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Autore: SusanTheGentle    19/11/2012    8 recensioni
Un amore improvviso, due cuori che si incontrano ma che non riescono mai a toccarsi davvero come vorrebbero...almeno fino all'ultimo giorno. Nessuno sa. Forse nessuno saprà mai. Solo Narnia, unica testimone di quell'unico attimo di felicità.
Caspian e Susan sono i protagonisti di questa nuova versione de "Il Viaggio del Veliero". Avventura, amore e amicizia si fondono nel meraviglioso mondo di Narnia...con un finale a sorpresa.
"Se vogliamo conoscere la verità, dobbiamo seguire la rotta senza esitazione, o non sapremo mai cos'è successo ai sette Lord e dove sono finite le Sette Spade"
Il compito affidatogli questa volta era diverso da qualsiasi altra avventura intrapresa prima. C'era un oceano davanti a loro, vasto, inesplorato; c'erano terre sconosciute alla Fine del Mondo; una maledizione di cui nessuno sapeva niente. Non era facile ammetterlo, ma era probabile che nessuno di loro sarebbe mai tornato. Stava a lui riportarli indietro.
Caspian si voltò a guardare Susan, la quale gli rimandò uno sguardo dolce e fiero, e all'improvviso capì che qualsiasi cosa fosse accaduta, finché c'era lei al suo fianco, avrebbe sempre trovato la forza per andare avanti"

STORIA IN REVISIONE
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of Queen'
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6. Il quadro e il veliero
 

 

Non sarò mai troppo lontano per sentirti
E non esiterò per niente
Ogni volta che mi chiamerai
E ricorderò sempre
La parte di te così dolce
Sarò lì ad afferrarti quando cadrai
Ogni volta che mi chiamerai




 
Come regalo di benvenuto, quella sera stessa, Eustace infilò quattro bei ragni finti nella minestra dei cugini. Dove li aveva presi era un mistero, probabilmente aveva un qualche diabolico laboratorio segreto in cantina, dove faceva esperimenti ancora più diabolici.
Susan, Lucy e Alberta cacciarono un urlo da far venir giù il soffitto. Harold scoppiò a ridere a vedere la moglie saltare in piedi su una sedia. Peter si astenne da qualsiasi commento, cercando di mantenere la calma ma cominciando a meditare vendetta. Edmund, infine, avrebbe voluto strozzare il cugino, che sghignazzò come un matto per il resto della cena.
Eustace ed Edmund, come c’era da aspettarsi, iniziarono da subito una guerra, dapprima silenziosa, che nei giorni seguenti si trasformò in vere e proprie battaglie a più riprese (cioè quando i signori Scrubb non erano nei paraggi o non guardavano).
Quella sera, andarono tutti a dormire molto presto. Lucy e Susan occupavano insieme la stanzetta degli ospiti, non molto grande ma davvero accogliente. Peter e Edmund, invece, vennero letteralmente pigiati in quella di Eustace (e ciò era rischio di risse notturne). Qui, erano state aggiunte un paio di brande piuttosto comode, ma non c’era quasi più spazio per camminare e a Eustace questo non andava affatto bene. Come al solito, quando c’erano i Pevensie di mezzo, le cose andavano storte e di mezzo ci andava sempre e solo lui.
Eustace aveva comunque un po’ di respiro, perché i due cugini se ne stavano quasi tutta la sera nella stanza dalle sorelle, a chiacchierare di chissà quali sciocchezze, com’era loro consuetudine.
Susan e Lucy raccontarono la conversazione che si era tenuta in taxi, e commentarono tutti insieme l’idea dello zio di voler portare Peter al lavoro con lui.
«Di solito ci lasciano fare quello che volgiamo» disse quest’ultimo pensieroso, «purché non li disturbiamo. Questa volta sembra quasi che vogliano coinvolgerci in una sorta di…non so…che abbiano qualcosa in mente, ecco. Ma non so cosa»
«Probabilmente vogliono solo farci sentire a nostro agio» disse Susan, che non pensava mai male di nessuno.
«Ne dubito. C’è sotto qualcosa»
«Zia Alberta dice che mamma approva queste iniziative»
«Allora perché non ci siamo anche io e Lucy in questi loro ‘progetti’ ?» chiese Edmund un po’ seccato.
Peter alzò le spalle come a dire che non lo sapeva. «Andrai con la zia, domani?» chiese poi il ragazzo alla sorella.
«Sì» rispose Susan. «Dopotutto, credo sia meglio, così la farò contenta»
«E di nuovo, io e Edmund siamo tagliati completamente fuori» aggiunse Lucy stancamente.
Era ancora piuttosto risentita per essere stata ignorata a quel modo da Alberta.
Lucy non lo avrebbe mai ammesso davanti agli altri, e un po’ si vergognava di sé stessa, ma talvolta desiderava essere al posto di Susan.
La sorella maggiore, ormai sedicenne, era considerata la bella di casa. Per il suo compleanno aveva ricevuto una splendida collana di perle e Lucy era stata felicissima quando Susan gliel’aveva fatta provare, sentendosi in colpa per le piccole fitte di gelosia che ogni tanto provava nei suoi confronti.
«Quando potrò averne una anch’io? A me non fanno mai regali così belli» diceva la più giovane.
«Quando sarai un po’ più grande, Lu»
Non era sempre stato così, tra loro. Susan era la sua migliore amica, la confidente ideale, e non ne era mai stata invidiosa in alcun modo, neanche per tutti i premi che vinceva nelle gare di nuoto a scuola, né per altro. Perché, nonostante tutto, Susan non si vantava mai dei complimenti che le facevano, quasi non si accorgesse di essere com’era. Per Lucy, era bellissima.
Lucy aveva tredici anni, e quando si guardava allo specchio vedeva il suo corpo ancora piuttosto acerbo (anche se negli ultimi mesi si era alzata di statura e aveva cominciato a fiorire).
Susan, a tredici anni, a differenza di lei, era già una signorina nel vero senso della parola.
Quando si cambiavano, Lucy osservava le linee armoniose del corpo della sorella e desiderava tanto diventare presto come lei.
Proprio mentre rimuginava su questi pensieri, Susan si sedette accanto a lei e le circondò le spalle con un braccio.
«Non fare così, Lu» la consolò. «Non è la fine del mondo non venire in giro per negozi. Senza contare che, probabilmente, sarà una noia totale».
Lucy sospirò ed emise un debole «Mmm» di assenso, ma senza troppa convinzione.
«Puoi venire a farmi compagnia da zio Harold» scherzò Peter facendole l’occhiolino.
«No, no! Per carità!»
I ragazzi sorrisero.
«Ci divertiremo molto di più qui, noi due» intervenne Edmund. «Pensa Lu, potremmo architettare un bello scherzetto a Eustace per ripagarlo di quello di stasera»
«Edmund…» lo ammonì Susan, rabbrividendo al ricordo del ragno.
Edmund non l’ascoltò e continuò a rivolgersi alla sorella minore. «E ascolta la parte migliore: Eustace deve andare a scuola e noi no. Abbiamo la casa tutta per noi»
Finalmente, Lucy sorrise.
 

I primi giorni furono disastrosi.
Lo scherzo di Edmund andò a buon fine.
«Portami della colla e dello spago dalla bottega dello zio» disse a Peter.
«Che ci vuoi fare?»
«Tu non preoccuparti e portameli»
«Come vuoi»
Morale: Eustace, una mattina, si svegliò e vide sopra di sé metri e metri di corda, e si sentì tanto un insetto nella ragnatela del ragno.
Edmund aveva imparato questo trucco a scuola. C’era voluta molta pazienza e molta cautela, ma alla fine il risultato ottenuto era stato quello voluto. Aveva atteso che il cugino si addormentasse e poi aveva legato alle estremità del letto lo spago, formando una vera e propria ragnatela. La colla serviva per essere cosparsa sullo spago.
Così, quando Eustace tentò di alzarsi, oltre che impigliarsi ancor più nella corda, questa gli si appiccicò dappertutto.
«Ti piacciono ancora i ragni, piccolo bruco molesto?»
«Aiuto! Liberami subito, Edmund! Liberami! Oh, tremenda vendetta! Mammaaaaaa!!!»
Gli zii si arrabbiarono sul serio con i più giovani dei Pevensie, e anche se forse i ragni non erano stati granché, (in fondo non erano neppure veri) i nipoti non si pentirono minimamente di ciò che avevano fatto. D’altra parte, tra i ragazzi Pevensie e Eustace era sempre andata così. Non volevano proprio andare d’accordo.
Harold e Alberta si consultarono molto sul da farsi. Dargli una bella sculacciata non potevano, erano troppo grandi, così finirono per impedire ai due di uscire di casa per tre giorni.
«Bè, almeno avremo il modo di tentare di tornare a Narnia» disse Edmund una sera, quando furono di nuovo tutti in camera delle ragazze. «Il problema è che voi due non ci siete mai»
Peter e Susan infatti, venivano condotti tutti i giorni l’uno alla segheria e l’altra per negozi.
«Non è colpa nostra» si giustificò Peter.
I coniugi Scrubb ce la stavano mettendo proprio tutta per non lasciare i fratelli più grandi assieme ai più piccoli e i Pevensie erano sempre più convinti di essere vittime di una sottospecie di complotto da parte degli adulti.
Ne ebbero la conferma il venerdì mattina.
Come  nei giorni precedenti, zio Harold e Peter uscirono molto presto, diretti di nuovo alla sua bottega. Il signor Scrubb sembrava essersi seriamente messo in testa di insegnare al ragazzo l’arte della falegnameria.
Peter non poteva fare a meno di sorridere dentro di sé, pensando a quante costruzioni aveva visto prendere forma quando era Re Supremo di Narnia, nell’Età d’Oro. Aveva visto sorgere le case e le fattorie che avevano fatto di Cair Paravel la capitale del regno. E poi Acquacorrente, Beruna e tutte le altre piccole casette e capanne appartenenti ai piccoli amici del bosco. A Narnia, il legno veniva dato spontaneamente dagli alberi parlanti, così che non venisse fatto loro alcun male, perché driadi e amadriadi sapevano cosa fare e come. Uscivano dai loro alberi e prendevano, ad esempio, un ramo vecchio o qualche pezzo di corteccia che non serviva più e che sarebbe ricresciuto; oppure, segnalavano le piante non magiche più adatte per costruire mobili di vario tipo e che potevano essere abbattute senza problemi.
Le botteghe del legname di Narnia erano molto diverse. Lì a Cambridge, invece, erano state introdotte macchine che rendevano il lavoro molto più facile agli uomini.
«Peter, mi ascolti?»
«Cosa?...Ah, sì, sì, certo zio, scusami»
«Dicevo…come vedi c’è molto da fare. Quando la guerra sarà finita- vedrai finirà, in un modo o nell’altro- ci sarà molto da ricostruire. Certo, il legno non si usa più in gran quantità come nei tempi passati, ma è comunque molto utile. So per certo che con un lavoro del genere guadagnerò bene. All’inizio vendevo a poco prezzo, ma impiegando bene il denaro che ho guadagnato ho rimesso a nuovo il negozio. Non è una bellezza?»
«Sì. Sono sicuro che è un buon lavoro»
«Ti piacerebbe lavorare con me in futuro, Peter?»
Il ragazzo sembrò molto stupito di quella proposta. Non se lo aspettava…o forse sì?
Gli era balenata per la testa questa bizzarra idea che lo zio avesse l’intenzione di fargli una domanda simile, ma non così presto.
«Non ti sembra di correre un po’ troppo, zio? Non sono nemmeno maggiorenne»
«Ho detto in futuro, infatti. So che hai altri progetti, tua madre me ne ha parlato, ma sarai d’accordo con me se dico che, nella difficile situazione in cui si trova il nostro paese, avere un lavoro sicuro per potersi mantenere è più importante che ottenere una cattedra»
Peter si accigliò. Zio Harold sorrise e gli mise una mano sulla spalla.
«Sei un ragazzo intelligente e sono sicuro che…»
«Mi pagherebbero bene se facessi il professore» ribatté il ragazzo.
«Sì, sì, ne sono sicuro, e capisco che tu voglia seguire le orme di tuo padre. Tuttavia, ci vorrà del tempo prima di diventare professore, e altri soldi per farti studiare, per mandarti all’università. Non sai quanti sacrifici hanno fatto i tuoi, finora, e quanti ne stanno ancora facendo. Per te e per i tuoi fratelli»
Era vero, pensò Peter. Probabilmente, dopo la guerra, ci sarebbero stati altri problemi, molte difficoltà economiche, sia che avessero vinto o perso. Sua madre stava già lavorando molto per poter pagare l’affitto della casa, le tasse, senza contare la retta scolastica e le varie spese extra. Suo padre, invece - che insegnava letteratura all’univeristà - aveva dovuto abbandonare il mestiere che adorava fare e andare al fronte.  L’aveva fatto perché intendeva proteggere la sua famiglia, perché sapeva che era giusto farlo e in questo modo avrebbe assicurato ai suoi figli un futuro migliore.
I suoi genitori facevano delle rinunce per loro, e Peter, avrebbe dovuto farne a sua volta. Era il maggiore, era l’uomo di casa ora che mancava il signor Pevensie. Si sentiva responsabile per tutti loro.
«Ho chiesto a mamma che se serve posso trovarmi un’occupazione, e smettere di andare a scuola. Non ha voluto, ma dicevo sul serio»
«Lo so. Sapevo che eri un bravo ragazzo» disse ancora lo zio con aria grave. «Purtroppo pero, i libri non portano cibo sulla tua tavola, Peter. Purtroppo, non sempre possiamo scegliere la strada che ci siamo prefissati»
Peter non rispose. Non aveva mai pensato veramente a tutte queste cose, però, in fondo, lo zio aveva ragione. Non sempre la strada che immaginiamo di seguire è quella che dobbiamo seguire.
«Pensa alla mia proposta, Peter. Senza fretta, comunque, c’è un sacco di tempo» sorrise Harold, dandogli una pacca sulla spalla. «Sarai maggiorenne tra quattro anni, anche se l’anno prossimo, dopo il diploma, potresti già venire a fare un po’ di esperienza da me. Non è un brutto lavoro e si guadagna bene»
«Certo, hai ragione»
«Nemmeno io sono mai andato all’università, ho dovuto darmi da fare presto…Intanto, vieni. Ti voglio mostrare come si taglia e si pialla il legname»
Peter si ritrasse all’improvviso. «Veramente…»
Lo zio si voltò.
«Ecco…io, vorrei tornare a casa. Ho dimenticato di fare una cosa molto importante. Scusa»
«Ma…Peter! Peter!»
Il ragazzo non rispose. Voltò rapido sui tacchi e cominciò a correre verso casa Scrubb.
Sì, c’era una cosa davvero importante che doveva fare, e non era con zio Harold. Era con Susan, Edmund e Lucy. E avevano aspettato anche troppo a lungo.
Susan…accidenti, lei era con la zia! Se però fosse giunto in tempo, avrebbe potuto bloccarle e impedire alla sorella di uscire, o magari intercettarle sulla strada.
«Aslan ti prego, se ci vuoi bene, fammi arrivare in tempo»
 

Quella stessa mattina, alle otto in punto, Susan e Alberta erano già sulla via principale del centro. Erano uscite di casa poco dopo Peter e Harold. La zia doveva recarsi al mercato a fare la spesa, e al mercato si perdeva sempre un sacco di tempo. Per cui, prima si andava e meglio era.
La signora Scrubb incontrava sempre parecchia gente, e spesso si fermava a chiacchierare per mezz’ora buona. (e questo era uno dei motivi per cui facevano sempre tardi). Susan, in quelle occasioni, se ne stava zitta e in disparte. Non conosceva nessuno e non sapeva mai che cosa dire.
Di consuetudine, tutti chiedevano ad Alberta chi era la sua giovane accompagnatrice. «Mia nipote Susan» la presentava la zia con uno strano luccichio negli occhi, ma mai con tanto orgoglio come quando si imbatterono un paio di donne vestite di tutto punto.
Alla loro vista, Alberta si sistemò meglio il cappello e salutò con un lieve inchino, di quelli che ormai non si usano più di questi tempi.
«Carissime signore, quale piacere!» esclamò, andando loro incontro.
La prima era un donnone corpulento con i capelli bruni e ricci, i quali facevano una gran fatica a rimanere sotto il cappellino più vistoso che Susan avesse mai visto. La seconda era una donnina più bassa, magra, con un caschetto grigio e l’aria gentile. Zia Alberta spiegò che la coppia di matrone erano le presidentesse del club esclusivo di cui anche lei aveva la fortuna di entrare a far parte. Entrambe le dame vennero presentate a Susan con davanti al nome l’appellativo di ‘lady’, il che fece intendere alla ragazza che si trattava di gente molto importante.
«Sai, Susan cara, la festa di cui ti ho parlato il giorno del tuo arrivo, è stata organizzata proprio da queste gentili dame»
«Verrà anche lei, suppongo, vero Alberta?» disse la prima donna. «E ci farà l’onore di condurre con sé anche questa splendida creatura che le sta accanto»
«Mia nipote Susan. Oh, ma certo!» assicurò la signora Scrubb, a dir poco raggiante.
«Povera bambina» disse la seconda donna, accarezzando appena una guancia della giovane. «Così lontana da casa e dai tuoi genitori».
Quando si salutarono, la zia sembrava alquanto agitata.
«Accidenti, e adesso? Pensavo di avere ancora tempo, ma quand’è così…non posso far finta di nulla ora che ho promesso di portarti con me. Potrei prestartene uno dei miei, ma…no, no…come possiamo fare?»
«Zia, parli da sola?»
«Eh? Come? Oh, no, di certo. Stavo pensando che se devi partecipare anche tu al party di dopodomani, devo subito comprarti un vestito nuovo»
«I miei vestiti vanno benissimo» obbiettò Susan.
«Non essere sciocca! Sono alquanto anonimi, non vanno bene. C’è bisogno di stile, di eleganza. Dovrai fare una buona impressione». Alberta rise di gioia, senza smettere di parlare a raffica. «Oh, incontrare proprio le nostre presidentesse! E mi è anche sembrato che tu a loro sia piaciuta molto»
«Trovi?»
«Sicuro! Ma dobbiamo sbrigarci ora, se volgiamo comprare un vestito che sia degno di questo nome»
«Abbiamo tutta la giornata, che fretta c’è?» protestò Susan, mentre la zia l’afferrava per un polso e cominciava a camminare sempre più in fretta.
«Abbiamo temporeggiato fin troppo, direi. Ricordatene per il futuro: in questi casi arrivare ultime vuol dire farsi soffiare tutti gli abiti migliori» Alberta la lasciò e la incitò. «Affrettiamoci, forza!»
Susan fece un gran sospiro, lasciando ricadere mollemente le braccia lungo i fianchi. «E va bene…»
Cercare di parlare con Alberta era una partita persa, alla fine ti faceva sempre fare quello che voleva lei. Non che Susan non avesse voglia; a dire il vero si era piuttosto divertita negli ultimi giorni a girare per mercatini e negozi di tutti i tipi, però, certe volte, la zia era esasperante.
Entrarono in un negozio dove vendevano i vestiti più alla moda di Cambridge. Costavano un ‘occhio, ma la zia non se ne preoccupò, dicendo che avrebbe fatto mettere tutto sul suo conto.
«Quando una donna è giù di morale, le fa bene fare una spesa un po’ pazza»
«Ma io non sono giù di morale»
«Cara, non tentare di nasconderlo. Si vede, sai? E’ per quel tuo ragazzo, vero?»
Susan non rispose, però abbassò il capo. La zia aveva fatto centro.
Per quasi un’intera settimana era riuscita a non pensarci troppo, e adesso…
Cercò di concentrarsi il più possibile su qualcos’altro che la distraesse da quel pensiero. Il suo unico pensiero. Lui. Caspian.
«E’ troppo stretto?» chiese la commessa del negozio, che la stava aiutando a provare il vestito nuovo.
«Cosa? Ah, n-no, va bene».
Non l’aveva scelto Susan, aveva fatto tutto la zia. Ad ogni modo, doveva ammettere che era molto bello e le piaceva. Era un abito azzurro con ricami a fiori bianchi, le maniche a sbuffo corte e la gonna appena sotto il ginocchio.
«Zia, avrò freddo così. E’ troppo leggero» disse la ragazza, mentre la commessa finiva di sistemarle il fiocco blu che le fasciava amabilmente la vita.
«No non credo. A certi party fa sempre un gran caldo. E poi sei perfetta» sorrise Alberta avvicinandosi alla nipote, in piedi davanti allo specchio del negozio.
«Avete scelto, allora?» chiese la venditrice.
«Sì, questo è perfetto. Ti piace, vero cara?»
«Oh sì, molto. Però…»
«Non preoccuparti di niente, pago io»
«Volete che lo impacchetto?» domandò ancora la commessa.
«Io direi che dovresti tenerlo» disse Alberta a Susan. «Vorrei proprio vedere quale sarà la reazione di tutti quando ti vedranno così»
Quando uscirono dal negozio, la signora Scrubb era più entusiasta che mai. Sembrava una bambina che ha ricevuto in regalo una bambola meravigliosa da vestire e agghindare a piacimento. Susan si sentiva quella bambola, e non era più tanto sicura che fosse così divertente come aveva pensato inizialmente.
«Sarai il mio orgoglio, tesoro! Sarai la più bella della festa!»
«Io veramente non ho ancora deciso se voglio venirci o no»
La zia si fermò di botto, incredula. «Che cosa?! Ma ci devi venire, ormai ho dato la mia parola alle presidentesse! Susan, non puoi farmi questo!»
«Zia Alberta, ti ringrazio infinitamente per tutto, ma…»
«Mi era sembrato che ti divertissi»
«Sì…sì, certo che mi sono divertita»
Alberta rise. «Cara, lo so che forse ti sembra tutto troppo affrettato, ma io ci tengo davvero che tu venga a quella festa, e anche tua madre ci tiene»
«Lo so» disse piano la ragazza.
«Il fatto è che questa serata si terrà in uno dei circoli più famosi della città, ed è il più importante della stagione. Ci saranno persone influenti, appartenenti all’alta borghesia inglese, e so che arriveranno addirittura degli ospiti direttamente dalla corte di Buckingham Palace. Pensa! Questo circolo comprende una cerchia altamente selezionata. Io ho avuto a mia volta dei fortunatissimi agganci per poterci entrare e potrai farlo anche tu. Dovresti essere orgogliosa!»
«Ma io non conosco nessuno! Mi sentirei fuori posto»
«Tu non devi preoccuparti di niente, basta che starai vicino a me. Qui si sta parlando del tuo futuro, Susan. Queste sono occasioni che capitano una volta nella vita. Non vorrei proprio che tu fossi costretta a lavorare come tua madre, è ingiusto. E non lo vuole nemmeno lei»
Susan s’indignò sentendo parlare la zia in quel modo. «La mamma si sta dando da fare per permetterci di vivere bene! Se potessi, l’aiuterei!»
«Lo so, non ti arrabbiare. Tuttavia, sei troppo giovane per lavorare, dico bene?»
Susan abbassò lo sguardo, sconfitta, e annuì.
«E quindi non pensi che i tuoi genitori sarebbero orgogliosi di te se riuscissi a costruirti un futuro solido e sicuro? Questa festa potrà sembrarti solo una sciocca frivolezza, ma è il primo passo. Le amicizie che ti farai- perché arriveranno- ti aiuteranno sulla strada del successo. E quando sarai una donna adulta e sposata con un brav’uomo che non ti farà mai mancare niente, allora ripenserai alle mie parole di oggi, e capirai che avevo ragione. E anche tu sarai fiera di te stessa»
La zia prese la nipote per le spalle e la fece voltare verso la vetrina del negozio così che vi si potesse specchiare. «Guardati. Sei bellissima. Ti manca solo un po’ più di sicurezza. Solo pochi giorni fa eri una comune ragazza di periferia, e adesso…»
Se Alberta continuò a parlare, Susan non se ne accorse. Si osservò attentamente  e non si riconobbe: i capelli le scendevano in boccoli lungo le spalle e oltre, il viso era truccato (perché la zia aveva insistito che cominciasse a farlo quando uscivano).
D’un tratto, non seppe perché, le tornò in mente quel giorno di settembre, quando lei e i fratelli avevano saltato la scuola e avevano girovagato per Finchley. La sensazione che aveva provato da quando era arrivata a Cambridge era pressappoco la stessa. Si era sentita libera di fare quello che voleva, ma non era libera. Il discorso di Alberta le aveva aperto gli occhi. La zia e sua madre avevano già pianificato la sua vita, e senza nemmeno interpellarla.
Ancora una volta, Peter aveva avuto ragione: c’era stata una cospirazione bella e buona. A lui con Harold, probabilmente- molto probabilmente- stava accadendo la stessa cosa in quel preciso istante.
Li stavano cambiando. Li stavano allontanando.
Ma non era colpa della mamma. No, lei stava solo cercando di non far passare ai suoi figli quello che stava passando lei. Non era sbagliato, solo che lei non poteva sapere che i progetti dei suoi figli (anche se c’era la possibilità che non si avverassero mai) erano di tutt’altra natura, e non divenire un commerciante e una signora di buona famiglia.
E non aveva colpa nemmeno zia Alberta, perché nessuno sapeva di Narnia. Nessuno era a conoscenza della verità.
Susan invece sì. Sapeva qual era la cosa più importante da fare e lei aveva rischiato seriamente di rovinare tutto, perdendo tempo ad andare in giro per negozi, quando invece avrebbe dovuto restare vicino ai suoi fratelli e cercare di persuadere gli zii ad abbandonare la loro idea di prenderli sotto le loro ali protettrici. Avrebbe dovuto rifiutare con fermezza le uscite con Alberta, perché così aveva solo perso tempo e l’aveva fatto perdere anche agli altri.
Dovevano restare uniti. Dovevano tornare a Narnia.
«Susan, cara, perché sei diventata triste?»
«N-niente, zia. Possiamo tornare a casa?»
«Non sono neanche le dieci. Cosa c’è, non ti senti bene?»
Susan si strinse nel cappotto. «No, è solo che ho molto freddo. Vorrei davvero tornare a casa»
«Va bene» disse Alberta, un po’ delusa. «Manderò Lucy a fare la spesa. Andiamo pure»
 

Edmund entrò sbattendo la porta. «Io un giorno lo uccido!» esclamò furibondo.
«Che ha combinato adesso?» chiese Lucy in tono stanco.
«Continua a parlare, parlare, parlare! Non lo sopporto più. Lo preferivo quando faceva il voto del silenzio e ci ignorava»
«Ignoralo tu per primo e vedrai che alla fine si stancherà»
«Parli bene tu, hai la tu camera con Susan! Siamo io e Peter quelli costretti a dormire con il ragazzo più puzzolente del mondo!»
«Gli dai un incentivo a provocarti se continui così»
«E che dovrei fare? Stare a guardarlo mentre mi fa diventare pazzo?»
«Ma perché non è andato a scuola, stamani?»
«E io che ne so!» sbottò Edmund sedendosi sul letto della sorella accanto a lei. «Che fai?»
«Scrivo a mamma. Oh, non te l’ho detto. E’ arrivata una sua lettera. Tieni». Lucy porse la missiva la fratello che cominciò a leggerla.
«Vorrei tanto tornare presto a casa» disse Ed.
«Tutti vorremmo»
«Di quale casa parlate?» disse una voce da dietro la porta.
Ovviamente era Eustace.
Aveva detto così perché aveva sentito parlare i Pevensie di un altro luogo che chiamavano casa, e cioè la loro terra immaginaria di Narnia (perché di questo si trattava, o almeno era quello di cui il cugino era convinto).
«Si bussa prima di entrare nelle stanze altrui» disse Edmund tirando il cuscino contro Eustace, che però chiuse la porta in tempo e il guanciale andò a sbattervi contro, ricadendo poi a terra con un rumore soffocato.
Lucy si alzò per prenderlo e lo rimise a posto. Poi si spostò verso lo specchio appeso alla parete e si riavviò i capelli dietro l’orecchio, pensierosa.
«Ed?»
«Mh?»
«Secondo te, io ricordo Susan?»
Edmund distolse gli occhi dal foglio e guardò la sorella. «Non dirmi che si ancora arrabbiata per quella faccenda?»
«Quale faccenda?» Lucy lo guardò di sottecchi.
«Quella della festa»
Lucy non rispose.
«Non ti piacerebbe Lu, dammi retta. In fondo non c’è nulla di così emozionante» riprese Edmund, posando poi la lettera e stendendosi sul letto con le mani dietro la nuca.
«Zia Alberta continua a dire il contrario» rimbeccò Lucy. «Sembra che si divertano un sacco quando escono a fare compere, e che incontrino un mare di gente interessante»
«Non crederci. Saranno tutti noiosi e altezzosi come tutti quelli che conoscono. Spero solo che Susan non si faccia coinvolgere troppo. E nemmeno Peter»
Calò il silenzio, che venne riempito ancora una vota dalla voce di Eustace.
«Bè? Siete diventati muti? Che c’è? Oggi non parlate delle vostre scemenze?»
«Ignoralo, Lu, forse se ne andrà» mormorò Edmund in quello che però fu un tono ben udibile alle orecchie del cugino, che molto offeso entrò nella stanza una volta per tutte. Gironzolò qua e là, insultandosi per cinque minuti buoni con Edmund.
Lucy invece, si voltò verso un quadro che stava appeso alla parete di fronte al suo letto. Era uno dei pochi ornamenti della cameretta, ma a lei piaceva tanto guardarlo. Raffigurava una nave a vele spiegate che filava dritta contro all’osservatore. Aveva una sola vela color porpora; la prua color oro, aveva la testa di drago con le fauci spalancate e le fiancate della nave venivano abbracciate dalle ali del drago. Il veliero sembrava volare sulla cresta di un’onda gigantesca, spinto in alto dalla forza del mare verde e azzurro. Si era soffermata a fissarlo molte altre volte e, proprio la sera prima, con solo la luce della lampada sul comodino ad illuminare la stanza, le era parso quasi che le onde si muovessero, ma forse se l’era immaginato. Il fatto era che quel quadro le ricordava tanto un paesaggio di Narnia. Non poteva farci niente.
«Edmund, hai visto che bello questo quadro?»
«Sì, l’avevo già notato» disse lui alzandosi e raggiungendola accanto alla parete.
«Sembra una nave di Narnia, vero?».
«Oh, no, ancora!» esclamò Eustace.
«Taci un po’, tu!» sbottò Edmund. Poi si rivoltò. «Certo che però, guardare un veliero di Narnia dentro questa stanza, è un po’ deprimente, non trovi?»
«Bè, guardare è sempre meglio di niente» rispose Lucy.
«Voi siete tutti matti, sissignore. Matti da legare» cantilenò Eustace.
Fratello e sorella si scambiarono un’occhiata a dir poco esasperata.
«Eustace?» lo chiamò Edmund, voltandosi. «Non hai niente da fare oggi?»
«No. Non devo andare a scuola, c’è sciopero»
A un certo punto, Lucy sentì Edmund esclamare: «Ehi, che diamine stai facendo?!» e quando la ragazza si voltò, vide il fratello che cercava di allontanare Eustace dal comodino di Susan.
«Stavo solo curiosando» si giustificò il cugino.
«E’ roba di mia sorella, lasciala subito!»
«Questo cos’è? Ha una forma bizzarra». Eustace non aveva ascoltato, ed era andato avanti imperterrito a frugare tra le cose delle ragazze.
Lucy e Edmund spalancarono gli occhi e osservarono ciò che loro cugino teneva ora in mano.
Di solito, Susan teneva chiuso a chiave il cassetto del comodino (e lo stesso facevano gli altri) proprio per evitare che Eustace ficcanasasse tra i loro oggetti personali. Evidentemente, quel giorno si era dimenticata di chiuderlo, oppure…poteva essere che…
I due Pevensie erano sicurissimi di aver visto la sorella maggiore chiudere il cassetto a chiave la sera prima, e non aprirlo affatto quella mattina. Però adesso era aperto. Com’era possibile?
Che sia un segno? pensò una speranzosa Lucy. Che sia opera della magia?
«Allora? Che cos’è?» chiese nuovamente Eustace.
«N-niente che ti riguardi. Rimettilo a posto». Edmund si avvicinò e gli strappò dalle mani il corno d’avorio.
Lucy non poté assistere al litigio che ne seguì, perché fu distratta da una sferzata di aria fresca proveniente da…ma sì! Proprio dal quadro del veliero!
«Edmund! Il dipinto!»
«Ridammelo, ho detto!»
«Voglio solo suonarlo, che male c’è? E’ un corno da caccia?» il cugino se lo portò alle labbra e ne uscì una mezza nota, perché Ed glielo strappò di mano.
«Eustace, lascialo subito!»
«Edmund, guarda! Si muove!»
Non seppero nemmeno loro come successe. Seppero solo che nella confusione generale, all’improvviso dal quadro cominciò a uscire un rivolo d’acqua, poi seguito da un altro più copioso e un altro ancora.
«Ma che succede?!» urlò Eustace. «Basta, finitela!»
«Non siamo noi» si giustificò Ed.
Ormai l’acqua entrava a scrosci nella stanza e le onde del mare li spruzzavano di spuma fredda.
«Non mi piace questa storia! Se è un altro dei vostri scherzi, giuro che…!»
«Non è uno scherzo» disse Lucy, che non poteva fare a meno di sorridere anche se un po’ aveva timore di quel che sarebbe successo se l’acqua- che ora arrivava alle ginocchia- non avesse smesso di riversarsi nella camera.
«Adesso lo distruggo quel quadro!» urlò Eustace in preda al panico.
«NO!» gridarono in coro i Pevensie.
Troppo tardi. Eustace l’aveva già afferrato e tolto dalla parete, con il risultato che tutti e tre si bagnarono completamente. Adesso i loro piedi non toccavano più il pavimento, erano costretti a nuotare.
«Se affoghiamo, io vi uccido!» gridò il cugino, con l’acqua salata che gli entrava in bocca.
Lucy si voltò a guardare la nave. Era enorme, sempre più grande, finché un’onda gigantesca li travolse.
In quel momento suonarono le dieci.


Peter e Susan si incontrarono davanti a casa. La zia aveva chiamato un taxi perché le sembrava che la nipote non stesse bene.
«Vai di sopra a stenderti, cara»
«Sì, sarà meglio»
«Stai male?» chiese Peter preoccupato.
«No» sussurrò pianissimo Susan. «Sono solo stufa»
Lui le sorrise. «Allora siamo in due. Vieni, ti racconto tutto»
I due fratelli salirono le scale, mentre la zia rimaneva al piano di sotto.
«Ah, Peter, mandami giù Lucy, per piacere» furono le ultime parole che udirono prima che il ragazzo aprì la porta della stanza delle sorelle.
«Va ben...Ma che cosa…?!» fece Peter, non appena abbassò la maniglia.
Susan gridò e fece un passo indietro afferrandosi al braccio del fratello.
L’acqua li travolse come una cascata, bagnandoli da capo a piedi (se la zia avesse visto in che stato era ora Susan- abito nuovo, trucco e capelli- sarebbe morta di paralisi!).
Come Alberta non si accorse di nulla, fu un vero mistero, anche perché un’onda anomala si era appena riversata giù per le scale inondandole la casa. Fatto sta che Peter e Susan si precipitarono nella camera, dove l’acqua fuoriusciva ancora in piccoli rivoletti dal quadro del veliero appeso alla parete.
Si riusciva a muoversi adesso, perché il mare si stava pian piano ritirando di nuovo nella tela.
«Peter, ma che cosa è successo?»
«Non lo so, ma c’è puzza di magia»
«Oh!» esclamò forte Susan. «Guarda!». Si precipitò verso il suo comodino, accanto al quale, per terra, giaceva il suo corno d’avorio.
I due fratelli si guardarono e ad entrambi passò per la testa la stessa identica idea.
«Credi che…» cominciò Susan.
«Lo abbiano suonato?» concluse Peter.
Lei annuì.
«No, non senza di noi. Per quanto volessero tornare, non lo avrebbero mai fatto senza aspettarci. Ci siamo fatti una promessa. O tutti o nessuno»
«Allora, può darsi che Aslan li abbia chiamati. Forse Narnia è in pericolo»
Peter guardò la sorella senza sapere cosa aggiungere e all’improvviso si accorse che fuori, da qualche parte, suonavano le campane di una chiesa.
«Le dieci» e i suoi occhi azzurri brillarono di quella luce di cui solo gli occhi di un re brillano.
«La magia non è ancora terminata. Suona il corno Susan. Adesso! Se Narnia è in pericolo, io voglio esserci. Suonalo!»
L’espressione di tristezza che aveva accompagnato lo sguardo di Susan per tutto quel tempo, svanì all’istante. Il suo viso brillò di determinazione e poi, senza esitare un solo secondo in più, si portò il corno alle labbra e soffiò con tutte le sue forze.
Aslan, ascoltaci, ti prego! gridò la ragazza dentro di sé, quasi disperatamente. Vogliamo tornare! Vogliamo raggiungere Lucy e Edmund. Voglio rivedere Caspian!
Le campane smisero di suonare. Ancora una volta non accadde nulla.
«No…»
I secondi passarono interminabili e poi, finalmente…
«Susan, il quadro!» la chiamò Peter.
Tutti  e due concentrarono la loro attenzione sul veliero. La sua figura non era più nitida come prima, perché l’acqua continuava a incresparla e la nave stessa era diventata più grande e si muoveva.
Per la seconda volta, il mare travolse la stanzetta, e anche Susan e Peter si ritrovarono presto a nuotare e cercare di non venire travolti dalla furia dell’oceano.
In un secondo, la stanza sparì completamente. Erano sott’acqua.

 
 
 



Eeeeeeeeeeeee ci siamo!!!!!!!!!!!!!! Sono tutti dentro al quadro! Yayyyyyy!!!!!!!!!!!!
Ladies and Gentleman, adesso comincia la VERA avventura. Un nuovo “Viaggio del Veliero” tutto diverso, anche se la storia di base è la stessa, il viaggio manterrà l’itinerario consueto eccetera eccetera. Soprattutto perché Caspian e Susan si rincontreranno presto…eh eh eh…<3
Vi ho fatto aspettare un po’ per questo capitolo, ma sono sempre incasinatissima, comunque spero che l’attesa sia stata ripagata.
Bene, passiamo ai ringraziamenti sempre obbligatori perché il vostro sostegno per me è davvero importante:

Per le seguite: Babygiulietta,  CaspiansLover, FrancyNike93, GossipGirl88, IwillN3v3rbEam3moRy, JLullaby, piumetta, Poska, Serena VdW  e
SweetSmile  
 
Per le preferite: piumetta (santa subito! Non sai quanto sono contenta!!! Grazie!)
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: IwillN3v3rbEam3moRy, piumetta, Serena VdW e tinny
 
Se ci sono errori, come al solito, ditemelo che li correggo.
Vi  adoro tutte quante, un bacio gigantesco!
vostra Susan^^

   
 
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