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Autore: VaniaMajor    24/11/2012    1 recensioni
Ultimo capitolo della trilogia dello Scettro dei Tre. Le rinascenti forze di Takhisis continuano a minare la vita dei fratelli Majere. I Cavalieri di Solamnia premono per avere Steel in custodia, mentre Katlin cerca di recuperare la sua magia e Crysania viene messa alla gogna a causa della sua relazione con Raistlin. Sul futuro grava la minaccia di una totale distruzione...
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ritorno dei Gemelli'
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Steel socchiuse la porta, guardando a destra e a sinistra. I due Cavalieri di guardia erano arrivati in fondo al corridoio e si sarebbero voltati entro pochi istanti. Steel si richiuse velocemente in camera e deglutì a fatica, stringendo una mano sul petto, dove poteva sentire la superficie dura dello specchio raccomandatogli da suo zio Raistlin.

Doveva uscire da quella camera, se voleva far scattare la trappola secondo le modalità richieste dall'arcimago, ma come poteva fare se non veniva lasciato solo nemmeno per un istante?
Erano arrivati alla fortezza quella mattina, accolti da Lord Gunthar in persona che aveva soffocato a stento la sua commozione nel riconoscere in Steel i tratti paterni. Per quanto emozionato di trovarsi tanto vicino al suo sogno, il ragazzo non aveva dimenticato di essere finito al contempo pericolosamente vicino agli artigli di Takhisis, a quel futuro che sua madre Kitiara gli decantava nei sogni e che faceva impallidire sua zia Kat.
Lod Gunthar aveva mostrato a Steel e ai suoi tutori quali sarebbero stati i suoi alloggi, ma le chiacchiere oziose erano durate poco. Sia Tanis che Caramon avevano tutta l’intenzione di far pesare ai Cavalieri quella convocazione dalla tempistica tanto infelice, mentre Steven aveva da fare rapporto sul viaggio e sulla zia Katlin. La dama votata a Paladine li aveva lasciati un paio di notti prima, in silenzio. Caramon aveva spiegato che si sarebbe recata a Solace con mezzi propri, senza aggiungere altro, ma Steel aveva dedotto che anche nella sua scomparsa doveva esserci lo zampino di Raistlin Majere.
Steel aveva pensato di approfittare della discussione sicuramente lunga per restare da solo e cominciare a pensare al da farsi. Aveva lamentato un malessere dovuto alla stanchezza del lungo viaggio e subito gli era stato concesso di andare in camera a riposare mentre gli adulti risolvevano le loro divergenze. Nemmeno Tasslehoff l’aveva accompagnato, una premura di zio Caramon per permettergli di dormire senza sopportarne le chiacchiere, e Steel aveva sospirato di sollievo in cuor suo, perché non avrebbe saputo come sviare il kender.
Purtroppo, il suo piano si era incagliato su un dettaglio non previsto: le due guardie di sentinella alla porta. Lord Gunthar non prendeva poi così sottogamba gli avvertimenti degli Eroi delle Lance e non voleva che al ragazzo succedesse qualcosa di sgradevole.
“Come faccio?” pensò, guardandosi attorno. Doveva pensare qualcosa, e alla svelta. L’arcimago non gli aveva dato molto tempo, voleva agire quella notte. I maghi erano all’erta, da qualche parte. Lui avrebbe condotto i Grigi, nascosti fra la servitù e sicuramente già consci della sua presenza nella fortezza, in trappola. Ma come arrivare a farsi prendere?
«Pensa, Steel Brightblade. Pensa in tutte le direzioni.» mormorò. Sua zia e il kender gli avevano insegnato che a volte bisogna cercare la soluzione nell’improbabile, anche per prendere alla sprovvista il nemico.
Guardò la camera, il letto, la piccola scrivania con il lume nuovo, mai utilizzato. Una finestra dava su una piccola corte di servizio e la porta era di legno massiccio rinforzato da liste di metallo. Steel aggrottò la fronte e andò alla finestra, guardando di sotto. Un soldato che smontava dal turno di guardia attraversò la corte, scambiando poche parole con chi andava a dargli il cambio, poi ognuno andò per la sua strada e il cortile fu vuoto.
Steel aprì la finestra e si guardò attorno. C’era un’altra finestra aperta, a poca distanza dalla sua, ma da quello che aveva capito della struttura dell’edificio doveva affacciarsi su un’altra stanza privata. Si sporse e guardò alla sua sinistra. Dopo un paio di metri iniziava un alto muro con finestre simili alla sua al primo piano e finestre senza vetri e intelaiature, più strette, al suo livello, con una serie di minuscole feritoie per gli arcieri molto più in alto.
Poteva arrivare fino alle finestre aperte sul primo corridoio di passaggio senza farsi scoprire e, soprattutto, senza sfracellarsi al suolo? Cornicioni non ce n’erano, come da attendersi in una costruzione di tipo militare che offriva pochi appigli ad eventuali assalitori. Di saltare fino alla prima apertura non se ne parlava, a meno di avere un paio d’ali. Steel si morse il labbro inferiore, tornando a guardare all’interno della stanza. Doveva arrivare fin là…ma come?!
Impiegò quasi dieci minuti a trovare la soluzione, probabilmente suicida, ma era l’unica cosa che gli venisse in mente. Non voleva sapere cosa significasse contrariare il fratello di sua madre: preferiva rischiare. Tolse le lenzuola al letto, le legò con estrema cura, poi trascinò il giaciglio sotto la finestra, cercando di fare meno rumore possibile. Rimase immobile qualche istante per attendere una reazione delle sentinelle e lasciar passare due addetti delle cucine che stavano attraversando il cortile, chiacchierando. Uno di loro lanciò un’occhiata all’apparenza distratta alla sua finestra aperta. Steel sperò che fosse uno dei Grigi. Se avesse dovuto girare a vuoto troppo a lungo per la fortezza, sarebbe stato ritrovato e chiuso di nuovo nella sua stanza.
«Prima devo evitare di cadere di sotto.» si disse, rimettendosi all’opera con il cuore che batteva forte. Legò le lenzuola al letto, che era massiccio avrebbe certamente retto il suo peso, poi si calò con esse lungo il muro. Attese un istante in quella posizione precaria, il cuore in gola, poi iniziò a dondolare. Ogni oscillazione lo portava più vicino al muro, alle sue pietre antiche e non più perfettamente combacianti, a quella finestra sul corridoio che gli Dei mantenevano deserto per chissà quale misterioso motivo.
Con un ultimo colpo di reni e un ansito che parve venire fin dal fondo della sua anima, Steel arrivò a portata della parete di pietra. Si allungò all’ultimo momento, rischiando il tutto per tutto, e calciò il muro per darsi lo slancio verso la finestra. Le dita tese della sua mano destra si aggrapparono dolorosamente al bordo della finestra, lasciandolo a mezz’aria per un istante. Poi mollò il lenzuolo e rafforzò la presa sul bordo della finestra, aderendo al muro come una mosca. Non avrebbe saputo dire come trovò la forza di issarsi sul bordo di pietra e poi ricadere a peso morto sul pavimento del corridoio. Era terrorizzato dal rischio appena corso di rompersi l'osso del collo. Allo stesso tempo, era fiero di aver calcolato ogni movimento con esattezza ed essere riuscito a evadere la sorveglianza.
Si alzò in piedi sulle gambe tremanti, cercando di riprendere un po' di confidenza mentre controllava che lo specchio fosse ancora al sicuro sotto al giustacuore. Doveva togliersi da lì, se non voleva farsi scoprire dai Cavalieri...anche se quel camminamento di raccordo sembrava poco frequentato. Si sarebbe fatto scorgere solo dalla servitù, nella speranza di attirare gli sguardi giusti. Si sorprese che qualcosa, dentro di lui, stesse godendo del rischio.
"Alla fin fine, forse posseggo una parte del carattere di mia madre." pensò.
Corse via, silenzioso, inoltrandosi nella fortezza.
***
«Non sto dicendo che sia sbagliato a prescindere! Quello che voglio dire è...»
«Che è troppo presto.- finì Lord Gunthar, annuendo - Mi rendo conto del vostro punto di vista, Caramon Majere. Non crediate che sia insensibile alle ragioni di famiglia. Per le nostre abitudini, però, il ragazzo è pronto da tempo all'addestramento. Perchè fargli perdere altri anni? Per un pericolo che nemmeno sappiamo se davvero ci minaccia?»
«Lord Gunthar, con il dovuto rispetto, speravo che almeno fossimo andati oltre l'uso del condizionale nel parlare dei piani di Takhisis.» intervenne Tanis, corrucciato.
«Non vi rendete conto di quali rischi corre il ragazzo?- disse Caramon, infervorato- Io sono più simile a voi che a un mago e come voi non mi raccapezzo in mezzo a visioni, trame del Conclave e roba simile. Eppure, perfino io mi rendo conto che qui c'è in gioco qualcosa di molto più grande di una semplice setta di esaltati. Voi non c’eravate, su quell’isola. Non avete potuto constatare quanto fossero già organizzati.»
«Motivo per cui avremo particolare cura nel tenere d'occhio il giovane Brightblade finché non sarà adulto. Spero convincerete anche vostra sorella delle nostre buone intenzioni. Non mettiamo in dubbio le vostre parole, Caramon Majere, ma temo che stiate sottovalutando i Cavalieri di Solamnia.» sottolineò Lord Gunthar, testardo.
Tasslehoff, nel suo angolo, scosse la testa con una certa rassegnazione. La discussione, noiosa come poche, andava avanti da un pezzo senza che le due posizioni trovassero un vero compromesso. Tas, estromesso a priori, aveva ormai guardato e toccato tutto ciò che di interessante era contenuto nella stanza - che non era al livello della dimora privata di Lord Gunthar, già esplorata da Tas tanti anni prima in compagnia di Fizban- e aveva iniziato ad annoiarsi. Pesantemente. Questa era una condizione di spirito veramente pericolosa, che i suoi amici avrebbero notato se fossero stati meno presi dal tentativo di aprire gli occhi al capo dei Cavalieri. Per come stavano le cose, però, Tas era in balia di se stesso.
Finì per decidere di andare a fare un giro. Non ne poteva più di sentire quei toni alterati e di starsene zitto e in disparte. Aprì la porta quel tanto che bastava e sgattaiolò fuori, producendosi in un sentito sospiro di sollievo. Più tardi sarebbe stato sgridato, ma al momento gli sembrava un prezzo modesto da pagare per potersi sgranchire un po’ le gambe!
Bighellonò in giro per i corridoi e le sale al primo piano per un'oretta, poi imboccò una stretta rampa di scale e la salì fino in cima, trovandosi in breve all'aria aperta, sugli spalti della fortezza. I Cavalieri di guardia lo salutarono con rispetto e lui ricambiò con squillanti "Buon pomeriggio!".
Il kender si affacciò a guardare il panorama che iniziava ad assumere un piacevole color arancio, respirando il tiepido vento meridionale. Lo metteva di buon umore vedere quanto la gente, laggiù, lo apostrofasse ancora come un Eroe delle Lance da trattare da pari e non come un dannatissimo fastidio. Parte di quei Cavalieri erano sopravvissuti all'attacco alla Torre del Sommo Chierico, erano stati al fianco di Sturm e Laurana in battaglia. Avevano conosciuto sia lui che Flint. Immaginava che certe cose cambiassero le persone.
"Sicuramente hanno cambiato me." pensò, con un sospiro mesto. Stare lassù rendeva molto vividi i ricordi di quelle battaglie, di quei lutti. A Tas non piaceva pensare di essere diventato una persona malinconica - un kender triste andava bene solo nelle barzellette grottesche - ma ogni tanto il cuoricino gli si stringeva e si ritrovava a tirare su col naso.
"Speriamo di non dover vedere altre cose tristi. Le avventure mi piacciono solo se non perdo gli amici per strada." pensò, corrugando la fronte. Ne aveva persi così tanti...Flint, Sturm, Kitiara, lo gnomo Gnimsh...Kyaralhana...
«Tasslehoff!»
Si riscosse nel sentire la voce di Steven Sharphalberd. Si voltò e sorrise, contento della distrazione. Il Cavaliere stava camminando verso di lui, i capelli biondi lucenti al sole.
«Ehilà, Steven! Bel panorama, da quassù! Hai finito di raccontare com'è andato il viaggio?» chiese Tasslehoff, a cui sarebbe piaciuto ascoltare la versione dei fatti di Steven su quel lungo viaggio da Solace.
«Sì, ho fatto rapporto.- ammise lui, guardando per un attimo verso sud- E' stato...un lungo cammino.»
«Già, parecchio lungo. Un po' troppo tranquillo.» sospirò Tas, storcendo il naso. Questo gli valse un'occhiata sbalordita del Cavaliere.
«Tranquillo?!»
Tas si strinse nelle spalle.
«Oh, certo...abbiamo subito un paio di piccoli attacchi e poi è arrivato Dalamar e Kat ha perso la pietra rossa e Crysania è scappata dal Tempio con Fizban, ma...» Scosse la testa. «Sai, Steven, poi noi questo è niente! Voglio dire: ci sono successe cose più eccitanti! Eserciti fantasma, città assediate, boschi che cantano, città di mare senza il mare...quella volta non fu colpa mia...Da quando ci siamo messi in viaggio non ho visto nemmeno un drago! Insomma!»
«La cosa ti dispiace?» gli chiese Steven, attonito. Pensava di aver capito il kender, ma si rendeva conto ora di aver sottovalutato la follia avventurosa di quelle piccole creature.
«Parecchio. Ma...- Tas sospirò, un sospiro che parve svuotarlo- per il bene di Steel, e visto che a voi piace tanto la tranquillità, dovrò accontentarmi. Spero solo che Raistlin abbia bisogno di noi per qualche altra missione, o roba simile. Con lui è assolutamente impossibile annoiarsi.»
Steven si guardò attorno, come per essere certo che nessuno li stesse ascoltando, poi si abbassò su un ginocchio per parlare a Tas sullo stesso livello.
«Tasslehoff, si sa niente di Katlin?- mormorò- Caramon mi ha risposto di non avere notizie. Non lo ritengo un uomo portato a mentire, ma penso...temo che per quel suo fratello arcimago potrebbe mantenere dei segreti. Tu ne sai qualcosa?»
Tasslehoff scosse la testa, serio.
«Non so niente nemmeno io, sai? Credo che lo stesso valga per Caramon. Finchè Kat rimane indietro nel tempo, nemmeno Raistlin può sapere cosa stanno facendo lei e Dalamar.» rispose, dispiaciuto. Steven annuì, cupo.
«Credo di capire.- disse, pensieroso- Allora il mago elfo è andato con lei?»
Tasslehoff abbassò il capo e strisciò un po’ i piedi, a disagio.
«L’avevo immaginato.- lo sorprese Steven, che si rialzò e andò a sporgersi dagli spalti, guardando l’orizzonte- Quando mi ha detto che il suo viaggio esigeva una magia che la portasse nel passato, ho immaginato che non le sarebbe stato concesso di andare sola. Non senza poteri magici. Ero certo che l’elfo le avrebbe fatto da spalla. Tuttavia…» Sospirò, piano. «Lei appartiene a un mondo che mi è estraneo.- ammise- Nonostante ciò, tradirei la mia parola e il mio onore se mi tirassi indietro prima di ricevere da lei parole di rifiuto.»
«Steven…» iniziò a dire Tasslehoff, stupito che il cavaliere avesse scelto lui, fra tutti, per svelare la profondità dei suoi sentimenti verso Katlin.
«Le chiederò di diventare mia moglie. Sono convinto che esista ancora la possibilità di strapparla alla tenebra.- finì Steven, con un sorriso spento ma coraggioso- Nel frattempo, farò tutto ciò che è in mio potere per ottemperare alla sua richiesta di aver cura del giovane Steel. Il ragazzo mi è caro, al di là delle mie promesse fatte a Katlin. Insisterò perché sia sotto la mia tutela, in modo da garantire su di lui una sorveglianza impenetrabile agli scagnozzi della Regina delle Tenebre.»
«La cosa ti fa molto onore, Steven. E sono sicuro che farà piacere anche a Caramon! E Tanis. Piuttosto…- interloquì con voce squillante, volendo spostare l’attenzione su qualcosa che non riguardasse direttamente Katlin – chissà come si trova Steel nella sua nuova stanza? Non credi abbia bisogno di compagnia? Ormai si sarà fatto un bel sonnellino, sono sicuro che stia meglio e abbia voglia di fare quattro chiacchiere!»
«Non hai tutti i torti, Tasslehoff. Forse gli farebbe piacere visitare una parte della fortezza, prima di sederci a cenare.» disse il cavaliere, pensieroso.
«Ottima idea!- esclamò il kender, cogliendo la palla al balzo- Dai, andiamo a prenderlo e…ma dove sarà?  Hai idea di dove l’abbiano alloggiato? Spero ci sia un letto in più nella sua stanza, perché al momento Caramon e Tanis sono di un umore veramente noioso!»
Steven non potè trattenere un sorriso. Annuì e fece cenno al kender di seguirlo. Scesero di nuovo le scale, poi imboccarono alcuni corridoi. Il Cavaliere rimase in silenzio, forse pensando a Katlin lontana nel Tempo, perciò Tas si prese l’incarico di fare conversazione da sé, mettendosi a raccontare le proprie avventure insieme ai Cavalieri di Solamnia. Era arrivato giusto al momento in cui Laurana stava per mettere le mani sul Globo dei Draghi, quando incrociarono due guardie di ronda.
«Il giovane Brightblade?» chiese Steven, mentre il fiume di parole del kender si interrompeva.
«E’ ancora nella sua stanza.» rispose una delle guardie.
«Molto bene.»
Tas trotterellò fino alla porta, seguito più lentamente da Steven, e bussò con entusiasmo.
«Steel! Steel, sono Tasslehoff! Dai, svegliati, Steven ci porta a fare un giro!» Attese qualche istante, ma da dietro la porta non venne alcun suono. «Ehi, Steel! Tutto bene? Siamo noi, apri!»
Di nuovo, rispose solo il silenzio. Il kender alzò uno sguardo perplesso e preoccupato su Steven, che mise mano alla maniglia e aprì la porta senza tante cerimonie.
«Giovane Bright…» iniziò a dire, prima di trattenere il fiato con un suono strozzato. Il letto era stato spostato sotto la finestra spalancata e la stanza era vuota. «Brightblade!» esclamò Steven, entrando di corsa insieme a Tasslehoff, mentre le due guardie accorrevano. Tas si inerpicò sul letto e guardò giù, terrorizzato dalla prospettiva di trovare il corpo del ragazzo sfracellato nel cortile sottostante. Vide, invece, un lenzuolo annodato che oscillava dolcemente al vento serotino.
«Che cosa significa?- mormorò Steven, sconvolto- E’ stato portato via?»
«A me non sembra. Cioè…dai maghi grigi ci si aspetta qualcosa di meglio che un’evasione dalla finestra, no?» disse il kender, che faticava a raccapezzarsi.
«Maledizione!- sibilò il Cavaliere tra i denti- Dobbiamo trovarlo! Tas, vai a chiamare Caramon e Tanis. Voi, mettete gli altri Cavalieri in allerta! Brightblade è sparito!»
Le guardie e Steven corsero fuori per dare l’allarme. Tasslehoff scese dal letto e iniziò a tornare sui suoi passi, un po’ intontito. C’era qualcosa che non quadrava. Il kender aveva la stranissima sensazione che Steel si fosse allontanato di sua spontanea volontà…Ma perché?! E, in quel caso, dov’era andato a cacciarsi?
***
«Soddisfatti?» disse Ariakan, osservando con freddezza i Cavalieri che avevano appena messo a soqquadro le sue stanze.
«Non è qui…eppure avrei giurato…» mormorò un Cavaliere biondo, il più infervorato in quel gruppetto di uomini che erano passati come cicloni nella sua piccola prigione.
«Non so chi o cosa stiate cercando, ma come vedete qui si fa la monotona vita da prigioniero che voi Cavalieri avete deciso per me tempo fa.- continuò Ariakan, sprezzante- Ora, se non avete altro da dire o fare, andatevene. Voglio stare solo.»
Il Cavaliere strinse la bocca in una linea sottile, poi si consultò con gli altri e il gruppo uscì, lasciando la solita coppia di guardie fuori dalla porta. Ariakan storse la bocca in una smorfia. La loro utilità era nulla. Riceveva da un pezzo visite non previste, protetto dal silenzio magico, e presto sarebbe evaso. Ormai era questione di giorni, se non di ore. Il ragazzo, il giovane figlio di Kitiara, era vicino, quindi il piano stava per attuarsi. Sollevò appena un sopracciglio nel chiedersi se quell’agitazione fosse dovuta proprio a Steel Brightblade. I Cavalieri non si erano degnati di dirgli cosa stavano cercando. Forse speravano di trovare i Grigi nascosti dietro le sue tende.
«Stolti!» mormorò tra i denti, andando a sedersi. Fu suo malgrado sorpreso di vedere aprirsi il passaggio segreto usato dai maghi. Dunque avevano ben motivo di sospettare, i Cavalieri! Probabilmente i tre che ora stavano entrando, conducendo qualcuno con loro, avevano atteso fino a quel momento che gli intrusi se ne andassero. Erano Latan, Laiota e Falana, una maga dallo sguardo sfuggente che fingeva di lavorare come sguattera. E Laiota teneva stretto…
«Steel Brightblade?!» scappò detto ad Ariakan, incontrando lo sguardo del ragazzino.
«E’ arrivato oggi, mio Signore.- disse Latan, ammantando subito la stanza di silenzio magico- Pensavamo di rapirlo stanotte, ma lo abbiamo pescato che vagava solo per i corridoi.»
«Ci ha reso la vita facile. Non ha fatto resistenza.» aggiunse Laiota.
Ariakan si alzò e squadrò il giovane, che Takhisis tanto desiderava facesse parte delle sue future forze. C’era un sano timore, in quegli occhi, ma anche una testardaggine e una fermezza non comuni. Conoscendo l’identità dei genitori, era da prevedere che il suo carattere non fosse quello di un normale ragazzino.
«Non ho fatto resistenza perché vi cercavo, signore.» disse questi, sorprendendoli. Ariakan sollevò appena un sopracciglio.
«Mi cercavi?» chiese, atono. Il ragazzo chinò il capo e si abbassò su un ginocchio per quanto glielo consentiva la presa di Laiota.
«Sono venuto qui per voi, signore. Sono al vostro servizio. Comandatemi e io obbedirò.» continuò Steel Brightblade. I maghi si scambiarono un’occhiata dubbiosa. Ariakan venne avanti e afferrò tra le dita il viso del ragazzo, scrutandolo negli occhi.
«Perché dovrei crederti?» chiese, gelido.
«Mia madre, signore…- disse il ragazzo, le parole un po’ confuse per la pressione delle dita sulle guance- Da molto tempo mi mostra in sogno le glorie che mi attendono al vostro fianco. Più mi avvicinavo al castello, più la sua presenza si faceva imperiosa. Ho faticato a nasconderlo ai miei parenti.»
«Kitiara Uth Matar?- chiese Ariakan, guardando Laiota che annuì – Il suo intervento ti ha dunque dischiuso le porte dell’ambizione, Steel Brightblade?»
«Signore, io vivo e ragiono come un Cavaliere, ma posseggo il sangue di mia madre.- insistette il giovane, senza abbassare lo sguardo- Voi desiderate i miei servigi e io una causa cui votare la mia spada e il mio onore. Sono ancora giovane, ma crescerò. Vi sarò utile senza forzature, ma con la fedeltà propria della mia stirpe. Signore, sono qui per fuggire con voi.»
Ariakan strinse gli occhi in una fessura, poi lasciò andare il ragazzo.
«E come concili questo con l’affetto che, mi dicono, ti lega a una delle nostre principali spine nel fianco? Katlin Majere.» chiese, ogni parola come una staffilata. Ebbe la soddisfazione di vedere avvampare e poi impallidire il giovane, che per un attimo riacquistò la sua età effettiva.
«Amo mia zia, come fosse una seconda madre.- mormorò, rauco- Ciò che sto facendo…mi costa pena, perché so che le farà del male. Pure, ho deciso. Andrò fino in fondo.»
«Mente.» intervenne Falana per la prima volta. Ariakan la guardò, poi spostò di nuovo la sua attenzione su Brightblade.
«Falana pensa che il ragazzo ci stesse cercando per ordire qualche trappola nei nostri confronti, spinto dai suoi parenti.» spiegò Latan.
«Una trappola?» mormorò Ariakan.
«Non ne sono sicuro.- intervenne Laiota- I Cavalieri e i suoi accompagnatori dovrebbero essere tutti degli attori consumati, per fingere tanta apprensione alla sua scomparsa. Là fuori si sta scatenando il panico.»
«Non mento! E ve lo posso provare.- intervenne Steel, secco- Ho un dono per voi. Guardate sotto il mio giustacuore.»
Falana allungò una mano e pronunciò una parola.
«Magia.- sussurrò- Non attiva, ma…»
«E’ uno specchio.- disse Steel- E’ stato creato da Raistlin Majere. L’aveva mio zio Caramon, in modo da poter avvertire suo fratello se qui fosse avvenuto qualcosa di strano. Ve lo porto in dono, perché sappiate che sono convinto della mia scelta. Ho sottratto loro il principale mezzo di comunicazione che avrebbe potuto mettere in pericolo la vostra fuga, signore. Vi prego di credermi: sono in buona fede.»
Ariakan fece un cenno imperioso a Laiota che, suo malgrado intimorito, infilò una mano sotto al giustacuore del ragazzo ed estrasse lo specchio. I maghi lo fissarono con invidioso interesse e annuirono quasi in contemporanea.
«E’ potente, Lord. Probabilmente il ragazzo dice la verità. Questo oggetto non è stato creato da un mago da quattro soldi.» disse Laiota. Ariakan annuì, poi voltò loro le spalle. Prese la sopraveste e se la infilò con un gesto deciso.
«Che tu menta o meno, ragazzo, verrai con noi.- disse, tornando a guardare i suoi maghi con occhi pieni di oscuro carisma che fecero rabbrividire Steel nel profondo – Approfitteremo della confusione che hai creato. Finalmente è arrivata l’ora di abbandonare la mia prigione.»
Altrove, Raistlin Majere incurvò le labbra in un sorrisetto nell’osservare la scena attraverso la pozza nella Camera della Visione. Era giunto il momento di recidere la giovane pianticella dell’ordine fedele a Takhisis. Steel aveva fatto la sua parte. Quando avesse attivato lo specchio, l’arcimago avrebbe saputo raggiungerlo.
Per Ariakan e i suoi, le ore erano ormai contate.
   
 
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