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Autore: Kira0    28/11/2012    0 recensioni
Parla di una persona misteriosa che incontra Ace e ognuno dei due capirà grazie all'altro che forse la vita non è così male come sembra e che a volte un amico può aiutarti a farti sorridere :D
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Spero che questa fanfiction vi possa piacere e vi chiedo umilmente di recensire anche le critiche van bene così miglioro :D (non dico altro altrimenti rischio di dire cavolate come al solito)



Un dolore condiviso fra compagni, sparisce sempre!





"Che cosa faresti se incontrassi il figlio di Gold D. Roger?"

"Lo picchierei, gli farei del male e farei in modo che venga giustiziato dalla Marina!"


Questo era quello che Ace aveva sempre sentito rispondere alla sua domanda, dopo lui picchiava tutte le persone che rispondevano così ma il dolore rimaneva lo stesso.

Crescendo aveva imparato a non chiedere più niente a nessuno, tanto sapeva già la risposta. Si era sentito dire tante volte che la sua vita era uno sbaglio, che la sua stessa esistenza era un errore, che ormai stava iniziando a crederci anche lui.

Una sera mentre era in una locanda, volle provare a chiedere di nuovo quella domanda a qualcuno, per vedere se l'opinione della gente era cambiata oppure no, anche se non sperava in un cambiamento.


"Che cosa faresti se incontrassi il figlio di Gold D. Roger?" Chiese al locandiere.

"Lo consegnerei di sicuro alla Marina!" disse quest'ultimo convinto.

Prima che Ace potesse anche solo dire una parola, una persona con un mantello nero ed il cappuccio tirato sulla testa seduta al bancone due posti più in là rispetto ad Ace chiese:

"Perchè? Ha fatto per caso qualcosa di male?" Aveva una voce strana, calma, sicura di sè, quasi non sembrava reale tanto era profonda, ma non roca o maschile... sembrava quasi la voce di una ragazza, una voce antica, ricordava il suono del vento.

"Come?" chiese stupito il locandiere.

"Ho chiesto: ha fatto qualcosa di male?" ripeté scandendo bene le parole.

"Bhe... in effetti... non ha fatto niente... Però rimane comunque il figlio di un demonio!"

"Un demonio? Perchè? Gold D. Roger era un pirata come tanti, era solo più forte."

"Bah, io resto del mio parere..." rispose il locandiere non molto convinto, concludendo il discorso girandosi a pulire dei piatti. Ace si girò stupito con gli occhi spalancati verso quella persona cercando di capire che volto avesse ma non ci riuscì; capendo che non aveva la possibilità di capire chi era, rinunciò al tentativo.


Dopo un po' di tempo...


"La ringrazio per il cibo, ecco i soldi." Disse la persona con il mantello.

"Grazie a lei."

La persona uscì e si incamminò in fretta verso il bosco. Ace, la cui curiosità nel frattempo era aumentata di un bel po', pagò anche lui e si diresse correndo alla velocità della luce nella stessa direzione di quell'individuo.

Quando uscì dalla boscaglia dall'altra parte dell'isola rispetto al villaggio, lo vide passeggiare sulla spiaggia, perso a contemplare il mare.

Cercò di avvicinarsi rimanendo nascosto dietro a dei massi.

Quando si fu avvicinato un bel po', poichè si era tolto il cappuccio, riuscì a vederlo... o meglio... vederla. Era una ragazza sembrava avere circa 17 anni; aveva i capelli lunghi fino alle spalle castani, una spada appesa al fianco, la cui elsa sbucava dal mantello. Portava una maglietta bianca con le maniche larghe e dei pantaloni larghi, stretti in fondo appena sotto al ginocchio; aveva i piedi nudi.

"I ragazzini come te non dovrebbero andare a dormire a quest'ora?" Chiese all'improvviso la ragazza, rimanendo girata verso il mare, facendo sobbalzare Ace per lo spavento.

"Stai dicendo a me?" Disse Ace un po' preoccupato indicandosi con un dito.

"Sì." Disse lei girandosi di scatto verso di lui.

Finalmente poté vederla in faccia, aveva i lineamenti fini e gli occhi erano verdi, un verde che non aveva mai visto da nessun'altra parte.

"E-ecco, i-io a dir la verità, ecco sta-stavo solo cercando..." iniziò Ace arrossendo e abbassando la sguardo, appoggiando la mano sul cappello per non far vedere il suo rossore.

"Di scoprire chi io fossi." Lo interruppe lei.

Ace alzò lo sguardo stupefatto e vide che lei stava sorridendo.

"Mi scusi, non volevo essere invadente." disse lui un po' rassicurato ed allo stesso tempo intimorito.

"Non ti preoccupare, però ora ti conviene tornare, ti staranno aspettando." Disse lei smettendo di sorridere e riiniziando a camminare.

"No, non c'è nessuno"

Allora lei si girò di nuovo e lo guardò curiosamente con la testa un po' inclinata.

"I-io, non ho... nessuno" concluse lui, dicendo l'ultima parola in un soffio.

"Sei il figlio di Gold. D. Roger, vero?"

"E tu come fai a saperlo?"

"Me lo hai appena detto tu." Disse lei sorridendo di nuovo dolcemente.

"Perchè mi stai sorridendo?"

"Perchè non dovrei?"

"Ti devo ricordare che sono il figlio di un demonio?"

"Credevo di aver già spiegato che cosa pensavo su tuo padre."

"Sul serio non mi consegneresti alla Marina se non ne avessi l'occasione?"

"E chi ha detto che non ne avrei l'occasione?"

"In che senso?"

"Se io volessi potrei consegnarti alla Marina, oppure più facilmente potrei ucciderti all'istante; credimi, sono molto più forte di te." affermò lei con un ghigno divertito.

"Ne sei così sicura?" chiese anche lui con un ghigno.

"Assolutamente."

Ace iniziò ad avvicinarsi a lei con un aria strafottente, ma lei non si mosse di un passo, anzi continuò a fissarlo divertita.

"Prova a prendermi se ci riesci." Disse lei iniziando a correre diretta verso il bagno-asciuga.

Ace rimase un attimo spiazzato, ma poi si riprese subito ed iniziò a rincorrerla; quando le fu abbastanza vicino, lei iniziò a spruzzarlo iniziando a ridere e lo stesso fece lui seguendo il suo esempio.

Continuarono così per un bel po', finché non furono stanchi e si stesero sulla sabbia vicini.

Fissarono per qualche minuto le stelle: quella notte era particolarmente limpida e si vedevano tutte le costellazioni.

"Come ti chiami?" chiese lui girando la testa verso di lei.

"Nessuno sa il mio nome a parte me." disse lei rattristandosi un po'.

"Bhe, sono sicuro che sia un nome molto bello."

"Perchè dovrebbe essere bello?"

"Perchè secondo me il tuo nome ti rispecchia." disse lui con un sorriso a trentadue denti e gli occhi socchiusi.

"Era un complimento?"

"Diciamo di sì."

"Natsumi."

"E'?" chiese lui, non avendo capito.

"E' il mio nome."

"Lo sapevo!" esclamò lui, "il tuo nome significa “bellezza d'estate”, è un nome meraviglioso, proprio come dicevo io!"

"Solo il nome..."

"Perchè sei triste?"

"Lascia perdere." fece per alzarsi, ma lui la prese per un polso bloccandola.

"Tu non vai da nessuna parte, se prima non mi hai detto perchè sei triste, io detesto vedere le persone tristi, soprattutto se sono amiche mie." concluse lui con un'aria determinata.

Natsumi sospirò rassegnata e si risedette.

"La mia famiglia è morta durante un terremoto ed io sono finita in un orfanotrofio. Però questo era un orfanotrofio solo in apparenza, infatti svolgeva delle ricerche su un tipo di virus che alcune persone della nostra isola avevano. Era un tipo di virus che permetteva di controllare a piacimento il proprio sangue. Loro per studiare queste persone, che erano casi molto rari, circa una persona su mille era affetta dal virus, le facevano combattere le une contro le altre, costringendole spesso ad uccidere i propri amici non intenzionalmente, perchè se loro non facevano quello che le dicevano morivano loro al posto dell'avversario. Una vita terribile, in cui l'agonia, la disperazione e la follia erano all'ordine del giorno, l'aria puzzava continuamente di sangue e non permettevano di uscire da quell'edificio a nessun orfano, infetto o no, alcuni di loro, dopo che sono entrati là, non hanno più visto la luce del sole... perchè sono morti prima." Qui fece una pausa sospirando:

"Io... ero infetta da quel virus, ma il mio tipo di virus era molto più forte degli altri... ho dovuto uccidere tutti i miei amici, per sopravvivere. Sono riuscita a scappare, ma sono ancora infetta da quel virus e non voglio più uccidere nessuno... nessuno..." si rannicchiò su stessa abbracciandosi le ginocchia con le braccia e tenendo la testa appoggiata alle gambe, iniziò a tremare e a piangere in silenzio.

Ace rimase molto impressionato dalla storia della ragazza, ma non spaventato, non temeva per nulla Natsumi, anzi fin da quando l'aveva vista in volto, gli era venuta voglia di proteggerla, non sapeva da cosa, ma ormai ne era sicuro, l'avrebbe protetta da qualsiasi male, fisico o mentale che fosse.

Cautamente si avvicinò e la cinse con le braccia appoggiando la testa sulla sua:

"Non mi importa del tuo passato, non mi importa che tu sia affetta da un virus e non mi importa di tutto ciò che hai fatto in passato, perchè qualunque cosa brutta tu abbia fatto, sono sicuro che ti abbiano costretto a farlo, quindi non è stata colpa tua, chiaro? In ogni caso, se adesso non sai dove andare, io avrei un posto nella mia ciurma, sempre se ti va di diventare un pirata della seconda flotta di Barbabianca!" finì lui sorridendole.

Lei alzò lo sguardo colpita da quel discorso e da quel gesto e, asciugandosi le lacrime, lo guardò con una luce nuova negli occhi:

"Sul serio saresti disposto ad accettarmi nella tua ciurma?"

"Certo, altrimenti non te l'avrei mai chiesto!" disse lui continuando a sorridere.

"Grazie!" lei si girò di scatto verso di lui ritrovandosi nelle sue braccia, e lo abbracciò a sua volta, appoggiando il capo nell'incavo del suo collo.

I due rimasero così un po' l'uno delle braccia dell'altro, cercando conforto in quell'abbraccio inaspettato ed altrettanto dolce.


Qualche mese dopo nella stanza del capitano della nave della seconda flotta di Barbabianca...

"Grazie Ace." disse Natsumi abbracciando il capitano e baciandolo delicatamente. Ace ricambiò subito abbracciandola senza dire nulla, tanto lei sapeva già cosa voleva dirle, non c'era bisogno di parole in quel momento.

"Non credevo che un dolore diviso con qualcuno, sparisse completamente." Questo fu il pensiero di entrambi in quel momento, mentre ringraziavano mentalmente con tutto il cuore che il destino li avesse fatti incontrare.

  
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