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Autore: Kisuke94    21/11/2012    2 recensioni
Ecco a voi un'altra storia originale, scritta dal sottoscritto. Alcuni argomenti trattati in essa sono un pochetto maturi, ma non mancheranno le risate, tranquilli. La storia vuole essere più reale possibile, nonostante sia fantasy, come, per esempio, in location, dialoghi e personaggi. Ora vi chiederete qual'è l'elemento fantasy, leggete e scopritelo ;)
Cosa succederebbe se a quattro ragazzi come tanti venissero dati dei poteri "Apocalittici"? Leggete e vedrete ;)
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VIII CAPITOLO

Il traffico a quell’ora di notte era pressoché assente, cosa strana in piena estate. Le poche auto che c’erano tendevano a rallentare al passaggio del bolide nero, visibile unicamente grazie ai due fari allo xeno posti sul cofano anteriore. I vetri rigorosamente neri a nascondere i due nell’abitacolo. Per l’alta velocità sostenuta dal veicolo, Shin fu costretto a mantenersi con la mano destra alla maniglia superiore, sopra il vetro. La testa, come il resto del corpo, era rigidamente posata al sedile, e ogni azione risultava forzata e difficilmente attuabile. Alla sua sinistra vi era chi fino a poco prima chiamava maestro; ne conosceva il nome ma lo rispettava al punto di non nominarlo mai. In quel momento però, in una sede decisamente separata da quella del dojo, non sapeva se usare il vero nome o quello a cui era sempre stato abituato. La situazione era più che mai stressante: perché il maestro lo aveva salvato? Perché si trovava in quell’auto con lui, al suo fianco? Perché non riusciva a togliersi di mente l’immagine del maestro che estingue le fiamme che, senza rigor di logica, si erano materializzate sul pugno di quel sicario mandato da dio solo sa’ chi per catturarlo?

Con la coda dell’occhio il maestro di Shin - fino a quel momento -, notò la tensione che percorreva il giovane seduto di fianco a lui. Notò le goccioline di sudore che lentamente gli colavano dalla radice dei capelli castani. Le contrazioni dei nervi appena sotto gli occhi, il veloce e ripetuto movimento delle palpebre; l’agitazione che traspariva dal corpo del ragazzo era alta, ma non preoccupante. Non ancora. Con uno scatto repentino, la mano destra del maestro colpì violentemente la leva del cambio, per inserire  l’ultima marcia offerta dalla vettura, e in quel preciso momento Shin trasalì, a causa della mossa inaspettata del guidatore.

-Maledizione, dovevo prendere l’altra auto… almeno i comandi erano al volante!-

Disse con un sorriso, subito dopo, vedendo il volto di Shin sbiancarsi di colpo. Il sorriso mostrò una dentatura quasi perfetta e decisamente lucente. L’uomo, che non dimostrava per niente i suoi anni, era molto curato, dal vestiario all’auto; questa era pulita e rifinita in ogni particolare, nulla le mancava… se non i comandi al volante.

-Scusi? Non la seguivo!-

Rispose Shin dandosi un colpetto in viso, incredulo di quella situazione incresciosa. Aveva dimostrato mancanza di concentrazione, spaventandosi a un gesto che poteva benissimo prevedere. Cercò di scacciare dalla mente i fatti accaduti poche ore prima, dalla strage nel pub fino allo scontro violento con quei due esecutori. Sfortunatamente, per quanto ci stesse riuscendo, la sua attenzione fu richiamata proprio a quei frangenti dalla domanda che il maestro gli propinò subito dopo.

-Niente, parlavo tra me e me, non farci caso. Piuttosto, quando stavi combattendo… che sensazione provavi?-

Domandò in modo alquanto schietto il maestro, seguendo con la cosa dell’occhio la possibile espressione che il ragazzo avrebbe fatto; senza, però, giustificare le sue conoscenze riguardo ciò che era accaduto. Già il fatto che era riuscito a trovare il ragazzo era sospetto, e Shin stava iniziando a dubitare, seppur solo in un angolo remoto del suo inconscio, del suo maestro. Egli ci pensò, portò la mano sinistra al mento e strofinò il pollice lungo il labbro inferiore, ricordava non molto delle sensazioni provate in quel momento, poi, un sussulto. Immagini frammentate di un oceano sconfinato, bolle d’aria che si moltiplicavano nel blu dei mari, un suono tamponato, tipico di chiunque sia immerso in acqua, e, naturalmente, lucidità visiva. Ora ricordava, provava una singola sensazione mentre combatteva contro i suoi avversari.

-Non so spiegarmi bene in che modo, ma… era come fossi immerso in un oceano azzurro. Non vi erano pesci o altri esseri marini….Ero solo, circondato dall’acqua e dalle bolle che fuoriuscivano dalle mie narici. Non sentivo soffocamento, quasi come se fossi io stesso un essere acquatico… ha presente, branchie e tutto!-

Disse Shin agitando la mano intorno al collo descrivendo ciò che ricordava, in base a quei veloci flash che gli inondarono la mente. Nella descrizione fu attento a tenere le giuste pause, in modo da generare una certa tensione, cercando, inoltre, l’attenzione del suo maestro aspettandosi, come un bambino, un’approvazione per qualcosa di non ancor ben definito. Senza distogliere lo sguardo dalla strada, si limitò ad annuire, inarcando leggermente le labbra in una smorfia che sapeva tanto di vittoria.

-Il Nirvana!-

Esclamò lui, senza aggiungere altro, superando un gruppo di auto relativamente lento. Parlava e guidava ad alta velocità, concentrato sia su ciò che aveva davanti a se, che prontamente si spostava per lasciarlo passare, sia su ciò che il ragazzo stava dicendo, pur non vedendolo in volto a causa della scarsa luce.

-Cosa?- si domandò Shin quasi in un sussurro udito bene dal maestro che, prontamente, si accinse a chiarire.

-Ma certo. La pace interiore, o dello spirito, che dir si voglia. I monaci Buddisti ne sono da sempre alla ricerca. È sorprendente che un ragazzo comune come te parli di tali sensazioni.. soprattutto considerando il momento in cui esse si sono manifestate. Sai non stavi proprio “discutendo pacificamente”-

Disse ancora una volta col sorriso sul volto. Il tono poteva sembrare ironico sì, ma solo per mascherare quella serietà che, a poco a poco, aveva riempito l’auto fino a quel momento. Entrambi erano soliti avere atteggiamenti sereni e solari ma in quella notte, in quella vettura, i loro volti avevano un ché di oscuro e tetro. Shin era attanagliato da pensieri cupi e marci, il suo maestro cercava di trovare un nesso logico tra le azioni del suo allievo e le intenzioni dei sicari che Lui aveva inviato. Muovere due mercenari di quel calibro per un solo ragazzo gli sembrava esagerato ma, appena lo pensò, si corresse, avendo riesaminato velocemente la situazione che si trovò di fronte quando raggiunse il vicolo. Shin stava combattendo alla pari con quei due, forse in un singolo avrebbe potuto… scosse subito la testa, di nuovo, ripensando al fatto che loro stavano unicamente analizzando le possibilità favorevoli a Shin; non stavano combattendo, rispondevano solo meccanicamente alle azioni del giovane. Dopotutto un loro simile aveva distrutto un intero distretto la notte prima; era sicuro che le cose erano collegate in un certo qual senso. Adesso però aveva un unico obiettivo in mente: portare Shin verso la fonte dell’esplosione avvenuta a Kōchi. Sapeva di poter trovare qualche risposta li, e lì stava andando.

-Il Nirvana dice…-

Aggiunse Shin abbassando il tono della voce così come lo sguardo. Sospirò e si voltò a scorgere lo scenario fuori dal finestrino.

–Forse è come dice lei. La sensazione di solitudine, di pace, era come eterna, credo di non essermi mai sentito veramente così, nonostante molte volte mi sia immerso nelle acque gelide dell’oceano, in completa solitudine...- Cercò di distrarsi posando la sua attenzione alle auto che gli passarono di fianco, cercando di distinguere quanti più dettagli possibili, mettendo alla prova la sua vista. . Gli occhi gli lacrimarono all’istante così li chiuse per qualche secondo sospirando ancora.

-Adesso dove siamo diretti?- domandò poi, cercando di capirlo da sé guardando fuori, senza però riuscirci; l’oscurità assorbiva tutto e poco potevano le luci dei lampioni che seguivano simmetricamente la strada.

-Nel distretto di Kōchi, e dobbiamo anche affrettarci-

Rispose spingendo al massimo l’acceleratore, non curante dei limitatori posti in posizioni strategiche lungo la strada. Shin riuscì a notare, nel momento in cui il maestro gli rispose, il cartello che segnalava l’uscita verso quel distretto a pochi kilometri dalla loro posizione. Era rilassato, sicuro che la serata non poteva che farsi più interessante da quel momento in poi. Le ansie e i terrori lo avevano, improvvisamente, abbandonato, lasciando spazio al vecchio e caro Shin, il ragazzo semplice e gentile che era stato fino a qualche giorno prima. Ma nelle profondità del suo animo, avvolto nelle oscurità più buie, albergava un essere enorme, seduto a gambe e braccia incrociate -alto ben due metri in quella posizione- apparentemente in dormiveglia con una katana sottile e incredibilmente lunga poggiata sul braccio destro, che seguiva tutto il corpo fino a perdersi nell’oscurità. Quando l’auto prese l’uscita per Kōchi, quell’essere aprì un occhio: una pupilla gialla contornata da un rosso purpureo, e un’iride sottilissima, simile a quella dei gatti.

 
Mentre i due in auto erano sempre più vicini al luogo dell’esplosione, Aaron continuava a fissare la città dall’alto dell’elicottero. Era la prima volta che sorvolava il Paese e l’idea di avere sotto i piedi una marmaglia di manichini guidati dal volere di regole imposte da qualcun’altro lo disgustava. Avrebbe deliberatamente schiacciato ogni singolo uomo che, senza esitazione, seguiva quelle legg;, come faceva l’uomo a permettere ad un altro uomo di calpestare la sua dignità? Aaron si era sempre posto questa domanda senza però attingere alcuna risposta, plausibile. Lui non aveva mai accettato tali regole, viveva come un reietto, un outsider, convincendosi che in quel modo non sarebbe stato soggetto a tali leggi, ritrovandosi suo malgrado nel sistema; nonostante tutto. Il processo che lo vedeva protagonista era rinviato periodicamente, quasi a voler indicare che egli dovesse rimanere imprigionato in quel circolo giuridico per sempre. I legali a lui affidati cambiavano a ogni rinvio, egli stesso, spontaneamente, chiedeva la loro sostituzione pensando che fossero loro il problema, avrebbe desiderato difendersi da solo piuttosto che seguire le direttive di essere infimi come gli avvocati d’ufficio.
Aaron distolse i pensieri da quel caso e pose maggior attenzione alle notizie che udiva attraverso le cuffie che portava in capo. Avvicinò con la mano destra una cuffia più vicino all’orecchio, le eliche creavano un ronzio fastidioso e rendevano poco comprensibili le notizie in merito all’esplosione. Bastò poco. Le parole non servivano più, il calore era palpabile, le guance si colorarono di un rosso acceso sfumato da venature giallo-arancio. L’elicottero era arrivato con netto anticipo sul luogo dell’incidente, ove parte dell’edificio, l’ospedale in cui era ricoverato anche Oliver, era in fiamme, specialmente sulla facciata anteriore in corrispondenza di due camere molto vicine, di cui si potevano benissimo distinguere gli interni, in fiamme, siccome le vetrate di entrambe le camere non esistevano più. Aaron commentò lo scenario con una singola smorfia, i soccorsi, come si poteva immaginare, non erano all’altezza del compito di domare le fiamme, ed erano intenti a fissare le due sagome che si stavano fissando sul terrazzo dell’edificio.

-*Ma che hanno da guardare! Svolgessero il loro lavoro invece che oziare.. stupidi umani!*- affermò, tra sé e sé, il ragazzo, sfilandosi velocemente le cuffie e dirigendosi sul retro dell’elicottero.

-Io scendo!- disse in fine, gridando con tutte le forze.

-È inutile che ti dica che è pericoloso, vero?-

Gridò forte, in risposta, il cameraman, spostandosi una cuffia dall’orecchio per comprendere meglio una possibile risposta. Sfortunatamente il ragazzo già non c’era più, aveva fretta di conoscere l’origine del fastidio che aumentava sempre più con l’avvicinarsi all’edificio. L’uomo alla guida dell’elicottero, nel girarsi, notò una scia di sangue che seguiva fino al sedile dove era seduto Aaron, strinse gli occhi sospirando, pregando che il ragazzo non facesse qualche sciocchezza, date le sue precarie condizioni fisiche.
 
Aaron atterrò rigido sul malto d’asfalto del parcheggio anteriore all’ospedale. Di fronte a lui l’enorme edificio, dai colori rinnovati da quel fuoco che dominava l’intera facciata. Alla sua destra, la rampa che portava direttamente al pronto soccorso. Nel garage, aperto, ambulanze che, ironicamente, non erano in grado di soccorrere nessuno, in quel momento. Mentre con lo sguardo Aaron analizzava il luogo, una grossa auto nera, fari allo xeno e due figure scure al suo interno, raggiunse l’ospedale fermandosi proprio alle spalle del ragazzo, che vide la sua ombra materializzarsi davanti a se, ombra che mostrava anche un lento e inesorabile gocciolio di sangue dalla mano destra, la cui manica era ormai inesistente. I due nell’auto scesero senza spegnere il motore. Aaron non mosse lo sguardo, non si pose domande, sapeva che nessun sano di mente andrebbe in quel luogo se non fosse delle forze dell’ordine, cosa che sicuramente i due arrivati non erano. Notò che erano di altezza e corporatura molto diversa e azzardò l’ipotesi che avessero età differenti. Incuriosito, cercò di scorgere con la coda dell’occhio qualche tratto dei due, quando, inaspettatamente, uno di loro si avvicinò con sfrontatezza.

-Non è un gran bel spettacolo, vero?- disse questi con tono ironico, portando entrambi i pugni ai rispettivi fianchi.

-Inutile chiederti perché sei qui?... Posso darti del tu, spero!- continuò a domandare, inarcando le labbra in un sorriso privo di allegria.

-Mi sa che non sei un tipo molto socievole, o erro? Comunque piacere, Shin’ichi! So che non è un buon momento ma in caso di emergenza devo sapere chi ho salvato!- aggiunse, irritando Aaron che oscillò il capo in segno di noncuranza, voltandosi verso Shin con uno sguardo di sufficienza.

-Il mio nome è Aaron, e sono qui per quella cosa che si trova sopra l’edificio. E.. no, non puoi darmi del tu!- rispose freddo e rapido il ragazzo, voltandosi verso l’edifico scrutandone i lineamenti. Strinse con forza il pugno che perse sempre più sangue, macchiando l’asfalto sotto di lui.

-Ma tu sanguini?-

Domandò prontamente Shin spostandosi di lato per vedere meglio la ferita. Non fece in tempo a muoversi che con un ordine fermo Aaron lo invitò a correre verso il tetto dell’edificio. Il ragazzo fui il primo a sparire all’interno delle porte girevoli del piano terra, seguito dopo pochi secondi da Shin che, una volta dentro, ne perse le tracce. Le luci erano, incredibilmente, ancora accese, ma Shin decise comunque di scegliere le scale anti incendio. Poco prima di spingere sulla leva metallica della porta sulla quale era affisso il segnale verde, il ragazzo scrutò i due ascensori che si fiancheggiavano, e notò che su uno dei due le spie dei piani si accendevano una dopo l’altra. Diede più forza e la porta si spalancò. A due a due salì le scale cercando di arrivare in fretta e furia sul terrazzo, pensò al motivo per cui quel tale, Aaron, si trovasse lì, e come avesse fatto a capire che, in quel momento, qualcosa stava accadendo. Si chiese come mai il maestro non li avesse ancora raggiunti, evitando poi di pensarci. Si applicò alle scale e a cosa avrebbe visto aperta la porta superiore, quella che dava appunto sul terrazzo. Corse l’ultima rampa, inciampando per la fretta, restando in equilibrio per pura fortuna. Il cuore gli batteva più che mai, fino a quando non aprì la porta di ferro, leggermente arrugginita, corrosa dal tempo e dall’aria. Uscì, investito da un vento inaspettato, accecato da un faro che, tremante, illuminava l’intero tetto; con una mano in volto attese che gli occhi si riabituassero a quel livello di luce e sgranò gli occhi alla vista di una ragazzo in piedi, vestito unicamente  con un pigiama cosparso di orsacchiotti. Intorno a lui il pavimento era come consumato da secoli di corrosione, una sia più marcata partiva dai piedi del ragazzo fino a raggiungere il limite esterno dell’edificio. Quel colore verde scuro era familiare a Shin, lo aveva visto già altrove, sembrava un miscuglio di muschio, alghe, e altre sostanze rossastre, come ruggine; tutto lì sopra era corroso, dal pavimento al ferro della ringhiera.

Oliver tremava, nonostante Aaron, che era arrivato prima, gli aveva poggiato sulle spalle il suo giaccone. Quel tremore non era dovuto, però, al vento che spirava a quell’altezza, piuttosto da ciò che il ragazzo stava fissando da diversi minuti e che aveva lasciato titubante anche Aaron, appena lo vide.

Di fronte a Shin, Oliver e Aaron, poco distante dal parapetto, vi era una carcassa, in ginocchio, completamente putrida. Erano rimaste solo le ossa di ciò che prima poteva essere definito un uomo. Sulle ossa vi erano rimasti piccole rimanenze organiche, soprattutto lungo il torace, dove s’intravedeva qualcosa di nero e logoro assimilabile, un tempo, a un cuore. Sulla tempia pochi effimeri peli facevano pensare a una folta capigliatura che, fino a poche ore prima, l’uomo poteva aver avuto. Aaron analizzò bene la scena, non proprio esente da incongruenze. Quello scheletro era umano sì, ma non apparteneva alla figura che si trovava sul tetto, prima di passare a miglior vita. La cosa, o essenza, che era caduta in ginocchio aveva una corporatura di dimensioni molto più grosse di quella che lo scheletro poteva sorreggere, il che pose il punto di domanda a un pensiero che balenò nella mente del giovane. Com’era possibile una cosa simile?
Non era esperto di anatomia, ma aveva studiato affondo ogni libro di medicina anatomica che aveva nella libreria di casa, nulla di simile era mai saltato fuori nelle sue lunghe ricerche senza fine ultimo, se non la sete di conoscenza. Nei due solchi che dovevano esser stati causati dalle ginocchia della vittima quelle ossa entravano, esagerando, venti volte, quindi era più che improbabile l’incrocio delle due strutture ossee. Riferì quella e le altre stranezze ai due ragazzi che si trovavano alla sua destra. Oliver ancora terrorizzato, con le lacrime che non avevano paura di scorrere, e Shin completamente indifferente alla visione di quel “corpo”, preoccupato piuttosto per le condizioni di Oliver.

-L’ho notato anch’io..-

Disse senza incrociare il suo sguardo, Shin, poggiando un braccio sulle spalle di Oliver. –Sicuramente dopo di Lei, signor “sotuttoio”- aggiunse
poi, con una nota sprezzante nella voce. Era più che mai irritato dalla presenza di un ragazzo così attento ma anche così freddo. Certo aveva offerto la sua giacca al povero Oliver, ma di più non gli era importato e ciò a Shin dava fastidio.

-Ehi… siamo amici. Lo so che è il momento meno adatto, contando anche la confusione ma… cosa ricordi? Riesci a dirmi cos’è accaduto quassù, e chi era l’uomo che si trovava qui con te?- domandò amichevolmente Shin mentre altri uomini del servizio anti-incendio scardinarono la porta, che dava al terrazzo, con un calcio ben piazzato. Gli uomini si portarono subito attorno ai ragazzi, restando allibiti dalla carcassa che costeggiava il parapetto dell’ospedale.

-Ni-Ni-Niente… non mi ricordo niente!-

Disse, tremante e stordito, Oliver, aggrottando la fronte e facendo scorrere sempre più lacrime lungo il viso. Si rannicchiò sui piedi, scalzi, e portò le mani ai capelli, e con un unico movimento di labbra, quasi in un sussurro, chiese a qualcuno, di non ben identificato, di mandarli via. E in quel preciso istante, mentre Shin e Aaron si allontanarono lentamente da Oliver, la luce del faro che proveniva dall’elicottero iniziò a oscillare in modo confuso, insieme allo stesso velivolo che perse, con facilità, quota, andandosi a schiantare su un edificio limitrofo. Poco dopo dal punto in cui si trovava Oliver il suolo, con onde periodiche e perfettamente circolari, cambiò più volte colore: azzurrino, verde smeraldo, blu notte, rossastro, intrinseco di sfere di luce simili a stelle nel cielo più oscuro. E, a poco a poco, la consistenza stessa del palazzo iniziò a mutare.

   
 
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