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Autore: Avah    23/11/2012    2 recensioni
C’era rimasto poco tempo. Dovevo correre a più non posso. La sua vita dipendeva da me. Non ero riuscita a salvare la donna che amava, dovevo almeno salvare lui. Altrimenti me lo sarei portato per sempre sulla coscienza. Salvare la sua vita, o lasciarmi morire con lui. Erano le uniche alternative.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Don Flack, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II - Finché dura l'eternità


Dovevo svegliarmi. Odiavo quei sogni. Credevo di aver dimenticato certe situazioni, invece mi riapparivano di continuo. Anche se ero incatenata, sarei riuscita a liberarmene. Con uno sforzo enorme, riuscii a riaprire gli occhi.
La stanza era buia; dalla finestra chiusa potevo vedere i pesanti goccioloni di pioggia che scrosciavano contro il vetro. In quel momento mi si strinse il cuore. Era una giornata troppo uguale a quella che aveva segnato la mia fine, che mi aveva strappato dalla mia vita.
Ricacciai indietro le lacrime. Ormai non serviva più niente piangere. Dovevo solo continuare il mio lavoro, e allora sarei riuscita a tornare dove dovevo stare, con la mia famiglia. Un’altra lacrima scese sulla guancia, al ricordo di quei tempi, quando ancora sembrava andare tutto bene.
Mi alzai a sedere, ancora intorpidita dal sonno agitato. Non solo avevo rivisto la mia vita, ma avevo anche rivissuto quei momenti atroci che avevo visto nella sua mente prima che morisse, come se al suo posto ci fossi stata io.
Ero stanca di quella situazione. Avevo bisogno di muovermi, correre via, perciò staccai tutti quei tubicini che avevo e che mi provocavano soltanto un prurito infernale. Ora mi sentivo meglio.
Balzai giù dal lettino e mi affacciai alla finestra, guardando giù in strada: un’altra giornata era iniziata. In quel momento sentii la porta aprirsi; mi voltai, sperando che fosse lui; invece era quel maledetto infermiere.
-Cosa ci fa alzata? Dovrebbe rimanere a letto!-
-Sto benissimo, non c’è bisogno che rimanga sempre sdraiata!-
-Come glielo devo dire?! Le hanno sparato, non può fare sforzi! Si rimetta a letto, su!-
-Ma chi si crede di essere, mio padre?!-, sbottai, sul limite di una crisi. -So io quello che va bene a me!-
-Lei è completamente pazza!-, sbottò lui, scuotendo la testa.
-Vorrà dire che mi farò ricoverare da qualche parte-, esclamai. -Ovviamente dopo di lei.-
Lui sgranò gli occhi, poi diventò completamente paonazzo; non aggiunse altro e uscì dalla stanza. Finalmente me l’ero levato di torno e potevo fare quello che mi pareva.
Stavo raccattando quelle poche cose che avevo, quando lo sentii arrivare. Cioè, riuscivo a sentire i suoi pensieri che si stavano avvicinando, e c’erano parecchie domande che mi riguardavano.
Alzai lo sguardo quando lo sentii entrare nella stanza, pieno di punti di domanda. Ricambiò il mio sguardo, piuttosto sorpreso di vedermi in piedi; avrebbe avuto gli occhi a forma di moneta anche quando gli avrei parlato della mia natura non propriamente umana.
-Ciao-, lo salutai.
-Che ci fai già in piedi?-
Sbuffai. -Non vorrai anche tu farmi da padre, vero? Comunque, sto bene. Mi riprendo in fretta.-
-Questo lo vedo anch’io.-
Risi. -E questo è niente. Sei venuto per quello che ho da dirti, vero?-
Annuì. -Anche. Ma prima voglio sapere il tuo nome.-
-Mi chiamo Marjeka. La mia famiglia era ebrea.-
Annuì di nuovo. -Ora però racconta. Voglio sapere perché lo hai fatto. Perché non mi hai lasciato morire.-
-Ti conviene metterti comodo, allora. Sarà una storia bella lunga.-
Lui si sedette sulla stessa identica sedia della sera prima, mentre io mi accomodai sul letto, a gambe incrociate.
-So che ti stai chiedendo come faccio a essere già in piedi dopo che mi hanno sparato. Devi sapere che io non sono umana. Almeno, lo ero, ma ora non lo sono più. Se vuoi, posso anche dimostrartelo.-
Mi chinai verso di lui, gli presi una mano e gliela poggiai sul mio petto, sulla sinistra. Sapevo che non avrebbe sentito il mio cuore battere.
Rimase in ascolto per qualche secondo, poi alzò lo sguardo verso di me e mi guardò con un’espressione quasi di orrore. Quello non era niente.
-Com’è possibile? Non riesco a sentire le pulsazioni.-
-Te l’ho detto, non sono umana. Lo ero. Ho perso la vita 350 anni fa, ma questo te lo spiegherò dopo.-
-Che razza di essere sei allora, se non sei umana?-
-Un’anima. Un’anima del Purgatorio, scaraventata sulla Terra insieme ad altre milioni di anime sparse su tutto il pianeta. Ho ripreso il mio corpo quando sono riuscita a fermarmi qui.-
Lui sgranava sempre di più gli occhi. In fondo sapevo che mi stava credendo, nella sua mente non c’era niente che mi potesse far pensare il contrario, quindi proseguii.
-Ti stai chiedendo perché sono un’anima del Purgatorio, vero? Beh, devi sapere che io sono vissuta nel 1660. Un’epoca buia, rischiosa per noi donne. Ti ho già detto che la mia famiglia era ebrea, ma io ero cristiana. Questo attirò parecchia attenzione su di me. Credevano che mi ritenessi cristiana per poter mettere le mani sulle ostie consacrate da dare alla mia famiglia, che poi le avrebbe trafitte. Ma invece era tutto una bugia. Così, appena mi sposai, a 18 anni, scappai da quel villaggio dove tutti mi guardavano sospettosi.-
-Aspetta un secondo-, mi interruppe. -Tu ti sei sposata a 18 anni?-
-Sì. A quell’epoca la speranza di vita era molto bassa, perciò venivamo prese in spose non appena potevamo permetterci di lasciare la famiglia. Comunque, quando mi sposai, fuggii da quel paese. Io e mio marito andammo in una città più grande, dove non ci conoscevano. E rimasi subito incinta. Mio figlio nacque quando avevo appena 19 anni. Fu la gioia più grande della mia vita. Purtroppo non riuscii a vivere molto con mio figlio.-
-Che è successo?-
Sospirai. Nonostante tutto, mi faceva ancora male parlarne. Deglutii più volte, cercando di ricacciare indietro quel nodo che mi si formava, al ricordo di quegli uomini. -Un anno dopo che arrivammo in quella città, si scatenò un’epidemia di peste. La colpa ricadde su di me, poiché ero una sconosciuta arrivata a portare sventura. Mi consideravano una strega. Un giorno, vennero alla nostra casa e mi portarono via. Mi torturarono, in cerca del punto in cui si nutriva il diavolo, mi fecero anche quasi annegare. Poi preferirono farmi morire in un altro modo.-
Mi fermai un momento, guardando la sua espressione. Era palesemente inorridito e stupito allo stesso tempo.
-Preferirono farmi morire di fame. Mi incatenarono in una cella, dove la gente veniva a maledirmi. Li lasciavo fare, non li ascoltavo nemmeno. Pensavo al mio bambino, che non mi avrebbe mai potuto conoscere. E giorno dopo giorno, continuavo a rimanere in vita.-
-Perché sei stata ammessa al Purgatorio? Tu non avevi nessuna colpa, se non quella di amare tuo figlio.-
-Commisi il mio peccato in punto di morte. Sentivo che stavo per morire, perciò lanciai la mia maledizione. Chiunque fosse venuto ad assistere alla mia morte avrebbe sofferto altrettanto. Ero completamente persa, avevo perso la mia fede. Perciò lanciai la mia maledizione, e mi costò il Purgatorio.-
-Come hai fatto a finire sulla Terra? Cioè, perché sei stata scaraventata quaggiù?-
-Non è stata colpa mia, né delle altre anime. Un angelo, appena entrato in Paradiso, si mise in concorrenza con gli altri, dopo aver sentito le storie su Lucifero. Un arcangelo lo fece espellere dal Paradiso, ma lui per vendicarsi se la prese con noi, anime del Purgatorio, e ci scaraventò sulla Terra, dicendo che non saremmo potuti tornare finché non avessimo scontato la nostra pena fino alla fine.-
-E questo arcangelo non poteva far niente per voi? Intendo, non poteva riportarvi nel Purgatorio?-
Sorrisi davanti alla sua sete di conoscenza. Purtroppo per lui, però, c’erano domande a cui nemmeno io potevo dare una risposta.
-Qual è la tua condanna? Se posso saperlo, naturalmente.-
-Certo che lo puoi sapere. In fondo, coinvolge anche te… E lei.-
Pronunciare quel ‘lei’ gli provocò una stretta al cuore. Sapevo che non avrei dovuto dirlo, ma dovevo rispondere alla sua domanda, e ciò implicava anche il fatto di riaprire quella ferita. Nella sua mente si riaffacciarono quelle immagini dolorose, mentre lei era a terra, ormai in fin di vita.
Mi affrettai a parlare, in modo da distogliergli l’attenzione da quei ricordi.
-La mia condanna è fare del bene qui, sulla Terra. Ho deciso che lo avrei fatto prendendo sotto la mia protezione le persone, fino a quando ne avrebbero avuto bisogno. Ora come ora, è diverso da quando è iniziato.-
-Cosa c’è di diverso?-
-Quando sono arrivata sulla Terra, ero ancora piena di rabbia, odiavo gli uomini. Mi avevano tolto la vita, mi avevano strappato dalla mia famiglia, non potevo perdonarli. Perciò, agli inizi le mie “opere di bene” non erano poi così, perché risentivano dell’odio che ancora era radicato dentro di me. Pian piano, poi, ho capito che in quel modo non avrei combinato niente, e allora l’odio è sparito. È scomparso del tutto quando vi ho trovato e ho deciso di proteggervi, a tutti i costi.-
-Perché hai scelto noi?-
-Quando per la prima volta ho posato gli occhi su di voi, ho visto il legame che vi legava, quanto eravate uniti, quanto vi amavate. Quello mi ha ricordato molto il rapporto che avevo con mio marito e con mio figlio, perciò ho deciso che voi non avreste sofferto come me. Purtroppo, però, ho fallito il mio compito. Non sono riuscita a salvarla.-
-Non è colpa tua, non avresti potuto fare niente.-
Alzai lo sguardo verso di lui, quasi incredula. Come poteva dire che non ero la causa della sua morte? Sì, non ero stata io a spararle, però avrei dovuto impedire alla sua anima di cristallizzarsi così velocemente, e non ce l’avevo fatta.
In quel momento il suo telefono trillò. Lui rispose subito e rimase in ascolto, mentre io fingevo di non ascoltare, anche se sentivo perfettamente ogni singola parola. Lui ringraziò e riattaccò.
-Devi andare, lo so. Vai pure. Ti aspetterò a casa tua, non ci metterai molto.-
Sgranò gli occhi. -Come fai a sapere…?-
Risi. -Non sono umana, ricordi? Non ti preoccupare, finiremo il discorso più tardi.-
Lui si alzò, gettandomi una lunga occhiata, poi uscì dalla stanza. Lo avrei rivisto dopo una mezz’ora circa: avevo sentito il discorso, sarebbe stata una osa veloce e poi sarebbe tornato a casa sua, dove l’avrei aspettato.
Ripresi le mie poche cose e uscii da lì. Passando davanti all’accettazione, mi fermai per firmare poi uscii. Finalmente potevo respirare aria che non avesse odori di farmaci e schifezze varie.
Mi nascosi in un angolo e diventai di nuovo invisibile. Preferivo usare quella forma, almeno potevo correre in libertà, senza che nessuno si accorgesse della mia presenza e potesse chiedersi che forma non umana ero. In quel momento mi serviva davvero una bella corsa. Avrei potuto anche fare una puntata all’oceano, dal momento che in meno di due minuti sarei potuta tornare.
Decisi di prendermela con calma. Iniziai comunque a correre, ma preferii prendere un giro più largo, in modo da passarmi il tempo. Intanto continuava a piovere, ma andavo talmente veloce che le gocce faticavano a scalfirmi. Finalmente mi ero tolta un peso dalle spalle: il peso di dover sempre stare attenta a non mostrarmi, di non farmi vedere. Adesso con lui avrei potuto rimanere sempre visibile.
Vagai per quasi tutta la costa, poi mi decisi a tornare indietro. Arrivai in città, e in un lampo mi trovai sotto casa sua. Alzai lo sguardo verso il suo piano, dove mi ero fermata molte volte. In quel momento un uomo uscì dal palazzo e io sgattaiolai dentro. In un lampo salii le scale e mi trovai davanti alla sua porta.
Mi sedetti per terra con la schiena appoggiata al muro, aspettando che arrivasse; sapevo che non avrebbe tardato molto, riuscivo già a sentire i suoi pensieri. Probabilmente era di sotto in strada.
Cinque minuti dopo, le porte dell’ascensore si aprirono e lui uscì, puntando lo sguardo sorpreso verso di me; glielo avevo detto, che lo avrei aspettato lì.
-Devo parlarti-, disse, aiutandomi ad alzarmi e aprendo la porta di casa.
-Questa volta sta a te-, feci io, entrando, mentre lui chiudeva la porta.
Mi prese per il braccio e mi fece voltare, prima di mettermi al muro. Si mise davanti a me e si appoggiò alla parete con le mani, impedendomi una via di fuga. Il suo viso era vicinissimo al mio, le fronti ormai si sfioravano. In quel momento ebbi paura di lui; non era normale, aveva un’altra espressione.
-Che stai facendo?-, mormorai, in preda al terrore.
-Che cosa mi hai fatto?-, chiese lui di rimando. -Perché non riesco a odiare?-
Abbassai lo sguardo. -Io non ho fatto niente.-
-Dopo che mi hai spiegato chi sei, perché sei qui, non ho più provato risentimento per nessuno. Ho rivisto quel bastardo, eppure non sono riuscito ad odiarlo. Perché?-
-Io non lo so.-
Mi prese il mento tra le mani e mi costrinse a guardarlo. -Dimmi la verità.-
-Non ti sto mentendo-, mormorai, con le lacrime agli occhi.
In quel momento vidi un raggio di luce entrare dalla finestra. Eppure fuori era nuvoloso e pioveva.
Capii tutto. Non avevo fallito miseramente, ero riuscita a vincere. Avevo finito di scontare la mia pena. Era finalmente giunta l’ora anche per me.
Sgusciai via dalla sua presa, passando sotto il suo braccio destro, e mi diressi verso quella luce che mi avvolgeva in un morbido tepore. Finalmente sarei tornata a casa.
-E’ ora-, mormorai, mentre sentivo il suo sguardo indagatore su di me.
La luce mi avvolse completamente. Sentivo il tepore che mi circondava; il tepore dell’amore, di un posto che mi mancava e che mi apparteneva. Vidi la mia pelle diventare via via più vitrea, mentre il calore aumentava. Mi voltai verso di lui, che mi guardava, sbigottito.
-Finalmente posso tornare dal luogo da cui vengo-, dissi con un sorriso. -Il luogo da dove continuerò a proteggerti.-
-Che sta succedendo?-
-Non ti preoccupare, non sarai mai solo. Continueremo a vegliare su di te, fino a che sarà il tuo momento.-
Le lacrime mi inumidirono gli occhi, al pensiero che finalmente avrei potuto riabbracciare la mia famiglia. Una lacrima mi scese sulla guancia e, nel momento che stava per cadere a terra, il mio corpo si cristallizzò completamente.
Quella lacrima cadde a terra, con un piccolo rumore sordo. Sarebbe stata la lacrima di cristallo ferma sulla guancia del tempo. Per l’eternità.

***THE END***

  
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