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Autore: Aqua_    29/11/2012    2 recensioni
Meredith Berker ha diciassette anni quando si addormenta. Quando riapre gli occhi, ne ha venti. Sono passati 1095 giorni senza che si svegliasse.
1095 giorni che non potrà più rivivere.
1095 giorni che hanno portato in lei un cambiamento spaventoso.
Meredith sente le voci.
Dialoghi interi, tra persone distanti da lei più di migliaia di chilometri.
Dialoghi in altre lingue.
Dialoghi di altri tempi.
Dialoghi tra persone morte.
Genere: Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Interruzione.

Interrompere [in-ter-rom-pe-re] v.tr.

  1. Lasciare a mezzo, far cessare temporaneamente o definitivamente.

  2. Rompere la continuità, la simmetria.

  3. Impedire a qualcuno di continuare e concludere un discorso.

 

Continuo a ripetermi che, prima o poi, tornerò a casa.

Continuo a sperare che qualcuno venga a salvarmi.

Continuo ad avere flashback riguardanti la mia infanzia.

Continuo a piangere, ripensando ai momenti felici che ho trascorso con la mia famiglia.

Continuo a rivedere le immagini delle nostre feste, dal Natale al mio compleanno.

Vado avanti da un po' di tempo, e nessuno mi ha ancora interrotta.

 

Barlume.

Quando ero piccola, ero terrorizzata dal buio. Per tranquillizzarmi, mia madre accendeva una candela e la metteva sul mio comodino. Diceva che la fiammella fosse solo una piccola parte di ciò che avrei visto l'indomani, un piccolo barlume della luce che si sarebbe propagata nella stanza di lì a poche ore.

Io lo davo per scontato.

Davo per scontato che avrei visto una nuova alba e un nuovo tramonto.

Ora, quindici anni dopo, non ne sono più così sicura.

Ho bisogno di quella candela, di accenderla e metterla vicino al mio letto.

Ho bisogno che mia madre venga a rimboccarmi le coperte e a darmi il bacio della buonanotte.

Ho bisogno di sentirle dire che lei ci sarà sempre, che non mi abbandonerà mai.

Ho bisogno di un barlume di speranza.

 

Marvin.

Non sono un'impicciona, generalmente.

Non sono il tipo di persona che si interessa degli affari altrui, o che origlia attaccata ad una porta.

Non l'ho mai fatto, e mai lo farò.

Non ne ho bisogno.

Ho scoperto che qui ci sono altre persone, persone come me.

Non so se siano rinchiusi in una minuscola stanzetta, ma non sono liberi.

Marvin, ad esempio.

L'ho sentito parlare con una donna, sua madre.

«Non devi farlo, Marvin. Se ti scoprono, sei morto.» ha detto lei.

«Perché dovrebbero?»

La sua voce mi ha subito colpita.

Dolce, ma autoritaria allo stesso tempo. Leggermente preoccupata, direi.

«Perché è quello che fanno.»

«Dài, ma. Non preoccuparti. Non mi faccio scoprire, io.»

Sbruffone.

«Hai una specie di GPS che circola liberamente per il tuo corpo, non pensi che se ne accorgerebbero?»

Sbuffi.

Una risata soffocata.

Silenzio.

«Ce n'è un'altra, mamma. Devo trovarla.»

Sospiri.

Non ho visto la scena, ma posso immaginare la reazione della donna. La testa tra le mani, mossa in segno di dissenso.

Come mia madre.

 

Ricerca.

Mi sveglio, spaventata, il lenzuolo stretto nel pugno.

Qualcuno sta armeggiando con quella che dev'essere una serratura.

La serratura della mia cella.

Uno scatto.

Un' altro scatto.

Al terzo scatto, una porta di cui non sapevo l'esistenza, si apre.

Un ragazzo biondo, di poco più alto di me, si intrufola furtivamente. Riesco a scorgere un sorrisetto beffardo sul suo volto, prima che chiuda la porta, facendo calare nuovamente il buio.

«Marvin?» sussurro, con un filo di voce.

Lo sento andare a sbattere contro il comodino e soffocare un'imprecazione.

Probabilmente, non mi ha sentita.

«Marvin?» ripeto, più forte.

«Come sai il mio nome?» sussurra.

Si è avvicinato, abbastanza perché possa sentire il calore emanato dal suo corpo.

«Ho tirato ad indovinare.» mento.

In un certo senso, però, è vero. Sapevo che c'era un ragazzo di nome Marvin, ma non sapevo che fosse lui.

«Come no...» ribatte, avvicinandosi ancora di più.

Sento le sue mani muoversi alla cieca, cercando qualcosa che non riescono a trovare.

«Scusa.» mormora, colpendomi lievemente il volto. «Dammi le braccia.» aggiunge.

Le sollevo entrambe, cercando le sue mani.

Le afferra senza preoccuparsi di farmi male, e le tasta frettolosamente.

«Devo andare, ora.» dice, lasciandomi.

Si avvicina alla porta e la apre. Prima di uscire, si volta.

«Resta sveglia.»

   
 
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