nuda. Con questo freddo!
È rannicchiata su sé stessa, in posizione fetale, mentre mi guarda con quei occhi neri. La pelle è molto pallida, quasi bianca come la neve. Ma è ricoperta di cicatrici, graffi e lividi dappertutto.
Un’altra particolarità erano le orecchie leggermente a punta, che le donavano un’aria così... così... mah, carina, esotica...
Mi sento avvampare come un idiota, ma resisto eroicamente dal guardare verso il basso, concentrandomi sui suoi occhi.
-          Cosa ti è successo? –
-          Io... nou sapere. Io essere qui... per... siempre. –
-          Tu essere qui da sempre? –
-          Scì! Io essere qui da sempre! –
-          Ma perché? Chi sei? –
Non risponde, ma abbassa gli occhi e fa spallucce, come per dire “non lo so” o meglio “Io nou sapere”.
-          Come ti chiami? –
Mi guarda strano. Non ha capito.
-          Quale essere nome tuo? Io essere Duncan. – dico, mentre mi indico, tanto per sottolinearlo.
-          Io... essere... Gw... Gwe... – fa un profondo respiro, - Gwendolyn Kalan Jameik. Io essere... filice per avere... framr tu, Duncan! –
-          Gwendolyn che cosa??? Io potere chiamare te Gwen e basta? –
-          Nou nou! Io essere Gwendolyn, nou Gwen E Basta! –
-          No! – rido, - Ho detto... uff, io avere detto se io potere chiamare te Gwen. Io potere? –
Le sorrido. Ma è un sorriso sincero. Sorride anche lei.
-          Scì! Duncan... io filiice! –
-          Tu volere dire “felice”? così? – faccio un largo sorriso.
-          Scì! Felice! Io essere felice di... vedere? Vedere tu! –
-          Grazie... –
Ci guardiamo senza dire niente. Lei sorride a me e io sorrido a lei. In una situazione normale sarebbe stata una cosa stupida per me, ma adesso... adesso resterei qui a guardarla in eterno. E quando dico guardarla, intendo guardarla negli OCCHI.
Mi accovaccio di fronte a lei, abbastanza vicino ma non troppo. All’inizio cerca di ritrarsi per paura, ma capisce che non le voglio fare nulla e si rilassa. Mi stupisco come mai non tremi: è nuda e qui fuori fa un freddo cane. Ma moltissime altre domande mi vengono in mente... ma ora concentriamoci su quella base. Le chiedo gentilmente:
-          Tu avere freddo? –
Mi guarda perplessa.
-          Freddo? Cosa essere? –
-          Freddo... uhm... così. –
Faccio finta di tremare e di ripararmi da una tempesta immaginaria. Faccio anche il gesto di sfregarmi le spalle e cercare di riscaldarmi le mani col fiato.
-          Questo essere “freddo”. Tu avere freddo? –
-          Freddo! Gleish! Oh... scì, io avere un poco... mat io essere bene... io essere da sempre qui... io essere abhithuat... –
-          Abituata? –
-          Scì! Abituata! –
La guardo. Lei guarda me. Sorride, anche se è un sorriso triste. Allora mi tolgo lo zaino dalle spalle, lo apro ed estraggo la coperta. Gliela porgo. Lei la guarda strano, la prende e cerca di mangiarsela! La fermo prima che possa strapparla.
-          No, no! Non si mangia sciocca! Così! – dico, mentre gliela tolgo di mano e gliela avvolgo attorno al corpo.
Improvvisamente il suo volto cambia colore e gli occhi diventano più luminosi. È più rossa in viso. Ma si stringe addosso la coperta (che è un piumino) con più energia. Mi guarda con un sorriso bellissimo.
-          Gracìe... –
-          No, grazzzzie! –
-          Grazzzzie... –
-          Okay, grazie... –
-          Grazie... –
Più la guardo, più... non lo so, ma è come se una parte di me stesse cambiando. E poi mi rendo conto che non devo stare qui a chiacchierare mentre lei muore di freddo! La devo portare a casa, dove può essere aiutata! Cerco di afferrarle un braccio per farla alzare, ma lei si ritrae, rannicchiandosi su sé stessa. Cerco di tranquillizzarla.
-          Gwen, io portare te al sicuro... –
-          Al sicuro? Cosa? –
-          Io portare te dove io vive. Dove essere civiltà. –
-          Ci... civiltà? –
-          Dove essere umani. Persone. –
Mi guarda. Irrigidendosi, con uno sguardo di puro terrore. Sibila:
-          Umani... umank... nou! NOU! –
Si chiude di nuovo a riccio, attaccandosi al terreno con le unghie. Ma che ho detto di male? Io la volevo solo aiutare! Certo che le donne sono dei tipini...
-          Gwen, cosa essere? Io volere AIUTARE tu! –
-          Tu nou aiutare io! Umani nou volere io! Umani ODIARE io! Umani vlosk io! –
-          Cosa? Tu odiare umani? –
-          Nou! Umani odiare io! Così! –
Indica un punto fuori (credo che indichi gli umani) dice “Odiare” e poi indica sé stessa.
-          Così umani odiano te? –
-          Scì! Umani volere killest io! –
-          Killest? –
-          Scì! Così. –
Finge un attacco al petto con un bastoncino e si lascia cadere a terra immobile.
-          Umani volere UCCIDERE te? –
-          Scì! Umani volere uccidere io... –
-          Ma io essere umano. –
Mi guarda spaventata.
-          No! Tu essere olgan! –
-          Olgan? –
-          Olgan! Come... come tu dire a cosa come dio mat meno portante...  –
Non ci arrivo subito a capire cosa mi vuole dire. Ma credo che volesse dire: come chiami una cosa che è come Dio ma meno importante? –
-          Importante... no portante. –
-          Importante. Tu capire? –
-          Sì. Tu volere dire angelo. –
-          Angelo? –
-          Sì. Con queste. – mimo delle ali sulla schiena.
-          Scì! Scì! Tu essere angelo! –
-          No, io essere a umano. Ma io essere umano buono. Io non voglio fare del male a te. –
-          Hante. Tu... Giurare. –
-          Io giurare. – dico, mettendomi la mano sul cuore.
Non vuole che la porti tra gli umani. Ma allora che posso fare per aiutarla? Sarò spesso un insensibile, ma con lei... non posso.
-          Perrchè umani odiare te? –
-          Umani dice... dice... tha io essere “Un Mostro”... –
Scandisce l’ultima parola con forza e ferocia.
Io non capisco: che mostro può essere questa ragazza innocua? È meglio essere prudenti con lei, ora non sono più tanto sicuro di certe cose.
-          Chi dire questo? –
-          Umani chiamare “scienziato”. Fes scienziato trovare io... io... uccidere! Scienziato uccidere io! –
Scoppiò a piangere. Mi faceva pena. Chissà che cos’ha passato con quegli scienziati! Chissà che esperimenti le hanno fatto! È ovvio che poi la considerassero un mostro!
-          Tu essere scappata? –
-          Cosa? –
-          Scappare, fuggire... – imito una corsa, voltandomi indietro, come se fossi inseguito. – Tu scappare da scienziato? –
-          Scì... io vive qui per... – mi mostrò cinque dita, - ... anni? Anni? Tu dice “anni”? –
-          Sì, io dico anni! Tu vive qui per cinque anni? –
-          Cinque? Cinque... scì. Io vive qui. Io con Nama. –
-          Nama? –
-          Scì. Così. –
Raccolse un po’ di terra tra le mani, le foglie. Prese dei sassi, accarezzò un albero vicino e alzò le braccia.
-          Nama essere... natura. –
-          Natura? Tu dire natura per Nama? –
-          Sì. Ma tu... tu dove vive? –
Mi indicò la grotta nelle rocce. Non la vidi subito, perché l’entrata è ben nascosta.
-          Posso andare dove tu vive? –
-          Scì. Mat... tu giurare tha nou dire a umani di io. Giurare. –
-          Io giurare. Croce sul cuore? – e mi feci il segno sul mio petto.
-          Croce sul cuore? Così? – disse, mentre se lo faceva anche lei.
-          Sì. Ora io giurato. Io potere andare? Con te... –
-          Scì... –
-          No, io dire SI’, no “scì”. –
-          . Sì? –
-          Sì! – dissi, annuendo. – E io no dire “nou”. Io dire NO –
-          No. – disse scuotendo la testa.
-          Sì! –
Ridacchiò, guardandomi con i suoi occhi neri e lucidi. Mi prese per mano e debolmente mi portò nella grotta. Accesi la luce della pila. Lei mi guardava ammirata, sorridendomi.
In effetti la caverna era un po’ bassa di altezza, ma sembrava non finire mai. Era come un lungo tunnel scavato nel terreno. E capii solo più tardi che stavamo SCENDENDO. Beh, per un tratto si scendeva, poi era tutto dritto. Per dieci minuti buoni camminammo in questo tunnel quando all’improvviso ci trovammo in una camera.
Non so come descriverla... era come un nido nel terreno. Era sferica, di circa due metri e mezzo di altezza e lunga sette metri di diametro. Al centro, illuminato dalla torcia, c’era un pagliericcio fatto di foglie secche con sopra pellicce di tanti animali differenti e in un angolo c’erano delle ossa.
All’inizio la cosa mi impressionò, ma poi pensai che doveva pur mangiare in qualche modo. Poi mi assalì un altro dubbio: se per scendere avevamo usato la mia torcia, lei, come faceva? Vedeva nel buio?
-          Scusa, ma tu... tu vedere qui? Come? Io ora avere cosa che fare luce... –
-          Luce? –
-          Sì, questa. Di pila. – e gli indicai il fascio di luce e poi la pila
-          Ah! Io no avere luce. Io usare questo. – e mi indicò il soffitto e le pareti.
-          Io no capire... –
-          Chiudi cosa tha fa luce. –
-          Come?? –
-          Questo. – e mi indicò la pila. – Chiudere. –
Pensai che fosse fusa. Ma l’accontentai. La spensi e tutto divenne di un buoi pauroso. Temetti che qualche mostro mi potesse aggredire. Ma la sua voce rassicurante mi calmò.
-          Tu aspettare. Calmo... –
Aspettai. E infatti all’improvviso vidi una luce azzurrognola, bianchiccia. All’inizio era veramente insignificante, ma poi notai che altre luci azzurre  spuntarono dal soffitto, dalle pareti, dal pavimento! Divennero sempre più intense, fino a che tutta la caverna fu illuminata da questa luce azzurra. Si vedeva benissimo. Rimasi a bocca aperta. Lei mi guardò e sorrise.
-          La luce di Sole fare chiudere questo. She luce di Sole no essere qui, luce di Blank essere! Io no sapere perché... –
-          Blank? Tu chiamare così queste? – e gli indicai le rocce luminose.
-          Sì! Blank! –
Ero affascinato. Poche cose nella mia vita mi hanno lasciato a bocca aperta, questa le batteva tutte. Poi guardai l’orologio: erano le sette e mezza! Era passato così tanto tempo?? Dovevo tornare immediatamente!
-          Io dovere andare! Io dovere andare dove io vive! O mia mamma... –
-          Mamma? Mama... io dire mama. Io e tu dire cosa uguale? –
-          Io pensare di sì... dove essere tua mama? –
-          Umani uccidere mama. Umani volere uccidere io. –
-          Oh... scusa, io dovere andare da mama! Ma giurare che io tornare qui! Io tornare da te! –
-          Giurare. Croce sul cuore? –
-          Croce sul cuore. – e mi feci il segno. – Stanotte. Io tornare questa notte. –
-          Notte? –
-          Quando Sole no essere. Io giurare. –
-          Io capire Duncan...  –
-          Aspetta! Io lasciare a te questo. –
Tirai fuori dallo zaino il cibo e l’acqua che mi ero portato dietro. Di cibo c’erano due barrette energetiche al cioccolato, gallette di mais e una mela. Gli scartai le barrette al cioccolato e gliele porsi.
-          Questo essere cibo. –
-          Cibo? –
-          Sì! Mangiare! – e feci finta di mangiarmi la barretta.
La guardò con interesse e ne prese un morso. Le si illuminarono gli occhi.
-          Cibo! Cibo essere buono! –
-          Sì! Questa essere acqua. Aprire così. – e le aprì la bottiglia. – Chiudere così. – e riavvitai il tappo. – così acqua no scappare! –
Prese anche la bottiglia. Provò a svitare il tappo e ci riuscì. Inclinò la bottiglia li poco e con la lingua lappò l’acqua. Poi la richiuse. E la capovolse. Rimase sorpresa nel vedere che l’acqua non scappava!
-          Qui essere acqua? –
-          Sì! Ora io dovere andare... ma io tornare! –
-          Sì. Tu giurare. Tu tornare da io. –
-          Giuro. Ciao... Gwen. –
-          Ciao? Ciao... –
-          Sì! Ciao. –
-          Ciao Duncan... grazie. –
  
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