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Autore: Nori Namow    23/11/2012    10 recensioni
C’è una storia dietro ogni persona.
C’è una ragione per cui loro sono quel che sono.
Loro non sono così solo perché lo vogliono.
Qualcosa nel passato li ha resi tali e alcune volte è impossibile cambiarli.
Questo diceva Sigmund Freud. E aveva maledettamente ragione.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L' antimateria.

 






C’è una storia dietro ogni persona.
C’è una ragione per cui loro sono quel che sono.
Loro non sono così solo perché lo vogliono.
Qualcosa nel passato li ha resi tali e alcune volte è impossibile cambiarli.

Questo diceva Sigmund Freud. E aveva maledettamente ragione.
 

 
Ero destinata a rimanere nell’ angolo a guardare le persone essere felici. Io ero la ruota di scorta, quella che veniva lasciata perché lo stronzo di turno aveva improvvisamente trovato il vero amore.
Io ero la sfigata.
Quella che veniva tradita e lasciata. Quella di troppo, insomma.
Avete presente quelle storie dove la secchiona si innamora dello stronzo? E lo stronzo nel frattempo è fidanzato con una ragazza bella e perfetta?
Ecco, io non ero la secchiona.
La verità? Io pensavo di essere l’ eccezione che confermava la regola, quella speciale, capace di cambiare un ragazzo rendendolo perfetto.
Ma io non ero l’ eccezione, io ero la regola.
Ma per gli altri, ero semplicemente Alexis Gray, la ragazza carina con una vita perfetta. Mai giudicare un libro dalla copertina, dannazione.
Avevo la passione per la filosofia, per l’ astronomia, per la fisica e per la psicologia. Il mio cervello era attratto da queste materie.
Il mio corpo, invece, adorava distruggere se stesso.
E tutto a causa di Niall James Horan, il biondino con la faccia da angelo, ma che angelo non era. Affatto.
Era il mio ragazzo, era stronzo, e mi amava e bla bla bla.
Peccato che il tipo abbia smesso di esserlo da quando ha conosciuto la timida Leah Cox, che ha rubato il suo cuore e distrutto senza pietà il mio.
E, da ragazza solare e sorridente che ero, mi ero trasformata in un mostro che odiava qualsiasi cosa parlasse, compresa se stessa. Ero scorbutica, menefreghista, cattiva con troppe persone, probabilmente.
E tutto a causa di loro due, e della quantità di vomito che saliva alla gola, tanto erano luridamente dolci.
Niall e la sua ragazza erano la mia antimateria.
“Quando materia e antimateria si incontrano danno vita ad un processo che va sotto il nome di annichilazione il cui risultato è la totale trasformazione della massa in energia.”
Insomma, bastava incontrarci per annullarci. E quando li vedevo, io mi sentivo vuota, morta.
Se si dice ‘mens sana in corpore sano’, allora io ero totalmente sbagliata. Il mio cervello era sano, sanissimo. Il mio corpo, invece, veniva distrutto senza pietà.
 
Presi la lametta e la posizionai sul polso destro con lentezza. Aumentai la pressione, e poi uno scatto verso sinistra.
Il sangue prese a scorrere, rigandomi il polso, ferito per l’ ennesima volta. Una sensazione mista a piacere e dolore mi pervase, e mi sentii subito meglio.
Era il mio unico modo per sentirmi viva. Era un dispetto che facevo a me stessa, perchè ero stata troppo stupida.
Feci attenzione a non sporcare la mia felpa bianca, e aprii il rubinetto, sperando che ogni traccia di sangue andasse via.
Mi assicurai che il sangue avesse smesso di scorrere, e rimisi al polso gli innumerevoli braccialetti per coprirne i graffi.
Ecco a ciò che mi ero ridotta, in quegli ultimi due anni. Studio, casa, autolesionismo. Perfino dormire era diventato un lusso che non potevo permettermi.
Ero un vegetale sotto sembianze umane, la mia vita si limitava a quelle poche azioni. La mia vita sociale si era ridotta a qualche minuto in metropolitana per raggiungere la biblioteca, a qualche “mi scusi”, “permesso”, “grazie”, “prego”.
Ero scontrosa con le persone, specialmente con i ragazzi che tentavano di abbordarmi con schemi inutili e superficiali.
Volevo qualcuno che mi cogliesse di sorpresa. Che stravolgesse la mia misera esistenza. Che non fosse la mia antimateria.
 
Mi strinsi ancora di più nel cappotto, mentre il mio sguardo era costantemente arrabbiato e orientato verso il basso. Non guardavo più le persone che mi camminavano accanto, non ne ero più capace.
Mi limitavo ad osservare i miei piedi, e qualche negozio, di tanto in tanto.
Ero seduta su una sedia, in attesa che la metropolitana arrivasse per portarmi a Westminster, alla biblioteca.
I capelli rossi e ondulati erano accuratamente disposti sotto un cappello, e gli occhi color miele, costantemente fissi sulle scarpe.
Intorno a me avevo solo persone che parlottavano fra loro.
“Ciao!” fu una voce maschile, acuta e squillante, a mettermi sull’ attenti. Non l’ avevo mai sentita e non sapevo a chi potesse appartenere.
Finsi di non sentire il ragazzo che si era seduto accanto a me, né mi curai di guardare che faccia avesse. Sarebbe bastato qualche secondo di silenzio e si sarebbe arreso, tornando alla sua patetica vita e lasciando che io tornassi alla mia. Se si potesse chiamare vita, quella che conducevo io.
Sentivo i tagli sulle braccia bruciare, e mi concentrai solo sull’ immagine di una lametta che, una volta tornata a casa, mi avrebbe regalato la sua dolce compagnia.
Con la coda dell’ occhio, notai che il ragazzo, vestito con jeans stretti e giacca nera, si era mosso sulla sedia accanto alla mia, a disagio.
Si schiarì la voce, passandosi una mano fra i capelli, probabilmente.
“Ciao!” trillò nuovamente, come se sperasse che non l’ avessi sentito prima e magari il secondo tentativo era quello buono.
Sbuffai sonoramente, senza distogliere lo sguardo dalle mie Nike, molto più interessanti di quell' idiota.
Sentii il familiare rumore dei binari che stridevano, e avvertii la presenza dell’ imponente macchinario che mi aveva salvata da una rissa con quel tipo.
Senza voltarmi a guardarlo, entrai nel primo vagone che mi trovai di fronte, e mi sorpresi, quando trovai addirittura dei posti.
Mi accomodai su uno di essi, e ripresi la mia attività quotidiana: guardare in basso.
Qualcuno si sedette vicino a me, sfiorandomi appena la gamba con la sua.
“Ciao!” trillò per la terza volta quel fastidioso ragazzo. Ringhiai, e mi voltai di scatto verso di lui, pronta ad ucciderlo di schiaffi.
“Ho capito! Ciao anche a te! E ora fottiti!” urlai verso di lui, che si allontanò un po', impaurito dalla mia improvvisa reazione.
La cosa che odiai di più, in quel momento, furono i suoi occhi, azzurri come il mare. Azzurri come quelli di Niall.
I capelli, invece, erano castani e disordinati, sparati da un lato.
Aveva un viso vivace, poteva avere la mia età, ed era bello. Il ragazzo deglutì rumorosamente, e fece per parlare, ma io distolsi immediatamente lo sguardo, riportandolo a terra.
“Ah, quindi ce l’ hai la voce. Pensavo fossi sordomuta.” Confessò, e mi morsi il labbro inferiore per non riempirlo di parolacce.
Ma chi credeva di essere?!
“Comunque io sono Louis, piacere!” esclamò con tutta la felicità del mondo. Peccato che io fossi costantemente di malumore, e non strinsi la sua mano, né mi presentai.
Pregai in aramaico antico di arrivare il prima possibile a Westminster. Così avrei raggiunto la mia biblioteca e sarei tornata alla mia monotona vita, senza nessun occhi blu a rompermi le ovaie.
“E tu come ti chiami?” continuò imperterrito, mentre il mio battito cardiaco aumentava a causa della rabbia.
Perché non poteva lasciarmi semplicemente in pace? Non avevo voglia di conoscerlo, di sorridergli, di nulla. Avevo voglia di leggere un buon libro, basta.
La voce metallica annunciò la fermata: Westminster. Scesi con velocità, cominciando ad accelerare il passo, sperando di seminare il tipo.
Dopo alcuni minuti di camminata, arrivai all’ imponente edificio. Presi il primo libro che trovai fra le mani: Sessualità e vita amorosa, Sigmund Freud.
Freud era il mio migliore amico, tipo. Condividevo tutto ciò che diceva, e lo trovavo maledettamente perspicace e giusto.
Mi sedetti su una comoda poltroncina, lontana da tutti, nonostante il silenzio lì dentro fosse tombale. Ecco, ciò che amavo di più. Il silenzio.
Cosa che quel tipo della metro, non conosceva affatto.
Aprii una pagina a caso, e mi soffermai su una frase in particolare, che catturò la mia attenzione:
“Quando amano non desiderano, e quando desiderano non possono amare.”
Senza un apparente motivo, mi venne in mente lui, Louis. Ricordavo persino il suo nome. Risi fra me e me, scuotendo la testa.
Era un tipo particolare e testardo, dovevo ammetterlo. Ma terribilmente scassa palle.
 
Uscii dalla biblioteca, dirigendomi verso l’ Underground poco distante da lì. Avevo passato le ultime tre ore in biblioteca, sfogliando i vari libri di filosofia che mi capitavano sotto mano.
Avrei voluto diventare una professoressa di filosofia, prima che il mondo mi crollasse addosso, dandomi la consapevolezza che io ero destinata a rimanere spenta e guardare le stelle brillare. Sbuffai, e il mio respiro si trasformò in una piccola nube, che si dissolse poco dopo.
Entrai in metropolitana, scendendo svogliatamente le scale, e accomodandomi su una di quelle sedie metalliche e fredde.
Non so cosa mi prese, cosa fu a scatenare quella mia reazione che agli altri poteva sembrare assolutamente normale.
Fatto sta che alzai lo sguardo, guardando le persone che mi stavano attorno.
Non che mi interessasse molto sapere di cosa parlava l’ anziano signore, o perché stesse sorridendo la ragazzina.
Era solo che, inspiegabilmente, avevo voglia di alzare lo sguardo, di vedere cosa stesse accadendo intorno a me.
Come se mi sentissi viva e pronta ad interagire con gli esseri umani.
Arrivò la metro, ed entrai nel vagone meno vuoto. Durante il viaggio, mi limitai ad osservare il mio riflesso nel finestrino.
 
Sfogliai il libro ‘L’ interpretazione dei sogni’ di Freud, quando sentii il rumore di una sedia che si spostava, poco delicatamente aggiungerei, e qualcuno si sedeva accanto a me.
Sfortunatamente, quel giorno non ero riuscita a trovare un posto dove potessi stare tranquilla. Inoltre, i tagli fatti poche ore prima bruciavano ancora.
“Ciao!” disse una voce maschile, abbastanza familiare. Istintivamente, alzai lo sguardo, incontrando per la seconda volta, quelli del ragazzo in metro. Louis.
Le labbra sottili erano distese in un sorriso ingenuo e pieno di felicità, e metteva in mostra una fila di denti bianchissimi e dritti.
I capelli castani, sempre disordinati, gli regalavano un aria sbarazzina.
Insomma, proprio non aveva la faccia da stalker rompiscatole che era.
“Ciao.” Dissi fredda, per poi tornare al mio libro. Lui si avvicinò a me con la sedia, sporgendosi per vedere cosa stessi leggendo. Aveva un buon profumo.
Alzai la testa lentamente, per capire quali intenzioni avesse, e trovai il suo viso a pochi centimetri dal mio.
Un inspiegabile batticuore si impossessò del mio organo che si limitava a battere. Sopravvivere, ecco a cosa mi ero ridotta.
“Che vuoi?” domandai acida, guardandolo male. Lui si morse il labbro inferiore, in imbarazzo. Sembrava un bambinetto e per un attimo provai pena per lui.
Non solo era l’ unico essere umano che mi degnava di uno sguardo, ma io lo trattavo pure male.
“Che libro leggi?” chiese, tornando a sorridere. Alzai il libro, per mostrargli la copertina. Sorrise, se possibile, ancora di più.
Un uomo che dubita del proprio amore, può, anzi deve, dubitare di ogni più piccola cosa.” Citò fiero, ma io scoppiai a ridere.
“Questa è del libro ‘Aforismi e pensieri’. Scommetto anche che l’ hai letta su Facebook” ribattei, tornando al libro. Lo sentii ridere, aveva una risata così bella e rilassante.
“Diciamo che mi piace Freud. E a te?” continuò imperterrito. Non aveva capito che la biblioteca era un luogo inadatto per le conversazioni? Sbuffai, rassegnandomi.
“Sì, lo adoro. Diciamo che condivido tutto quello che dice.” spiegai sorridendogli appena.
Lui ricambiò, e poi corse verso il bancone dei prestiti, dove sussurrò agitato qualcosa alla bibliotecaria, Martha.
Pensai che volesse andarsene, che probabilmente avevo deluso le sue aspettative.
L’ osservai, quasi incantata. Era così diverso da Niall, ma ugualmente affascinante e molto più divertente. O almeno, dava quell’ impressione.
Tornai a concentrarmi sul mio libro; non volevo vederlo andarsene senza neanche avermi salutata.
Qualcuno mi mise un foglietto di carta con qualcosa di confuso scritto sopra, sulla pagina di libro che stavo attentamente leggendo.
Alzai gli occhi, incontrando quelli azzurri di Louis.
Non erano uguali a quelli di Niall, quelli di Louis erano più belli, decretai. Mi sorrise, indicandomi con lo sguardo il foglietto.
Lo presi fra le mani e lo lessi ad alta voce.
Ciao, sono Freud. Visto che condividi tutto quello che dico, lascia che ti dia un consiglio.
Esci con Louis Tomlinson, domani, alle 21.00.
Ti passa a prendere lui.
 
Ti prego.”
Scoppiai a ridere, e guardai Louis, che mi aspettava speranzoso. Misi il foglietto in tasca e gli diedi un buffetto sulla guancia, sussurrandogli un “Forse.” con il sorriso sulle labbra.




Otto mesi dopo.
 
Rigirai fra le mani quel  foglietto, che mi faceva sorridere ogni volta che lo trovavo, anche per caso.
Rigirai i toast nel forno, aspettando che tostassero per bene e il mio sguardo si posò un attimo sui miei polsi. Rimaneva solo qualche cicatrice, ormai. Nient altro che brutti ricordi degli anni passati.
Sopra avevo fatto fare un tatuaggio con una frase di Freud, che recitava:
“Così come si provocano o si esagerano i dolori dando loro importanza, nello stesso modo questi scompaiono quando se ne distoglie l'attenzione”
Ho mai detto che Freud ha sempre maledettamente ragione?
“È tardi. È tardi. È tardi. È tardi. È tardiiii.” Urlò disperato lui entrando frettolosamente in cucina, mentre si apprestava ad infilare il giubbino. Risi, notando la sua faccia buffa.
“Scusa amore, il capo mi licenzia, devo correre via come Peter Pan. Sicura di non essere Trilly? Un po' di polvere mi farebbe bene” esclamò prendendomi il viso fra le mani e lasciandomi molteplici baci a stampo. Lo abbracciai, prima di vederlo sparire dietro la porta.
Aspetta, ma oggi non era Giovedì?
Pochi istanti dopo, sentii una porta riaprirsi, e Louis tornare in cucina, mentre sorrideva con la testa fra le mani.
“Ho dimenticato che oggi è il mio giorno libero.” Disse con gli occhi che brillavano di luce propria.
“Sei sempre il solito idiota, Lou” esclamai esasperata, mentre gli davo un bacio.
“È per questo che mi ami.” Precisò fiero, mentre, presi da un impeto di passione, inciampavamo cadendo con il sedere per terra.











ASDFGHJKL MACCIAOO.
Ed eccomi con l' ennesima, orribile OS HAHAHA
Ma non riesco a non scrivere, ecco. Ho sempre nuove idee.
Sta OS è iniziata depry, ma grazie a Louis è finita meglio, dai c:
Hahaha ho amato fargli fare la parte del coglione rompipalle.
"Ciao!" ... "Ciao!" ... "Ciao!"
E boh, spero recensirete ç-ç
Lo so che vi pesa il culo, però scrivere 10 parole per rendermi felici no, eh? D:
Così mi uccidete, yeah. E boh, già la mia autostima fa schifo.
Il titolo l' ho preso da un argomento che comincia ad interessarmi gnhjrk l' antimateria *-*
E boh,  lei è la nostra Alexis *-* Bella, vero? Sì.
Addio. Ah, se volete seguite le mie FF, mi farebbe molto piacere! ♥



E ricordate che sono piena di OS che aspettano le recensioni ç.ç

   
 
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