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Autore: Padmini    01/12/2012    2 recensioni
Maximillian Webb, medico legale al Saint Bartholomews Hospital di Londra, con una fidanzata opprimente e un lavoro che non lo soddisfano totalmente.
Tutto ciò è destinato a cambiare quando incontrerà una donna molto speciale ...
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Violet'
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Rape's confession











Quando ho cominciato questo diario, mi sono ripromesso di riportare ogni fatto. Tutto ciò che mi è successo da quando ho conosciuto Rain.

Il che comprende anche questo episodio, di cui non vado assolutamente fiero. Anzi, mi vergogno come un ladro. Eppure, se voglio essere pienamente onesto con me stesso, devo narrarlo perché è stato da quel giorno che la mia vita ha cominciato a incasinarsi e poi, grazie a Rain, a ricomporsi.*

 

Da quando eravamo tornati dal Sussex, nessuno dei due aveva più parlato di quell'episodio. Lei era scivolata su uno scoglio e le nostre labbra … le nostre labbra non avrebbero potuto essere più vicine.

Avevo sentito il sangue ribollirmi dentro, travolto da una passione pressoché incontrollabile. Per nostra fortuna era sopraggiunto suo nonno e la tensione per la caccia alla strana medusa mi aveva riportato all'ordine, ma non potei dimenticare quella sensazione.

Come ho detto, non ne parlammo più. Io ero a disagio. Non riuscivo a stare con Rain nella stessa stanza più di dieci minuti senza che mi tornasse in mente quell'episodio.

Lei sembrava averlo dimenticato, eliminato dalla sua testa come tutte le cose che non reputava importanti. Tutto ciò mi avviliva molto. Non volevo essere considerato inutile.

Inutile? Come valutare, con la testa di Rain, ciò che è utile e ciò che non lo è?

Io ero inutile, per lei? Sicuramente lo era l'amore. L'amore, come tutti i sentimenti, la urtava, la destabilizzava e questo non lo poteva sopportare.

Quello che per Rain è inutile era l'amore.

Non sembrava che evitasse le emozioni. Le scivolavano addosso come il vento, la sfioravano senza toccarla veramente. Era un mistero, per me.

 

Il tempo passava e nulla sembrava cambiare. Risolvevamo casi, io continuavo a squartare cadaveri e lei se ne stava sola in casa o in laboratorio, cercando di scacciare la noia che attanagliava la sua vita.

In quegli ultimi mesi non c'erano stati casi eclatanti, così vivacchiavamo, tra i miei stra orari in obitorio e il suo pianoforte in piena notte.

Tutto sembrava dover andare avanti così all'infinito, poi qualcosa cambiò.

Un serial killer.

I preferiti di Rain. Lei adorava i serial killer. I casi più difficili, più ricchi di imprevisti e motivazioni fantasiose. Questo, in particolare, fu piuttosto interessante, devo ammetterlo.

Aveva cominciato uccidendo un certo Andrew Adderson. Un omicidio come tanti, ma il colpevole non era saltato fuori. Questo aveva fatto infuriare Rain ma ben presto, nemmeno una settimana dopo, era morta Beatrix Brant, sempre per strangolamento. La singolare similitudine tra il metodo dell'assassino e il collegamento tra le due vittime la colpì e divenne ancora più evidente quando morì, sempre strangolato, Charlie Coster. **

Era al massimo. Da mesi non la vedevo così concentrata. Non c'era altro, per lei.

Stava tutto il giorno in giro per Londra, occupata nei suoi lunghi e complicati appostamenti. Io ero perennemente solo. Solo in obitorio. Solo in casa. L'unica compagnia che ricevevo era quella dei miei 'adorati' cadaveri e di Billy, il teschio di famiglia, grazioso souvenir di nonno Lock.

 

Non posso più temporeggiare. Ho promesso a me stesso che avrei raccontato tutto e non posso perdere tempo cercando giustificazioni. Sarebbe come nascondersi dietro un dito.

Accadde una sera di pioggia. Pioveva veramente forte. Rain non era in casa e non rispondeva al cellulare. Ero molto in pensiero per lei, ma il fatto che non si facesse viva da più di due giorni contribuì a farmi montare una rabbia mista a preoccupazione, che tentati di affogare nell'alcool.

Da qualche mese mi sentivo strano. Non sapevo a cosa imputare quel cambiamento. Pensavo che fosse la frustrazione per non riuscire a fare breccia nel cuore di Rain, ma presto scoprii di cosa si trattava. Quel giorno, naturalmente, ero ancora all'oscuro di tutto.

Bevvi un intero cartone di bianco, di quello che solitamente usavo per cucinare l'arrosto. Stavo sudando come un maiale. Faceva caldo, troppo caldo.

Mi levai la camicia e cominciai a vagare per l'appartamento a petto nudo e piedi scalzi, con il cartone di vino ancora in mano. Stavo dando uno spettacolo penoso.

Ero sicuro che Rain non sarebbe tornata, invece …

Sentii la porta al piano terra aprirsi. Era lei.

Salì velocemente le scale ed entrò come se nulla fosse, non come se fosse sparita per giorni senza dare notizie. Non mi salutò nemmeno. La guardai bene.

Era completamente fradicia e … super sexy.

I vestiti le aderivano perfettamente al corpo, evidenziando ancora di più le sue curve sensuali. Anche i capelli erano bagnati. Inscuriti dall'acqua, le si erano appiccicati al viso e le loro curve disegnavano eleganti arabeschi sulle sue guance affilate.

Non ricordo molto di quello che accadde dopo. Mi sembrava di non essere in me. Era come se stessi guardando un film. Non ero io … non ero io ad agire. Mi vedevo, eppure non riuscivo a fermarmi.

“Rain!” la chiamai, ruggendo di rabbia “Ti sembra questo il modo di tornare?”

Lei si girò lentamente verso di me. Stava andando in bagno per farsi una doccia e cambiarsi, ma si fermò ugualmente a guardarmi. Sollevò un sopracciglio, seccata, e accennò un saluto con la testa.

“Così mi saluti?” dissi rabbioso.

La mia gelosia stava avendo la meglio su di me.

“Come dovrei salutarti?” domandò lei, cercando di suonare il più ingenua possibile.

“Che ne so!” risposi, sempre urlando “Non torni a casa per due giorni, non ti fai sentire e poi ricompari all'improvviso! Un 'ciao' sarebbe gradito, sai?”

Rise. Rise di me, della mia gelosia. Della mia iperprotettività.

“Te l'avevo detto che sarei stata via per un po'” mi rispose lei come se fosse ovvio “Non devi preoccuparti … Inoltre durante gli appostamenti non posso contattare nessuno, dovresti saperlo, ormai”

“Non mi interessa!” le urlai contro “Non mi interessa! Mi stai trascurando!”

Mi guardò. Non so se fosse sorpresa o dispiacere. Tutti e due, immagino.

“Sembri una mogliettina gelosa” disse ridendo.

Non so se fu la sua risata beffarda e offensiva. Forse fu la sua battuta, così degradante per il mio orgoglio maschile. Mogliettina gelosa. Era vero, lo ero. La sua frecciatina era sicuramente azzeccata.

Era a pochi passi da me. Era rilassata. Ne approfittai.

In due passi eliminai la distanza tra di noi e l'afferrai per la gola con la mano aperta.

Non si aspettava quell'attacco. Avevo dalla mia parte l'effetto sorpresa. Sorpresa che durò abbastanza da permettermi di fare ciò di cui mi vergogno ancora oggi.

La baciai. No, violentai la sua meravigliosa bocca.

Infilai a forza la lingua tra le sue labbra di rosa e lei non reagì. Era … spaventata.

Per la prima volta la vidi spaventata. Ciò non mi fermò. Io ero lì, potevo fermarmi ma non lo volevo. L'alcool agiva per me.

Sempre baciandola, la spinsi verso la parete, verso quello smile che, tanti anni prima, aveva disegnato suo nonno.

Quando fui sicuro che non potesse più scapparmi, le lasciai la gola e con entrambe le mani cominciai a slacciarle la giacca e, eliminato quel primo ostacolo, la camicia e il reggiseno.

Lei gemeva sotto di me. Era nel panico più totale.

Non sopportava facilmente il contatto umano e quel mio attacco l'aveva totalmente atterrita. Era una facile preda tra le mie mani.

I suoi seni, i suoi meravigliosa seni erano nudi, esposti davanti ai miei occhi. Cominciai a massaggiarli. Erano perfetti. Perfetti nella forma e nella consistenza. Le mie mani danzavano sopra il suo corpo. Pian piano scesi lungo i fianchi e arrivai ai pantaloni.

Non mi fermò. Era paralizzata dal terrore. Lei che non tremava nemmeno davanti ad una pistola puntata alla tempia, non sapeva cosa fare.

Dai fianchi le mie mani passarono alla zip dei suoi pantaloni di pelle. L'abbassai con un gesto secco e lo stesso feci con quella dei miei jeans. Restai qualche istante ad osservare la sua biancheria intima. Anche le mutandine, come il reggiseno, erano di un bel bordeaux e ricamate con sottili arabeschi neri. Le adorai, ma non potei fare a meno di strapparle.

La spinsi ancora di più contro la parete mentre mi sfilavo i boxer. Feci scivolare lungo le sue gambe la pelle dei pantaloni e … lo feci.

Entrai in lei.

Non posso descrivere l'urlo che cacciò quando la penetrai. Era ancora vergine.

In quel momento le vidi.

Lacrime. Grosse lacrime le solcavano il viso. Nemmeno questo mi fermò. Ogni lacrima fu per me come un afrodisiaco. Gliele leccai via dal viso, come fossero miele dolcissimo. Continuai, spingendo ogni volta di più. Lei fremeva sotto le mie spinte e gemeva di dolore.

Non provava piacere. Era spaventata, sconvolta.

Io stavo godendo come mai in vita mia avevo fatto. Me ne vergognavo ma non potevo fermarmi. Non volevo.

Le spinte aumentarono, aumentarono … fino a quando raggiunsi il culmine.

Mi staccai velocemente da lei e macchiai la carta da parati con il frutto della mia passione.

Non più sostenuta dal mio corpo, Rain si accasciò a terra come uno straccio bagnato.

Piangeva forte, ora.

Insieme all'eccitazione, svani anche la sbronza e l'effetto malefico che aveva avuto su di me.

Ora la vedevo bene.

Era Rain.

Era Rain sotto di me.

Piangeva.

L'avevo fatta piangere io … e non me lo sarei mai potuto perdonare.

Lei stava lì, ancora bagnata per la pioggia e, ora, anche per le lacrime.

Mi vergognai come mai in vita mia.

Rain mi guardava impaurita e continuava a piangere. Ogni lacrima, che prima mi spingeva ad andare più forte, ora sembrava una lama diretta al mio cuore.

Non ce la feci.

Scappai.

Come un vigliacco.

La lasciai lì, sola, con il suo dolore.

Non mi preoccupai di pulirmi. Mi rimisi i pantaloni, afferrai al volo la giacca e uscii, incurante della pioggia. Non sapevo dove andare. Vagai senza sosta per ore, sotto la pioggia battente. Erano ore? Non lo so. So solo che, all'improvviso, mi ritrovai nel tunnel della metropolitana. Presi il primo treno e scappai.

 

 

 

 

 

 

*Mi sono ispirata ad Adso, il frate che narra le vicende di Guglielmo da Baskerville ne 'Il nome della rosa'. Chiaramente Adso non si esprimeva così. Il concetto è quello di un uomo che deve narrare un fatto di cui non va fiero.

** Non ho fantasia per quanto riguarda i casi, perciò mi affido a quelli già scritti da altri (vergonga!!) In questo caso 'La serie infernale', con protagonista Hercule Poirot. I nomi sono inventati da me, però!

   
 
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