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Autore: small    23/11/2012    0 recensioni
Dalla Storia:
"Nema non si chiedeva mai cosa facesse Fabio.
Aveva imparato a compiere una serie di gesti in un rituale di perfetta alchimia. E se non sapeva cosa fare, camminava."
CONSIGLIO di leggere prima "Fragole di cenere"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Fragole di cenere'
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CONSIGLIO DI LEGGERE PRIMA IL PREQUEL COLLEGATO: "FRAGOLE DI CENERE"
(qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1095976&i=1)





A Giulia, che lo troverà un po' troppo romantico e forse verserà qualche lacrimuccia.
A Serena, che lo leggerà saltando tra un impegno e l'altro come la più brava delle acrobate.

A Sofia, che lo finirà veloce come il vento che le sfreccia intorno e poi sorriderà contenta.
E a Sara, ma dovrei saper scrivere con l'oro per spiegare il motivo.



Quando Nema odiava


 



"Si raccontavano strane storie sul suo conto... si diceva che avesse le pupille di un blu
talmente elettrico che bastasse guardarla negli occhi per diventare cechi.
Ed erano verticali, come quelle dei gatti"

Kenneth Lillington, "Una strega biondo cenere"

 

 




Nema non pensava quasi mai a Fabio.
Aveva riempito le sue giornate di monotone routine. Si era impegnata a coltivare il suo giardino e curare le vecchie rose della nonna. Dovevano essere tutte bianche e belle e mature. Ma spuntava sempre qualche rosa rossa qua e là. Nema odiava le rose rosse: erano così poco abituali.



Nema non si chiedeva mai cosa facesse Fabio.
Aveva imparato a compiere una serie di gesti in un rituale di perfetta alchimia. E se non sapeva cosa fare, camminava. E mentre i piedi andavano, la mente vagava e si fermava ogni tanto sul precipizio di qualche burrone immaginario. Nel buio dei pensieri, a volte aveva l'istinto di chiudere gli occhi. Nema odiava gli istinti: erano così poco adatti a lei.



Nema non cercava tra la gente gli occhi di Fabio.
Aveva capito tempo prima che gli occhi sono troppi e troppo banali per poter essere distinti. Pensava che fossero come le nuvole: tutte bianche, dalle forme insolite e galleggianti, riconoscibili solo da fantasie troppo vaghe. Ma ogni tanto aveva quella sensazione in fondo allo stomaco e si girava e guardava qualche occhio. E pensava che non erano i suoi. Nema odiava quella sensazione: sembrava che stesse lì solo per dirle che non tutti gli occhi sono uguali e che alcuni non posso dimenticarsi.




Nema non scriveva le lettere del nome di Fabio.
Aveva preso l'abitudine di cercare sinonimi complessi. Era un esercizio mentale che adorava, come se le permettesse davvero di fingere che lui non fosse mai esistito. Come se lei non avesse mai avuto quella pesante cartella rossa. Però, quando era molto stanca alla fine di una banale giornata, le capitava di dimenticarsi che quelle cinque lettere andavano evitate. Allora scriveva parole come "farfalla", "uomo", "biotico". Nema odiava quella dimenticanza: rendeva tutto troppo pieno di lui.




Nema non passava mai vicino al parco giochi di Fabio.
Aveva dovuto ammettere di avere paura di incontrarlo. Forse temeva solo che lui le chiedesse di mantenere quella promessa infantile. E stupida. E così dannatamente sciocca e da bambini. Poi, quando la sera andava a letto e stava sotto il caldo del piumone, si rigirava inquieta. Forse evitava quei luoghi, si diceva, perchè temeva di sperare di incontrarlo. Poi scuoteva la testa. Nema odiava la speranza: le ricordava quanto era vigliacca.




Nema non si domandava come fosse Fabio.
Aveva imposto a se stessa di dimenticare ogni dettaglio. Aveva cercato di imparare altri volti, nuovi toni di voce. Si ripeteva, in una ninna nanna soffocata, che lui ormai sarebbe stato troppo diverso per essere riconosciuto. Se lo avesse incontrato, non avrebbe saputo chi era o cosa faceva: magari l'aveva anche visto e non se ne era mai accorta. Eppure era certa che lui l'avrebbe riconosciuta, per i suoi capelli cenere e gli occhi blu. Nema odiava quella certezza: era così simile alla sua.




Nema non pensava quasi mai a Fabio.
Ma poi c'erano quelle giornate in cui spuntava il sole. E rimaneva lì, ferma nel giardino tra le rose, a guardare il cielo. Con una forbice in mano, la voglia di camminare e il terrore di dove sarebbe potuta arrivare.
Allora pensava a Fabio. Pensava che a quell'ora lui sarebbe stato su qualche aereo, perché era troppo intelligente per rimanere ancorato a terra. Lui le avrebbe detto di non essere triste per così poco e di ammirare le coccinelle e le formiche. E Nema avrebbe pensato che quelle due formiche avevano proprio lo stesso colore degli occhi di Fabio. Glielo facevano sentire un po' più vicino, come se bastasse uscire dal giardino per trovarselo di fronte. Allora si avvicinava lenta lenta al cancello di legno e allungava la mano timorosa. Si chiedeva se lui avrebbe avuto ancora il naso dritto e le labbra che disegnavano un perfetto cuore. Magari l'avrebbe presa per mano e l'avrebbe accompagnata alle altalene. O forse no. Ritraeva la mano, tremante tornava alle sue rose, alla sua routine.


Nema odiava le giornate di sole: le permettevano sempre di pensare a Fabio.










Writer's corner:
alloraaa! Non pubblico nulla da un pochino di tempo (mmh... forse anche di più) e, soprattutto, non pubblico molto in questa categoria. Diciamo che oggi, mentre camminavo, Nema si è affacciata alla mia mente ed era così prepotente che ho deciso di scrivere per farla uscire. Non so se ci sarà un qualche seguito o no. Magari infilerò tutto in una long... ma non ho ancora deciso. Forse è sdolcinata e deprimente... non so, ditemi voi. Spero comunque che vi piacca!

small

... e tutto questo è scritto in verde, perché il verde è il mio colore... 

   
 
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