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Autore: Acinorev    02/12/2012    12 recensioni
«Ma sono qui – la interruppi. - Sono qui, con te. Ed è esattamente dove voglio stare.»
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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Don't you see?

Capitolo 19

 

La mano di Kathleen strinse ancora di più la mia, mentre con il pollice le accarezzavo le nocche quasi bianche.
I ragazzi, riuniti in salotto, la guardavano aspettando che scoppiasse a ridere dicendo poi che era tutto uno scherzo e che in realtà il tumore era scomparso. Ma ovviamente Leen non fece nessuna delle due cose, limitandosi ad attendere la loro reazione e a cercare un po’ di forza dal mio corpo a pochi centimetri dal suo. Probabilmente non sapeva che la forza che cercava non sapevo nemmeno dove fosse o forse le sapeva, ma ci provava lo stesso.
Incrociai lo sguardo di Abbie e lei sembrò captare una specie di segnale nei miei occhi, perché si alzò dal divano, sul quale era seduta al fianco di Niall, e cercò di smorzare l’atmosfera: “Avanti, ragazzi, non incupitevi così. Kath è ancora qui.” esordì, improvvisando un sorriso di incoraggiamento che assomigliò più ad una smorfia indefinita. Nemmeno lei credeva a quelle parole. Tutti gli occhi si puntarono sulla sua figura minuta, che aveva preso a torturarsi le mani, mentre quelli di Liam vagarono verso di me. Non gli avevo accennato nulla di Kathleen, aspettando che fosse lei a dirlo a tutti quando sarebbe stata pronta: ed ora eravamo lì, il giorno dopo, a cercare qualcosa da dire. Come sempre, non c’era bisogno che io e Liam ci perdessimo in inutili chiacchiere: la sua espressione e l’intensità del suo sguardo erano abbastanza per farmi capire che in quel momento mi stava fornendo tutto il suo appoggio, senza riserve; e sembravano anche assicurarmi che aveva capito il mio strano comportamento, la fuga a casa di Harry e Louis, e tutto il resto.
“Vorrei chiedervi un favore.” sussurrò quasi la voce di Kathleen.  Di nuovo, gli occhi si puntarono tutti su di lei: quel salotto moderno sembrava pieno di burattini senza vita, anziché di persone. Ci limitavamo a guardarci, senza dire nient’altro, senza emettere alcun suono e senza respirare troppo in fretta, come se qualsiasi cosa avesse potuto rompere il sottile equilibrio della tensione.
“Vorrei che continuaste a comportarvi come sempre con me. Ho chiesto la stessa cosa a Zayn… - riprese, voltandosi verso di me per un attimo per poi tornare a loro, - e mi piacerebbe se voi cercaste di fare lo stesso.” Sì, me l’aveva chiesto, più e più volte, ma io ci stavo ancora lavorando su: ogni cellula del mio corpo si sforzava di comportarsi come se Kathleen avesse tutta una vita da passare con me, ma proprio non ci riusciva. La guardavo e automaticamente il mio pensiero andava a quello che sarebbe successo da lì a tre mesi. Lei se ne accorgeva, ne ero certo, ma non mi diceva nulla: probabilmente stava cercando di darmi tempo e, di sicuro, preferiva occuparsi prima di se stessa che di me.
“Ci proveremo, Kath.” rispose Liam, staccandosi dal mobile a cui era appoggiato e avvicinandosi a lei. Le sorrise appena, circondandola in un abbraccio che mi costrinse a lasciar andare la sua mano. Come ci riusciva? Come faceva a mantenere la calma anche in una situazione del genere? Io bruciavo sotto la pelle, e lui riusciva a sorriderle e a rassicurarla come solo lui sapeva fare.
Intanto anche gli altri si erano alzati dal divano e dalla poltrona, rimanendo in piedi di fronte a noi, come se stessero aspettando di abbracciarla uno alla volta: no, non come se. Liam la lasciò libera e subito lo sostituì Niall: “Conta su di me.” le sussurrò. Scene simili si ripeterono anche con Harry e Louis, mentre Abbie si limitò ad abbracciarla senza un apparente motivo.
Dopo un’oretta, uno alla volta, tornarono alle loro occupazioni, lasciandoci da soli: Louis aveva un appuntamento con Eleanor, Niall ed Abbie dio solo sa dove sarebbero andati a cacciarsi, Harry aveva un impegno che aveva preferito non rivelarci e Liam usciva con Danielle. In tutto quel trambusto, mi ero dimenticato di chiedere al mio amico a che punto fosse la sua storia, ma da come mi aveva sorriso prima di uscire, dovevo presumere che stesse andando a gonfie vele, finalmente.
“Ah, Kath! – esordì Niall, prima di varcare la soglia della porta, - Quindi posso ancora chiederti di prepararmi quei deliziosi dolci con…”
“Hey, non approfittarti della mia ragazza!” lo interruppi, cingendo Leen con un braccio.
“Certo, Niall.” rispose lei, ridendo. Rideva. C’era cosa più bella della sua risata?
Il mio amico mi fece una boccaccia e uscì di casa, lasciando l’appartamento immerso nel silenzio.
Kathleen sospirò: mi sembrò che avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo. O forse lo stavo facendo io?
Si voltò verso di me, intrecciando le mani dietro al mio collo, mentre le mie stringevano i suoi fianchi: “E anche questa è fatta.” sussurrò, visibilmente sollevata.
“Sei stata brava. – la rassicurai, - E forte.” conclusi, baciandole la punta del naso. Mi aveva confessato la sua paura: temeva di non trovare la parole giuste o di non riuscire a dire quello che avrebbe voluto tanto tacere. Eppure, con la sua solita determinazione, aveva parlato senza esitazioni.
Mi sorrise, per poi lasciare un casto bacio sulle mie labbra.
La guardai negli occhi scuri, chiedendomi se una persona del genere potesse esistere davvero: “Come diavolo fai?” le chiesi, quasi in un sussurro.
“A fare cosa?” ribatté, inclinando il capo.
“A essere così… Così te. Ad essere così forte.”
Aspettò qualche secondo prima di rispondere: “Sai benissimo che non lo sono.” E avrei potuto giurare che i suoi occhi mi stessero gridando: “Non lo vedi? Non vedi che sto crollando?”
Aprii la bocca per parlare, ma il campanello mi anticipò. Ci voltammo entrambi verso la porta, corrugando la fronte: “Aspettavi qualcuno?” mi chiese, lasciandomi andare. Scossi la testa ed andai a controllare chi fosse.
 
Quando aprii la porta, mi soffermai ad osservare le due persone che mi stavano di fronte: non li avevo mai visti, né sapevo chi fossero. A sinistra, una donna sulla quarantina, mi osservava con i suoi occhi scuri: i capelli neri erano raccolti in uno chignon ordinato e il suo corpo snello era avvolto da un cappotto gessato. Al suo fianco, un uomo brizzolato: alto, con le spalle larghe e gli occhi verdi, intrappolato da un completo blu scuro.
“Buongiorno.” salutai, sforzando la mia memoria per capire chi fossero quei due.
“Buongiorno. – ricambiò l’uomo, con una voce profonda, porgendomi la mano, - Sono Anthony, Anthony Taylor.”
Afferrai la sua mano: “Zayn Malik.” esclamai, per poi essere attirato dalla voce più stridula della signora: “E io sono Beckah, Beckah Mason.”
Mason. La zia di Kathleen?
Spalancai gli occhi ad udire quel nome e strinsi anche la sua mano, ricoperta da un guanto scuro. Ero stupito da quella visita inaspettata.
“Dalla tua espressione direi che hai capito chi siamo: possiamo entrare? Vorremmo vedere nostra nipote.” continuò Beckah, diretta.
“Ehm… Certo, prego.” borbottai, facendomi da parte per farli entrare in casa. Da quanto ne sapevo Leen non aveva più rapporti con loro: certo, li teneva aggiornati sulla malattia, ma loro si limitavano a mandarle un modesto assegno mensile per aiutarla da quando aveva abbandonato il lavoro allo Starbucks. Mai una telefonata, niente.
Entrarono guardandosi intorno e io li seguii, cercando con lo sguardo Kathleen per osservare la sua reazione.
“Chi era?” chiese, di spalle all’entrata, mentre controllava probabilmente il suo cellulare.
“Kathleen.” la chiamò Anthony, fermandosi a poco più di un metro da lei. Li raggiunsi, mentre Kath si voltava sussultando: “Z-zio…  - sussurrò, - Zia…”
“Ciao Kathleen.” la salutò la donna, addolcendo la sua espressione.
“Cosa… Cosa ci fate qui?” chiese, dando ad ognuno di loro un veloce bacio sulla guancia. Mi guardò per un secondo, esprimendo, per quanto possibile, tutto il suo stupore. Io mi limitavo ad assistere alla scena, curioso di sapere cosa volessero da lei.
“Siamo venuti a prenderti.” spiegò la zia.
Subito dopo piombò il silenzio sulle nostre spalle: a prenderla? E dove avrebbero voluto portarla? A Bradford con loro? No. Non l’avrei permesso.
“A prendermi?” ripeté Kathleen, dando voce alla mia domanda. Mi feci più vicino a lei, che mi afferrò la mano, proprio come aveva fatto mentre raccontava agli altri del suo peggioramento.
“Sì. Tornerai a casa con noi.” rispose l’uomo, con tono deciso, come se fosse la cosa più scontata del mondo.
“Perché dovrei?” ribatté Kathleen quasi sussurrando, con gli occhi sbarrati.
“Perché dovresti? – ripeté Beckah, abbozzando un sorriso incredulo , - Sai benissimo perché. Non possiamo lasciarti vivere qui, mentre il tumore….”
“No.” la interruppe Kath, senza aspettare che la zia finisse la frase. Questa volta fui io a stringere la sua mano, perché no, non l’avrebbero portata via da me.
“Sì, invece. Tornerai con noi a Bradford.”
“Zia, non ho intenzione di andare a Bradford né da altre parti, tanto meno con voi.” spiegò, cercando di mantenere la calma.
“Mi dispiace, ma questa volta non farai di testa tua.” intervenne lo zio.
“Con tutto il rispetto, signor Anthony: Kathleen ha già detto di no.” mi intromisi, non riuscendo più a trattenere l’impulso di cacciarli via. L’ultima cosa di cui lei aveva bisogno era di essere reclamata da quei due e l’ultima cosa di cui io avevo bisogno era averla lontana da me.
Gli occhi dell’uomo si spostarono su di me, guardandomi torvi: “Non sono questioni che ti riguardano, ragazzo.”
“Invece lo riguardano. – lo corresse Kath, - Zayn ha più diritti su di me di quanti ne possiate avere voi. Quindi no, non verrò con voi.”
“Come puoi dire una cosa del genere? – chiese Beckah, facendo un passo avanti, - Noi siamo i tuoi zii! Hai idea di quanto ci spezzi il cuore questa situazione? Non possiamo lasciarti passare… questi ultimi mesi lontana da noi.” spiegò. Sembrava sincera, eppure mancava qualcosa: Leen mi aveva sempre detto che loro tenevano a lei, ma che non riuscivano a capirla o a lasciarla libera. La soffocavano, ma non metteva in dubbio il loro affetto per lei. Allora perché per tutto quel tempo erano spariti, nonostante sapessero che avesse un tumore?
“Per tutti questi mesi mi avete completamente ignorata! Se io non vi avessi chiamati per dirvi come procedevano le cure voi non mi avreste nemmeno cercata! Quindi non vedo come possiate pensare di venire qui e obbligarmi a tornare a Bradford!” sbottò Kath al mio fianco.
“Non ti permettere di parlarci così! – la riprese Anthony alzando un po’ il tono di voce, - E non ho intenzione di affrontare questo discorso davanti a persone che non c’entrano nulla con la nostra famiglia!” concluse, riferendosi evidentemente a me.
Lo guardai quasi con rabbia, ma era più forte di me: sentivo di dover rimanere accanto a Kathleen, come se dovessi proteggerla da qualsiasi cosa, anche dai suoi parenti.
“Zayn resterà qui invece!” si impuntò Kath, stringendo ancora una volta la mia mano. E io mi sentii sollevato, perché preferivo rimanere lì con lei a sostenerla.
“Kathleen! – la richiamò Beckah, con un tono più rilassato, - Per favore. Lo sai che ti vogliamo bene…”
“Ne ero convinta fino a poco tempo fa: ma ho iniziato a dubitarne quando avete preso il mio tumore come se fosse una banale influenza.”
“Ti abbiamo sempre mandato i soldi…” riprovò la zia.
“I soldi? – chiese retorica Leen, - Non credi che avrei preferito una telefonata a degli stupidi soldi?!”
Per un minuto circa regnò il silenzio: i due erano palesemente nel torto e probabilmente stavano cercando qualcosa da dire; Kath aveva il respiro accelerato per la rabbia; io aspettavo solo che se ne andassero.
“Ascolta. – riprese Beckah, sospirando, - Mi dispiace per tutto quello che è successo. È che quando te ne sei andata… Ci hai delusi. Ti abbiamo accolto in casa nostra e tu alla prima occasione sei scappata, anche se noi abbiamo provato a darti tutto il meglio possibile. Ci siamo comportati da orgogliosi…”
“Ma ora che ci hai dato questa notizia… Ci dispiace. Non avremmo dovuto comportarci così.” la interruppe Anthony, questa volta più calmo.
“Kathleen, per favore: torna a casa con noi.” continuò la zia.
Leen rimase qualche secondo a guardarli, mentre io studiavo il suo sguardo e la sua espressione. Sapevo già quale sarebbe stata la sua risposta.
“Avete ragione: avete sbagliato. Vi siete comportati da bambini. Vostra nipote ha un tumore e per il vostro stupido orgoglio preferite mandarle un assegno ogni mese piuttosto che starle vicino. Quindi no, io non tornerò a casa con voi. E non ho intenzione di stare a parlarne ancora, quindi per me potete anche andarvene.”
“Kathleen…”
“No, zio. Davvero, tornate a casa. Senza di me.”
“Ma…”
“Signora, - la chiamai, percependo la stanchezza della ragazza al mio fianco, - Kathleen è stanca, tornate a casa.”
I due mi guardarono per qualche secondo, ma non dissero nulla riguardo la mia intromissione: probabilmente sapevano che Kath mi avrebbe difeso a spada tratta. Lei, d’altra parte, li fissava con dispiacere, ma anche con rabbia. Non doveva essere piacevole essere trattata così e non doveva essere piacevole dover affrontare un litigio del genere in quel momento.
“Spero che cambierai idea.” si limitò a dire Beckah, prima di accarezzarle una guancia. Mi lanciò un’occhiata, forse in segno di saluto, e si voltò per andarsene. Il marito fissò ancora un po’ la nipote, salutò con un cenno del capo entrambi e seguì la moglie fuori dal nostro appartamento.
“Leen…”
“Vado a riposarmi, Zayn. – mi interruppe, sospirando, - Stasera ti va di fare qualcosa? Ho bisogno di distrarmi.” spiegò.
“Certo. Ti porto a cena fuori se per te va bene. E magari dopo andiamo da qualche altra parte.” Ti porterei ovunque, Leen.
“Va bene, grazie.” mormorò, accennando un sorriso e lasciandomi un bacio all’angolo della bocca. Subito dopo si diresse verso la sua stanza, mentre io rimanevo impalato in salotto.
“Prego.” sussurrai, pur sapendo che non mi avrebbe sentito.
 
“State uscendo?” chiese Niall, appena di ritorno dalla sua uscita pomeridiana con Abbie.
Io e Leen annuimmo: “Andiamo a cena fuori.” spiegai.
“E io che volevo stare un po’ con la mia migliore amica!” brontolò la mora, abbracciando Kath.
“Giù le zampe: stasera è mia.” la ammonii, alzando un sopracciglio.
“Kath, non dovresti illudere così un povero ragazzo: dovresti dirgli che non sarà mai più importante di me.” esclamò Abbie, guardando l’amica con un’espressione di teatrale rimprovero.
“Bla bla bla…” dissi, facendole il verso e afferrando la giaccia dall’appendiabiti per infilarmelo.
“Finitela voi due. – rise Kathleen, liberandosi dalla stretta della moretta, - Zayn, sarà meglio andare.”
“Agli ordini!” scherzai, prendendola per mano.
“Ciao ragazzi!” li salutammo. Ma quei due si stavano già sbaciucchiando nell’angolo della sala.
Uscimmo in fretta dal complesso di appartamenti, fuori dal quale ci stava aspettando la macchina che ci avrebbe accompagnati al ristorante: io e Kath eravamo usciti poche volte per occasioni del genere. Di solito facevamo cose molto più semplici sia a causa dei miei impegni sia a causa della sua stanchezza. Quella sera, però, mi aveva chiesto esplicitamente di portarla fuori per svagarsi e non mi sarei di certo tirato indietro.
Lo sbalzo di temperatura la fece rabbrividire mentre prendevamo posto sul sedile posteriore dell’auto: si strinse nel cappotto grigio, sfregandosi le mani per produrre un po’ di calore.
La macchina si mosse e per qualche minuto fu pervasa dal silenzio. Kath guardava fuori dal finestrino e io guardavo lei: ne ero incantato e allo stesso tempo intimorito. Ero curioso di sapere a cosa stesse pensando, ero impaziente di averla tra le mie braccia ed ero inquieto perché sapevo che non ne avrei avuto mai abbastanza.
Mentre scrutavo il suo viso, illuminato dalle luci di Londra, si voltò verso di me: “Sei un po’ inquietante, lo sai?” scherzò, rivolgendomi un leggero sorriso.
Alzai un sopracciglio: “Ah, sì? Mi dispiace, ma dovrai farci l’abitudine.” la avvertii.
“Con te devo abituarmi ad un bel po’ di cose.”
“Del tipo?” le chiesi, curioso, facendomi più vicino a lei.
“Devo abituarmi a quando mi dici ti amo, a quando mi fissi così, a quando ti vedo nel letto appena mi sveglio, a quando mi rubi i cereali dalla tazza ogni santa volta…” cominciò, alzando un dito della mano per ogni punto della lista. Sorrisi e mi avvicinai a lei per assaggiare le sue labbra, impedendole di finire quel lungo elenco.
“A proposito: ti amo.” sussurrai, rendendomi conto che quel giorno non gliel’avevo ancora detto.
“Iniziavo a chiedermi quanto ci avresti messo ancora per dirmelo.” confessò, sorridendo e baciandomi ancora e ancora.
Fummo interrotti dalla frenata della macchina, segno che eravamo appena arrivati. Avevo scelto un ristorante non molto famoso che mi aveva fatto conoscere Leen un po’ di tempo prima: non volevo incontrare molto persone in modo da non essere disturbati da fans e urla di eccitazione.
Appena entrati il cameriere ci portò al nostro tavolo in una specie di area privata, dove c’erano meno tavoli e meno confusione: in compenso, un uomo al pianoforte suonava una dolce melodia.
 
“Credo di non aver mai mangiato così tanto.” borbottò Kathleen, posando le mani sul suo stomaco, coperto dal tessuto del suo vestito blu notte.
“E così bene.” completai io, bevendo un po’ del vino che avevamo ordinato, un vino con un nome impronunciabile proveniente da chissà quale parte del mondo.
Proprio in quel momento comparve il cameriere nel suo elegante completo nero: “Posso offrirvi un dolce, signori?” chiese gentilmente.
Io e Leen ci guardammo per un attimo e in coro esclamammo in tono deciso: “No, grazie.” per poi abbozzare una risatina.
Il cameriere si congedò lasciandoci di nuovo soli, non prima di aver portato via i piatti dal nostro tavolo.
“Allora, cosa vuoi fare ora?” le domandai.
La serata stava procedendo abbastanza bene: abbastanza perché entrambi avevamo qualcosa che non andava. Kathleen, come al suo solito, cercava di mascherare il mare di emozioni che aveva dentro, ma io riuscivo a scorgerlo nei suoi occhi o nei suoi gesti più piccoli: mentre mangiava, mi accorgevo della lentezza con cui si muoveva, come se fosse sovrappensiero, mentre si guardava intorno mi accorgevo della sua inquietudine. Più cercava di nascondere tutto dietro i suoi soliti sorrisi, più mi serviva la verità su un piatto d’argento.
Io, d’altrocanto, non stavo certo meglio: non le facevo notare i momenti in cui sembrava essere assente, cercando invece qualcosa per farla ridere e distrarre. In realtà, avevo bisogno di distrarre anche me per evitare che il mio pensiero vagasse ancora una volta lì, in quel punto su cui ormai si era fissato. Evitavo di farmi vedere giù di morale: non potevo e non volevo farglielo notare, perché lei aveva bisogno di me e della poca forza che mi era rimasta. Dovevo spegnere il mio dolore e pensare al suo.
“Vorrei portarti in un posto.” ammise, posando sul tavolo il bicchiere dal quale aveva appena bevuto.
“In un posto?” ripetei, incuriosito.
“Sì: ci andavo sempre appena mi sono trasferita qui.” spiegò.
“Hm, ora sono proprio curioso.” ammisi, alzandomi dal tavolo e sorridendole.
 
“Eccoci qui.” sospirò, allargando le braccia per mostrarmi il suo “posto segreto”.
Mi aveva portato al suo vecchio appartamento, nel quale eravamo entrati dopo averci fatto aprire il cancello dalla sua vicina, dato che le chiavi erano rimaste a casa. Con l’ascensore eravamo arrivati all’ultimo piano: da lì, avevamo oltrepassato una catena rossa, che in teoria impediva l’accesso alle scale davanti alle quali era stata messa. Ed eravamo arrivati sul tetto del palazzo, investiti dall’aria gelida.
Mi guardai intorno, facendo abituare i miei occhi al buio: solo dopo qualche secondo iniziai a distinguere il cemento grigio sotto i nostri piedi e altre strutture in rilievo che non sapevo cosa fossero.
Kathleen mi porse la mano e, quando la afferrai, mi portò verso il muretto che recintava il palazzo, alto poco più di un metro.
“È qui che venivo per schiarirmi le idee.” confessò, affacciandosi al muretto e guardando oltre. Spostai lo sguardo dai suoi occhi verso il panorama che avevo di fronte e… Wow. La vista era indescrivibile.
Nonostante quel palazzo non fosse molto alto, offriva una visuale che lasciava a  bocca aperta: noi eravamo immersi nel buio, ma le luci della Londra notturna illuminavano tutto il resto.
“Meglio del London Eye, vero?” chiese, scherzando.
“Vabbè, ora non esageriamo.” ribattei serio.
Mi guardò per un attimo, dispiaciuta per quella risposta troppo seria, così le feci intendere che stavo scherzando: “Devi smetterla di credere ad ogni battuta che faccio.” ridacchiai, passando un braccio intorno alla sua vita.
“Sì, devo smetterla sul serio.” ammise, sorridendomi. Non sapevo se fosse più luminoso il suo sorriso o le luci della città e mi sentii persino uno stupido a pensare a qualcosa del genere.
La baciai dolcemente, scontrandomi con le sue labbra fredde: “Ti va se rimaniamo un po’ qui?” mi chiese subito dopo.
“Certo.” risposi annuendo.
Mi sorrise di nuovo e si allontanò da me, andandosi a sedere su un blocco di cemento alle nostre spalle, alto poco meno del muretto che avevamo di fronte. Poi tamburellò con la mano sul posto affianco al suo, invitandomi a raggiungerla: non la feci aspettare e in pochi secondi ero al suo fianco, con una mano stretta alla sua e l’altra nella tasce del giubotto.
“Sì, è meglio del London Eye.” sussurrai, quando con gli occhi scrutai di nuovo il panorama. La sentii accennare una risata, mentre il suo respiro formava una nuvoletta a causa del freddo. Per fortuna la stagione fredda stava per finire.
“Prima hai parlato al passato: non vieni più qui?” le chiesi.
“No. Non ne ho più bisogno. - rispose, continuando a guardare davanti a sé, - Sei diventato tu il mio posto segreto.” concluse, voltandosi a guardarmi.
Quelle parole mi provocarono dei brividi che potevo ben distinguere da quelli causati dal freddo: ero il suo posto segreto, il suo rifugio, e non potevo esserne più fiero. Sapere che una persona come Kathleen trovasse in me una consolazione, mi riempiva il cuore fino a farlo scoppiare. Mi chiedevo se quell’organo potesse reggere tutti quegli sconvolgimenti ancora per molto.
Non trovai parole con cui rispondere, sembravano tutte troppo banali, quindi mi limitai a sorriderle e a baciarla, per l’ennesima volta. Sapevo che avrei dovuto replicare con qualcosa che la facesse sentire altrettanto importante, ma non ci riuscivo: quello che avevo dentro era complicato da spiegare a parole, non riuscivo a capirlo nemmeno io.
Lei, però, non sembrò dispiacersi di quella mia semplice reazione: tornammo a guardare la città, senza più parlare. Mi sembrava giusto lasciarle un po’ di spazio, senza inutili chiacchiere o parole superflue. Le avrebbe fatto bene un po’ di silenzio, staccare la spina da tutto il resto: la conoscevo e sapevo che prima o poi avrebbe sfogato tutto quello che aveva dentro. Farlo a metri di altezza, davanti alle luci caotiche dei palazzi e delle auto per strada, era una buona idea.
Stringevo la sua mano, come se le nostre dita si fossero intrecciate e congelate in quella posizione: per tutto il giorno ci eravamo tenuti per mano per darci forza e non avevamo intenzione di smettere.
All’improvviso i miei pensieri furono interrotti da un suo singhiozzo: mi voltai di scatto verso di lei e vidi le sue guance solcate già da qualche lacrima, lacrime colorate dalle luci. Gli occhi lucidi spiccavano nel buio di quel posto e la sua mano aveva aumentato la presa sulla mia.
Per qualche attimo la osservai, mentre lei continuava a guardare davanti a sé, come se non ci fossi: eppure io ero lì, a sostenerla, a darle tutto quello che mi era rimasto. Dopo qualche secondo si voltò, fissò i suoi occhi nei miei e lasciò che nuovi singhiozzi si impadronissero di lei.
“Zayn…” sussurrò.
Il mio nome, pronunciato dalle sue labbra umide, dalla ragazza che amavo, e in quel modo, fecero muovere qualcosa da me e portarono tutti i miei muscoli volontari ad andare contro la loro natura, spingendomi a circondarla con le mie braccia senza che pensassi davvero di farlo. Di nuovo, il suo viso si incastrò nel mio collo, come se fossero due pezzi combacianti; le sue mani strinsero il mio giubbotto nei pugni, mentre le mie le accarezzavano i capelli.
Sapevo che sarebbe successo, che avrebbe ceduto, abbattendo ancora una volta la sua inutile messa in scena: stavo aspettando quel momento da quando i suoi zii avevano varcato la soglia di casa nostra, aggiungendo un peso sulle sue spalle già fin troppo cariche.
E non c’era bisogno di chiederle perché stesse piangendo: bastava che rimassi lì con lei ad ascoltarla piangere, cercando di non fare lo stesso.
Certo, avrei potuto dirle mille cose, prometterle il mondo intero, sussurrarle parole di conforto o garantirle che sarei stato sempre con lei, qualunque cosa dovesse succedere, ma non lo feci.
“Ti amo , Leen.” sussurrai soltanto, tra i suoi capelli. Quella era l’unica cosa che riassumeva tutto, le due paroline che contenevano promesse e sentimenti. E quando mi strinse di più a lei, capii che ero riuscito a trasmetterle ogni piccola cosa che provavo e tutto quello che volevo offrirle.

 




Fanciulleeeeeeeee buongiorno!
Questo è il mio pensierino per augurarvi buona giornata :)
Purtroppo devo davvero scappare quindi non posso dilungarmi nei miei soliti scleri!
Ma vorrei ringraziarvi mille volte, se non di più, per tutto e per le recensioni allo scorso capitolo!
Alcune di voi hanno scritto delle cose che mi hanno sciolto il cuore :')
Dite a me che vi faccio sempre piangere, ma anche voi non scherzate!
Ah, scusate se vi faccio sempre piangere hahahah

Beh, il dovere mi chiama, quindi niente... Spero che il capitolo vi piaccia,
anche se non è niente di che!
Fatemi sapere cosa ne pensate!
(Amo il fatto che ci siano nuove lettrici jskadlhaskdhf)
Ah, risponderò alle recensioni stasera :3

Gifssssssssssssss:

Non è un patatino? :3                                   E lei è bellissima :3

    


 

  
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