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Autore: fedenow    16/06/2007    6 recensioni
Lucilla, sorella dell'imperatore Commodo, celebra il grande Massimo Decimo Meridio in una lettera al figlio Lucio...
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scrisse Lucilla Con questa fanfiction ho cercato di analizzare a fondo i sentimenti di Lucilla, che nel film hanno un ruolo piuttosto trascurato,  e nel contempo ho tentato di sintetizzare in modo piuttosto originale i messaggi che il film più bello della storia del cinema(:P) lancia. Spero che questa storia venga letta anche da chi non ha particolarmente gradito il film: magari leggendo cambiano un pochino idea, chissà......!
Buon proseguimento, e…mi raccomando…leggete fino in fondo!!!



Scrisse   Lucilla

Lucilla, figlia dell’imperatore Marco Aurelio, sorella dell’usurpatore del trono Commodo, una decina d’anni dopo la morte di Massimo Decimo Meridio, il Gladiatore, scrive al figlio Lucio una lettera…



LUCILLA LUCIO SUO   (Lucilla saluta il suo Lucio)

Lucio mio, figlio unico e prediletto, gioia della mia esistenza,

ti saluto con l’affetto che solo una madre può donare.

Mi è appena giunta notizia del tuo imminente matrimonio con la giovane Tulliola figlia di Tullio il Vecchio della gens Auruma. Ti auguro ogni felicità e ogni bene per questa unione voluta dal destino.
Sono sicura che saprai rendere questa donna felice e fiera di essere tua moglie, nello stesso modo in cui hai reso me fiera ed orgogliosa di essere tua madre, in tutti gli anni in cui ti ho allevato e anche quando ormai eri un uomo fatto.

Sappi che continuerò ad appoggiare ogni tua iniziativa e decisione come ho fatto in tutti questi anni, il mio appoggio non verrà mai meno per te.

Sappi inoltre che ciò che tanto temi –ne sono certa- corrisponde a verità: non presenzierò alle tue nozze.
Non prendere questo mio comportamento come un atto ostile nei confronti tuoi o della tua futura consorte, peraltro deliziosa (per quanto la mia mente stanca mi permette di ricordare).

Non tornerò a Roma per nessuna ragione al mondo, neppure per l’unica persona che il destino mi ha concesso di amare per lungo tempo: tu, Lucio.
Non tornerò a Roma, città che per molti anni è stata la mia patria, perché non ha alcun senso che io vi faccia ritorno. Cercherò di spiegarti perché, se avrai la pazienza di continuare a leggere questo mio scritto.

Durante la mia giovinezza, Roma è stata capitale di lusso, ricchezza, prosperità. E se tutto questo avrebbe potuto contribuire al progresso dell’uomo, questo stesso uomo ha fatto sì che ciò non avvenisse. Lusso in breve fu sinonimo di frivolezza, ricchezza di frenetica brama di potere, e la prosperità divenne un’utopia.

Ah, Lucio! Quanta miseria! Quanta viltà! Quante ingiustizie consumate sotto gli occhi di noi servi di Commodo, incapaci di porre un freno alla follia di quest’uomo, se uomo può essere definito! Perché, Lucio, il popolo dovette sopportare tormenti tali a causa di uno sciagurato millantatore? Perché la paura impedì ai Senatori e a tutti gli uomini dell’entourage di Commodo di fermare questo assassino?

Lucio, bambino mio (perdona per questo appellativo una vecchia madre che non riesce a dimenticare suo figlio che, assistendo alle corse di cavalli all’ippodromo, affermava con aria sapiente che da grande avrebbe fatto il “capo dell’armata degli aurighi votati a debellare i mali del mondo” -e a tuo modo ce l’hai fatta, Lucio...), so di non avere colpe di quanto è accaduto sotto l’impero di mio fratello.
So di avere fatto tutto il possibile per allontanarlo dal trono, per concedere un po’ di pace alla plebe romana, ma a nulla sono valsi i miei progetti di ribellione contro quell’essere ebbro di potere quale era mio fratello.
Ho la coscienza pulita, e prego che gli dèi me ne rendano merito quando mi chiameranno a loro.

Ma so anche, mio prediletto, che Roma verserebbe ancora nel terrore nonostante le deboli opposizioni di tanti cittadini come me, se un uomo degno delle più grandi lodi non avesse posto fine a quell’insostenibile situazione.
Massimo Decimo Meridio, che anche tu hai avuto l’onore e il privilegio di conoscere, ha salvato l’umanità dal giogo della tirannia, dell’usurpazione, della schiavitù del pensiero.
Ha fatto così tanto per tutti noi, che dovrebbe essere ricordato come “Massimo il Grande”, come viene peraltro fatto da alcuni grandi pensatori e cittadini moderni.

Lucio, ti ho cresciuto con il pensiero di Massimo fisso nella mente, te l’ho nominato ogni secondo della tua fanciullezza e non solo, ti ho pregato di considerarlo come un padre, e ti ringrazio di averlo fatto.

Forse per affetto nei miei confronti, forse per esasperazione, o forse semplicemente perché quel personaggio ti aveva suscitato simpatia, è innegabile che tu mi abbia ubbidito (come sempre, del resto), prendendo ad esempio Massimo per le tue azioni politiche, militari, della vita quotidiana. Finché rimasi nella capitale, constatai con piacere che solevi nominarlo spesso nelle tue orazioni. Ti ringrazio anche di questo, sono felice che le generazioni future possano conoscere le gesta incredibili di un uomo che è stato generale, quasi guida del popolo romano (come avrebbe dovuto essere secondo la volontà di mio padre), gladiatore e infine eroe della patria, almeno secondo il mio pensiero.

Tuo padre, il tuo vero padre, era un uomo dabbene, che ho amato profondamente, ma il destino aveva altri progetti per lui, evidentemente. Ma lui è stato questo: un uomo.

Massimo Decimo Meridio non si è accontentato di ciò: è stato un esempio, un modello per l’umanità, per qualunque essere che vuole comportarsi in modo corretto.

È stato capace di ridonare agli uomini quella dignità che Commodo cercava costantemente di distruggere, pezzo dopo pezzo, soffocando la libertà individuale.

Da schiavo, è riuscito a sconfiggere la tirannia e il potere.
Ha cancellato le illusioni di una prosperità basata sull'annientamento della dignità umana.
Ha ricordato all’uomo la sua condizione di solo uomo, nonostante io, forse sbagliando, continui a considerarlo qualcosa di più.

Me ne ero innamorata, perdutamente, come avrai intuito da queste mie parole e da quelle che ti sono ronzate in testa per tutta la giovinezza.
Forse anche lui. Forse lui contraccambiava, non lo so. Il fato non mi hanno dato l’opportunità di scoprirlo.
Tutto ciò che ci ha concesso è stato un fuggevole bacio -di cui peraltro ti ho tanto parlato- che, nel momento in cui è stato dato (poco prima della congiura -fallita- nei confronti di Commodo), voleva essere un  incoraggiamento a continuare il periglioso percorso più che un vero e proprio atto d’amore.

Chissà, forse avremmo potuto innamorarci seriamente. Forse avremmo potuto creare una famiglia, avere degli eredi. Me lo chiedo spesso, sai...

Eppure penso che non sarebbe stata questa la sorte migliore in cui Massimo potesse sperare.
Penso che la sorte migliore che potesse ottenere sia quella che gli è stata riservata: diventare un simbolo di correttezza, mitezza e misericordia alternate a durezza, fermezza e determinazione, anche se ciò è stato possibile solo patendo l’estremo supplizio.

Può darsi che io sbagli a celebrarlo in un simile modo,e ti chiedo perdono per questo. D’altronde devi ricordare che una donna innamorata non può né deve essere completamente imparziale!

Perciò, figlio mio, non farò ritorno a Roma se non dopo la mia morte.
Non ho più nulla da dare a questa città. Quel che era nella mie facoltà è stato da me compiuto già da tempo.

Massimo troverebbe la forza e il coraggio di tornare, per migliorare ulteriormente le condizioni di Roma, ma io no.

Roma è molto migliorata da quando me ne sono andata, cinque anni or sono. Molti uomini come te hanno contribuito a renderla più giusta e liberale, se così si può dire –non vorrei precorrere i tempi.
Tuttavia non si è dissolto completamente quell’alone di corruzione e omertà che caratterizzò, caratterizza e temo caratterizzerà sempre l’umanità.

Sono vecchia, Lucio. Come ben sai mi sto avvicinando ai cinquanta anni di vita, e le forze vengono meno rapidamente.

Sono stanca, figlio mio.
Stanca di combattere, di difendermi e di difendere, stanca di dovermi guardare le spalle da traditori, congiure, sicari e malfattori di ogni genere.
Stanca di condurre la vita che dovrei condurre se tornassi nella capitale, anche solo per pochi giorni.

Non avermi in odio per questo, non intendo in alcun modo offenderti. Non potrei mai, dopo tutto ciò che ho fatto per te e tu hai fatto per me.

Siamo legati da indissolubili legami eterni.

Terminerò la mia vita terrena qui in Bitinia, nella villa che mi hai donato per tua immensa generosità, circondata unicamente da servi fidati, che non trarrebbero alcun vantaggio da una mia eventuale morte prematura.

Ho paura, Lucio, paura di essere assassinata, ed anche per questo non torno.
Paura forse della morte stessa, e so di sbagliare, ma non ci posso fare nulla.

La paura è un sentimento umano, che non si può sconfiggere, si può solo mascherare, e in questo Massimo era maestro.
Sono certa che anche lui era terrorizzato prima di scendere nell’arena per gli scontri gladiatori, ma sapeva gestire questo suo sentimento, sottomenttendo questo suo lato umano a quello freddo e calcolatore, grazie al quale, poi, ci ha salvati tutti.

Io, purtroppo, non so fare altrettanto, e sarà bene che sia io sia tu ce ne facciamo una ragione.

Come ho detto all’inizio di questa mia lettera (perdonane l’eccessiva lunghezza), ti auguro ogni felicità possibile, per te, per la tua sposa e per la tua futura famiglia.

 Continua sulla retta via che hai iniziato a percorrere, facendo così in modo che gli insegnamenti del mio amato Massimo non si perdano nel turbinio degli anni che passano.

L’ultima gentilezza che ti chiedo di riservarmi è un pensiero nel giorno delle tue nozze. Ho la presunzione di chiederti questo perché ti amo, figlio mio, e non potrei chiederlo a nessun altro.
Ricorda questa vecchia donna che ti ama in modo sconfinato nel giorno più importante della tua vita, almeno sino ad ora.

Un affettuoso abbraccio e sentiti auguri, e che il ricordo di Massimo Decimo Meridio, marito e padre prima che generale ed eroe, possano sopravvivere nel tempo che tutto consuma.
Data die VII ante Kalendas Iunias.


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Un grazie iniziale a chi è riuscito ad arrivare fino a qui apprezzando la storia:). E un grazie ancora più grande a chi cliccherà la scritta sottostante per lasciarmi un commento!!!!
   
 
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