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Autore: callmelola    21/11/2012    1 recensioni
Prima di lui, ero persa e insicura.
Poi lui aveva scavalcato quel muro che avevo eretto di fronte alle mie emozioni, abbattendolo pian piano, estorcendo un mattone dopo l'altro ed infine distruggendolo con un'energia mozzafiato.
Mi aveva trovato smarrita in quel buio addobbato di bei fronzoli, ma in cui mi sentivo sola e disorientata come non mai.
Persa ed insicura, mi aveva trovata.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Freno il motorino, accostandolo in un angolo.

Guardo l'ora sul display del telefono e l'improvvisa luce nel buio del cellulare mi acceca un istante.

Le 3 e un quarto.

Ecco perchè la strada è deserta.

Mi guardo ancora in giro, passandomi il dorso di una mano sulla guancia. Ho ancora gli zigomi bagnati, unti e freddi, sporcati da quel poco rimmel colato per le lacrime.

'Dovresti smettere di piangere, stupida' penso, tirando su gli occhi al cielo, come per frenare l'impulso di ricominciare a lacrimare.

Non ne vale la pena.

Non vale la pena piangere per un ragazzo, che mi ha lasciato senza troppe motivazioni.

'Per un ragazzo non vale la pena piangere, ma se quel ragazzo si chiama Louis allora sì'. La mia mente infierisce, pugnalando i miei sentimenti e quel barlume di lucidità che ho ancora in me.

Scuoto la testa, tentando di scacciare via voci nella mia mente e punire i miei pensieri dispettosi.

Mi odio, a morte, tanto, troppo.

Mi odio per non essere abbastanza per lui, per non essere un'altra, quella giusta.

Mi odio perchè nonostante abbia fatto ogni cosa per dargli tutta me stessa, l'ho fatto inutilmente.

-Siamo diversi, noi due.- aveva biascicato ad occhi bassi. -Tu meriti di meglio, sono un elemento problematico nella tua vita.-

Ma io la pensavo esattamente al contrario.

Sono io a non meritarlo.

La gente mi definisce perfetta solo perchè vivevo in un meraviglioso mondo patinato.

Ma dietro di me c'è tutt'altro.

Dietro di me ci sono le paure, e timori più oscuri.

Dietro di me ci sono la morte di una madre e un padre stacanovista che preferisce affogare nel lavoro pur di considerare la sua unica figlia orfana di un genitore. Sono stata abituata a crescere da sola, a impegnarmi e rimboccarmi le maniche solo con le mie forze, in compagnia di qualche amica che tanto vera non si è mai rivelata.

Da papà avevo sicuramente ereditato il suo animo laborioso: mi do da fare con la scuola, con lo sport, con i comitati scolastici.

Ma non lo faccio di certo per passione.

'Faith Winslet: rappresentante degli alunni, studentessa modello, capitano delle cheerleader e della squadra di pallavolo, figlia che ogni genitore desidererebbe'.

Sì, come no.

Dopotutto, sono molto simile a papà: voglio soffocare il sentirmi perennemente male e sbagliata soddisfacendo le aspettative degli altri, rendendomi bella agli occhi altrui, ma dentro di me mi sento tutt'altro che bene.

Posteggio bene a lato strada il mio trabiccolo e scendo dalla sella.

Mi volto verso il ponte che avevo appena superato.

'Sì' penso. 'Devi farlo. Abbi il coraggio almeno di questo gesto'.

Annuisco decisa, con i pugni stretti, così tanto, che sento dolere le mie nocche che sicuramente stanno diventando bianche dallo sforzo.

Mi dirigo verso il ponte di legno, a passi agili e lunghi, ma non troppo veloci.

Arrivata al punto più in alto, faccio per sporgermi e guardo in basso.

E' altissimo, 25 metri circa.

'Perfetto' dico a mente, cercando di auto-convincermi.

Fra qualche minuto, salirò sopra la ringhiera di quella struttura legnosa, in piedi, col vento freddo e odioso sulle mie guance ricoperte di lacrime; avrei fatto un passo nel vuoto, che mi avrebbe trascinato giù, dritta sul letto del fiume di pietre: e l'acqua poco bassa non sarebbe stata capace di attutire il tonfo del mio corpo sulle rocce.

E sarei morta sul colpo.

La mia ultima speranza sarà quella di morire sul colpo, così che almeno la tortura finisse senza troppa complicazione.

Appoggio le mani sul legno freddo, pronta a sollevarmi verso l'alto.

-Fermati Faith-
 

I found God on the corner of first of Amistad,

where the west was all but won

all alone, smoking his last cigarette

i said:'where you've been?', he said:'ask anything'


Il mio corpo frena di colpo, contraendosi verso l'interno.

Merda, chi mi ha scoperto?

Mi volto piano, verso la figura che intravedo alla mia destra.

-Non farlo-

E' buio, ma tanto quel azzurro opaco è iridescente nelle sue pupille anche nell'oscurità.

-Louis- dico, con un filo fragilissimo di voce.

Mi butto su di lui, ma fa un passo indietro ad occhi bassi.

Ritraggo indietro le mie braccia che cercano le sue, chiudendole sul mio petto.

-Chiedimi qualunque cosa, ma non avvicinarti. Potrei non reggere-

-Cosa ci fai qui?- gli chiedo, con la vista offuscata di lacrime.

-Evito che tu ti uccida- risponde, alzando il volume della sua voce.

Emetto quello che doveva essere un abbozzo di risatina sarcastica.

-E dove sei stato? Si può sapere?- domando, tornando seria e dura come prima.

-Lontano.-

Strozzo un singhiozzo, soffocando un pianto celato in gola.

-T-tu non hai risposto a nessuna delle mie chiamate, dei miei m-messaggi- balbetto, facendomi sempre più piccola.

-No, perchè ci siamo lasciati- risponde.

Aspira un ultimo tiro dalla sigaretta, allontana il mozzicone dalle labbra e osservandolo con attenzione, lo lancia giù verso il fiume.

-E allora come mai sei qui? Ci siamo lasciati, giusto? Lascia che viva la mia vita senza di te- grido, un po' per rabbia, un po' per coprire il costante rumore dell'acqua scrosciante sotto di noi. Lasciare che quelle parole escano dalla mia bocca è una vera scheggia nel cuore, un dolore che si dilata nelle arterie, fino ai polmoni per arrivare in cima su nella gola.

-Sono qui proprio perchè voglio che tu la viva la tua vita. Allontanati da quella ringhiera. Non puoi farla finita, cazzo, Faith- insorge, piuttosto su di giri.

Scuoto la testa, la bocca ridotta a una linea sottile inarcata verso il basso.

-Io sto male, malissimo, Louis. Faccio credere a tutti di essere la persona serena che in realtà non sono. Prima che arrivassi tu non l'avevo capito, mi limitavo a vivere ogni giorno sfinendomi di lavoro per non pensare alla me interiore. Poi sei entrato nella mia vita e... sì, finalmente ho capito cosa vuol dire star bene. A me non importa chi, cosa sei e quanto siamo diversi-

Lascio che una lacrima mi tagli la guancia a metà.

-Voglio soltanto stare con te- sussurro con un lamento roco.

Mi guarda fisso negli occhi, mentre s'acciglia scavandomi con lo sguardo, come se cercasse qualcosa dentro di me.

Non sopporto più quella situazione: o mi porta a casa con sé, confortandomi con un 'va tutto bene', o la voglia di buttarmi sempre più forte mi avrebbe trascinato giù sotto quel ponte.

-Non possiamo. Tu da sola, nonostante qualcosa ti sia andato storto, sei riuscita a tirarti su e diventare una bella, bellissima persona. Devi capirlo, Faith, devi capirlo: anch'io ne ho passate tante e guardami.

Vivo da solo con mio fratello, coi miei ho chiuso da un anno ormai, non ho un futuro, a malapena ho una casa e una fama orrenda a scuola, in città...-

-E allora?- boccheggio, mentre le lacrime si fanno sempre più largo tra i miei zigomi -A me piace chi sei, non me ne faccio nulla dei pregiudizi e di ciò che hai passato! A me piaci così, a me piaci da morire così Louis!-

-Cazzo, anche tu mi piaci, Faith! Io ti amo, amo più te di quanto faccia con me stesso-

Il cuore, che mi si era raggelato dal giorno in cui mi lasciò, si indora di sangue per un attimo e giuro di aver sentito che le lacrime di dolore che mi stavano sgorgando dagli occhi tramutarsi per un secondo in lacrime di gioia.

-Ma il problema è un altro.

Ci frequentiamo da un paio di mesi, giusto? E nel giro di questo piccolo lasso di tempo hai abbandonato le compagnie che frequentavi, i tuoi voti sono calati di qualche decimo e segui con meno assiduità le attività dell'istituto.-

-Ma quella non è la mia vita, io detesto quelle cose! Io voglio te, devi riuscire a capirlo, ti prego- lo supplico, con la voce più flebile che abbia mai avuto.

Sento le gambe tremare e la forza di gravità trascinarmi a terra.
Mi rannicchio al suolo, seduta sui talloni con le mani sul viso, sporche dell'eye-liner colato per le lacrime.

Singhiozzo senza sosta, mi vergogno tanto, tantissimo, di farmi vedere in quello stato.

Sento Louis chinarsi, poggiarmi una mano sulla schiena, accovacciato di fronte a me.

Avevo tanto agoniato il suo tocco, di nuovo su di me, lento e caldo, che ricordavo come le uniche carezze che ricevetti dopo la morte di mia madre.

Tiro su il viso, trovandomi i suoi occhi a pochi respiri da me, che mi penetrano, ancora, con la stessa intensità confortante di sempre.

Sembra che non ci siamo mai lasciati, che lui e le sue carezze, e i suoi occhi chiari, e il profumo della sua pelle fossero sempre restati accanto a me: sembra che non ricordiamo nessuna precedente discussione, incomprensione, parola non detta o sfuggita di bocca non intenzionalmente.

Solo noi due, come solo noi due riusciamo a fare, a dedicarci tempo in piccoli sguardi, a ritagliarci i nostri momenti più belli e semplici nelle occasioni peggiori e contemplare gesti così minimi agli occhi degli altri.

E' ovvio che vuole baciarmi, risolvere tutto con un paio di labbra e fare finta che non sia successo niente: per un attimo, credetti davvero che sarebbe successo.

-Non posso permettere di trascinarti nel baratro buio in cui sono io.- sussurra.

Mi passa le dita che posava sulla mia schiena sulle mie guance, asciugandomi il viso dalle lacrime. E se non fosse che pendo dalle sue labbra, dalle sue parole e dall'attenzione che sto ponendo a ciò che dice, avrei voluto piangere ancora e ancora solo perchè lui mi posasse di nuovo la sua mano sul viso.

-Sei la bella copia di me, Faith. Tu che ce l'hai fatta a riscattarti, non puoi cadere di nuovo nel buio.-

-Ma tu mi ami- bisbiglio, sbattendo le ciglia umide.

-E proprio per questo devo lasciarti andare-

Mi prende il viso tra le mani, e osserva per bene tutti i tratti del mio viso, come se fosse l'ultima volta.

Mi bacia la fronte fredda per il vento, stringendomi tra le sue braccia rinchiuse nel cappotto. Mi sdraio a terra disperata, con i palmi delle mani in viso, intenzionata a non guardare ciò che mi sta attorno per un bel po'.

E non so cosa successe, se persi i sensi o caddi addormentata.

So soltanto che mi sono svegliata nel mio letto, con le mani ancora sul viso, con la luce del giorno che filtrava dalla finestra della mia camera tra gli spazi tra le mie dita e con in bocca ancora dell'amaro che non riuscivo a deglutire.

E lui non c'è. E non ci sarebbe più stato.

Quella notte, su quel ponte, sopra quel fiume gelido che doveva essere la mia bara, fu l'ultima volta che i miei occhi sfiorarono quelli di Louis.

 

 

 

All my days were spent by the telephone

it never rang

and all i needed was a call

that never came

 

 

A scuola è sparito, così come in città.

-Ha chiesto il trasferimento- mi aveva intimato la sua professoressa di fisica.

E io muoio dentro ogni volta che mi aspetto per abitudine di vederlo, per poi ricordarmi di come stanno in realtà le cose.

Magari di vederlo posteggiato al solito posto nel parcheggio del liceo, seduto a mensa, appoggiato con la schiena contro l'armadietto, ad aspettarmi fuori dalla palestra quando uscivo dagli allenamenti.
Eravamo soliti stamparci da routine un bacio a stampo, un po' per salutarci, un po' perchè ci divertiva vedere gli sguardi straniti delle mie compagne di squadra.

Torno ogni volta a casa da sola, sempre con il mio motorino rumoroso ma veloce, che lui mi aggiustò tante di quelle volte.

Faccio ogni pomeriggio un tragitto più lungo solo per passare sotto casa sua, sperando che, sbirciando dalla strada, il suo appartamento non sembrasse spoglio della sua presenza, come invece appare ogni giorno da quando mi lasciò.

Passo pomeriggi interi a fingere di studiare fissando il telefono e sussultando ad ogni messaggio che me lo fa squillare.

E ogni volta non è lui, ed ogni volta lo sconforto e la delusione mi strozzano la gola.

Sono così disperata che ormai raramente tento di chiamarlo a quel numero che sicuramente ha disattivato.

Sono così disperata che aspetto una sua chiamata che mai arriverà.
Ma nonostante quello, sono così ostinata da rimanere ore con lo sguardo fisso sul display del telefono.

Così disperata che mi accontenterei anche di risentire la sua voce un'altra volta, attraverso una cornetta.

Così disperata che neanche mi rendo conto che sto cadendo nel baratro buio di cui lui parlava e che desiderava evitassi, credendo che lasciandomi, avrei evitato.

Ma non si era reso conto che così facendo, mi ha solo più sospinto nel più totale smarrimento.

 

Lost and insecure
You found me, you found me
Lying on the floor
Surrounded, surrounded

 

 

Prima di lui, ero persa e insicura.

Sfogavo il mio non sentirmi mai abbastanza in tutto ciò che non riguardava me stessa.

Parlare di me mi spaventava a morte: preferivo offrirmi alla scuola e allo sport trattandomi come un oggetto a disposizione di tutti, piuttosto che pensare al mio bene.

Poi lui aveva scavalcato quel muro che avevo eretto di fronte alle mie emozioni, abbattendolo pian piano, estorcendo un mattone dopo l'altro ed infine distruggendolo con un'energia mozzafiato: lo avevo incontrato in presidenza, in una mattinata primaverile in cui mi ero offerta, da diligente rappresentante d'istituto quale ero, di sbrigare alcune pratiche assegnatemi dal preside.

Mi aveva strattonato i sensi soltanto con il suo sguardo, rendendomi totalmente inerme: e poi era avvenuto tutto così in fretta.

Risollevò le parti emotive più nascoste di me, mi fece sentire una persona con sentimenti e degna di riguardo, una ragazza da amare. E soprattutto fu il primo da tanto a chiedermi come stessi, non per buona educazione, ma perchè gli interessava sul serio.

Quanto sentivo la sua mancanza pesarmi sul cuore, quanto desideravo rannicchiarmi piccola nel suo corpo, con il suo respiro sul collo.

Mi aveva trovato smarrita in quel buio addobbato di bei fronzoli, ma in cui mi sentivo sola e disorientata come non mai.

Ciò che Louis non capiva è che non mi stava assolutamente trascinando in una voragine scura: lui mi stava tirando fuori da quella voragine scura.

 

In the end everyone ends up alone
Losing him, the only one who's ever known
Who I am, who I'm not, who I want to be
No way to know how long he will be next to me

 

 

Sono passati due anni.

Sam è il mio nuovo ragazzo, adesso: gioca nella squadra di football e penso mi ami.

Noi cheerleader avevamo vinto il campionato tra istituti l'anno scorso e, essendo il capitano, mi avevano offerto diverse borse di studio per il futuro.

Ormai sono rientrata nel mio giro di impegni alla perfezione.

Continuo a vedere poco papà: torna tardi, tardissimo e capita di cenare insieme una volta ogni 2 settimane.

Ma ormai ci ho fatto l'abitudine. Vivere da autonoma era ormai semplice per me, e includeva anche il saper accettare di sopportare la solitudine.

Tutti patiamo la solitudine, dopotutto. Arriva un momento della giornata in cui si è soli, con della musica alle orecchie per attutire il suono dei pensieri. Si finisce spesso soli nella vita.

E in ogni caso sentirmi ignorata da mio padre mi distrae solo dal mio dovere di brava studentessa casa e scuola, e non mi sembra davvero il caso.

E poi ho Sam, che è un così bravo ragazzo e a me sembra tenerci davvero tanto, lui.

E io? Io sono confusa, oberata di lavoro, troppo impegnata per riflettere se davvero lo considero giusto per me.

Vivo i miei giorni cogliendo al balzo ciò che la vita mi offre. E se la vita mi offre Sam, la cui ultima intenzione è quella di farmi soffrire, perchè dovrei rifiutare.

Sarei una bugiarda se dicessi di non pensare a lui.

Louis non ha mai abbandonato il mio inconscio. Mai.

Appena cerco di essere felice, penetra violentemente nella mia testa come per avvisarmi che lui non se n'è mai andato.

Come per dirmi che mi è impossibile essere felice, che mi è impossibile esserlo senza di lui.

Mi sbatto ancora un cuscino contro il viso ogni sera, come per ricacciare le lacrime dentro.

Singhiozzo ancora chiusa a chiave nel bagno della scuola, quando sento che il mondo va al contrario della mia direzione.
Lui non avrebbe potuto virare il movimento del resto delle persone, certo; ma sicuramente con lui accanto, sarebbe più facile andare in controsenso.

Quando Sam mi prende il viso tra le mani, il cuore si tuffa profondo nei ricordi riguardanti quella sera, quando le sue di mani afferrarono il mio viso.

E ogni volta mi sento in colpa, tremendamente, terribilmente in colpa verso Sam, che mi dedica tante attenzioni e io mi limito a volergli bene.
Ma nulla di più.

Perchè? Perchè il mio cuore appartiene già a qualcun altro.

Qualcuno che non mi ama, a cui non interesso, che mi ha abbandonata, fatto star male, innamorare, che mi ha fatto la vita a brandelli senza troppo preavviso, che mi ha ammaliato, preso con sé, maltrattato il cuore, sconvolto ogni singolo giorno.

Qualcuno che mi ha distrutto, qualcuno che ho perso: l'unico che abbia mai capito chi sono, chi non, e chi voglio essere.



-

 

'Dai, scrivi' mi spinge il cuore.

'Illusa del cazzo' sbraita la mia testa.

Non so cosa fare, come comportarmi, come continuare a vivere la mia vita orrenda.

Sono due ore e trentacinque che sto impugnando una penna nera, mentre punto decisa il foglio, in attesa di scrivere o meno.

Sam mi ha lasciata.

Quando ieri stavo facendo sesso con lui, ho emesso un gemito pronunciando 'Louis'.

Per sbaglio, o forse no.

Mi ero immaginata con lui in quel letto, non con Sam, credendo che forse sarebbe servito ad apparire più convincente.

E invece mi feci sopraffare dai ricordi, dall'emozione e giustamente Sam non lo tollerò.

-Quando dici che mi ami, menti, hai sempre mentito!- aveva gridato con voce smorzata- Perchè mi hai preso in giro per così tanto? In tutto questo tempo non hai mai smesso di pensare a Louis Tomlinson, mai! Mi dispiace, Faith. Mi dispiace di essermi illuso, perchè io ti amavo e amo tutt'ora veramente. Dobbiamo finirla qua.-

Oh Sam, cos'aveva fatto per meritarsi me? Io che l'avevo illuso, e preso in giro, a cui avevo mentito spudoratamente, dicendogli che il mio cuore era suo malgrado fosse evidente che appartenesse già a qualcun'altro.

E adesso, a distanza di due anni e mezzo, eccomi alla scrivania, stilografica in mano, con una mezza intenzione di scrivere una lettera a colui che mai ho smesso di amare, nonostante abbia pianto un oceano di lacrime a causa sua.

Chiudo gli occhi, stringo i denti.

Poggio la punta della penna sulla superficie bianca del foglio e decido infine di dare ascolto al cuore e al suo caloroso consiglio di riversare tutto su carta.

Ogni gesto, sensazione, paura, sentimento, dettaglio della mia stanca anima torturata; ciò che avevamo vissuto, così corto e intenso quanto un battito di ciglia, ciò che sento di voler condividere con lui per il resto della mia vita.

L'inchiostro scivola rapido sulla carta, vomito ogni pensiero sul foglio tramutandolo in parola, in nero su bianco.

E piano piano, il testo prende forma.


'Serate in tua compagnia, sotto una luna troppo timida per uscire da sotto le nuvole.

I nostri piedi nudi che si intrecciavano sotto le coperte, riscaldandoci uno con l'altro.

Il tuo giubbotto che, quando sentivo freddo, ti toglievi per porgermi sulle spalle.

Il tuo respiro sul mio collo, il baciarmi nel bel mezzo di una conversazione, la tua testa poggiata sul mio petto per sentire i battiti del mio cuore, il cingermi i fianchi e attirarmi a te.

Il tuo sorriso che veniva seguito a ruota dal mio, uno sguardo che urlava sensazioni,  che spalancava punti di vista molto più efficacemente di quanto potessero fare le parole.

Lo scompigliarmi i capelli con una mano sulla nuca, le corse contro il vento in moto, le passeggiate notturne sulla sabbia, un fiore che eri solito infilarmi dietro l'orecchio.

Le farfalle nello stomaco che da quanto volavano con insistenza sembravano non essere mai state bruchi addormentati nella mia pancia.

Lo scavalcare la finestra di camera mia per entrare nel bel mezzo della notte, solo per starmi vicino mentre dormivo assorta.

Le prese in giro che smisero di rivolgerti fuori dai denti dopo che scoprirono che eri il fidanzato della "rispettabilissima" rappresentante di istituto Faith Winslet.

Notti in bianco con l'orecchio dolorante a furia di tenere la cornetta del telefono sopra e parlare ore e ore con te.

Il tuo spostarmi una ciocca di capelli da davanti agli occhi, le lacrime che con le tue dita affusolate mi asciugavi dalle guance.

Guardarsi in classe schivando gli sguardi cinici e cattivi di chi non aveva altro che pregiudizi sulle labbra.

La mia sciarpa verde il cui tessuto portava il mio profumo che ti ho regalato, e che spero tu tenga ancora con te, in fondo a qualche cassetto, sotto al cuscino, in soffitta, magari al collo.

La tua voce sicura, mille battiti del cuore in un secondo, la fossetta a lato della tua bocca che si creava quando sorridevi, le smorfie, due pupille nere che sembravano chiare circondate da quell'iride così maledettamente azzurra.

La tua bocca schiusa per infilarti tra le labbra la sigaretta del dopo-scuola, da cui aspiravi senza distogliere il tuo sguardo dal mio.

Quel buio in cui mi hai raccolta come si coglie un fiore di campo, in cui mi hai trovata, persa ed insicura.

Tuo fratello di cui eri geloso anche se mi parlava solamente assieme, i racconti su tua madre, che ascoltavo ad occhi lucidi.

Un viso troppo angelico considerato ciò che combinavi; un viso troppo candido per averne passate così tante.

Noi due, soltanto noi.

Noi due, che sembravamo uno solo, stretti tra le nostre braccia, che condividevamo ogni cosa, che respiravamo in sincronia sotto le coperte, che contornavamo con le nostre mani uno il viso dell'altro.

Noi due, soli, incompresi, insicuri, desiderosi di ribellarci, impauriti nella vita ma impavidi nei gesti, timorosi del futuro ma così disposti per il presente, simili in tutto eppure così diversi.

Noi due, che insieme sprigionavamo tanta di quella energia, tanta di quella elettricità.

Noi due, Louis e Faith, che se il sole ci avesse scoperto, chissà quanto geloso sarebbe stato a scoprire quanto splendenti riuscivamo ad essere."

 

Chiudo col tappo la penna, tiro su con il naso e passo il palmo della mano sopra i miei occhi gonfi di lacrime.

Infagotto la lettera nella busta e ci scrivo sopra quello che era il suo indirizzo, una volta.

'Sicuramente non la riceverà' dice la mia mente.

Il cuore sospira dando in parte ragione alla testa:'Speriamo almeno sia terapeutico per te' dice, speranzoso.


-

 

E da quel giorno, appena avevo un momento libero, gli scrivevo una lettera, un pensiero, sempre al solito indirizzo.

Sapevo che mai le avrebbe ricevute o lette, ma rovesciare su carta ogni frustrazione, dolore, soddisfazione rivolgendomi a Louis come un diario segreto, mi stava aiutando davvero.

Il suo ricordo stava sparendo, si affievoliva, come una candela che non ha più cera da mettere a disposizione al fuoco e si limita a sciogliersi e consumarsi.

Il passato con Louis non mi portava più dolore: mi limitavo a ricordarlo con enorme nostalgia, come se fosse un capitolo chiuso e nascosto in un angolo del mio cuore, rassegnata all'idea di vederlo come qualcosa di meraviglioso che mai più sarebbe tornato, ma a cui avrei dovuto ispirarmi per creare qualcosa di altrettanto bello.

Dovevo crescere, maturare, metterci una pietra sopra, che non per forza significava dimenticare totalmente.

Dovevo pormi un obiettivo, raggiungerlo, pensare al futuro prendendo spunto dal passato.

E se Louis non mi avesse mai lasciato, non avrei mai capito tutto questo.

 

Early morning, City breaks
I've been calling for years and years and years and years
And you never left me no messages
You never send me no letters
You got some kind of nerve, taking all I want 

 

-Comportatevi bene- raccomando a Louise e Peter, aiutandoli a mettersi sulle spalle i loro zainetti colorati.

Mi stampano a turno un bacio sulla guancia e sfrecciano verso l'ingresso della scuola elementare.

-Oggi viene a prendervi la zia!- grido, verso di loro ormai lontani.

Salgo in auto, con un sorriso abbozzato, al pensiero dei miei bambini che corrono verso scuola.

Oggi ho la mattinata libera, torno allo studio nel pomeriggio.

Arrivo a casa, decido di controllare alcune pratiche di lavoro e metto a posto alcuni documenti.

Non posso permettermi di riposare neanche un secondo, tra lavoro, bambini e il divorzio: almeno fare l'avvocato mi permette di affrontare le pratiche legali del divorzio con più consapevolezza.

E' un periodo strano per me: con Trevor non stavo più bene e lasciarsi è sicuramente la cosa migliore, ma ad ogni modo sono piuttosto spersa. Trevor ha fatto parte della mia vita per una bella quantità di anni e non è facile abituarsi all'idea di stare da soli.

Almeno Louise e Peter sono quelli che più occupano il mio tempo, che hanno bisogno di attenzioni e che mi riempiono più il cuore di gioia; non ho assolutamente intenzione di trascurarli a causa del mio lavoro, come mio padre ha fatto con me.

Peter è ancora piccolo, ha 6 anni, ha iniziato da poco la scuola elementare, ed è così simile a suo papà.

Louise invece è la primogenita, e attualmente ha 8 anni e i miei stessi occhi chiari. Il suo nome l'avevo deciso io ed è facilmente intuibile il motivo: la sua simpatia e i suoi sorrisoni che fin da piccola sfoggiava con naturalezza mi avevano sempre ricordato Louis.

E devo molto a quel ragazzo.

Mi ha fatto passare un periodo nero, il peggiore di tutta la mia vita.

Ma nonostante tutto, lo ricordavo con gioia: con lui ho vissuto bellissimi momenti indelebili e poi mi aveva insegnato molto, moltissimo.

Prendo un tazza dalla credenza, verso l'acqua bollente che avevo messo sopra il fuoco a scaldare e ci inzuppo dentro la bustina di te.

Guardo fuori dalla finestra, portando la tazza alle labbra per testare la temperatura della bevanda, e sospiro.

Ogni tanto mi ricapita di pensarlo, a distanza di così tanto.

Sono passati 18 anni dall'ultima volta che l'ho visto, e ne sono successe di cose in questo lasso di tempo.

Ho smesso di scrivergli lettere a 20 anni, esattamente 4 anni dopo avermi lasciato, esattamente 2 anni dopo che Sam mi ha lasciato.

Poi alla facoltà di legge e giurisprudenza ho conosciuto Trevor, di cui mi sono perdutamente innamorata, che ho sposato, con cui ho fatto due meravigliosi bambini e da cui adesso sto chiedendo il divorzio.

La mia laurea a pieni voti, le due gravidanze, la morte di tumore di mio padre, Trevor, la casa nuova, l'apertura del mio studio legale.

Sembrano passati secoli dall'ultima volta in cui Louis mi ha salvato da quel ponte di legno, dove avevo deciso di farla finita.

Quanto sono cambiata da quel giorno, quanto sono maturata e cresciuta. Se mi fossi buttata, non avrei tutto questo, che di certo non è perfetto, ma che mi ha dato i miei bambini.

Chissà che fine ha fatto Louis.

Mi auguro che anche lui abbia trovato un ruolo nella vita, una donna da amare, giusta per lui, un paio di marmocchi che gli girino per casa e un lavoro degno della meravigliosa persona che era e che spero sia tutt'ora.

Sì, desidero che sia così con tutto il cuore.

Scuoto la testa, ingoio l'ultimo sorso di thè ormai freddo e mi immergo di nuovo nel lavoro che ho da finire.

 

-

 

-Mamma, io prendo la pizza!- insorge Peter, con il menù più grosso di lui in mano

-Ma la volevo già io!- ribatte Louise.

-Potete prenderla entrambi, su, non litigate- dico con un sorriso, cercando di mettere pace.

Peter si ricompone sulla sedia e, posando il menù al centro del tavolo, riprende a giocare con i dinosauri di plastica di fronte a lui.

Mi passo una mano tra i capelli, sospirando leggermente.

Oggi è sabato, il mio compleanno, e i bambini sono con me.

Ho deciso di portarli al ristorante dove sono solita venire da quanto ero ragazzina, dove papà mi portava ogni sera del mio compleanno, l'unico giorno in cui si concedeva un permesso dal lavoro.

-Io prenderò il pesce spada- dice Tania, nonché sorella di Trevor e zia dei bambini, con cui ho un bel rapporto d'amicizia dalla prima volta che l'ho conosciuta.

-Anche io!- decido, associandomi a Tania.

C'è una bell'atmosfera: i bambini sembrano sereni e io e Trevor ci stiamo impegnando tantissimo affinché risentano poco della separazione dei loro due genitori.

-Faith- sento dire.

Mi volto alla mia destra e noto il signor Copper.

Il signor Copper è il proprietario del ristorante e mi da del tu dato che mi ha visto crescere negli anni, frequentando il suo ristorante da sempre con mio padre.

-Oh, signor Copper, buonasera!- lo saluto e rivolge un sorriso e un 'ciao' anche ai miei bambini.

-Come va, signorinella?- mi chiede, con la sua solita espressione buona.

-Tutto bene, la ringrazio. Come ogni anno, eccoci qui!- esclamo, con un gesto delle mani.

-Oh bene- risponde. -Volevo solo dirti che qualcuno alla cassa mi ha chiesto se eri qui in ristorante, mi ha chiesto di Faith Winslet.-

Sgrano appena gli occhi, sorpresa.

-Ah.-

Faccio che alzarmi dalla sedia, immaginando fosse qualche vecchio cameriere del locale che vuole salutarmi a distanza di tempo.

-Louise, Peter, rimanete qui con la zia un istante, mamma arriva- dico ai bambini.

-Ci penso io, tranquilla- mi dice Tania, facendomi cenno di andare.

Accompagnata dal signor Copper, mi dirigo alla cassa, all'entrata.

Scorgo un uomo sulla trentina, con dei bei tratti del viso e lo sguardo basso, appoggiato con i gomiti al bancone, mentre con le dita giocherella con un portachiavi.

Non penso di averlo mai visto o incontrato nella mia vita a primo impatto, anche se le luci basse e soffuse di questo ristorante ingannano molto la vista.

Alza lo sguardo nella nostra direzione e appena ci vede, si tira su con la schiena, assumendo un'espressione leggermente sgomenta ma controllata.

-Ciao Faith-

Mi avvicino ancora un po' di qualche passo.

-C-ciao- dico perplessa. -Scusa, saranno passati anni, chi sei? Lavoravi qui?-

Il signor Copper si dirige in cucina seguendoci con lo sguardo e mi fermo a qualche metro dall'uomo.

-Non mi riconosci? Davvero?- mi chiede l'uomo con voce bassa.

Sto per rispondergli un 'no' dispiaciuto.

Ma poi incrocio i suoi occhi, e l'azzurro.

Quell'azzurro di quegli occhi, una tonalità che mai ho incontrato un'altra volta se non in quelle iridi.

Quell'azzurro che tante volte avevo fissato, nella penombra della mia camera, mentre ero stretta in un paio di braccia.

Quell'azzurro su cui singhiozzai distrutta, che aveva costellato i miei sogni ed incubi, che avevo desiderato appartenesse di nuovo a me, riflesso nei miei occhi.

Quell'azzurro per cui avrei fatto pazzie, da ragazza, per cui ero disposta a ballare ore nella pioggia fredda, a scrivere chilometri di lettere, a lasciare milioni di messaggi ad una segreteria telefonica, a catapultarmi giù da un ponte di legno e schiantarmi contro un paio di cocci di pietra.

-Louis- sussulto.

Erano anni che non mi sentivo più in quella maniera, così immobile, inerme, vulnerabile, paralizzata, senza voce.

-Si, io- risponde avvicinandosi a piccoli passi.

Mi metto una mano sul petto, sconcertata.

Gli occhi si stanno facendo sempre più pesanti e una valanga di ricordi mi spinge sulla testa, vividi come se li avessi vissuti ieri.

-Ne è passato di tempo- insorge,vedendo che non rispondo.

-18 anni- rispondo con un fremito.

-Già 18... Come stai?-

Vorrei tirargli un pugno in mezzo alla faccia per fargli sentire come è stato stare senza di lui, ma non ho più 16 anni.

-Più o meno...- dico -Ma non vedo perchè dovrebbe interessarti. Non ti è importato per 20 anni.-

Louis si irrigidisce, contraendo la sua mascella, ancora perfetta come allora.

-Cosa ci fai qui? Perchè mi cercavi?- domando, caricando la mia voce di tutta la sofferenza repressa negli anni.

-Sapevo che era il tuo compleanno. E sapevo che venivi a passarlo ogni anno qui.-

-Già- dico, annuendo.

Mi mette una mano sulla spalla, ma gliela scrollo via scivolando da sotto la sua presa.

-Ti devo delle spiegazioni, Faith-

Scuoto la testa, la bocca ridotta a una linea sottile.

-Tu non devi spiegarmi proprio niente, Louis. Eravamo piccoli, spersi e io ero follemente innamorata di qualcuno disposto a non ricambiare nel momento in cui avevo più bisogno di qualcuno vicino!-

-Faith, io...-

-No- lo interrompo -'Faith, io' un bel niente. Tu sai quanti messaggi ti ho mandato? Tu sai quanto la mano mi è diventata dolorante a forza di scriverti lettere? Tu sai quanto aspettavo una tua chiamata? Ero così ingenua, persino il mio nuovo ragazzo mi ha lasciato perchè io, da stupida, pensavo a te-

Mi asciugo una lacrima dal viso.

-A te.- sussurro. - A te che sei sparito, che mi hai illuso dicendo di amarmi, quando provavi tutt'altro. Ho sufficienti spiegazioni, Louis.-

Sono una maschera di lacrime, come allora.

L'ultima volta che ho pianto in questo modo è stato per il funerale di mio papà, la volta prima è stata mentre scrivevo l'ultima lettera a lui indirizzata.

Louis ha gli occhi bassi, un'ombra nello sguardo che sembra di pentimento, e rimorso.

So che sono adulta, che è passato moltissimo tempo e dovrei affrontare la situazione in tutt'altro modo; ma non è un periodo felice questo per me e ho tanto dolore incanalato dentro di me che devo riversare su colui che l'ha causato.

Giro i tacchi, faccio per tornarmene dalla mia famiglia, quella che adesso è la mia vita.

-Tornassi indietro non lo rifarei-

Mi blocco alle sue parole, passandomi la manica del cardigan sulla guancia per asciugarmi le lacrime, e mi giro.

-Ma l'hai fatto.-

-Ma mi dispiace- dice, con tono davvero triste. -Pensavo di farti del bene, volevo lasciarti vivere la tua vita, convinto che la mia te l'avrebbe rovinata. Credi che non abbia ricevuto tutti i tuoi messaggi? E le tue chiamate? E letto le tue lettere? Perchè così è stato. E credi sia stato facile non rispondere a nulla di tutto ciò? E lasciare stare, frenare la voglia di correre e tornare da te, e dirti che non riuscivo più a stare senza te?

Io ti amavo più di quanto facessi con me stesso, e volevo il meglio per te.-

Il mio respiro è diventato un singhiozzo tenue, continuo, un tormento.

-Dove sei andato? Dov'eri sparito?-

-In una scuola a un centinaio di chilometri da qui, dai miei genitori. Mi riappacificai con loro e mi stabilì lì definitivamente, spronato a rendere la mia vita migliore, spronato da te. Venivo a trovare mio fratello ed ogni volta mi consegnava lettere su lettere, tutte tue. So che da pazzi, ma non ho mai smesso di avere tue notizie. Chiedevo ai tuoi professori come stavi, a tuo padre, raccomandando di non fare parola a riguardo con te, convinto che non avere contatti con me sarebbe stato più facile per te.

Ed ero felice di saperti con Sam, volevo continuassi a vivere la tua vita, anche se desideravo fortemente farne parte.

Ho smesso questi sotterfugi quando hai smesso di lasciarmi messaggi, e lettere. Sapevo avevi trovato la tua felicità. Non so come, ma ti sapevo felice.-

Non è cambiato nulla. Louis è sempre il ragazzo per il quale il mio cuore si è sfaldato, la meravigliosa persona di sempre.

Ora sono io, col fiato un po' corto e gli occhi ancora umidicci, ad avvicinarmi a lui, e per un attimo mi reincarno in quella sedicenne con la parola amore sempre sulle labbra.

-Sono stata male, Louis. -ammetto- Malissimo. Ma so cosa sei, e sei speciale, davvero speciale. Sono disposta a perdonarti perchè sono passati quasi 20 anni e siamo cresciuti. Ed eravamo ingenui, spaventati, vittime dell'amore che ci ha presi alla sprovvista.

Ora sto bene. Ma credimi che starei meglio a sapere che anche tu stai bene-

Sospira, sorride inarcando le sue labbra morbide.

-Sto bene, Faith. Sono cambiato, migliorato da allora.

Sono andato all'università, e ora sono un'assistente sociale. Mi piace ciò che faccio. Ho avuto storie di poco conto, ma mai nessuna... insomma.-

Annuisco ricambiando il sorriso.

-Ho sofferto pure io- aggiunge -vorrei fosse ben chiaro e...-

-Mamma-

Mi volto di scatto, al suono di quella vocina.

Louise è di fronte a me, con una manina sullo stipite della porta che divide l'entrata nella sala del ristorante all'ingresso con la cassa dove mi trovo al momento.

-Louise, tesoro-

Mi avvicino a lei, chinandomi sulle ginocchia.

-Stai bene?- mi domanda -Sembri un po'...-

-No, amore- la tranquillizzo -va tutto bene, mi è venuto a trovare un vecchio amico. Torna al tavolo con la zia, mamma arriva-

Tania si sporge di corsa verso di noi.

-Scusa Faith, mi è scappata- dice, un po' affannata.

Rido.

-Tranquilla, arrivo immediatamente, d'accordo?-

Louise annuisce e, dopo che Tania mi rivolge uno sguardo complice, tornano al tavolo mano nella mano.

Louis ha un sorriso dolce dipinto sulle labbra, anche se sembra piuttosto incredulo.

-Non dirmi che...-

-Si- affermo -è mia figlia, la primogenita, Louise, e poi c'è Peter.-

Louis scuote la testa, sorpreso ma contento.

-Louise l'ho chiamata così perchè mi ricordava te-.

Ecco, me lo sono lasciato scappare.

Louis cambia espressione, diventando serio.

-Oh Faith- sospira.

Sembra rendersi conto adesso del segno che mi ha lasciato.

-Se penso a quanto avrei voluto una vita con te...- dice, abbassando gli occhi. -Ma non devo dire queste cose: sicuramente hai trovato un marito che ti ama infinitamente e con cui hai fatto quei due splendidi bambini.-

Ripenso al divorzio, a quanto stia trattenendo le lacrime in questo periodo solo per mostrarmi serena di fronte ai miei figli, a come stia tutt'altro che bene, a come mi senta sola, persa ed insicura.

Un paio di lacrime mi rigano il viso.

-Hei hei...- dice prendendomi una mano.-Che succede?-

Il suo tono protettivo, che ti avvolge come una coperta, mi scioglie in un pianto, neanche fossi tornata ad avere 16 anni.

-I miei figli sono l'unica cosa buona della mia vita.-boccheggio -Sto per divorziare da mio marito e sto impazzendo per ottenere una cifra di soldi mensile per ciò che serve a me e ai bambini per le spese. E litigo con lui appena siamo soli, e sui miei genitori o familiari non posso contare, ora che non ne ho più. Sono sola, Louis. Ho mentito quando ti ho detto che stavo bene-

Louis sta in silenzio, si limita a guardarmi e ascoltarmi con estrema attenzione.

-Non sei sola- sussurra penetrandomi negli occhi. -Da oggi in poi, conta su di me. Per ogni cosa.-

Mi prende tra le braccia, stringe il suo corpo a sé.

Il suo profumo non è cambiato, è sempre il suo, leggero e confortante. Ancora una volta riaffiora quella 16enne che avrebbe pagato per riavere su di lei quelle braccia.

E ancora una volta, Louis, persa ed insicura, mi aveva trovato.

 



*angolo autrice*

questa OS mi fa schifo çç

l'ho iniziata un miliardesimo di anni (?) fa e l'ho conclusa per orgoglio,
più che altro perchè AMO l
a canzone (e i The Fray lol).
in ogni caso credo che questa schifezza
(neanche così corta, quindi solo se siete arrivati a leggere fin qui,
siete un sacco pazienti, lasciatemelo dire)
non renda giustizia alla bellezza di quel testo e di quel pezzo.

cooomunque, fatemi sapere che ne pensate con una recensione!
anche critiche orride, io accetto tutto,
parola di lupetto c':
unsaccodiamoreee
<33
Lola (@___Enchanted on Twitter)

  
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