Capitolo
3
L’abisso
Auguste
si lasciò ricadere esausto su una poltrona. Il mondo innanzi a lui avrebbe
ripreso a girare, che egli lo desiderasse oppure no. Sospirò: doveva cercare di
reagire e di non perdere la testa. La notte scorreva di fronte ai suoi occhi,
nell’aria piatta ed opprimente, come foriera di nuove sventure. Il chiarore
lunare, insieme alla luce dei lampioni lungo la via, penetrava nella stanza buia
attraverso la finestra, giocando con il debole alone proiettato dalle candele
accese e vincendone la luce slavata e smorta.
Lucien
era morto, e la mente di Auguste andava per conto proprio, rifiutandosi di
funzionare adeguatamente, razionalizzando quanto era accaduto e riflettendo
circa la responsabilità dell’assassinio: troppe domande gli si affollavano nella
mente, confondendolo. E lui era troppo debole per scuotersi e cercare delle
risposte dentro o fuori di sé. Non avevano alcuna importanza le elucubrazioni
della polizia cittadina e del medico che aveva appena terminato di esaminare la
salma: non era stato neppure a sentirli. Lui era l’unico che potesse tentare di
ricercare autentiche spiegazioni. A costo di tacere per sempre, se l’esito
finale delle sue ricerche l’avesse obbligato a questo. Quale giustizia vi
sarebbe stata, in una città che ormai era come l’ombra di se stessa, governata
da un uomo corrotto? Quale giustizia, quale umanità?
Lucien
era morto e la vita avrebbe continuato a scorrere
impassibile.
Era
come se il mondo intero per lui si tingesse di nero, come una macchia
d’inchiostro che divora tutto indistintamente, senza
speranza.
Per
un attimo fu sfiorato dall’insana idea di farla finita una volta per sempre con
il calvario che era diventata la sua vita, e mettere per sempre fine al proprio
dolore. Sarebbe stato sufficiente somministrarsi del veleno o piantarsi un
pugnale nel petto, e sarebbe scivolato nell’oblio della fine. Come un sonno, un
lungo sonno non popolato da incubi.
Nulla
aveva più un senso. E allora, aveva forse senso che lui restasse in vita a
contemplare lucidamente i propri errori e le proprie
illusioni?
Eppure,
nel buio e nella follia del suo dolore, una sensazione contrastante si faceva
largo in lui, un lume capace di rischiarare il più amaro sconforto e di tenerlo
in vita.
Auguste
non era un vigliacco. Auguste aveva imparato ad affrontare ogni situazione di
petto, senza esitazioni. La sua missione non era ancora terminata, meditò, e non
si sarebbe conclusa a breve. Aveva ancora troppo da perdere, troppi progetti da
portare a compimento, troppi punti oscuri della sua intera esistenza da
chiarire, per concedersi l’ingrato, vile lusso di abbandonare ogni cosa a se
stessa e fuggire nell’oblio.
Ma
quella confusa, nebulosa ambizione che in passato l’aveva tenuto in vita, ora
non c’era più. Sorrise con disincantata amarezza: una volta era così. Da quel
momento, tutto era cambiato, da qualunque prospettiva.
Ma
forse avrebbe potuto ancora fare qualcosa, e non era affatto il suicidio la
soluzione concreta ai suoi problemi. Doveva far chiarezza sulla morte di Lucien
e portare avanti la sua missione con gli altri ribelli, si ripeteva, come una
triste nenia. Doveva dare un valore alla propria esistenza, per quanto vago gli
fosse il concetto, e malgrado in quel momento la sua vita, per lui, non avesse
valore più di quella di un insetto. Ma non gli era concepibile neppure porre
fine alla sua dannata parabola terrena da suicida, sopraffatto dalla sua stessa
follia.
Non
ho ancora saldato i miei conti. Non ho ancora ottenuto ciò per cui ho sempre
lottato, e vi è ancora tempo per iniziare a pagare i miei
debiti.
Paradossalmente,
gli parve di avvertire gli occhi di Lucien fissi su di sé, indistinti nel suo
pensiero, ed era una sensazione che non poteva ignorare. La sua mente si
addentrava attraverso sentieri a lui del tutto estranei.
Serrò
convulsamente le palpebre, cercando di ignorare le fitte di dolore al petto che
gli procurava ogni singola immagine del suo amico richiamata dalla propria
mente. Ma questo non poteva impedirgli di soccombere ai fantasmi che lo
tormentavano.
Gli
occhi di Lucien lo fissavano, e Auguste non riusciva a stabilire cosa vi fosse
nel suo sguardo: tristezza, forse. Lucien era deluso da lui, dal suo
comportamento. Ed ora vi era in lui il rimpianto di non averlo ascoltato nel
momento in cui l’aveva messo in guardia contro i pericoli cui andava incontro a
causa del suo agire. Forse Lucien l’avrebbe perdonato per quel legame che tra
loro si era spezzato. O, almeno, gli sarebbe piaciuto
crederlo.
L’immagine
di Lucien affiorava lenta nella sua mente, dapprima vaga e sfumata, divenendo
sempre più chiara man mano che il suo pensiero s’immergeva in quel
sogno.
L’ovale
del volto incorniciato da lisce ciocche color corvo che sfuggivano alla lunga
coda, come l’aveva visto l’ultima volta. I lineamenti del volto, minuti eppure
ben delineati, erano atteggiati in un’espressione indecifrabile. Auguste non
riuscì ad afferrare il suo sguardo, a comprenderne appieno le
sfumature.
Come
vivere, ora, privo del suo solo punto di riferimento, dell’unico amico che aveva
mai incrociato lungo la sua strada, senza quell’equilibrio che soltanto lui
aveva conferito alla sua vita?
E
poi, chiaro come un lampo in piena notte, ricordò ciò che aveva sancito quasi
indissolubilmente il loro legame.
* *
*
Di
quel giorno rammentava ancora il lieve smarrimento che aveva prodotto in lui la
vista dell’immane distesa d’acqua, il mare infinito, specchio tumultuoso che si
estendeva a perdita d’occhio dinnanzi a lui. Gli parve di poter sentire ancora
le onde vivaci infrangersi con ritmo regolare contro lo scafo della modesta
imbarcazione sulla quale viaggiavano, l’abisso color cobalto che si estendeva
innanzi a loro, privo di un punto d’approdo nelle vicinanze, quasi la nave, con
tutti i suoi passeggeri, stesse fluttuando nell’aria.
E
loro stavano su quell’imbarcazione, esuli, costretti a fuggire, a nascondersi,
ad abbandonare Noir Trésor almeno finché le acque non si fossero
calmate.
I
brevi, angosciosi momenti che avevano rapidamente seguito il colpo di Stato
messo in atto dal potente Alphonse du Lac e la sua successiva presa di potere,
erano stati così implacabili e repentini da non lasciare agli oppositori alcuno
spiraglio di possibilità di riorganizzare i loro ranghi e tentare una reazione.
I nobili avevano appoggiato il nuovo astro nascente. Auguste ricordava la
“caccia alle streghe” contro gli avversari politici che aveva seguito i
drammatici avvenimenti, dalla presa di potere del duca fino al lento assestarsi
della nuova situazione. Sarebbe stato il popolo, con l’andare del tempo, a
patire gli effetti più nefasti della guerra civile e delle conseguenti
repressioni.
Era
stato un periodo breve e bruciante che avrebbe lasciato il segno sulla
città.
Fu
allora che Auguste e Lucien si allontanarono dalla loro città natale, sfuggendo
così alla terribile sequela di arresti e condanne. Molti amici dell’Accademia
cittadina, contrari al dominio autoritario del duca, erano finiti nei carceri o
sul patibolo.
Ricordava
la sterminata distesa d’acqua sotto i suoi occhi. Avevano scelto la via più
sicura per sfuggire alle persecuzioni, ma poi sarebbero
tornati.
Ed
era stato allora che il ventiquattrenne Auguste, avendo da sempre vagheggiato
l’idea di lasciare Noir Trésor, aveva compreso che il suo destino era legato
alla sua città e che non si sarebbe dato pace fino a quando non fosse stata
fatta giustizia sull’uomo che aveva perseguitato e mandato a morte i suoi amici
e compatrioti. Noir Trésor aveva forse bisogno di quel modesto e utopistico
contributo. Non si sarebbero arresi: dovevano portare a termine il progetto
affiorato nella loro mente se non per un’utilità immediata, almeno per infondere
una speranza negli animi generosi che un giorno avrebbero raccolto le loro
aspirazioni e segnato il tramonto di quel periodo buio. Noir Trésor non si
sarebbe avviata, insieme al suo signore, ad un destino certo di ingiustizie e
barbarie; i suoi stessi cittadini avrebbero cancellato quegli attimi
terribili.
Ricordava
l’angoscia del suo primo viaggio in mare, la paura di non giungere a
destinazione o di non poter fare più ritorno a Noir
Trésor.
Il
volto pallido di Lucien s’imporporava sotto i raggi rossastri del sole al
tramonto. Auguste vide i suoi capelli bruni riverberare di sfumature differenti
secondo la luce da cui erano colpiti: ora assumevano i toni del rame scuro, ora,
sotto la luce della luna delle lunghe notti di viaggio, parevano tendere quasi
al blu del cielo cupo.
Quella
notte il vento si era alzato in maniera del tutto inaspettata, increspando
pericolosamente lo specchio del mare in onde tumultuose che sballottavano la
nave da una parte all’altra. Il capitano aveva assicurato che non vi sarebbe
stato nulla da temere: la rotta era sicura, e il maltempo sopraggiunto non
rappresentava un pericolo concreto per la sicurezza della navigazione. Eppure,
Auguste non era riuscito a tranquillizzarsi del tutto.
Era
tutto così diverso,
rammentava ora: ero giovane; la mia
volontà ancora non era permeata ed indebolita da fosche tinte
pessimistiche.
La
vicinanza di Lucien, in un certo senso, rappresentava per lui un’ancora di
salvezza, uno scoglio cui aggrapparsi nella tempesta delle sue contraddittorie
passioni. Lucien era la sua controparte: non meno agguerrito e determinato nella
volontà di contrastare i mali della sua realtà, ma riflessivo, quasi empatico.
Era l’unico in grado di incoraggiarlo e confortarlo, di offrirgli una spalla su
cui piangere e alla quale aggrapparsi. Lucien era la sua antitesi e il suo
simile, la sua parte complementare e la sua catarsi.
Era
diverso, allora; era tutto completamente, stupendamente diverso. Un sogno nel
quale cullarsi, confronto al suo presente.
Lucien
era lì con lui, e la sua disperazione ed il suo mal di vivere erano relativi,
circoscritti, controbilanciati e mitigati da una presenza amica. Allora non
sarebbe riuscito a figurarsi come sarebbe stato, senza il suo unico amico,
procedere dinnanzi ad un mondo che non perdonava l’errore, combattere i suoi
fantasmi, affrontare le sue battaglie contro se stesso ed il resto del mondo
completamente solo.
Un
sentore di tempesta si era ormai diffuso nell’aria; il mare agitato era lo
specchio del suo animo fumoso e tormentato. Gli erano venute a mancare le basi,
ancora una volta, ma con Lucien accanto ogni suo moto di sconforto assumeva un
colore differente che mai virava completamente al nero.
Possibile
che soltanto adesso, a distanza di cinque anni, a poche ore dalla sua scomparsa,
lui, Auguste, riuscisse a rendersi pienamente conto con granitica certezza di
quanto Lucien fosse importante per lui?
Il
ricordo di quel giorno non era mai sfumato, men che mai in quel momento. Ogni
singolo istante che si affacciava spregiudicato nella sua mente era una goccia
d’acqua in una torrida estate, una stilla d’ambra dal
cielo.
-
Come va, Auguste? – gli aveva domandato Lucien con voce pacata, scendendo
sottocoperta ed oltrepassando la soglia dell’umida cabina ove trascorrevano le
lunghe notti insonni – Non avrai il mal di mare? Sembri un cadavere in
piedi.
-
Ti ringrazio del complimento – gli fece Auguste con un mezzo sorriso malizioso e
sarcastico – Ad ogni modo non è nulla, sta’ tranquillo. Soltanto un po’
d’emicrania, il che è normale, considerando che, a furia di ondeggiare di
continuo, avrò dormito sì e no cinque ore. Distribuite in tre notti,
intendo.
Fece
scorrere una mano sulla tempia che gli pulsava ad intervalli irregolari,
irradiando le fitte da una parte all’altra del capo. Il debole lume della
lucerna ad olio era sufficiente ad impedirgli di tenere gli occhi aperti.
Strinse le palpebre, cercando di ignorare il dolore. Di certo, non doveva avere
un aspetto sano: gli occhi color antracite erano cerchiati dalle occhiaie
scure.
Una
vampata di calore gli salì alle guance, inattesa, quando avvertì con tutti i
suoi cinque sensi la vicinanza di Lucien. Il sangue aveva preso a rombargli
furiosamente: poteva avvertirne chiaramente il flusso impazzito palpitargli
nelle vene, ripercuotendosi sulle tempie doloranti.
-
Ora passa, sta’ tranquillo – lo rassicurò paternamente Lucien, la voce
lievemente arrochita, il tono ipnoticamente dolce.
Auguste
pregò in cuor suo che la penombra impedisse a Lucien di scorgere il suo volto
che, da pallido, si era improvvisamente tinto di cremisi.
Un
immenso languore gli attanagliò il petto e lo rese instabile, rapito, come
ubriaco. Era la vicinanza di Lucien a farlo sentire debole e privo di difese?
Doveva forse tutto questo alla propria mente confusa, scombussolata dai profondi
mutamenti che gli erano ricaduti addosso nel corso dell’ultima settimana: Noir
Trésor sull’orlo del disastro, le liste di proscrizione, l’esilio, l’insolito
viaggio via mare, le sue cupe riflessioni, l’altalenante sconforto, la sua
energia vitale che andava e veniva.
Aveva
sempre ritenuto – a torto, rifletté in seguito – di essere forte, volitivo,
determinato al limite della spregiudicatezza. Lucien era riflessivo, implacabile
nella sua spiazzante lucidità. I ruoli si erano improvvisamente invertiti, ma
Lucien sembrava avere, come sempre, la situazione sotto controllo. Lui, al
contrario, era languido e cedevole come cera fusa nelle sue
mani.
Auguste
temette di sussultare come impazzito, in preda ad un estenuante formicolio sotto
la pelle, quando avvertì la mano di Lucien scostargli con esasperante lentezza i
capelli sciolti, lasciandogli le spalle scoperte. Abbassò lo sguardo, indifeso,
la camicia leggera insufficiente a proteggere la sua pelle bruciante, e lo
sguardo di Lucien simile a lava incandescente che gli lambiva il corpo. Era una
carezza rovente che percorreva la spalla nuda, là dove la camicia abbondante era
scivolata lungo il braccio, scoprendone un’ampia porzione. La linea squadrata
dell’ossatura decisa s’intersecava con la morbida curvatura del deltoide, la
pelle chiara e lievemente ambrata luccicava al chiarore della
lucerna.
Auguste
credette di scivolare in un estatico torpore, quando le dita di Lucien si
posarono sulla sua pelle, sfiorandolo con esasperante delicatezza ed esercitando
una leggera pressione nel solco appena sopra la clavicola. Il movimento
rotatorio del pollice alla base del collo lo prostrò totalmente. Dovette
concentrarsi, trattenere il fiato per non lasciarsi andare sospirando contro il
corpo di Lucien, così vicino al suo da avvertire il respiro regolare giocare sui
suoi capelli.
La
strana reazione che pareva sprigionare il contatto della mano di Lucien su di
lui, per Auguste era palpabile come una scossa, una torpedine che squassava
violentemente ogni singola fibra del suo essere, e la tensione fra loro tale da
tagliarsi con un coltello.
Non
doveva essere così per Lucien, che manteneva il naturale dominio di sé: il suo
atteggiamento era soltanto insolitamente dolce, nulla di più, mentre indugiava
in quel semplice massaggio alla base del collo che per Auguste si caricava di
sensazioni e significati sconosciuti.
Non
poteva comprendere il perché di quelle strane ed ambigue emozioni. Rabbrividiva
al suo tocco, sperando soltanto che Lucien, così vicino, non percepisse il
palpito impazzito del suo cuore.
Era
riuscito fino a quel momento, con uno sforzo notevole da parte sua, a
controllare il tremito di ogni fascio muscolare, quando, ormai privo di forze,
cedendo sotto quel tocco che più che un massaggio era divenuto un circolo
esasperante di carezze, chiuse gli occhi e si abbandonò in un flebile gemito
contro il busto del suo amico.
-
Ehi! – proruppe Lucien, sorridendo e cingendogli cameratescamente le ampie
spalle – Dio, come sei pallido! Vieni a prendere una boccata d’aria; stare qua
dentro a subire l’oscillazione delle onde ti farà scoppiare la
testa.
Auguste
si riscosse e tirò un sospiro: fortunatamente, Lucien non si era reso conto di
quanto fosse agitato. S’infilò la giacca e lo seguì sul ponte, barcollando lungo
il breve tragitto a causa delle onde che, gonfiandosi in loro prossimità,
sollevavano, inclinavano e facevano ondeggiare pericolosamente l’imbarcazione.
L’effetto era aggravato dalla sua non ritrovata stabilità: la testa gli girava,
e, più ripensava a quanto era accaduto dentro di sé a causa di quell’enigmatico
contatto fisico, più si sentiva debole e confuso. A dispetto di tutto ciò, uno
strano calore gli invadeva il petto. Era tutto così confuso,
sfumato.
-
Osserva il mare – gli sussurrò Lucien, quando l’ebbe raggiunto sul parapetto –
Devi osservare, prevedere il movimento delle onde. Se i tuoi sensi si abituano,
il fisico non ne risentirà.
-
Come nella vita? – dedusse Auguste con fare filosofico, quasi fra sé – L’abisso
burrascoso del mare è la vita: se l’intelletto riesce a focalizzarne le
difficoltà, il trionfo del tuo io è inevitabile.
Era
tornato quello di sempre. Lucien per un attimo lo osservò rapito, seguendo la
linea fiera del suo volto.
-
Guarda – Lucien puntò il dito verso un punto non meglio precisato oltre
l’orizzonte.
Auguste
seguì l’indicazione gestuale con lo sguardo, socchiudendo gli occhi per vedere
più chiaramente.
-
Riesci a vedere qualcosa laggiù? Se il vento si calma un po’ e magari soffia a
nostro favore, entro domani il viaggio sarà concluso.
-
Già – meditò Auguste, ammiccando con occhi pensosi, lo sguardo fine e penetrante
– Non pensavo che la vita a Noir Trésor mi sarebbe potuta
mancare.
-
Torneremo – sentenziò Lucien, calmo e risoluto – Se il mare volubile ce lo
permette. E se la vita, altrettanto mutevole, vorrà concedercelo. Il duca du Lac
ha vinto solo la sua prima battaglia; per la guerra, vi sarà tempo e luogo –
concluse, citando con petulanza un popolare luogo comune.
-
Il nostro è un esilio temporaneo. Dobbiamo solo riorganizzare le nostre file, ma
torneremo, Lucien. Torneremo e ci impossesseremo di quel che ci è stato
tolto.
Quei
discorsi, affrontati in verità ormai cento e mille volte, dacché si erano messi
in viaggio, per supplire all’angosciosa, mal celata malinconia, erano
intervallati dagli ondeggiamenti sempre più bruschi della nave, che li
costringevano a tenere gli occhi vigili fissi sulle acque e a starsene
aggrappati al parapetto.
Il
muto languore che li aveva colti al pensiero della patria che stavano
abbandonando come esuli criminali, li aveva magicamente isolati dal mondo
circostante.
Auguste
continuava a ripetere a se stesso e a Lucien i soliti, vecchi discorsi, simili
ormai alle nenie in latino che il vecchio curato ripeteva dal pulpito più volte
durante il giorno. Voleva mascherare il proprio irrequieto nervosismo dietro una
normalità che lui, per primo, non sentiva; fingere che nulla fosse cambiato
dentro di sé e dissimulare di fronte a se stesso e a Lucien l’indescrivibile
carosello di emozioni inspiegabili e sconosciute che ancora gli bruciavano sotto
la pelle al pensiero di quelle mani da pianista che lo
sfioravano.
Mi
si è fuso il cervello,
si ripeteva invano.
La
gabbia di cristallo che entrambi avevano creato, riservandola ai loro discorsi e
ai loro individuali pensieri, fu infranta dalle urla dei marinai
affannati.
-
Ehi, tornate sottocoperta! Il mare si mette al peggio!
Svelto,
Lucien afferrò Auguste per un braccio, dirigendosi al riparo. I passi decisi
erano resi difficoltosi dai colpi che le onde impazzite vibravano contro la
robusta imbarcazione, facendola traballare pericolosamente sul livello del mare
e ostacolando la loro corsa.
Ad
Auguste parve di avvertire in lontananza il timone roteare vertiginosamente,
stretto nelle mani del nocchiere, e sfuggire al suo controllo. Nello stesso
istante, vide le acque incresparsi densamente in diretta prossimità della nave e
contrarsi in un’onda più potente del previsto a causa di una raffica di vento
che aveva gonfiato le vele.
-
Venite via! Venite via! È pericoloso!
Gli
annoiati passeggeri che sino a quel momento erano rimasti ad ammirare
pigramente, aggrappati al massiccio parapetto, lo spettacolo dei flutti che
s’imbiancavano di frizzante spuma in prossimità dello scafo, si affrettarono a
rientrare sottocoperta.
L’imbarcazione
parve rallentare la propria andatura, preparandosi a ricevere il colpo come un
fiero combattente intabarrato nella sua armatura.
Lucien
sbandò nel tentativo di recuperare l’equilibrio; la corsa disperata che aveva
ingaggiato non contribuiva a mantenerlo stabile sulle sue gambe, mentre lottava
contro il movimento della nave che si opponeva strenuamente al suo
cammino.
Auguste
lo udì ridere istericamente, forse a causa dell’ansia crescente, forse della
scarica d’adrenalina.
-
Posso sapere cosa ci trovi di tanto buffo? – gli gridò, affannato e
sbigottito.
-
Mi sembra di essere ubriaco…
Poi,
l’impatto immane, la nave che si sollevava bruscamente in seguito al vuoto
creatosi al di sotto di essa. Alcuni passeggeri, presi alla sprovvista, furono
scaraventati da una parte all’altra.
Auguste
ruggì terrorizzato, quando, oltre alla terra sotto i piedi, gli venne a mancare
la presa su Lucien. Scivolò lungo le lisce travi di legno rese umide e scivolose
dagli schizzi d’acqua.
In
seguito ad una botta in testa che non ricordava come aveva preso, vide per un
attimo lampi e luminescenze ovunque. Ma ciò non gli impedì di distinguere con
cruda lucidità il corpo sottile di Lucien, scaraventato nello spostamento
d’aria, abbattersi contro il parapetto, trascinato come un ramoscello sotto la
brezza della sera.
Il
colpo che Lucien ricevette in pieno petto gli tolse il respiro, facendo venir
meno le sue energie e costringendolo a piegarsi su se stesso come un insetto
pungolato.
L’urlo
ferino di Auguste, denso di terrore, squarciò il rombo delle onde e il sibilo
sinistro del vento, quando vide Lucien rotolare oltre il parapetto della nave e
scomparire nell’infuriare del mare in tempesta.
Il
mio cantuccio:
Eccomi
di ritorno dopo un lungo esilio causa esame. Come sempre, vado leggermente di
fretta… È un periodo davvero un po’ “maledetto”, e, sinceramente, quest’ultimo
capitolo inizialmente non soddisfaceva le mie aspettative e, dunque, potrebbe
sempre essere soggetto di piccole revisioni. Avverto che questo periodo gli
aggiornamenti potrebbero essere molto sporadici.
Ringrazio,
come sempre, Cami e Monella per i loro incoraggiamenti ed i
loro commenti davvero carini. Sono felice che Noir Trésor vi appassioni… E mi
raccomando: continuate a seguire i miei deliri. Alla prossima!
=^.^=