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Autore: Subutai Khan    30/11/2012    1 recensioni
Piccola raccolta senza pretese su pensieri, parole, opere e omissioni di quindici ragazzini trovatisi invischiati in un gioco un pelino più grande e pesante di loro.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Alla idol manca qualcosa... o qualcuno.
Personaggi: Aiko Tokosumi.
Generi: angst, introspettivo.
Traccia: Ghigni e Sorrisi Affabili, orfana. Scritta per la quinta sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


Alla scuola estiva mi ero affezionata a tante cose. A Maki e Komo; alla sconfinata dolcezza di Kana e dei suoi codini; alla vitalità di Waku; alla semplice compagnia di Nakama, Daichi, Kirie e Kanji. E soprattutto al sorriso di Moji.
No no no no no no no no. Non ho mai avuto e non ho una cotta per Kunihiko Moji. Non fraintendiamo, per favore.
Sto solo dicendo che ha... aveva un sorriso splendido. Non lo tirava fuori spesso, purtroppo, ma quando succedeva era come se l’ambiente in cui si trovava venisse improvvisamente inondato di luce. Sì, d’accordo, forse sto un pelo esagerando ma sul serio la sensazione che percepivo era questa.
Spontaneo, affabile, incantevole.
E davvero, non m’importava che non fosse rivolto direttamente a me. Perché non ero cotta di lui. L’importante era che ci fosse.
Rendeva magnifiche le giornate belle e belle le giornate brutte.
Poi quel raggio di vita è andato pian piano sparendo.
L’atmosfera si è fatta cupa, pesante, soffocante.
Abbiamo scoperto la caverna in cui stava Kokopelli. Abbiamo scoperto l’esistenza di Zearth. Abbiamo scoperto il gioco.
E al sorriso di Moji si è sostituito l’infernale ghigno di Koyemshi.
Quella cosa ha perseguitato i miei sogni per tante, troppe notti. Mi svegliavo urlando, in preda al panico, mentre vedevo quella schiera di denti aguzzi avvicinarsi sempre di più alla mia faccia, come la bocca di una tigre che sta per fare di te un sol boccone.
Puntualmente quella santa donna di mamma sentiva tutto e veniva a consolarmi: “Aiko, tranquilla. È stato solo un incubo. Non è successo nulla”.
E io non ho mai avuto il coraggio, né la forza di dirle che non era solo un incubo. Che, anche se solo indirettamente, quei denti mi avrebbero ingoiata intera.
La nostra infanzia era finita. Basta giochi, basta scuola, basta sorrisi.
Era giunto per noi il momento dei ghigni, della sofferenza, della morte.
Mi volto indietro, poco prima che la trasmissione della mia battaglia cominci. Siamo rimasti in pochi, troppo pochi. Kanji, Ushiro e Kana. Io sto per saltare il fosso.
Moji non c’è. Lui ha già combattuto. È già morto. Il suo sorriso non mi renderà il compito meno pesante.
Devo fare da me.
“Aiko, tutto bene?” mi chiede papà, qua in veste di giornalista con un’esclusiva da far mordere le mani a chiunque. Almeno posso passare i miei ultimi momenti in sua compagnia, ma devo ammettere che spero di non ritrovarlo dall’altra parte.
Ti prego, togli la mano dalla mia spalla. Così mi complichi solo le cose.
“Sì, sto bene. Sono pronta. Vincerò”.
“Stai rendendo il tuo vecchio genitore orgoglioso di te, piccola mia”.
“Faccio del mio meglio”.
Vedo gli altri, seduti al di fuori del campo coperto dalla telecamera. Per la prima volta chi non è al comando di questo robottone non potrà sostenere il pilota. “Sicurezza nazionale”, ha detto il signor Sasami.
Kanji muove la bocca e sulle sue labbra leggo un “Forza Anko”. Grazie, amico mio.
Mi siedo vicino a Machi, che per l’occasione è stata obbligata a prendere le sembianze di Komo. Perché tutte queste difficoltà proprio quand’è il mio turno, eh?
Sarà lei la mia unica fonte di aiuto.
Andiamo. È il momento.
Proprio due secondi prima che la diretta cominci Koyemshi esclama, rivolto verso di me: “Vedi di essere divertente, ragazzina, o mi rifarò su tuo padre”.
Era proprio quanto sognavo. Andare all’altro mondo con in testa l’immagine di quel ghigno.
Ma una cosa mi consola. Di là c’è Moji. Finalmente lo potrò rivedere.
   
 
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