I suoi occhi cremisi erano sbarrati dal terrore e le lacrime non tardarono ad arrivare.
Si sentiva male. Terribilmente male: fitte di dolore la trapassavano ovunque, facendole stringere i denti per non urlare.
Ripensò al sogno.
Un fratello. Lei aveva un fratello di cui aveva ignorato per tutta la vita l’esistenza.
Una nuova lacrima rossa le macchiò il volto.
Perché sua madre non glie ne aveva mai parlato?
Perché non si ricordava di lui?!
Sentì improvvisamente la schiena bruciarle, proprio lì dove la lunga cicatrice grigiastra si era andata a disegnare molti secoli prima: le percorreva tutta la schiena, in maniera irregolare, e sulle spalle si andavano a creare tante altre piccole cicatrici, come i rami di un albero spoglio che si innalzano al cielo.
Quella cicatrice che lei stessa ignorava il modo in cui se l’era procurata.
Con l’avambraccio scansò il coperchio della sua bara e velocemente uscì, poiché il bruciore lungo la schiena era diventato veramente insopportabile.
Solo in quel momento Maeko si accorse che tra le mani stringeva convulsamente ancora il grosso rubino e l’elsa, ormai inutile, della sua spada.
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- Non avrai esagerato? Da quel che so era molto affezionata alla sua spada. –- Era la spada di mia madre, non credere che non sia dispiaciuto. Purtroppo era l’unico modo per farla ragionare. –
Grell e il piccolo Hikaru vagavano per le vie quasi del tutto deserte della città.
Lo shinigami era in tenuta standard, vestito tutto orgoglioso con il suo amato rosso: i suoi capelli erano liberi da quella odiata parrucca e allegramente venivano scompigliati dalla leggera brezza mattutina.
- Ti ricordo che era indispensabile distruggere quell’arma. -, disse infine il bambino con calma.
Il rosso mugugnò qualcosa con aria seria. Dopo qualche metro si fermò davanti ad un’insegna nera: sembrava alquanto scadente e recitava a caratteri semplici e cubitali “UNDERTAKER”
- Siamo arrivati. -, disse mentre si avvicinava alla porta laccata di nero.
- Mi hai portato in un’impresa funebre?! -, si lamentò Hikaru.
Lo shinigami si girò verso il bambino e sorrise, mettendo in mostra i denti aguzzi.
- Aspetta e vedrai. –
Detto questo entrò nel lugubre locale.
*****
Si levò la maglia nera e cominciò a tastarsi la cicatrice, cercando di capire cosa le procurasse tutto quel bruciore anomalo.Erano le sei del mattino, di sicuro Andrè già stava lavorando per le stanze dell’enorme villa; eppure si convinse mentalmente che avrebbe potuto cavarsela da sola.
Di sicuro non avrebbe mai chiesto aiuto al vampiro in rosso, ne era certa.
“Perché sento che allora me ne pentirò?”, si chiese mentalmente. Si avviò verso la credenza e, dopo aver passato il dito lungo diversi barattoli di creme e boccette di unguenti dai colori strani e bizzarri, si fermò, con aria convinta, su una ampolla, sicura che le sarebbe stata utile: il liquido al suo interno era di un verde militare cupo e pareva essere molto untuoso.
Maeko sospirò: si era sempre chiesta se quelle sottospecie di intrugli funzionavano ancora su di lei.
Dopotutto ora era una Non – morta.
- Certo, prima non mi aiutavano un granché. . . Le preparavo principalmente per gli altri. -
In effetti non ne aveva mai eccessivamente avuto bisogno: se si feriva gravemente, in pericolo di morte per qualunque umano, lei in meno di due giorni grazie alla sua capacità rigenerativa era pronta a massacrare il bastardo che aveva inferito sul suo corpo.
Prese tra le lunghe dita pallide la piccola ampolla e con aria sicura le tolse il tappo di sughero che la sigillava.
Si pentì amaramente di quello che aveva appena fatto: una volta tolto il sigillo un odore nauseabondo impregnò l’aria, dandole il voltastomaco.
Si dovette sedette sulla sua bara per non svenire dalla cosiddetta puzza.
- Se questo è l’odore non immagino il sapore! -, disse tappandosi il naso.
Con che coraggio poteva bere quella schifezza che lei stessa aveva preparato?
All’improvviso due mani gelide si posarono violentemente sulle sue spalle nude, facendole strappare un piccolo urlo per lo spavento.