VIII
Sinceramente, se gli avessero chiesto quale fosse il proprio desiderio, non avrebbe chiesto nulla di diverso, nulla di particolare e, proprio ciò che le stava succedendo, gli piaceva e molto!
<< Signorina! >>
<< Signorina Cooper! >>
<< Melody, ci dica qualcosa! >>
Eccome se le piaceva.
Le piaceva camminare in mezzo alla folla come una diva del cinema – se non più importante – e poter dire di essere arrivata al top in pochissimo tempo, non era più un’illusione.
<< Quale strategia avete utilizzato per convincere il Signor Hellis? >>
Continuavano i giornalisti, ma lei era oramai troppo presa a guardare Federico da lontano – con i loro oggetti fra le braccia – con occhi colmi di riconoscenza e felicità.
<< Federico! >> urlò, prendendo a correre per i corridoi, per nulla imbarazzata da quel gesto.
Di tutta risposta il ragazzo posò gli oggetti su una scrivania a caso e allargò le braccia, sorridendo ebete e tutto eccitato.
Poi Melody compì un balzo arrivandogli di sopra per essere afferrata e lasciata volteggiare in aria tra le braccia di un Federico estasiato.
<< Dio, come hai fatto?! Quel vecchiaccio non voleva assolutamente vendere e invece... >> prese a farfugliare Melody, facendo ridacchiare il rosso.
<< Questione di conversazione: il merito non è tutto mio, anzi, credo che tu sia stata la portata principale per la riuscita del pranzo! >>
Scherzò, facendo ridacchiare la ragazza che ritoccò terra con i piedi e si ricompose, pronta per andare dal signor Richard e poggiare i propri oggetti sulla loro nuova scrivania.
Attraversò velocemente i corridoi, dando occhiate contente, eccitate e alle volte superiori in giro, così da trasmettere a tutto ciò che le stava intorno – indipendentemente se essere vivente o no –la propria gioia.
Come un siluro s’era fiondata tra le braccia di alcune colleghe e amiche e con una sicurezza delicata aveva puntato direttamente all’ufficio del loro nuovo capo, che il solo chiamarlo in quel modo le metteva un’adrenalina addosso intensa, per poterci parlare.
<< Ho detto no! >>
Tuonò la voce di Abram, facendo irrigidire Melody sulla soglia e allertare Federico.
<< Ma! Stupido uomo senza connotati a parte quelli genitali! >> urlò la voce di Tania dall’interno. << Si può sapere perchè vorresti licenziare più di... >> e si udì uno schioppo di lingua. << Quasi cento uomini?! >>
<< Perché il proprietario sono io, e IO – i vetri e i muri tremarono – decido chi rimane e chi se ne va! Che vadano in cassa integrazione! >>
Urlò ancora, mentre Melody scrollava le spalle e bussava, curiosa di sapere a cosa fosse dovuto tutto quel parapiglia.
<< Ma non pensi a quelli che ti stanno facendo causa?! >>
Urlò la donna, mentre la voce le veniva sovrastata da quella dell’uomo che tuonò un “Entra” imbestialito.
<< OH! Melody cara! Ottimo lavoro! >>
E l’espressione di Abram divenne in meno di cinque secondi serena e allegra, alla sola vista delle due persone che li stavano permettendo tutto quel successo e quella fama.
<< Ciao ragazzi! >> mormorò arrabbiata e stanca Tania, mentre si lasciava sprofondare nella poltrona in una posizione poco femminile.
<< Prima o poi ti ucciderò, Abram da quattro soldi! >> ringhiò, portando le dita alla fronte con fare stanco, facendo inarcare un sopracciglio all’uomo.
<< Prima avrò l’onore di invitarti a cena, Tania? >>
Lei di tutta risposta si esibì in un sorrisetto sghembo.
<< Lavorerai molto di mano, Abram. >>
E si alzò, facendo ridacchiare i due neo-imprenditori e fischiare di sorpresa l’altro.
<< Cazzo, prima o poi me la sposerò quella donna! >>
Commentò infine Abram, masticando il sigaro per poi aspirare una nuvola di fumo ed espirarla dalle narici.
<< Ragazzi miei siete stati fantastici! >> cominciò, poggiando la mano sinistra sulla spalla di Federico, mentre Melody era intenta a specchiarsi in quelli azzurri dell’uomo che le ispirava fiducia e che a sua volta ricevevano sicurezza: un mix perfetto, insomma.
<< Di cosa stavate parlando tu e Tania? >>
Richard inspirò e ispirò per due volte del fumo dal sigaro prima di rispondere, soppesando le possibilità di non dire nulla...
<< Ci stanno facendo causa... >>
Melody tossì, non aspettandosi per niente una cosa del genere e Federico inarcò le sopracciglia, sistemandosi meglio gli occhiali sul volto.
<< Bhè, si, si spiegherebbe il motivo per la quale Tania stesse urlando così tanto... >> capì Federico, ricevendo in risposta un’occhiataccia da parte del capo.
<< E chi ha ragione in questa causa? >> chiese Melody, che tanto convinta dal volto biricchino e visibilmente colpevole di Abram non lo era.
<< Noi. >>
I due ragazzi si grattarono i capi, decisamente troppo imbarazzati per poter commentare oltre a quella considerazione inutile di chi dovesse demordere dai propri propositi.
In fondo si trattava di posti di lavoro occupati da padri e mdri di famiglie, mica un capriccio sarebbe riuscito ad andare avanti.
Improvvisamente Melody impallidì, pensando al viso di Anthony.
<< Si sa chi si occuperà dell’accusa? >>
Abram arrossì di rabbia. << Ernest Crown. >>
Melody sgranò gli occhi, conoscendo perfettamente il proprietario di quel nome...
Anthony era tornato alla Magione cambiandosi di gran lena e correndo per le vie fino ad arrivare davanti alla porta della sede del corso universitario di legge, in cui avrebbe affiancato il proprio docente in un vero e proprio incarico d’ufficio.
<< Gray! >>
Era raro che qualcuno lo chiamasse per cognome, ma non impossibile, quindi si girò verso Thomas Collins – un ragazzo imponente, dalla pelle del colore del bronzo, tendente al nero, e gli occhi neri, profondi – che lo salutava da lontano con una busta in mano della caffetteria all’angolo.
<< Collins! >> ricambiò, stringendosi all’abbraccio dell’amico per poi sciogliersi e guardare la busta.
<< Ah-ah! Ridammi l’abbraccio, stronzo! >> ridacchiò, mentre scherzava sul fatto che l’abbraccio dell’amico fosse finto o no.
<< Metti in dubbio la mia buona parola? >> ridacchiò il biondo, inscenando una faccia stizzita e offesa.
<< Sei un’aspirante avvocato, in fondo! >> continuò il moro, avviandosi alla porta a vetri tallonato da Anthony.
<< Che vorresti dire, amico?! >>
Thomas si fermò e scrollò le spalle in un finto brivido di ribrezzo. << Gli avvocati sono della peggiore specie! >>
Il biondo inarcò un sopracciglio soffiando dalle mani del più alto la busta di carta, soddisfatto.
<< Senti da che pulpito! >> obiettò. << Sbaglio o sei il secondo in graduatoria dopo il sottoscritto?! >>
E si guardarono in faccia, cominciando a ridere di gusto.
Non appena si ripresero da quell’incessante ridere, si decisero ad attraversare la porta dell’edificio, diretti da Ernest Crown.
L’ambiente intorno a loro non era frenetico, ma nemmeno così calmo come sarebbe dovuto apparire un ufficio giuridico, eppure, tutti quelli con una postazione fissa, erano impegnati al telefono che prendevano appunti... e se finiva una conversazione, ecco che il telefono prendeva a suonare come un matto, facendo disperare l’avvocato.
Thomas diede una pacca amichevole ad Anthony e bussò alla porta lucida dell’ufficio venendo ricevuto con un “Avanti” leggero e delicato.
<< Professore... >> salutarono insieme.
L’uomo – sui cinquant’anni dai capelli bianchi e decimati dalla calvizie, dagli occhi neri come la notte e carnagione nivea – si tolse il sigaro Cubano dalle labbra e sorrise loro con entusiasmo.
<< Ragazzi... >> si alzò. << da quanto tempo! >> e li abbracciò di slancio.
I due si guardarono in faccia, stralunati.
<< Emh... professore... >> provò a dire Thomas.
<< Non ci vediamo da due giorni! >> concluse Anthony, slacciandosi dalla presa ferrea dell’uomo.
Quello rise di gusto e tornò a sedersi imboccando il sigaro, poi prese a parlare e loro si sentirono al settimo cielo.