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Autore: SakiJune    12/06/2007    1 recensioni
E' una storia (lunga) sull'amore, il coraggio e la vigliaccheria dei sentimenti... "Nel duemilauno avevo diciott'anni, i capelli lunghi, i vestiti stracciati e le tasche rifornite di erba. Mi ero iscritto da poco all'università ed ero già indietro con gli esami in maniera preoccupante. Mi facevo chiamare Shin: un nomignolo per lo meno coerente con i miei lineamenti"
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dot aveva aperto il divano letto dove avrebbero dormito insieme per quasi un anno. La definì "rifugiata politica" e non toccò mai l'argomento. Era senza documenti, ma siccome questa era la sua vecchia città, sarebbe stato molto più facile procurarseli.

Lei era sempre fidanzata con quel compagno di Manchester (anche se non vivevano più insieme), ma in quanto a destra e sinistra, le distingueva solo mentre guidava. In quell'ultimo periodo si erano sentite raramente, ma era sempre una grande amica. Su una mensola in cucina faceva bella mostra di sé il loro principale interesse comune, l'opera omnia della Yazawa: incluso l'ultimo numero di Nana. L'ho letto e ora posso anche morire, ricordò, ma Dot non gliel'avrebbe perdonato.

Così visse. Lavorava quattro ore al giorno e preparava gli ultimi esami. Si iscrisse persino ad un corso di Web design. Pagava metà della bolletta telefonica per l'accesso a Internet (l'appartamento era di proprietà dei genitori di Dot, quindi non c'erano altre spese) e metà delle provviste. Mangiavano da scoppiare, facevano jogging tutte le mattine sulla spiaggia - la nostra città, S..., era sulla costa orientale - passavano le serate a chattare e a bere con gli amici. Ascoltavano molta musica. Le atmosfere cupe di Nick Cave, il pop nostalgico dei Fastball, la rabbia meravigliosa dei Linkin Park. Tutto le affascinava. Ma per fortuna Dot detestava il jazz. Una sola canzone di Cole, un solo swing, e Laura sarebbe crollata.

Riprendendo a frequentare la vecchia compagnia, una sera ci rivedemmo. Per me non fu affatto una sorpresa, in realtà: io sapevo. Sapevo che cosa era successo perché la mattina dopo l'attentato, mentre ero sotto la doccia, avevo sentito squillare il telefono, e poi mia madre che piangeva, e alle sette papà aveva preso l'auto per andare al lavoro e lei non sapeva come arrivare all'ospedale, allora avevo chiamato Hare che ci aveva portato in macchina fino a C., e meno di una settimana dopo i miei genitori si erano lasciati definitivamente, e mamma era rimasta ad abitare in casa di mio fratello.

E sapevo come era andata a finire: se avevano preso i nazisti bastardi, se ne aveva parlato il Times (lei non lesse mai un giornale dal suo arrivo, per quanto ne so), e poi c'era il se più grande, più tremendo, il se che per lei doveva restare tale. Mi scongiurò di tacere, e tacqui. Anch'io attendevo notizie da C., ogni giorno, e ogni giorno erano sempre più confuse. Laura aveva bisogno di certezze, vero? Sarei stato la sua.


Will you take my heart away

from this crazy mind of mine

before I get full awake?

if you can't, well, lead me astray,

after all, I'm never fine:

let your love be my next ache!3


Finché rimase a S., Laura tornò ad essere il centro della mia vita. Ma quante cose erano cambiate?

Lei aveva adesso lo sguardo di chi ha già incontrato il proprio destino, e ne è stato trascinato lontano. Era sbocciata una bellezza struggente sul suo viso, che forse soltanto io riuscivo ora a vedere. I suoi capelli ora erano di un celeste chiaro, più lunghi. Si era fatta fare un piercing sul sopracciglio. Era trasandata come un tempo, se possibile. Ormai ero del tutto - oh - innamorato di lei. Aveva tutto il fascino di cui mi parlava Hare mille anni fa, completo e irresistibile, era caricata da una passione che nulla aveva a che spartire con il gioco o la curiosità. E io sapevo di goderne senza avere alcun merito. La situazione si era invertita: un tempo mi ero preso Laura perché non potevo avere Dot, per cui tra l'altro non provavo che un'infatuazione, e adesso ero io a rappresentare uno sfogo, un riparo conosciuto che le permetteva di lasciar fuori il dolore e riprendersi il passato con gli interessi.

Non avevo mai considerato Declan un uomo tale da attirare particolari attenzioni da una donna. Immaginavo ovviamente che non fosse più vergine da tempo, di certo da prima che nascessi io, così come lui lo pensava di me. Ma che una donna, appunto, anzi una ragazza di ventidue anni - potesse provare un sentimento così forte nei suoi confronti da rischiare la propria vita per lui... che questa ragazza fosse Laura... beh, la cosa mi sconvolse parecchio. In secondo luogo, cosa sapevo di questo sentimento? Cosa mi aveva potuto raccontare John, quell'unica volta che ero andato a C.? Laura non si era per niente confidata con lui. Faceva delle ipotesi. Era nello shock più totale, si attribuiva delle colpe inesistenti; non concepiva come Laura avesse potuto agire con un tale coraggio e poi lasciare la città senza dire una parola, sennonché... sì, ammetteva di essersi accorto del modo in cui lei guardava Declan. "Ma davvero" mi disse "Credevo fosse una sciocchezza. Doveva per forza essere una sciocchezza, non c'era altra spiegazione" (da parte sua, non era al corrente dei miei rapporti con lei, perciò me ne parlò come di una persona a me sconosciuta) "Io l'avrei fatto per la mia donna. Ma mi vergogno a dire che, per qualunque altro, sarei andato a cercare aiuto". Disperava di ricostruire la sede, di trovare la forza e la motivazione, nonostante la popolazione di C. si fosse dimostrata solidale in un'accusa unanime nei confronti dell'accaduto. Su una cosa sola manteneva un incrollabile ottimismo: sulla sorte di mio fratello.

Anch'io speravo e pregavo, pregavo non so chi, tuttavia non rivelai nulla a Laura. Lei ballava ai concerti e si ubriacava con me e facevamo l'amore, fino in fondo e non più distrattamente, certo, e aveva ormai solo un esame che la separava dalla tesi, ma ero consapevole che solo un filo sottile le permetteva di tenere insieme i pezzi di se stessa. Questo filo si chiamava dubbio. Qualcosa di meno della speranza, qualcosa in più della disperazione. La mia decisione può apparire vile (così come alcuni giudicarono tale la fuga di Laura a S.), ma non dite che non fosse giusto che dimenticasse! Se il suo gesto tanto eroico si fosse dimostrato perfettamente inutile, i suoi nervi avrebbero retto?

Proprio perché tra Laura e me, in quei mesi, il nome di Declan non venne mai pronunciato, puntai tutto sul mio potere di seduzione, sul mio stato anagrafico, sulla nostra vecchia liaison (da non tradurre: a quei tempi sconsiderati, mi vedevo molto Valmont). Ero orgoglioso di lei, del suo coraggio; e anche di me stesso, perché questa volta la sceglievo, la sentivo mia. Erano finiti i pomeriggi in cui le rinfacciavo i nuovi difetti che ero riuscito a trovarle, quando ad una festa la lasciavo in una stanza a rivestirsi in lacrime, quando le promettevo performances strabilianti in cambio degli appunti di letteratura... c'era un sentimento nuovo che chi colleziona libri antichi conosce bene.

Laura

è il personaggio di un poema arcaico le cui avventure sono scritte su carta sottile e friabile. I suoi versi sono stati composti nella lingua di un'altra dimensione, di un altro tempo, ma che io ho avuto il dono di comprendere per uno scopo preciso. E se fosse quello di leggerla per sempre! Di tradurre ogni suo sorriso, ogni suo timore, ogni suo istante di vita nell'amore di ogni giorno! Di essere il suo uomo, accidenti...

non è così. E ho una voglia tremenda di raccontarvi quanto è stato eccitante essere finalmente il suo ragazzo, ma mi imbarazza pensare che Deke non abbia mai immaginato niente di tutto questo... veramente, non ha mai saputo nemmeno che Laura e io ci conoscessimo.

Ci fu il suo esame finale e passarono due mesi di pioggia, e mi arrivò una lettera da Milano nel momento in cui non m'interessava più riceverla. Si trattava di un progetto universitario europeo; avevo mandato la richiesta poco tempo dopo essermi iscritto ai corsi di Scienze della formazione, e come la maggior parte dei miei compagni di facoltà non ci speravo troppo. Per me l'Italia era un sogno, il mito della mia adolescenza. E ora c'era anche Laura, e tutt'e due le cose si erano fuse in una realtà più che plausibile.

Immaginai di andare a vivere insieme laggiù, nella città delle banche e degli stilisti. Ci saremmo sposati, io sarei diventato un educatore professionista, lei avrebbe diretto un giornale. Avremmo passato le vacanze dai suoi parenti, nella campagna toscana, con i nostri bambini, in un idillio senza fine.

Però. Fosse stato semplice.

Non pensiate che, anche se tra noi non si parlava mai dell'attentato, Laura non mi avesse raccontato della sua vita a C. Al contrario, mi disse tutto sulla scuola, sui lavori part-time che aveva fatto, e mi descrisse persino le attività del partito, tralasciando naturalmente l'argomento

(Declan)

che la tormentava. Ma sentirla parlare di John, con l'affetto e il rimpianto che metteva nelle sue parole, non poteva non ricordarmi mio fratello. Così mi sentivo sempre più in colpa per la mia indifferenza nei suoi confronti, per i preconcetti che mio padre mi aveva inculcato sin da piccolo e dei quali non mi ero del tutto sbarazzato. Anche dopo la famosa manifestazione di C., anche se ci eravamo per così dire riavvicinati, non avevamo un vero rapporto. E questo non potevo imputarlo al fatto di vivere lontani, alla differenza d'età, e in fondo nemmeno a mio padre... era colpa mia.

Credevo che essere, al contrario di lui, giovane e carino mi desse le chiavi del mondo, ed ecco che la mia ragazza soffre per lui, e il suo ricordo la stravolge e le impedisce di amarmi, perché lui possiede il suo cuore, senza apparentemente aver fatto o detto niente per conquistarlo, senza nemmeno saperlo. Questa è la punizione per aver sbagliato con entrambi, per tanto, tanto tempo. Ma che ad essere punito sia soltanto io, allora! E che vengano buone notizie, così da poter infrangere la promessa al più presto

(il se più tremendo)

e se questo vorrà dire perderla, posso sopportarlo. Andrò a Milano da solo, studierò quello che mi piace e lavorerò per quello che ho studiato, vedrò i posti che ho sempre sognato di visitare e non rimpiangerò nulla, tranne lei, ma va tutto bene, è lei che deve avere tutto il resto.

Per ora continuerò a firmarmi

Shin Takezawa

   
 
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