Accordo
“Adesso faccio il
pianista”, gli aveva detto Wright con le
mani in tasca alla felpa e un vago sorriso.
Edgeworth era rimasto colpito da quelle parole.
Aveva studiato pianoforte, dunque?
Sapeva suonare bene quanto –un tempo- faceva bene
l’avvocato?
Wright era cambiato molto in quei sette anni.
Ora aveva della barba che affiorava appena dal mento e
indossava un ridicolo cappello azzurro con la scritta
“Papà”. In più era pacato
e serio. Un tempo, invece, gli avrebbe confessato che faceva il
pianista con
una mano dietro la nuca e un sorriso imbarazzato.
Edgeworth era andato a vederlo nel
locale in cui suonava.
Eccolo lì, il pianista, l’ex avvocato: Phoenix
Wright era
finito così per vivere.
Ascoltò con attenzione la melodia da lui prodotta, amante
com’era della musica classica.
Ma qualcosa non andava… perché sbagliava un
accordo dopo
l’altro?!
Ne rimase esterrefatto e sospirò: no, non sapeva affatto
suonare!
Hai stonato continuamente e sbagliato accordi su accordi.”
L’esibizione era finita da un pezzo.
A quelle parole, il ‘pianista’ accennò
un sorriso e chinò un
poco il capo.
“Così te ne sei accorto, eh, Edgeworth?”
Quando rivolse gli occhi a lui, fece una breve risata: “Mi
fa piacere vedere che almeno tu non sia cambiato.
Come non è cambiato il tuo lavoro e, soprattutto, la nostra
musica.”
“La nostra musica… ?!”
“Il nostro ‘accordo’. E’ una
nota prolungata, ma che non ha
mai stonato fin dal tempo delle elementari”.
Ora parlava anche ad enigmi?!
Tutto ciò che il procuratore riuscì a pensare fu:
‘E’
un’altra persona’.
Ma quando Wright gli posò un bacio sulle labbra (casto,
pulito, gradevole), dicendo:
“Vediamo
di tenere ancora viva questa sintonia”… Beh, in
quel momento la sua mente
riformulò: ‘Sembra
un’altra persona’.