Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: Cassandra Morgana    15/06/2007    1 recensioni
Un tiranno ed una città a un soffio dalla guerra civile.
Un gruppo di ragazzi improvvisati ribelli, persi nelle sfuggenti sfaccettature del loro essere e del loro ruolo, fra le trame di un complesso interagire nel mondo.
Una minaccia soffusa che aleggia nell'aria...
Un luogo immaginario e un momento storico immaginario, "riconducibile" al XVIII secolo europeo.
Benvenuti a Noir Trésor!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Noir Trésor ~'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 3

L’abisso

 

 

Auguste si lasciò ricadere esausto su una poltrona. Il mondo innanzi a lui avrebbe ripreso a girare, che egli lo desiderasse oppure no. Sospirò: doveva cercare di reagire e di non perdere la testa. La notte scorreva di fronte ai suoi occhi, nell’aria piatta ed opprimente, come foriera di nuove sventure. Il chiarore lunare, insieme alla luce dei lampioni lungo la via, penetrava nella stanza buia attraverso la finestra, giocando con il debole alone proiettato dalle candele accese e vincendone la luce slavata e smorta.

Lucien era morto, e la mente di Auguste andava per conto proprio, rifiutandosi di funzionare adeguatamente, razionalizzando quanto era accaduto e riflettendo circa la responsabilità dell’assassinio: troppe domande gli si affollavano nella mente, confondendolo. E lui era troppo debole per scuotersi e cercare delle risposte dentro o fuori di sé. Non avevano alcuna importanza le elucubrazioni della polizia cittadina e del medico che aveva appena terminato di esaminare la salma: non era stato neppure a sentirli. Lui era l’unico che potesse tentare di ricercare autentiche spiegazioni. A costo di tacere per sempre, se l’esito finale delle sue ricerche l’avesse obbligato a questo. Quale giustizia vi sarebbe stata, in una città che ormai era come l’ombra di se stessa, governata da un uomo corrotto? Quale giustizia, quale umanità?

Lucien era morto e la vita avrebbe continuato a scorrere impassibile.

Era come se il mondo intero per lui si tingesse di nero, come una macchia d’inchiostro che divora tutto indistintamente, senza speranza.

Per un attimo fu sfiorato dall’insana idea di farla finita una volta per sempre con il calvario che era diventata la sua vita, e mettere per sempre fine al proprio dolore. Sarebbe stato sufficiente somministrarsi del veleno o piantarsi un pugnale nel petto, e sarebbe scivolato nell’oblio della fine. Come un sonno, un lungo sonno non popolato da incubi.

Nulla aveva più un senso. E allora, aveva forse senso che lui restasse in vita a contemplare lucidamente i propri errori e le proprie illusioni?

Eppure, nel buio e nella follia del suo dolore, una sensazione contrastante si faceva largo in lui, un lume capace di rischiarare il più amaro sconforto e di tenerlo in vita.

Auguste non era un vigliacco. Auguste aveva imparato ad affrontare ogni situazione di petto, senza esitazioni. La sua missione non era ancora terminata, meditò, e non si sarebbe conclusa a breve. Aveva ancora troppo da perdere, troppi progetti da portare a compimento, troppi punti oscuri della sua intera esistenza da chiarire, per concedersi l’ingrato, vile lusso di abbandonare ogni cosa a se stessa e fuggire nell’oblio.

Ma quella confusa, nebulosa ambizione che in passato l’aveva tenuto in vita, ora non c’era più. Sorrise con disincantata amarezza: una volta era così. Da quel momento, tutto era cambiato, da qualunque prospettiva.

Ma forse avrebbe potuto ancora fare qualcosa, e non era affatto il suicidio la soluzione concreta ai suoi problemi. Doveva far chiarezza sulla morte di Lucien e portare avanti la sua missione con gli altri ribelli, si ripeteva, come una triste nenia. Doveva dare un valore alla propria esistenza, per quanto vago gli fosse il concetto, e malgrado in quel momento la sua vita, per lui, non avesse valore più di quella di un insetto. Ma non gli era concepibile neppure porre fine alla sua dannata parabola terrena da suicida, sopraffatto dalla sua stessa follia.

 

Non ho ancora saldato i miei conti. Non ho ancora ottenuto ciò per cui ho sempre lottato, e vi è ancora tempo per iniziare a pagare i miei debiti.

 

Paradossalmente, gli parve di avvertire gli occhi di Lucien fissi su di sé, indistinti nel suo pensiero, ed era una sensazione che non poteva ignorare. La sua mente si addentrava attraverso sentieri a lui del tutto estranei.

Serrò convulsamente le palpebre, cercando di ignorare le fitte di dolore al petto che gli procurava ogni singola immagine del suo amico richiamata dalla propria mente. Ma questo non poteva impedirgli di soccombere ai fantasmi che lo tormentavano.

Gli occhi di Lucien lo fissavano, e Auguste non riusciva a stabilire cosa vi fosse nel suo sguardo: tristezza, forse. Lucien era deluso da lui, dal suo comportamento. Ed ora vi era in lui il rimpianto di non averlo ascoltato nel momento in cui l’aveva messo in guardia contro i pericoli cui andava incontro a causa del suo agire. Forse Lucien l’avrebbe perdonato per quel legame che tra loro si era spezzato. O, almeno, gli sarebbe piaciuto crederlo.

L’immagine di Lucien affiorava lenta nella sua mente, dapprima vaga e sfumata, divenendo sempre più chiara man mano che il suo pensiero s’immergeva in quel sogno.

L’ovale del volto incorniciato da lisce ciocche color corvo che sfuggivano alla lunga coda, come l’aveva visto l’ultima volta. I lineamenti del volto, minuti eppure ben delineati, erano atteggiati in un’espressione indecifrabile. Auguste non riuscì ad afferrare il suo sguardo, a comprenderne appieno le sfumature.

Come vivere, ora, privo del suo solo punto di riferimento, dell’unico amico che aveva mai incrociato lungo la sua strada, senza quell’equilibrio che soltanto lui aveva conferito alla sua vita?

E poi, chiaro come un lampo in piena notte, ricordò ciò che aveva sancito quasi indissolubilmente il loro legame.

 

* * *

 

Di quel giorno rammentava ancora il lieve smarrimento che aveva prodotto in lui la vista dell’immane distesa d’acqua, il mare infinito, specchio tumultuoso che si estendeva a perdita d’occhio dinnanzi a lui. Gli parve di poter sentire ancora le onde vivaci infrangersi con ritmo regolare contro lo scafo della modesta imbarcazione sulla quale viaggiavano, l’abisso color cobalto che si estendeva innanzi a loro, privo di un punto d’approdo nelle vicinanze, quasi la nave, con tutti i suoi passeggeri, stesse fluttuando nell’aria.

E loro stavano su quell’imbarcazione, esuli, costretti a fuggire, a nascondersi, ad abbandonare Noir Trésor almeno finché le acque non si fossero calmate.

I brevi, angosciosi momenti che avevano rapidamente seguito il colpo di Stato messo in atto dal potente Alphonse du Lac e la sua successiva presa di potere, erano stati così implacabili e repentini da non lasciare agli oppositori alcuno spiraglio di possibilità di riorganizzare i loro ranghi e tentare una reazione. I nobili avevano appoggiato il nuovo astro nascente. Auguste ricordava la “caccia alle streghe” contro gli avversari politici che aveva seguito i drammatici avvenimenti, dalla presa di potere del duca fino al lento assestarsi della nuova situazione. Sarebbe stato il popolo, con l’andare del tempo, a patire gli effetti più nefasti della guerra civile e delle conseguenti repressioni.

Era stato un periodo breve e bruciante che avrebbe lasciato il segno sulla città.

Fu allora che Auguste e Lucien si allontanarono dalla loro città natale, sfuggendo così alla terribile sequela di arresti e condanne. Molti amici dell’Accademia cittadina, contrari al dominio autoritario del duca, erano finiti nei carceri o sul patibolo.

Ricordava la sterminata distesa d’acqua sotto i suoi occhi. Avevano scelto la via più sicura per sfuggire alle persecuzioni, ma poi sarebbero tornati.

Ed era stato allora che il ventiquattrenne Auguste, avendo da sempre vagheggiato l’idea di lasciare Noir Trésor, aveva compreso che il suo destino era legato alla sua città e che non si sarebbe dato pace fino a quando non fosse stata fatta giustizia sull’uomo che aveva perseguitato e mandato a morte i suoi amici e compatrioti. Noir Trésor aveva forse bisogno di quel modesto e utopistico contributo. Non si sarebbero arresi: dovevano portare a termine il progetto affiorato nella loro mente se non per un’utilità immediata, almeno per infondere una speranza negli animi generosi che un giorno avrebbero raccolto le loro aspirazioni e segnato il tramonto di quel periodo buio. Noir Trésor non si sarebbe avviata, insieme al suo signore, ad un destino certo di ingiustizie e barbarie; i suoi stessi cittadini avrebbero cancellato quegli attimi terribili.

Ricordava l’angoscia del suo primo viaggio in mare, la paura di non giungere a destinazione o di non poter fare più ritorno a Noir Trésor.

 

Il volto pallido di Lucien s’imporporava sotto i raggi rossastri del sole al tramonto. Auguste vide i suoi capelli bruni riverberare di sfumature differenti secondo la luce da cui erano colpiti: ora assumevano i toni del rame scuro, ora, sotto la luce della luna delle lunghe notti di viaggio, parevano tendere quasi al blu del cielo cupo.

Quella notte il vento si era alzato in maniera del tutto inaspettata, increspando pericolosamente lo specchio del mare in onde tumultuose che sballottavano la nave da una parte all’altra. Il capitano aveva assicurato che non vi sarebbe stato nulla da temere: la rotta era sicura, e il maltempo sopraggiunto non rappresentava un pericolo concreto per la sicurezza della navigazione. Eppure, Auguste non era riuscito a tranquillizzarsi del tutto.

 

Era tutto così diverso, rammentava ora: ero giovane; la mia volontà ancora non era permeata ed indebolita da fosche tinte pessimistiche.

 

La vicinanza di Lucien, in un certo senso, rappresentava per lui un’ancora di salvezza, uno scoglio cui aggrapparsi nella tempesta delle sue contraddittorie passioni. Lucien era la sua controparte: non meno agguerrito e determinato nella volontà di contrastare i mali della sua realtà, ma riflessivo, quasi empatico. Era l’unico in grado di incoraggiarlo e confortarlo, di offrirgli una spalla su cui piangere e alla quale aggrapparsi. Lucien era la sua antitesi e il suo simile, la sua parte complementare e la sua catarsi.

Era diverso, allora; era tutto completamente, stupendamente diverso. Un sogno nel quale cullarsi, confronto al suo presente.

Lucien era lì con lui, e la sua disperazione ed il suo mal di vivere erano relativi, circoscritti, controbilanciati e mitigati da una presenza amica. Allora non sarebbe riuscito a figurarsi come sarebbe stato, senza il suo unico amico, procedere dinnanzi ad un mondo che non perdonava l’errore, combattere i suoi fantasmi, affrontare le sue battaglie contro se stesso ed il resto del mondo completamente solo.

Un sentore di tempesta si era ormai diffuso nell’aria; il mare agitato era lo specchio del suo animo fumoso e tormentato. Gli erano venute a mancare le basi, ancora una volta, ma con Lucien accanto ogni suo moto di sconforto assumeva un colore differente che mai virava completamente al nero.

Possibile che soltanto adesso, a distanza di cinque anni, a poche ore dalla sua scomparsa, lui, Auguste, riuscisse a rendersi pienamente conto con granitica certezza di quanto Lucien fosse importante per lui?

Il ricordo di quel giorno non era mai sfumato, men che mai in quel momento. Ogni singolo istante che si affacciava spregiudicato nella sua mente era una goccia d’acqua in una torrida estate, una stilla d’ambra dal cielo.

 

- Come va, Auguste? – gli aveva domandato Lucien con voce pacata, scendendo sottocoperta ed oltrepassando la soglia dell’umida cabina ove trascorrevano le lunghe notti insonni – Non avrai il mal di mare? Sembri un cadavere in piedi.

- Ti ringrazio del complimento – gli fece Auguste con un mezzo sorriso malizioso e sarcastico – Ad ogni modo non è nulla, sta’ tranquillo. Soltanto un po’ d’emicrania, il che è normale, considerando che, a furia di ondeggiare di continuo, avrò dormito sì e no cinque ore. Distribuite in tre notti, intendo.

Fece scorrere una mano sulla tempia che gli pulsava ad intervalli irregolari, irradiando le fitte da una parte all’altra del capo. Il debole lume della lucerna ad olio era sufficiente ad impedirgli di tenere gli occhi aperti. Strinse le palpebre, cercando di ignorare il dolore. Di certo, non doveva avere un aspetto sano: gli occhi color antracite erano cerchiati dalle occhiaie scure.

Una vampata di calore gli salì alle guance, inattesa, quando avvertì con tutti i suoi cinque sensi la vicinanza di Lucien. Il sangue aveva preso a rombargli furiosamente: poteva avvertirne chiaramente il flusso impazzito palpitargli nelle vene, ripercuotendosi sulle tempie doloranti.

- Ora passa, sta’ tranquillo – lo rassicurò paternamente Lucien, la voce lievemente arrochita, il tono ipnoticamente dolce.

Auguste pregò in cuor suo che la penombra impedisse a Lucien di scorgere il suo volto che, da pallido, si era improvvisamente tinto di cremisi.

Un immenso languore gli attanagliò il petto e lo rese instabile, rapito, come ubriaco. Era la vicinanza di Lucien a farlo sentire debole e privo di difese? Doveva forse tutto questo alla propria mente confusa, scombussolata dai profondi mutamenti che gli erano ricaduti addosso nel corso dell’ultima settimana: Noir Trésor sull’orlo del disastro, le liste di proscrizione, l’esilio, l’insolito viaggio via mare, le sue cupe riflessioni, l’altalenante sconforto, la sua energia vitale che andava e veniva.

Aveva sempre ritenuto – a torto, rifletté in seguito – di essere forte, volitivo, determinato al limite della spregiudicatezza. Lucien era riflessivo, implacabile nella sua spiazzante lucidità. I ruoli si erano improvvisamente invertiti, ma Lucien sembrava avere, come sempre, la situazione sotto controllo. Lui, al contrario, era languido e cedevole come cera fusa nelle sue mani.

Auguste temette di sussultare come impazzito, in preda ad un estenuante formicolio sotto la pelle, quando avvertì la mano di Lucien scostargli con esasperante lentezza i capelli sciolti, lasciandogli le spalle scoperte. Abbassò lo sguardo, indifeso, la camicia leggera insufficiente a proteggere la sua pelle bruciante, e lo sguardo di Lucien simile a lava incandescente che gli lambiva il corpo. Era una carezza rovente che percorreva la spalla nuda, là dove la camicia abbondante era scivolata lungo il braccio, scoprendone un’ampia porzione. La linea squadrata dell’ossatura decisa s’intersecava con la morbida curvatura del deltoide, la pelle chiara e lievemente ambrata luccicava al chiarore della lucerna.

Auguste credette di scivolare in un estatico torpore, quando le dita di Lucien si posarono sulla sua pelle, sfiorandolo con esasperante delicatezza ed esercitando una leggera pressione nel solco appena sopra la clavicola. Il movimento rotatorio del pollice alla base del collo lo prostrò totalmente. Dovette concentrarsi, trattenere il fiato per non lasciarsi andare sospirando contro il corpo di Lucien, così vicino al suo da avvertire il respiro regolare giocare sui suoi capelli.

La strana reazione che pareva sprigionare il contatto della mano di Lucien su di lui, per Auguste era palpabile come una scossa, una torpedine che squassava violentemente ogni singola fibra del suo essere, e la tensione fra loro tale da tagliarsi con un coltello.

Non doveva essere così per Lucien, che manteneva il naturale dominio di sé: il suo atteggiamento era soltanto insolitamente dolce, nulla di più, mentre indugiava in quel semplice massaggio alla base del collo che per Auguste si caricava di sensazioni e significati sconosciuti.

Non poteva comprendere il perché di quelle strane ed ambigue emozioni. Rabbrividiva al suo tocco, sperando soltanto che Lucien, così vicino, non percepisse il palpito impazzito del suo cuore.

Era riuscito fino a quel momento, con uno sforzo notevole da parte sua, a controllare il tremito di ogni fascio muscolare, quando, ormai privo di forze, cedendo sotto quel tocco che più che un massaggio era divenuto un circolo esasperante di carezze, chiuse gli occhi e si abbandonò in un flebile gemito contro il busto del suo amico.

- Ehi! – proruppe Lucien, sorridendo e cingendogli cameratescamente le ampie spalle – Dio, come sei pallido! Vieni a prendere una boccata d’aria; stare qua dentro a subire l’oscillazione delle onde ti farà scoppiare la testa.

Auguste si riscosse e tirò un sospiro: fortunatamente, Lucien non si era reso conto di quanto fosse agitato. S’infilò la giacca e lo seguì sul ponte, barcollando lungo il breve tragitto a causa delle onde che, gonfiandosi in loro prossimità, sollevavano, inclinavano e facevano ondeggiare pericolosamente l’imbarcazione. L’effetto era aggravato dalla sua non ritrovata stabilità: la testa gli girava, e, più ripensava a quanto era accaduto dentro di sé a causa di quell’enigmatico contatto fisico, più si sentiva debole e confuso. A dispetto di tutto ciò, uno strano calore gli invadeva il petto. Era tutto così confuso, sfumato.

- Osserva il mare – gli sussurrò Lucien, quando l’ebbe raggiunto sul parapetto – Devi osservare, prevedere il movimento delle onde. Se i tuoi sensi si abituano, il fisico non ne risentirà.

- Come nella vita? – dedusse Auguste con fare filosofico, quasi fra sé – L’abisso burrascoso del mare è la vita: se l’intelletto riesce a focalizzarne le difficoltà, il trionfo del tuo io è inevitabile.

Era tornato quello di sempre. Lucien per un attimo lo osservò rapito, seguendo la linea fiera del suo volto.

- Guarda – Lucien puntò il dito verso un punto non meglio precisato oltre l’orizzonte.

Auguste seguì l’indicazione gestuale con lo sguardo, socchiudendo gli occhi per vedere più chiaramente.

- Riesci a vedere qualcosa laggiù? Se il vento si calma un po’ e magari soffia a nostro favore, entro domani il viaggio sarà concluso.

- Già – meditò Auguste, ammiccando con occhi pensosi, lo sguardo fine e penetrante – Non pensavo che la vita a Noir Trésor mi sarebbe potuta mancare.

- Torneremo – sentenziò Lucien, calmo e risoluto – Se il mare volubile ce lo permette. E se la vita, altrettanto mutevole, vorrà concedercelo. Il duca du Lac ha vinto solo la sua prima battaglia; per la guerra, vi sarà tempo e luogo – concluse, citando con petulanza un popolare luogo comune.

- Il nostro è un esilio temporaneo. Dobbiamo solo riorganizzare le nostre file, ma torneremo, Lucien. Torneremo e ci impossesseremo di quel che ci è stato tolto.

Quei discorsi, affrontati in verità ormai cento e mille volte, dacché si erano messi in viaggio, per supplire all’angosciosa, mal celata malinconia, erano intervallati dagli ondeggiamenti sempre più bruschi della nave, che li costringevano a tenere gli occhi vigili fissi sulle acque e a starsene aggrappati al parapetto.

Il muto languore che li aveva colti al pensiero della patria che stavano abbandonando come esuli criminali, li aveva magicamente isolati dal mondo circostante.

Auguste continuava a ripetere a se stesso e a Lucien i soliti, vecchi discorsi, simili ormai alle nenie in latino che il vecchio curato ripeteva dal pulpito più volte durante il giorno. Voleva mascherare il proprio irrequieto nervosismo dietro una normalità che lui, per primo, non sentiva; fingere che nulla fosse cambiato dentro di sé e dissimulare di fronte a se stesso e a Lucien l’indescrivibile carosello di emozioni inspiegabili e sconosciute che ancora gli bruciavano sotto la pelle al pensiero di quelle mani da pianista che lo sfioravano.

Mi si è fuso il cervello, si ripeteva invano.

La gabbia di cristallo che entrambi avevano creato, riservandola ai loro discorsi e ai loro individuali pensieri, fu infranta dalle urla dei marinai affannati.

- Ehi, tornate sottocoperta! Il mare si mette al peggio!

Svelto, Lucien afferrò Auguste per un braccio, dirigendosi al riparo. I passi decisi erano resi difficoltosi dai colpi che le onde impazzite vibravano contro la robusta imbarcazione, facendola traballare pericolosamente sul livello del mare e ostacolando la loro corsa.

Ad Auguste parve di avvertire in lontananza il timone roteare vertiginosamente, stretto nelle mani del nocchiere, e sfuggire al suo controllo. Nello stesso istante, vide le acque incresparsi densamente in diretta prossimità della nave e contrarsi in un’onda più potente del previsto a causa di una raffica di vento che aveva gonfiato le vele.

- Venite via! Venite via! È pericoloso!

Gli annoiati passeggeri che sino a quel momento erano rimasti ad ammirare pigramente, aggrappati al massiccio parapetto, lo spettacolo dei flutti che s’imbiancavano di frizzante spuma in prossimità dello scafo, si affrettarono a rientrare sottocoperta.

L’imbarcazione parve rallentare la propria andatura, preparandosi a ricevere il colpo come un fiero combattente intabarrato nella sua armatura.

Lucien sbandò nel tentativo di recuperare l’equilibrio; la corsa disperata che aveva ingaggiato non contribuiva a mantenerlo stabile sulle sue gambe, mentre lottava contro il movimento della nave che si opponeva strenuamente al suo cammino.

Auguste lo udì ridere istericamente, forse a causa dell’ansia crescente, forse della scarica d’adrenalina.

- Posso sapere cosa ci trovi di tanto buffo? – gli gridò, affannato e sbigottito.

- Mi sembra di essere ubriaco…

Poi, l’impatto immane, la nave che si sollevava bruscamente in seguito al vuoto creatosi al di sotto di essa. Alcuni passeggeri, presi alla sprovvista, furono scaraventati da una parte all’altra.

Auguste ruggì terrorizzato, quando, oltre alla terra sotto i piedi, gli venne a mancare la presa su Lucien. Scivolò lungo le lisce travi di legno rese umide e scivolose dagli schizzi d’acqua.

In seguito ad una botta in testa che non ricordava come aveva preso, vide per un attimo lampi e luminescenze ovunque. Ma ciò non gli impedì di distinguere con cruda lucidità il corpo sottile di Lucien, scaraventato nello spostamento d’aria, abbattersi contro il parapetto, trascinato come un ramoscello sotto la brezza della sera.

Il colpo che Lucien ricevette in pieno petto gli tolse il respiro, facendo venir meno le sue energie e costringendolo a piegarsi su se stesso come un insetto pungolato.

L’urlo ferino di Auguste, denso di terrore, squarciò il rombo delle onde e il sibilo sinistro del vento, quando vide Lucien rotolare oltre il parapetto della nave e scomparire nell’infuriare del mare in tempesta.

 

 

 

 

 

 

Il mio cantuccio:

Eccomi di ritorno dopo un lungo esilio causa esame. Come sempre, vado leggermente di fretta… È un periodo davvero un po’ “maledetto”, e, sinceramente, quest’ultimo capitolo inizialmente non soddisfaceva le mie aspettative e, dunque, potrebbe sempre essere soggetto di piccole revisioni. Avverto che questo periodo gli aggiornamenti potrebbero essere molto sporadici.

Ringrazio, come sempre, Cami e Monella per i loro incoraggiamenti ed i loro commenti davvero carini. Sono felice che Noir Trésor vi appassioni… E mi raccomando: continuate a seguire i miei deliri. Alla prossima! =^.^=

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Cassandra Morgana