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Autore: mina_s    20/06/2007    9 recensioni
Quando il trafficante di droga e di armi Sao Feng sequestra la figlia del capitano di una squadra di detective, il losco Jack Sparrow si unisce a quest'ultima e dovrà lavorare con uno dei detective più abili e professionali della centrale, James Norrington...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Una nuova fan fiction per farmi perdonare di non essere riuscita a concludere quella vecchia. Speriamo che questa storia non abbia lo stesso destino. Ricordatevi che è AU, quindi se la cosa vi potrebbe risultare sgradita siete ancora in tempo per tornare al pagina precedente. Per chi rimarrà: spero che vi piaccia; mi raccomando, lasciatemi una recensione, altrimenti rischio di perdere la motivazione e lasciar perdere tutto (non sto scherzando!).

Ecco quello che succede quando si guardano troppe puntate di ‘Law and order’.

Prologo

Un uomo alto, dai tratti decisi e con radi e scuri capelli percorse il corridoio tenendo in mano due confezioni di caffé, un’espressione benevola e quasi sorridente sul viso mentre si dirigeva verso il suo ambiente di lavoro.

A differenza della maggior parte degli altri, in quello in cui lavorava Richard Groves si trovava la stessa atmosfera ventiquattro ore al giorno, sette giorni alla settimana: uomini e donne che correvano avanti e indietro con passo deciso, costanti squilli di telefono, fogli e cartelle varie che passavano di mano in mano…

A chi non era abituato tutto questo sarebbe risultato fastidioso, specialmente alle sette di mattina; Groves invece, come del resto la maggior parte dei suoi colleghi, trovava quel costante brusio in qualche modo confortante, sicuramente familiare: lo faceva sentire nel suo habitat naturale, per dirla in altro modo, anche se dopo ore e ore di lavoro capitava sovente che tutti quei rumori e l’aria chiusa dessero alla testa.

Ma d’altronde, se il crimine non andava mai in vacanza, tanto meno poteva farlo la polizia.

L’uomo appoggiò una delle due confezioni di caffé sulla scrivania che condivideva con il suo compagno di squadra, proprio sotto il naso di quest’ultimo, un uomo che si sarebbe notato subito perfino tra la folla di Times Square a New York per lo straordinario colore rosso fuoco dei suoi capelli.

“Ecco qui il tuo caffè Eddie. E poi non osare lamentarti del tuo compagno!” Groves rise, appoggiando subito la sua bevanda un po’ più in là e togliendosi la giacca, per poi sistemarla sulla sua sedia.

Edward Gillette prese la sua confezione, la guardò per un attimo con aria assente, osservando l’orribile colore biancastro del cartone, il mento appoggiato sulla mano, e finalmente bevve un sorso del caffé; l’attimo dopo fece una smorfia di disgusto che alterava i suoi lineamenti, già non particolarmente belli (non nel classico senso della parola, almeno).

“Fa schifo.”

“Prego, Edward.” Il suo compagno di squadra nel frattempo si era già sistemato comodo e cercava nel cassetto la cartella del caso su cui lui ed Edward avevano iniziato a investigare il pomeriggio prima. “Non so sinceramente che caffé ci si possa aspettare dal fast food cinese dall’altra parte della strada.”

Gillette roteò gli occhi, stiracchiandosi sulla sedia come un gatto. Il suo collega notò, mentre sfogliava distrattamente la cartella fino al punto interessato, che non sembrava avere ancora la minima intenzione di tirare fuori l’elenco dei testimoni e cercare i loro indirizzi, come invece avrebbe dovuto fare.

Gillette, in effetti, si portava ancora indietro i suoi difetti da adolescente: quella fatica a prendere ordini, quel senso di orgoglio e, peggio di tutti, quella mania di lasciar perdere il dovere se non aveva voglia di svolgerlo (per fortuna, accadeva solo in casi eccezionali) non sembravano voler mollare la presa su carattere di quel detective, che altrimenti sarebbe stato un poliziotto perfetto.

Ma d’altronde nessuno è perfetto, pensò Groves leggendo l’indice delle prove -scarse- che avevano raccolto, mordendosi un’unghia; lui stesso a volte mancava di serietà e procedeva nel risolvere i suoi casi con una superficialità che non poteva certo giovargli.

Se c’era un detective nella loro squadra che però poteva essere considerato quasi perfetto, era quell’uomo poco più vecchio di Edward e poco più giovane di lui che, qualche metro più in là, era già talmente immerso nel lavoro che non si era nemmeno accorto del suo arrivo…

“Dimmi che non è vero.”

La voce di Gillette lo riportò alla realtà.

“Cosa?” chiese, alzando lo sguardo dal foglio. L’altro guardava con espressione incredula e allo stesso tempo affranta un punto dietro di lui, sporgendosi dalla sedia, gli occhi scurissimi ancora leggermente annebbiati dal sonno.

Richard si voltò ma non gli sembrò di notare niente di particolarmente interessante.

“Rebecca si è tinta i capelli di rosso?” Gillette alzò un po’ la voce, facendo tastare al collega la sua irritazione.

“A quanto pare sì.” Groves vide la segretaria camminare con dei plichi in braccio, dirigendosi fuori dalla porta. “E allora?” si girò, leccandosi un dito per poi girare pagina.

L’espressione quasi disperata dell’altro era perfino divertente. “E… E allora?!” sibilò, abbassandosi verso Richard perché lo potesse sentire meglio.”Tutti stanno iniziando a farsi i capelli rossi! Mi vogliono imitare! Se si continua di questo passo, perderanno la loro originalità!” Così dicendo, si passò entrambe le mani fra la chioma, uno dei pochi aspetti del suo aspetto fisico di cui andava fiero.

“Su, Eddie, si vede benissimo che, a differenza di quasi tutti gli altri, tu sei naturelle.” Il suo compagno ridacchiò.

“Sai che ti dico?” Gillette riprese la sua confezione di caffé in mano e la puntò verso l’altro. “Lo so perché fanno così. Mi invidiano il sangue irlandese, ecco. Tutti al giorno d’oggi vogliono essere nati nella mia isola, è un dato di fatto.”

“Sì come no, e parlare con quell’accento che non si riesce a distinguere dallo zulù.”

“Fanculo.”

“Su bambini, non costringetemi a farvi saltare il pranzo, oggi.”

I due non si erano nemmeno accorti che il capitano si era avvicinato e tentarono di ricomporsi, sebbene Swann fosse un uomo tutto fuorché aggressivo o punitivo e questo, dopo anni sotto il suo servizio, lo sapevano bene. Insieme ai pantaloni grigi tenuti su da un paio di bretelle e la cravatta nera che risaltava sopra la camicia bianca, quell’uomo, ormai non più giovane, portava sempre quel piccolo sorriso, quasi impercettibile, che lo rendeva un uomo difficile da odiare.

“Ha appena telefonato la scientifica, hanno analizzato i liquidi trovati sulla camicia della vittima. Andate a dare un’occhiata.”

“Sì, capitano.” risposero i due all’unisono. Sebbene il loro capo non desse ordini con quel tono freddo e fermo con cui quasi ogni persona al comando soleva fare, non poteva semplicemente neanche saltare in testa a qualcuno di non ubbidirgli. Era come un vecchio zio che non pretende niente da nessuno ma che incute comunque una grande autorità e un grande rispetto, senza farlo con le maniere forti.

Gillette diede uno spintone sulla schiena a Groves mentre uscivano, cosa che fece sorridere amorevolmente e scuotere il capo al detective James Norrington, che stava ordinando dei fogli sulla sua ampia scrivania.

Beh, non che fosse più grande delle altre, era solo che era molto più comodo averne una tutta per sé… Dopo che il proprio compagno se n’era andato. Ma a Norrington piaceva così. Aveva passato diverso tempo lavorando con un detective intelligente e professionale che l’anno prima era andato finalmente in pensione, e ora affrontava i suoi casi da solo mentre si attendeva l’arrivo di un nuovo componente nella squadra. Certo il carico era più pesante, ma James stava dimostrando all’intera centrale che se la sapeva cavare alla perfezione anche da solo, e non c’era cosa che lo avrebbe potuto rendere più orgoglioso e felice.

Beh, in effetti una cosa ci sarebbe stata, ma…

“Ciao, James!”

Un’amorevole voce femminile gli fece alzare la testa.

“Oh, ciao, Elizabeth.”

James inarcò le sopracciglia, cercando nel contempo di sorridere, ma non era certo una cosa facile, vedendo la donna che aveva amato -e che ancora amava, a dispetto dei suoi continui tentativi di dimenticarla- così raggiante, serena e bella.

La ragazza stava in piedi di fronte alla sua scrivania, un capello di lana rosa in testa e una grossa sciarpa intonata che nascondevano in parte il suo viso pallido. Cosa peggiore di tutte, gli sorrideva. Quel sorriso con cui mostrava i denti forti e sani e che rendeva i suoi occhi più beli e luminosi che mai, quel sorriso che lo aveva fatto innamorare di lei.

James deglutì.

Elizabeth era di qualcun altro.

“Sono passata a portare la colazione a mio padre, fra venti minuti io e Will partiamo per Manchester, stiamo lì tre giorni…”

“Ah, davvero?” Norrington forzò un sorriso al pensiero dell’uomo che gli aveva rubato la sua occasione di felicità proprio sotto gli occhi, e che non gliela avrebbe mai più restituita. Quel pittore da quattro soldi…

“Divertitevi.”

“Lo spero.” lei scrollò le spalle, prima di avvicinarsi a James e dargli un bacio sulla guancia. “Ci vediamo, James. Stammi bene.”

“A-anche tu.”

Elizabeth scomparve nell’ufficio del padre, chiudendo la porta dietro di sé, e il detective restò zitto e immobile fino a che non la vide di nuovo andarsene, girandosi per salutarlo con la mano. Norrington alzò debolmente la sua.

Quanto faceva male vederla, sapere che era felice, così insopportabilmente felice, e che proprio la sua felicità rendeva lui così affranto. E poi la ragazza sembrava non accorgersene nemmeno; tutto per lei era perfetto: Will, la sua relazione con lui, il loro appartamento, la loro macchina che rischiava di sfasciarsi a ogni metro, i loro cinque gatti… Ah, poi c’era James, che era un amico che poteva trovare sempre lì, ad aiutarla, a cui poteva promettere ogni genere di cose per poi tirargli il pacco… Sì, tornava comodo, avere un amico così…

Norrington sospirò, digitando un numero sul telefono.

Elizabeth aveva Will? Bene, lui aveva il suo lavoro. Il suo lavoro che amava e che lo rendeva appagato più di qualsiasi donna. Sì, l’altra metà della sua vita era e sarebbe rimasta il suo lavoro, che mai avrebbe lasciato, e che mai avrebbe spezzato il cuore a lui.

 

  
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