Serie TV > Agente speciale Sue Thomas
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Autore: mar_79    13/06/2007    3 recensioni
La mia storia inizia da dove era finito il telefilm, Sue ha rifiutato il lavoro a New York per rimanere con la sua squadra a Washingthon, c'è stata la "quasi dichiarazione" del suo collega e amico Jack, frenato come sempre dalla sua timidezza e dal regolamento che vieta relazioni tra agenti che lavorano insieme, e quindi tutto procede come al solito... ma una nuova indagine si profila all'orizzonte... quattro uomini uccisi con lo stesso brutale metodo, quattro uomini apparentemente senza un legame tra loro, un caso difficile che fa salire la tensione nel gruppo finchè Jack decide che è arrivato il momento di cambiare vita... Come la prenderà Sue? Riusciranno a risolvere ugualmente il caso e a fare chiarezza nei loro sentimenti?
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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capitolo4

n.d.a. Questo è l'ultimo capitolo di questa mia prima fanfiction e quindi voglio approfittarne per ringraziare tutti quelli che l'hanno già recensita - grazie Rosy, Rachi e hikary - e tutti quelli che lo faranno in seguito (speriamo siano tanti ^-^).  A presto con un'altra storia!

 

 

Capitolo 4

 

«Si, l’hanno preso ma non è lui l’assassino.» Due paia di occhi sorpresi lo guardarono. «Quando Bobby e Myles sono arrivati, stava tranquillamente aggiustando l’allarme ed era disarmato.»

«Ma io l’ho visto prendere la pistola dal cassetto.»

De negò con il capo «era un borsello con gli attrezzi.»

«Ma gli hanno chiesto della pistola? Io l’avevo vista in quel cassetto!»

«Ha detto che sì, c’è una pistola in quel cassetto, ma non è sua, è di…»

«Marc!» terminò Jack.

«Ma», si intromise Sue, «chi è questo Marc?»

Jack la guardò in modo che potesse leggergli le labbra. «E' il cognato di Powell, il fratello della moglie. Ma certo, come ho fatto a non capirlo prima! È lui che vuole vendicarsi! Mi ha colpito per liberarsi di me e ora sta andando a casa di Forbes per ucciderlo.»

De prese la radio e comunicò a Bobby e Myles le novità dicendogli di correre da Forbes. Jack si alzò barcollando e dovette aggrapparsi a Sue per non cadere.

«Dove pensi di andare?» gli chiese.

«Noi siamo più vicini, Forbes abita a soli due isolati da qui.»

«Sarà anche così ma tu non puoi andartene in giro in queste condizioni»,lo rimproverò Sue con  un tono  che esprimeva però più preoccupazione che rabbia.

«Ho seguito questo caso troppo a lungo e ho dovuto fare cose che non avrei mai voluto fare», la fissò intensamente accentuando la stretta al suo braccio, «perciò non lascerò certo ora.»

  

Furono i primi ad arrivare.

La porta della casa era socchiusa e si sentivano dei lamenti provenire dall’interno. Dopo aver messo al riparo Sue dietro una macchina ed essersi fatto promettere che non si sarebbe mossa di lì, Jack, pistola in pugno, si avvicinò  guardingo alla casa.

«Marc, lo sappiamo che sei lì» urlò «e sappiamo cosa vuoi fare. Non hai possibilità di scappare, lascia stare Forbes ed esci con le mani in alto.»

La porta si aprì lentamente lasciando vedere Marc che si faceva scudo di Forbes e gli puntava la pistola alla tempia. «Non mi importa di scappare, conta solo che lui paghi, che tutti questi ba....di paghino per quello che hanno fatto, per la morte di mia sorella. Solo allora io ritroverò la pace.»

Aveva il viso stravolto, la mano gli tremava. Jack temeva che stesse perdendo completamente il controllo. «Non è vero, ci sono altre strade, puoi farti aiutare da un medico e anche Michael ti starà vicino. Non puoi abbassarti al loro livello, tua sorella non lo vorrebbe.»

«Tu non sai nulla di lei, di quello che voleva!»

Jack stava per ribattere ma qualcuno alle sue spalle lo precedette. «Ma io si, io lo so.»

Era Powell che, arrivato con Bobby e Myles, non aveva esitato ad avvicinarsi. «Marc, io amavo tua sorella e ho sofferto terribilmente quando l’abbiamo persa, per mesi ho provato una rabbia indescrivibile e il desiderio di vendetta ma poi mi sono rivolto a lei. Nelle mie preghiere le ho chiesto di indicarmi cosa fare e ho capito che voleva che continuassi la mia vita perché solo così avrei potuto onorare la sua vita. Credo, anzi sono sicuro, che vuole lo stesso da te. Ti voleva molto bene e sperava di vederti sistemato, con una tua famiglia», mentre parlava continuava ad avvicinarsi, «non voleva certo che diventassi un assassino. Ti prego credimi.»

Marc iniziò a piangere, lasciò andare Forbes e abbassò la pistola. Powell la prese subito mentre gli altri arrivavano velocemente.

Anche questa volta se la erano cavata. Jack sbuffò per liberare la tensione, poi si sedette perché le gambe non lo reggevano più.

 

 

L’indomani mattina quando Jack entrò in ufficio iniziarono tutti ad urlare e applaudire per festeggiarne il ritorno. Lui ridendo si fermò al centro della stanza e fece un inchino «grazie, grazie a tutti»

«Non credere però di cavartela così» gli disse Bobby. «Tu e De dovete darci diverse spiegazioni.»

«Già, non avvertire nessuno che eri sotto copertura è stato proprio sadico. Come ho fatto a non pensarci io?» aggiunse Myles.

«Bene, per fortuna qui dentro è tornata la normalità.» De era appena entrato accompagnato da Powell. «Il signor Powell voleva salutarci e ringraziarci.»

Jack si avvicinò. «Mi spiace averti mentito Michael, ma gli indizi contro di te erano forti e dovevo fare il mio lavoro perché come tu stesso mi hai detto un’agente resta sempre un agente.»

«E’ vero, ma mi dispiace che non lavorerai più per me, te la cavavi bene con gli allarmi.»

Jack gli tese la mano. «Chissà, forse un giorno, chi può mai dirlo. Se qui dentro», rise guardandosi intorno, «non dovessero trattarmi con il dovuto rispetto potrei anche lasciare veramente e chiederti di nuovo un lavoro.»

Anche Powell si guardò in giro. «Non credo che accadrà mai, differentemente da me cinque anni fa, tu qui hai una vera famiglia e la famiglia non si abbandona. Ora devo andare, grazie ancora di tutto.»

Quando l’ex agente uscì Tara riportò l’attenzione sul discorso iniziale. «Allora, queste spiegazioni?»

Fu De a parlare. «Beh, la sera stessa in cui abbiamo pensato a Powell come possibile colpevole Jack è venuto da me dicendomi di voler lavorare sotto copertura per entrare nelle sue grazie. Ma avevamo paura che ci fosse una talpa al dipartimento perché il killer sapeva troppe cose sulle vittime, allora abbiamo deciso di nascondere la verità a tutti per evitare fughe di notizie e ne abbiamo parlato solo con il direttore. D’accordo con lui ho calcato un po’ la mano nell’interrogatorio e poi abbiamo inscenato il litigio nell’ingresso.»

«Cercate di capire», aggiunse Jack, «non si è trattato di mancanza di fiducia nei vostri confronti ma di una cautela che andava presa.»

Bobby fu il primo a rispondere. «Nessun problema amico.»

«Già, nessun problema. Peccato però che tu sia tornato così presto, avevo messo gli occhi addosso alla tua scrivania. Mi è sempre piaciuto come è colpita dal sole la mattina. Peccato!»

«Mi spiace per te Myles ma avevo lasciato istruzioni che la mia scrivania venisse assegnata al miglior agente della squadra. Che ne dici Levi, ti sarebbe piaciuta una scrivania tutta per te?» Il cane si avvicinò e si fece accarezzare.

«Levi, andiamo, vieni qui», lo richiamò subito Sue che poi seguita dal cane uscì in corridoio. Sembrava molto contrariata.

«Ti servirà qualcosa in più di qualche battuta per farti perdonare» disse Lucy a Jack. «Adesso va da lei e cerca di essere convincente.»

 

La trovò nella sala riunioni lì vicino. «Posso parlarti? Mi dispiace » disse con le parole e i segni «ma rivelarlo a qualcuno poteva mettere a rischio l’operazione.»

«Questo lo hai già detto e lo capisco. Quello che non capisco è perché mi hai dovuto trattare così male e non hai risposto alle mie telefonate. Se mai lasciassi veramente questo lavoro non saremo più neanche amici?»

Jack si massaggiò le tempie e fece un respiro profondo. «Ho dovuto comportarmi così perché  sei l’unica persona alla quale non riesco a mentire. Tu riesci a leggermi dentro e se non fossi stato così aggressivo avresti finito per capire la verità. Credi che mi sia divertito a dirti quelle cose? Ma a volte l’attacco è la miglior difesa e io in quel momento dovevo difendermi da te.»

«Ma io ho sofferto Jack, ho sofferto, perché tengo a te!.»

“E stai soffrendo anche ora, lo vedo” pensò lui “e se la colpa è mia forse…” Attraversò la stanza a grandi passi prima di riprendere a parlare. «Lo so che per te la nostra amicizia è molto importante, ma non posso garantirti che una cosa del genere non riaccadrà perciò forse è meglio se cerchiamo di allentare un po’ questo legame.»

Lei rise amareggiata. «Allentare il nostro legame? Forse riuscirai  a farlo tu dato che dalle tue parole intuisco che mi consideri solo un’amica, ma per me è tardi Jack. Se voglio sincerità devo essere io la prima a darla: io ti amo Jack, è giusto che tu lo sappia.»

Di fronte al suo silenzio si alzò e andò verso la porta dandogli le spalle.

«Levi, fermala!»

Il cane saltò addosso a Sue facendola voltare.

Jack si mosse verso di lei e mentre avanzava disse con le parole e con i segni «anche io ti amo». Giuntole davanti sorrise, l’abbracciò e la baciò con passione.

Dopo aver ripreso fiato lei disse «Jack, devo dirti una cosa.»

«Cosa?»

«Poco fa hai sbagliato il segno. Questo» fece il segno con la mano «è “ti amo”»

Lui rise. «Tre anni che studio il linguaggio dei segni e sbaglio proprio nel momento più importante!»

«Per fortuna leggo le labbra.»

«Per fortuna.» Poi aggrottò la fronte pensieroso. «Mettiamo in chiaro una cosa, puoi leggere tutte le labbra che vuoi ma d’ora in avanti devi baciare solo le mie.»

Lei esitò un attimo tenendolo sulle spine, poi fece una smorfia. «Credo sia un patto che posso accettare» rise «anzi, voglio iniziare subito a rispettarlo.»

Jack, felice come non mai, la prese nuovamente tra le braccia: non aveva certo bisogno di farselo ripetere.

 

 

 

FINE

  
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