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Autore: didi93    26/11/2012    2 recensioni
Bella si è appena trasferita a Seattle per allontanarsi da un passato che le condiziona la vita quando incontra Edward, l’unico con il quale sente di potersi aprire. Per un attimo crede di aver trovato nell’amore la sua salvezza, ma anche lui nasconde qualcosa…
Dal cap. 4
Tutto intorno a me era buio. Attesi che i miei occhi si abituassero all’oscurità, scostai piano le coperte e scesi dal letto, evitando accuratamente ogni rumore. Faceva freddo e il pavimento era gelato. Riuscivo a capire dove mi trovassi, era la mia vecchia camera, le pareti ancora dipinte di rosa come quando ero bambina, gli oggetti perfettamente in ordine sugli scaffali. Ogni cosa era uguale a se stessa, tutto esattamente al proprio posto…tranne me.
Dal cap. 7
Mi guardò per un po’ senza parlare, poi, tenendomi le mani sui i fianchi, mi si avvicinò. Credetti che stesse per baciarmi. In realtà volevo che lo facesse, ma non accadde, si fermò a pochi centimetri dal mio viso, accostò la guancia alla mia e mi sussurrò all’orecchio. -Ho una voglia terribile di baciarti.-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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CAP. 5
Camminavo nell’ombra. Non riuscivo a vedere nulla, ma ero sicura che l’ambiente freddo e spoglio in cui mi trovavo fosse anche angusto, soffocante, avevo la sensazione che le stesse quattro pareti che mi circondavano si avvicinassero tra di loro, sempre più, ad ogni istante che passava. Mi mossi a tentoni nell’oscurità più completa, con la mano tesa in avanti. Giunsi, quasi subito, a toccare una parete, poi…una porta. Una speranza mi balenò davanti agli occhi: avrei rivisto la luce. Fu solo un attimo, poi, nuovo orrore mi avvolse. La mia unica via di fuga era sigillata. La maniglia scivolava sotto la mia mano, bagnata di un liquido scuro. L’odore del sangue mi diede alla testa. Caddi in ginocchio nella mia prigione. Cosa potevo fare? A chi avrei chiesto aiuto? Quasi inconsapevolmente giunsi le mani, chiusi gli occhi e cominciai a pregare, con ogni briciola della forza che mi era rimasta, che quell’oscurità fosse squarciata da un raggio di sole. Forse se avessi chiesto aiuto con ardore, con speranza, a qualcuno che si trovasse al di là del tempo e dello spazio, ce l’avrei fatta, mi sarei salvata…ma…già la vista si appannava, i sensi venivano a mancare e, con loro, l’equilibrio. Mi sentii cadere di lato.

Mi svegliai di soprassalto, come se la caduta fosse stata attutita dal mio letto. La luce del giorno giungeva ad illuminare la stanza, filtrando attraverso le tende ancora accostate, un immediato e strano sollievo si diffuse in me, subito seguito dalla consapevolezza che si era trattato solo dell’ennesimo incubo. A quanto pareva aver creduto che i miei sogni agitati fossero giunti al termine era solo un’illusione. Sentii l’impellente bisogno di alzarmi dal letto, le coperte mi pesavano addosso come se fossero state di pietra. Senza neppure guardare l’ora, mi vestii e scesi al piano inferiore. La casa era silenziosa e tutti dormivano ancora. Avvertivo una strana insofferenza, avevo bisogno di uscire all’aria aperta. Presi il cappotto e feci di corsa le scale.  Doveva essere molto presto, perché il sole non era completamente sorto e faceva più freddo del solito. Una fitta foschia avvolgeva ogni cosa. Camminai, non avendo una meta definita, tra le strade deserte, fino a ritrovarmi, senza accorgermene, a passeggiare lungo le sponde del fiume. Guardavo l’acqua, lenta e inesorabile ricoprire i sassolini della riva, sempre con lo stesso, regolare movimento. Non si poteva comprendere, a quella vista, quanto potere si celasse dietro quelle piccole onde, con un po’ di pazienza e molto tempo, avevano il  potere di ridurre la pietra in sabbia. A volte dietro le cose che appaiono più insignificanti si nasconde la meraviglia più grande. Invidiai quella pace che una vista del genere mi avrebbe conferito qualche anno prima e che non ero più in grado di provare.
Quando tornai a casa, il sole era già alto e, come al solito, ricoperto dalle nubi. Trovai Jasper all’ingresso, pronto per uscire.
-Credevo che stessi dormendo…- disse perplesso, quando mi vide entrare.
-Sono uscita a fare una passeggiata.- risposi, come se fosse la cosa più naturale del mondo uscire di casa all’alba e girovagare per la città, senza una destinazione precisa.
-Alle sei di mattina? Se adesso sono le sette e mezzo…-
-Ma no, sono uscita qualche minuto fa, volevo solo prendere un po’ d’aria.- mentii.
- E’ solo che mi sembra strano che ti svegli così presto...se fossi in te…se non dovessi andare all’università, dormirei fino alle undici, come minimo.-
-E’ un po’ di tempo che non riesco più a dormire…-
-Certo…capisco.- abbassò lo sguardo, rendendosi improvvisamente conto di quanto fosse privo di tatto ciò che aveva detto e mi oltrepassò, uscendo sul pianerottolo. –Ci vediamo più tardi. Ciao.-
-Ciao.- risposi, mentre scendeva le scale.
Chiusi la porta, mi tolsi il cappotto ed entrai in cucina. Finito di fare colazione, salii al piano superiore. Pensavo che ,anche per quel giorno, leggere sarebbe stato un ottimo diversivo. Era una delle poche cose che riusciva ancora a distrarmi. Vestire i panni di qualcun altro, vivere un’altra vita, in un altro mondo, poteva, per un po’, allontanarmi dal mio, sognare una condizione diversa, credere che tutto potesse cambiare, da un momento all’altro, mi ridonava speranza. Riuscivo a dimenticare, anche se solo per poco, dolori e affanni.
Trascorsi la mattina e il pomeriggio in casa, uscii dalla mia camera solo per mangiare, era come se quegli incubi, così realistici, così soffocanti, mi avessero tolto la poca energia che mi era rimasta. Avevo i nervi a fior di pelle, persino una folata di vento mi avrebbe fatto tremare.
Rose rientrò in serata.
-Come va?- mi chiese, con il solito sguardo apprensivo.
-Bene.- risposi, dopo una piccola esitazione.
Mi guardò in viso per un attimo, poi aggiunse –Una mia collega di lavoro ci ha invitati alla festa di compleanno della figlia stasera. Jasper mi aveva già detto che non sarebbe tornato per cena, tu che pensi di fare?-
Non ero molto in vena di affrontare altri sguardi di comprensione e compassione e fui lieta di avere già un impegno. -  In realtà Jessica e Angela hanno insistito tanto per andare al cinema stasera…avevo detto che sarei andata anch’io…-
-Mi fa piacere! Sei sempre in casa da sola da quando sei qui, cominciavo a preoccuparmi.- mi interruppe, con un malcelato moto d’entusiasmo.
Poco dopo era pronta per andare. Indossava un tubino blu e scarpe col tacco. Mi salutò tra varie raccomandazioni e uscì. Anch’io mi ero cambiata, anche se con molta meno cura: jeans e maglietta nera aderente con scollo a V. Mentre sistemavo i capelli sentii suonare il campanello. Scesi al piano inferiore, presi borsa e cappotto e, chiusa a chiave la porta, scesi le scale.
Jessica mi salutò sorridente e ci avviammo alla macchina. Era una Mini cooper nera con i sedili in pelle marrone chiaro.
-Ciao…Isabella giusto?- chiese Mike mentre prendevo posto sul sedile di dietro accanto ad Angela.
-Si giusto.- rispose Jessica, prima che potessi aprire bocca.
Il viaggio non fu molto lungo. Eravamo giunti nella zona periferica della città e non c’era folla, nonostante fossimo in pieno weekend.
L’atrio, non eccessivamente ampio, era illuminato dalla luce gialla dei faretti, sul soffitto; alla nostra destra, un uomo, acanto ad un bambino, probabilmente suo figlio, attendeva che un ragazzo in jeans e camicia nera, dal lato opposto di un bancone colorato, gli porgesse un contenitore, ricolmo di pop-corn, dietro di loro tre ragazzi e due ragazze aspettavano che arrivasse il proprio turno chiacchierando; alla nostra sinistra, esattamente sopra il gabbiotto della biglietteria, solo due manifesti esponevano i titoli dei film in programmazione, nel primo, era raffigurata, con colori tenui, una coppia intenta a passeggiare in riva al mare, il secondo rappresentava, con tinte più accese, in rosso e giallo, una serie di volti, disposti uno sull’altro, in maniera confusionale…evidentemente quel cinema  non offriva una grande scelta. Su entrambe le immagini campeggiavano, scritti a caratteri cubitali, due titoli dei film, evidentemente un film d’azione e una commedia romantica, in fin dei conti, tutte e due le possibilità mi lasciavano, per lo più, indifferente. Neanche il cinema, qualche tempo prima, uno dei miei svaghi preferiti, costituiva, ormai, un divertimento…mi ritrovai, inconsapevolmente, a pensare alle frasi di circostanza che mi erano state rivolte, solo un mese prima, ”il tempo aggiusta tutto, il dolore si affievolisce”, oppure “l’importante è conservare il ricordo”…mi ritrovai a pensare che forse un giorno avrei capito quelle parole, gli avrei dato un significato, col passare degli anni…mi sarei svegliata una mattina e, in una bella giornata di sole, avrei dato ragione a tutte quelle persone, a tutte quelle voci, a tutte quelle parole, apparentemente senza senso, avrei sentito il cuore più leggero, l’animo di nuovo libero, avrei smesso di chiedermi ”e cosa me ne faccio del ricordo? Non farebbe meno male dimenticare?” e avrei capito, solo capito, avrei dato a me stessa una spiegazione…era come una di quelle frasi che ci vengono dette da bambini, quelle affermazioni, apparentemente arcane e prive di significato, agli occhi della poca esperienza, che si concludono con le parole: ”da grande capirai” e allora vorremmo già essere adulti per poter capire, finché, una volta che il tempo è passato inesorabile, ci rendiamo conto che sarebbe stato molto meglio non sapere, di quanto fosse meraviglioso quel non poter comprendere fino in fondo, una sorta di riparo dalla parte buia della vita. Tutto sommato, forse, un giorno mi sarei ritrovata anch’io a dover ripetere quelle stesse frasi di circostanza, avrei detto le stesse parole a qualcuno a cui, già sapevo, non avrei potuto donare alcun sollievo…
-Mike, io e te vediamo quello, vero? Ho sentito dire che è bellissimo!- esclamò Jessica, con occhi luccicanti, indicando il primo manifesto e distogliendomi dai miei pensieri. Mi aveva appena salvata da me stessa con quella frase e neanche se ne rendeva  conto. Avevo rischiato, di nuovo, di perdermi in quel labirinto buio che era diventata la mia mente.
-Avrei preferito l'altro...-
-Ma no dai...l’altro non so neanche cosa sia e già non mi piace…non vorrai vedere il film senza di me?- senza lasciargli neanche il tempo di ribattere, si voltò verso Angela e aggiunse con sguardo complice- Voi andate a vedere l’altro film, giusto?-
-Non voglio vedere un film d’azione…- piagnucolò Angela, prima che Jessica la fulminasse con lo sguardo.
-Ma se a lei non piace…-si intromise Mike.
-Perché non dovrebbe piacerle? E poi se lo vede potrà raccontarti cosa ti sei perso…- concluse, con tono sarcastico.
Angela non rispose, nonostante Jessica la guardasse, provando a esprimere con lo sguardo più di quanto non avesse già detto a parole. Non potei trattenere un sorriso, era evidente che l’unica cosa che voleva fosse rimanere sola con Mike.
Ad un tratto, sembrò perdere definitivamente la pazienza –Allora? Che vogliamo fare?- chiese, guardando prima Angela, poi me.
 Per quanto potesse essere curiosamente divertente stare a guardare che piega avrebbe preso la situazione,  pensai di dire qualcosa che calmasse le acque, quando  Mike, che fino a quel momento era rimasto immobile ad osservare la scena, tentando invano di comprenderne il senso, si voltò. Anche noi facemmo lo stesso. Una vecchia macchina bianca parcheggiava, in quel momento, di fronte all'ingresso del cinema. Lo sportello si aprì, un ragazzo scese e prese a camminare vero l’ingresso del cinema. Un sorriso si dipinse sul volto di Jessica, tornato, tutt'a un tratto, sereno e, subito, diede di gomito all'amica. Aprendo la porta, il ragazzo alzò il viso, che potei osservare illuminato dalla luce intensa  e i suoi occhi, di un colore che non avevo mai visto, tra il verde, l’azzurro e il giallo chiaro, si fissarono a guardarci. Era alto e slanciato e aveva un’aria disordinata, che, tuttavia non lo penalizzava in alcun modo, i lineamenti, non eccessivamente delicati e neppure troppo marcati da guastare la bellezza del viso e la carnagione chiara si sposavano alla perfezione con il colore chiaro delle sopracciglia e dei capelli scomposti. Per un attimo, ebbi la sensazione di conoscerlo, ma proprio non riuscivo a ricordare dove e quando l'avessi già visto.
-Ciao...ce l'hai fatta! cominciavo a non sperarci più…- Disse Mike, con un mezzo sorriso, salutando il suo amico appena entrato.
-Non ero sicuro di venire…- rispose stringendogli la mano con gesto fraterno, poi si voltò, come se si fosse accorto solo in quel momento della nostra presenza e i suoi occhisi posarono prima su Jessica, poi su Angela e infine sul mio volto, sempre con la stessa aria di sufficienza. Si era fermato solo mezzo secondo di più ad osservare me, con la fronte aggrottata, come se stesse cercando di ricordare qualcosa. Pensai che avesse avuto la mia stessa sensazione, ma distolse subito lo sguardo.
-Ciao! Non so se ti ricordi di noi, ci siamo visti da Mike quest’estate…- esclamò Jessica con un sorriso in direzione del nuovo arrivato, ma non ottenne risposta, quegli occhi dal colore del mare rimasero freddi e immobili -…comunque io sono Jessica, lei è Lisa e lei è Isabella.- continuò , poi, un po’ scoraggiata, indicandoci con un debole gesto della mano.
-E per chi non lo conoscesse lui è Edward.- fece eco Mike rivolto a me.
Edward ci salutò con un cenno del capo.
Jessica riuscì finalmente a dirottarci nella direzione opposta a quella che avevano preso lei e Mike e, d’altra parte, ad Angela non sembrava  più dispiacere il film d’azione, a dire il vero ebbi la sensazione che ormai neanche le interessasse, aveva occhi solo per Edward, né si poteva biasimarla, riuscì persino a sedersi vicino al nostro compagno poco socievole benché lui non degnasse di uno sguardo né me, né lei. Cercai di concentrarmi sul film ma lo trovai piuttosto difficile, mi sarebbe piaciuto tornare a casa, trovarmi in quella sala buia a guardare un film che non mi piaceva mi riportava sull’orlo del baratro della mia mente.
Usciti dalla sala, due ore e mezzo dopo, non vedemmo né Jessica, né Mike. Angela estrasse il cellulare dalla tasca.
-Un messaggio da Jessica! L’ha inviato mezz’ora prima che finisse il film…ma avevo il cellulare spento…-
-Che dice?-chiesi perplessa.
-Ehm...è andata via con Mike, dice che ci darà un passaggio Edward...-
A queste parole alzai lo sguardo e mi resi conto che Edward era già in prossimità della porta d’ingresso. Anche Angela fece lo stesso, poi si mosse, a passo svelto, dietro di lui.
Li seguii anch’io e uscii all’esterno, sotto la pensilina, mentre pioveva a dirotto,mentre Angela raggiungeva il marciapiede opposto e saliva in macchina senza attendere invito. Non mi mossi, Edward aveva ampiamente dimostrato che gli avrebbe fatto molto più piacere lasciarci lì e, in uno stupido moto d’orgoglio, pensai che non avevo intenzione di elemosinare un passaggio a casa.
L’auto percorse mezzo metro e sostò di fronte all'ingresso, esattamente dove mi trovavo, il finestrino s'aprì e il guidatore si sporse.- Allora? Vuoi rimanere lì? Avanti sali.- disse con il solito tono brusco.
Esitai un attimo, poi obbedii e salii accanto ad Edward, a quanto pareva Angela aveva preso posto sul sedile posteriore.
-Dato che devo accompagnarvi, potrei sapere dove abitate?-
-Non lontanissimo da qui, abitiamo entrambe nei pressi di Pioneer square.- si affrettò a rispondere Angela.
-Tu non sai parlare?- chiese, dopo qualche secondo, rivolto a me.
Il suo atteggiamento mi innervosiva sempre più. –Preferisco stare zitta se non ho niente di interessante da dire.-
Mi aspettavo una risposta, ma solo un sorrisetto ironico gli sfiorò le labbra. Era stranamente luminoso quel volto di solito cupo, benché nei lineamenti quasi perfetto, quando sorrideva. Questo pensiero mi sorprese.  
Lasciammo Angela davanti casa sua e ci dirigemmo verso casa di Rose. Edward sembrava assorto nei suoi pensieri, ad un tratto si voltò e mi guardò, vidi il suo volto riflesso sul vetro ma non mi mossi.
-Non ti avevo mai vista da queste parti…- disse dopo un istante.
-Non sono di queste parti.- risposi voltandomi.
-E come mai sei qui?-
Non dissi nulla, per qualche assurda ragione non riuscii a mentire, ma forse il mio viso esprimeva più di quanto volessi.
-Si può capire molto di una persona da uno sguardo.- pronunciò queste parole analizzando la mia espressione, come se avesse voluto applicare subito la sua teoria.
-Ma non si può giudicare solo da uno sguardo…- tentai disperatamente di cambiare agomento – a prima vista di te potrei dire che ti sforzi molto di sembrare odioso, ma, in fin dei conti, penso che sia solo una facciata…-
-Ti assicuro che non lo è.- aggiunse, dopo un attimo, sorridendo divertito. Vidi quel sorriso diventare amaro e il volto tornare cupo subito dopo. C’era qualcosa di stranamente triste nella sua espressione e, senza sapere perché, mi riscoprii a pensare che avrei tanto voluto sapere cosa fosse.
Poco dopo svoltò e ci ritrovammo davanti casa di Rose. -Sono arrivata, puoi lasciarmi qui. Ti ringrazio del passaggio.-
-Di niente, anzi...- il suo tono, a queste parole, mi sembrò addolcito. Uscii dalla macchina, sotto la pioggia ancora battente.
Era tardi, ma la casa sembrava vuota e silenziosa. Posai le chiavi nella ciotola blu sul tavolino accanto alla porta e mi avviai verso le scale. D’un tratto, sentii un rumore provenire dalla porta alle mie spalle. Il cuore mi balzò in gola. Cautamente mi voltai e mi diressi verso la cucina. Un altro rumore. Non filtrava alcuna luce dalla fessura sotto la porta e la mia angoscia aumentò. Misi la mano sulla maniglia e la girai. La stanza era buia.
La figura china sui mobili di cucina, alla mia destra,  si voltò e sembrò guardare nella mia direzione. In mano qualcosa di appuntito. Un paio di forbici.
Un brivido gelido mi percorse la schiena. Per un istante, rimasi immobile, poi, freneticamente, cercai con la mano l'interruttore della luce sulla parete.
Jasper alzò il capo, con gli occhi semichiusi, abbagliati dalla luce forte e improvvisa. –Spegni la luce!- disse, con voce assonnata.
-Che...che ci fai con quelle forbici in mano, al buio, all'una di notte? Credevo fosse un ladro o…qualcosa del genere.-
-Non è l’una, sarà al massimo mezzanotte e mezzo…e comunque avevo fame…sono tornato un’ora fa, ma non riuscivo a dormire, così ho pensato di scendere per mangiare qualcosa e non ho acceso la luce perché vedevo molto meglio senza.- a queste parole, mi mostrò il pacchetto di patatine che teneva nella mano sinistra.
Un sorriso mi sfiorò il volto-Per un attimo ho creduto che volessi uccidermi…-
-Tu sei pazza.-
-Sarà…beh vado a dormire.-
-Ok ma, per favore, spegni la luce.-
-Va bene.-
Sfiorai di nuovo l’interruttore e mi diressi in camera mia.
 
  
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