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Autore: _Whatever_    29/11/2012    1 recensioni
Dopo una vita passata pensando di dover rendersi utile alla società, Elizabeth si ritrova a fare da Angelo Custode, o come preferiva definirsi lei, da baby-sitter a due rockstar, ma i rapporti con i fratelli Gallagher non sono semplici, soprattutto se non si soffre il loro fascino! Per lei erano solo lavoro!
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quel giorno restarono veramente poco in hotel. I ragazzi prima di cena decisero di andare a vedere il posto in cui avrebbero suonato il giorno dopo, ma io non li accompagnai perché volevo farmi una doccia e stare lontana da quei buzzurri.
Appena uscita dalla doccia, qualcuno bussò alla porta di camera mia.
Aprii in accappatoio e mi trovai davanti un ragazzo con cui non avevo mai parlato, ma che avevo visto in giro con i ragazzi. Probabilmente era uno dei tecnici.
Teneva in mano una pila di dischi.
“Noel ha detto di ascoltare le b-sides.” Me li mise in mano e se ne andò senza aggiungere altro.
C’erano Supersonic, Shakermaker, Some might say, Roll with it e due cd senza titolo.
Decisi che li avrei ascoltati la mattina dopo, in quel momento volevo solo rilassarmi, ma esattamente due secondi dopo aver chiuso la porta, qualcun altro bussò.
Bonehead era venuto per avvisarmi che dovevamo uscire per cena; io non avevo voglia, così gli dissi che sarei rimasta in hotel. Lui non insistette e prima che se ne andasse, gli ricordai di chiamarmi nel caso in cui avessero avuto bisogno di qualsiasi cosa. Mi fece l’occhiolino e tornò dai ragazzi.
mi feci portare dal servizio in camera  hamburger e patatine, in fondo ero in America, non avrei mai ordinato fish and chips e mentre mangiavo e guardavo la tv in accappatoio, non immaginavo in che modo la serata si sarebbe trasformata.
Dopo aver visto una serie infinita di sit-com, mi misi a letto, sempre in accappatoio e presi dalla valigia l’unico libro che mi ero portata dietro: Great Excpectations.
Non appena mi misi a letto, il telefono squillò.
“Buonasera, signorina Payne. Un certo Bonehead ha chiamato e ha chiesto di lei, le posso passare la telefonata?” era il ragazzo della reception, che cercava in tutti i modi di imitare l’accento inglese per apparire più elegante.
“Si, certo.” Marcai il mio accento per farlo sentire ancora più Americano.
“Liza, Liam sta bevendo veramente tanto e continua a provocare Noel. Non è che ti andrebbe di venire?” Paul cercava di nascondere la sua preoccupazione, ma era evidente che avevano già provato a calmare Liam con scarsi risultati.
Mi feci dare l’indirizzo del locale in cui erano andati a divertirsi e mi vestii in circa due secondi per raggiungerli.
Scesa dal taxi davanti al locale, vidi Noel fuori che fumava. Non sembrava sorpreso di vedermi.
Non ci salutammo, ma mentre gli passavo di fianco per entrare, sussurrò qualcosa che interpretai come:”Ringrazia che sono uscito fuori a fumarmi una sigaretta.”
Aveva un ghigno strano dipinto sul volto e avevo paura di questa sua calma apparente.
Quando entrai nel locale, prima di vederlo, sentii Liam: era seduto al tavolo con gli altri, urlava insulti.
Insultava ogni persona in quella stanza e ogni tanto ci cacciava in mezzo un insulto per tutti gli Americani in generale. Gli altri o ridevano sguaiatamente o, come Bonehead, cercavano di smorzare l’entusiasmo di una compagnia completamente ubriaca, provando a far abbassare la voce a Liam o comunque di ridimensionarlo; il problema era che per lo più erano tutti ubriachi e pensavano che Liam fosse divertente e Liam a sua volta si gasava per quel momento, perché era la star indiscussa di quel cabaret improvvisato.
Mi avvicinai al tavolo, sorridendo tranquillamente, o questo era quello che si vedeva, ma appena Liam mi vide, decise che io sarei stata il suo nuovo obiettivo per gli insulti.
“Cazzo, ma allora la lesbica è uscita da quel cazzo di hotel.” Risate sguaiate da parte del gruppo.
Feci finta di niente per quel commento, tanto ormai era di moda pensare che fossi lesbica e provai a isolare Liam dal resto del gruppo, per provare a parlarci in modo più civile.
“Liam, dobbiamo parlare di una cosa, puoi venire fuori un attimo?”
“Non mi rompere il cazzo, non ho voglia di parlare con te.” Stavo per rispondere qualcosa come: l’altra notte non sembrava così, ma non sarebbe stato professionale provocarlo, così decisi di mentire spudoratamente su una cosa che l’avrebbe fatto preoccupare.
“Hanno chiamato in hotel da Manchester.”
“Che cazzo è successo?” Urlò, scattando in piedi. L’argomento “mamma” era uno dei migliori per convincere Liam a fare qualcosa.
“Andiamo a parlarne fuori.” La compagnia si era magicamente placata vedendo l’espressione di Liam così allarmata.
Mentre Liam si dirigeva verso la porta, feci segno a Bonehead di seguirmi.
Una volta in strada, Liam mi guardò aspettandosi una spiegazione; Noel era ancora là, con il suo sorriso strano e lo sguardo assente. La combo perfetta: Noel sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e Liam ubriaco.
“Allora? Che cazzo è successo a mia madre?” A queste parole anche Noel mi dedicò la sua attenzione, anche se le sue reazioni erano rallentate.
“Non è successo niente a tua madre, volevo solo farti uscire da quel locale e per portarti in hotel. Stavi passando il limite e qualcuno avrebbe finito per farti un occhio nero. Puoi sbraitare quanto ti pare e insultarmi anche tutta la notte, l’importante è che questo accada in hotel.”
Bonehead intanto aveva fermato un taxi e aveva preso Liam per un braccio per farlo entrare in macchina, Noel invece ci entrò di sua spontanea volontà.
Mi sedetti di fianco al conducente e durante il tragitto non mi voltai nemmeno una volta.
Sapevo che Liam era infuriato, sentivo il suo sguardo arrabbiato sulla testa, ma non avevo voglia di affrontarlo in un taxi.
Arrivati all’hotel, scesi dalla macchina e aiutai Noel a scendere, perché non si accorgeva di niente di tutto quello che gli succedeva attorno, poi lo affidai alle cure di Bonehead, che lo accompagnò in camera.
Liam non sembrava avesse intenzione di andare in camera e non potevo più evitarlo, così lo guardai negli occhi.
Si avvicinò pericolosamente a me e puntandomi il dito contro lo sterno mi disse:
“Non ti devi permettere mai più di tirare in mezzo mia madre per i tuoi giochetti.” Era molto serio.
“Io non ho parlato di tua madre. Nel locale ti ho detto che avevo ricevuto una telefonata da Manchester e che te ne avrei parlato solo fuori dal pub. Tutto qui.” Non cercai nemmeno di assumere un’espressione innocente mentre pronunciavo quelle parole, perché lo sapeva meglio di me cosa significavano quelle frasi.
“Non fare la stronza.”
“No, tu non fare lo stronzo! Ho ricevuto ordini precisi da McGee su questo tour in America. Non potete fare stronzate e lo sai bene, perché qui avete molto da perdere. Qui non siete gli idoli di una nazione intera, qui siete sempre in prova; per questo stavi insultando ogni Americano in quel pub. Non li sopporti perché non vi capiscono. Bene, ma questo non vuol dire che vi dobbiate fare odiare.”
“Hai finito?”
“No. Perché quando sono entrata Noel mi ha detto di ringraziarlo per il fatto che fosse fuori a fumarsi una sigaretta?”
“Perché stasera era troppo fatto per fare a pugni, quindi ha preferito evitare.” Si era rilassato un po’ e sembrava anche divertito dal fatto che suo fratello non capisse nulla.
“Sappi che, con tuo immenso piacere, questa era la prima e l’ultima volta che restavo in hotel. Non sarò con voi solo quando andrete in bagno e sul palco e tutto questo perché te la sei cercata tu, Ourkid.”
“Almeno tu, non chiamarmi così.” Fino a quel momento sembrava essersi rilassato, nonostante la minaccia della mia costante presenza, ma quando sentì quel soprannome, si irrigidì; non se lo aspettava da parte mia.
“Per stasera te lo sei meritato.”
Rientrammo in hotel in silenzio e ci dirigemmo verso le nostre stanze; la mia era a due camere di distanza dalla sua e prima di chiudere la porta, mi ricordai un’altra cosa.
“E comunque non sono lesbica” dissi, senza nemmeno aspettare una risposta.
Tutto quello che sentii fu una fragorosa risata a due porte di distanza dalla mia.
  
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