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Autore: Taste in Men    23/11/2012    0 recensioni
“Ci siamo dimenticati qualcosa, Uther!” asserì la donna con tono pacato, comodamente seduta sulla sedia a dondolo - azzurra anch'essa-.
“Cosa?” chiese l'altro, e non seppe neanche lui dove avesse trovato il fiato per parlare.
“Abbiamo libri e libri di favole, ma neanche un giocattolo per renderle reali,” rispose Igraine, sorridendo.
“E te ne ricordi alle dieci della sera, cara?”
Lei annuì dolcemente. “Tra qualche settimana è Natale, e Hamleys è aperto fino a mezzanotte, caro,”
Uther annuì sommessamente, recuperando gran parte delle sue funzioni vitali.
“Sei ancora qui?”
E fu così che, tra la libreria pericolante e il lettino del colore sbagliato, fecero la sua comparsa tre grandi scatoloni di giocattoli morbidi e a prova d'infante (o almeno così gli aveva detto il commesso); Kilgharrah, invece, venne riposto nel lettino, in attesa di venir manipolato dalle manine paffute del piccolo Artù.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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The world's a beast of burden.
[You've been holding on a long time]*


I


“Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono.

 Perché essi lo sanno già.
 Le favole dicono che i draghi possono essere sconfitti.”**

Il corredino seguiva alla perfezione la scala cromatica del blu; nessuna tonalità di quel colore era stata lasciata da parte, e Igraine non poteva esserne più felice. Lei amava il blu e, sicuramente, quello non aveva niente a che fare con il fatto che il suo primo erede dovesse essere per forza di cose un maschietto, o che il colore degli occhi di suo marito fosse casualmente il blu, o che, sempre casualmente, quella fosse l'unica tonalità utilizzata da quella marca di vestiti che riproduceva fedelmente gli abiti del medioevo. No, lei amava quel colore e basta.
La carta da parati era di un azzurro tenue, colore al quale gli scienziati avevano appioppato una proprietà calmante ( e Uther pregava ogni divinità da lui conosciuta che lo fosse realmente...) e ricopriva quasi tutte le pareti della cameretta, tranne quel piccolo buco bianco tra l'armadio e la libreria, dove Igraine aveva strappato via la carta e aveva disegnato i contorni di un castello, di un drago e di un tenero bambino che, secondo le sue fantasie da madre primipara, doveva somigliare per forza di cose a quello che portava in grembo. “Domani dipingerò,” aveva promesso a Uther, ma quel domani non era arrivato e quel buco bianco in mezzo a tutto quell'azzurro e quel blu era rimasto lì, tra l'armadio e la libreria.  Libreria così stracolma di libri, che Uther temeva di vederla cedere da un momento all'altro. Era composta da quattro ripiani, sui quali poggiavano, più o meno, venti libri ciascuno ed erano divisi per tematica: il primo ripiano era destinato ai libri “tridimensionali” (“Guarda! C'è della vera lana sul mano della pecorella!” oppure “Non trovi delizioso che la coda di questo cane si possa muovere con le mani?”); il secondo ai libri sonori (“Questo sì che è un vero ruggito!” oppure “Sarà più semplice per lui imparare a parlare con questo libro qui!”); il terzo ai libri da colorare (“Le sue manine paffute si riempiranno di tempera, ma almeno così non dovrà per forza colorare ogni muro della casa, no?”); il quarto ai libri delle favole, quelli grandi, poco colorati, ma fittamente scritti. (“Sarà troppo piccolo per questi libri, amore!” “No, nessuno è troppo piccolo per fiabe simili, per imparare che i draghi esistono, ma che possono essere sconfitti” E Uther non poté controbattere, e impilò i libri uno dopo l'altro, in un ordine prestabilito: dai draghi più piccoli - mele avvelenate, amori contrastati, ma vittoriosi- a quelli più grandi, dove non sempre c'era un lieto fine). E altri libri si aggiungevano ogni settimana, riempiendo anche gli angoli più reconditi della stanza, e Uther a volte ci scherzava su, dicendo che il bambino avrebbe ascoltato le favole fino a quando non fosse stato in età da moglie, o forse anche più in la.
Un libro in particolare ristagnava sul davanzale interno della finestra, impolverato e illibato; il libro dei nomi, perché che senso aveva sfogliare un libro simile, quando il nome del nascituro era stato scelto molti anni prima dell'effettivo concepimento?  

“Artù,” aveva esclamato Igraine poche ore dopo la prima ecografia. “E non provare a contraddirmi!”
E Uther non l'aveva fatto; le aveva sorriso, invece, annuendo. “Passami l'insalata,” si era limitato a dire, sorridendo nuovamente all'espressione soddisfatta della moglie. E avrebbe potuto controbattere, dire qualcosa, opporsi, contrastare la scelta di quel nome così insolito, che sicuramente avrebbe precluso al bambino una vita felice e una carriera di successo (chi mai avrebbe dato lavoro o credito ad uno chiamato Artù? Sì, insomma, per chiamarlo così i genitori dovevano essere per forza due megalomani e, stando alla teoria del 'tale padre, tale figlio', anche lui avrebbe dovuto esserlo; e oggigiorno non c'era posto per i megalomani nel tremendo mondo del lavoro), ma non poteva. Lui l'aveva sempre saputo, fin dal primo giorno in cui aveva incontrato Igraine, che avrebbe chiamato così suo figlio; era una sorta di sensazione, di sesto senso che, sicuramente, non aveva nulla a che fare con la tesi della ragazza sul Ciclo Arturiano attraverso i secoli, o la sua fissa per Camelot, per le tavole rotonde (ne aveva due: una in cucina ed una in soggiorno, perché nessuno in quella casa doveva prevaricare sull'altro) e per i tornei medievali. No, il suo era un sesto senso! Era sempre stato un tipo empatico, lui. E, scegliendo di sposarla e costruire una famiglia con lei, aveva accettato quell'insolito nome, come una sorta di patto prematrimoniale tacitamente deciso.
Così, ancor prima della nascita e ancor prima di sapere il sesso del bambino, fecero intarsiare sul legno del lettino quel nome insolito e affascinante al contempo; lettino che era di un marrone che non centrava nulla con il resto dell'arredamento, ma sarebbe bastata un po' di vernice e qualche altro intarsio nel legno delle doghe per sistemare il tutto, o almeno così sosteneva Igraine.
Ai piedi del lettino c'era un tappeto (posto lì perché se solo il bambino fosse stato iperattivo almeno la metà di quanto lo era Igraine, avrebbe sicuramente scalato le assi di legno della ringhiera ancor prima di sapersi reggere sulle gambe e la collusione con il parquet del pavimento sarebbe stato una conclusione prevedibile - e dolorosa) morbido, peloso e un piccolo ricettacolo di polvere e acari, o almeno così era solito battezzarlo Uther ogni volta che qualcuno dei loro amici piombava nel loro appartamento con la mera scusa di vedere la cameretta del piccolo Pendragon. Odiava quel tappeto e non faceva proprio nulla per nasconderlo, come non aveva fatto nulla per non comprarlo; lo sguardo estasiato di Igraine, la mano destra che circondava protettiva il suo grembo e l'indice della mano sinistra che indicava spasmodicamente quel coso. “Un drago, è perfetto!” aveva squittito deliziata, entrando in quel negozio (New Age, New Wave, Indie, Hippie o qualsiasi cosa fosse). E lui l'aveva seguita, e il suo cuore si era sciolto alla vista del sorriso di Igraine nel toccarlo e nell'immaginarlo nella cameretta del piccolo Artù; e il suo cuore aveva cominciato a battere all'impazzata - ma forse quella era colpa dei numerosi zeri segnati sul cartellino del suddetto coso...

E (tolto il tappeto, quel pezzo di muro bianco e parzialmente disegnato con la matita, la libreria pericolante e il lettino del colore sbagliato) era tutto perfetto in quella stanza; tutto tranne una cosa...

“Uther!” urlò Igraine dal piano superiore, facendo scattare il marito come uno di quei giocattoli a molla, che aveva sempre desiderato porre nella camera del bambino, ma che Igraine trovava disgustosamente spaventosi.
“Arrivo!” urlò quello di rimando, correndo a perdifiato per le scale.
“Uther!” gracchiò nuovamente la donna.
“Arrivo cara, però tu respira!” replicò lui, aprendo la porta con talmente tanta forza che fu un miracolo che i cardini non vennero via dal muro.
“Ci siamo dimenticati qualcosa, Uther!” asserì la donna con tono pacato, comodamente seduta sulla sedia a dondolo - azzurra anch'essa-.
“Cosa?” chiese l'altro, e non seppe neanche lui dove avesse trovato il fiato per parlare.
“Abbiamo libri e libri di favole, ma neanche un giocattolo per renderle reali,” rispose Igraine, sorridendo.
“E te ne ricordi alle dieci della sera, cara?”
Lei annuì dolcemente. “Tra qualche settimana è Natale, e Hamleys è aperto fino a mezzanotte, caro,”
Uther annuì sommessamente, recuperando gran parte delle sue funzioni vitali.
“Sei ancora qui?”
E fu così che, tra la libreria pericolante e il lettino del colore sbagliato, fecero la sua comparsa tre grandi scatoloni di giocattoli morbidi e a prova d'infante (o almeno così gli aveva detto il commesso); Kilgharrah, invece, venne riposto nel lettino, in attesa di venir manipolato dalle manine paffute del piccolo Artù.

Il Natale passò e arrivò Gennaio, che si portò dietro il più bel bambino che Uther avesse mai visto (i capelli così biondi, le guance così rubiconde e le manine così piccole da sembrare una bambola).

“Igraine,” soffiò, permettendo a sé stesso di piangere, almeno per un po', almeno quel tanto che gli bastava per placare quel turbinio di emozioni contrastanti che infiammavano il suo petto. “Grazie,”


Spin-off di “My sweet Prince”, nel senso che è ispirata alla strofa “Me and the dragon can chase the pain away”, ma si è tramutata in una long, così long da non poter essere rinchiusa in una raccolta di One Shot, ovviamente.
Non aspettatevi nulla di speciale, è solo un'accozzaglia di cose che non centrano le une con le altre, che si ispirano al clichérismo estremo ecc.ecc.
Comunque passando all'avvertimento principale:
Au+Reincarnation.
Un capitolo sarà dal punto di vista di Artù ed uno di Merlino, partendo dalla loro infanzia - e anche prima-.
*What the water gave me,” Florence! And the Machine (cliccate sul titolo, se volete ascoltarla)
**"Enormi schiocchezze, 1909" G.K. Chersterton. Siate spietate, ne ho bisogno ;)


   
 
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